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I beni culturali di fronte alla crisi economico-finanziaria e alla globalizzazione

La spending review e l'organizzazione del settore culturale

di Carla Barbati

Sommario: 1. Il contesto. - 2. La liquidazione di Arcus s.p.a. - 3. La soppressione dei Comitati tecnico-scientifici del Mibac. - 4. Le modifiche "evitate".

The Italian Spending Review 2012 and Its Implications for Public Bodies in the Cultural Property Sector
The Spending Review Process carried out by the Government of PM Mario Monti, enacted into law n. 135/2012, had a significant impact on State-level Public Cultural Bodies also. Two measures have been adopted for cutting public expenses and reducing the inefficiency of the public sector in this field. The first one is the abolition of Arcus, Society for the Development of Art, Culture and Performance, with capital undersigned by the Economy Ministry but depending in its activities on the addresses of Ministry for Cultural Heritage and Activities and Ministry of the Infrastructures, created to be a financial tool for the support of public and private initiatives and projects in the cultural field. The second one is the abolition of the Ministry for Cultural Heritage and Activities Seven Scientific and Technical Advisory Bodies as a consequence of a general provision aimed at reforming and rationalizing Public Bodies landscape. Other measures directed to reforming Public Cultural Bodies in the Cinematographic sector have been suggested by the Government but not accepted by the Parliament. Although it is clear that Public Bodies reform must play a significant part in cutting out waste and inefficiency, these measures far from giving expression to a strategic spending review seem to be only adequate to take away tools and bodies which would have required Ministry to rethink itself and its role so to interact with private and public actors and to support a different idea of the cultural interest as an economic and social, not only state, value.

1. Il contesto

Alcune delle misure adottate per il controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica, nell'ambito dei programmi volti ad analizzarne e valutarne l'efficacia, l'efficienza e l'economicità, noto come processo di spending review [1], hanno interessato anche l'Amministrazione preposta ai beni e alle attività culturali.

Gli assetti organizzativi e, per quanto conseguenti, anche funzionali del settore hanno perciò conosciuto modifiche per effetto dei provvedimenti sia generali sia speciali per il contenimento e la razionalizzazione della spesa introdotti con il d.l. 6 luglio 2012, n. 95, recante "Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini" [2].

Non tutte le misure che il governo aveva previsto al riguardo hanno ottenuto l'assenso parlamentare all'atto della conversione in legge 7 agosto 2012, n. 135.

E' questo il caso delle disposizioni, originariamente contenute nell'art. 12 del d.l. 95 del 2012, con le quali si stabiliva la soppressione della Fondazione Centro Sperimentale di cinematografia e l'attribuzione delle sue funzioni al Centro sperimentale di cinematografia quale Istituto centrale da costituire, presso il ministero per i Beni e le Attività Culturali (da ora, Mibac) ai sensi e per gli effetti dell'art. 15, comma 1, del d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233 (comma 31); la soppressione della Cineteca Nazionale e il trasferimento delle sue funzioni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali all'Istituto Luce Cinecittà s.r.l. (commi 34-37); la soppressione dell'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi e il trasferimento delle sue funzioni, dei suoi compiti e delle risorse umane, finanziarie e strumentali alla competente Direzione generale del Mibac (comma 38).

Dei provvedimenti introdotti in sede di decretazione d'urgenza, dedicati al settore dei beni e delle attività culturali, il Parlamento ha salvato e conservato solo quello con cui si dispone la messa in liquidazione, con decorrenza dal 1 gennaio 2014, di Arcus s.p.a., Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo (art. 12, commi 24-28 della legge 135/2012).

Si deve, invece, a una misura di carattere generale, enunciata nell'art. 12, comma 20, della legge 135/2012, una tra le più significative modifiche che hanno interessato l'Amministrazione ministeriale, ossia la soppressione dei Comitati tecnico-scientifici del Mibac. Una soppressione non si sa quanto voluta o solo accidentale.

Modifiche dunque di differente rilievo e, soprattutto, di differente impatto anche per la ragione o causa che ne è all'origine e pertanto per le situazioni sulle quali sono andate a calare.

2. La liquidazione di Arcus s.p.a.

Di tutte le misure previste, nell'ambito e ai fini delle politiche di spending review, la messa in liquidazione di Arcus s.p.a. ben si può considerare quella annunciata sia per le complesse vicende e per le difficoltà che ne hanno compromesso la gestione, l'attività e il rendimento sia perché espressione di un ripensamento dichiarato, e come tale comunicato, del disegno perseguito con la sua istituzione.

La nascita di Arcus s.p.a. si deve all'art. 2 della legge 16 ottobre 2003, n. 291, recante "Disposizioni in materia di interventi per i beni e le attività culturali, lo sport, l'università e la ricerca e costituzione della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo-Arcus s.p.a.", quale soggetto destinato a sostituirsi a un'altra società per azioni creata, per le medesime finalità ma con ambito di intervento circoscritto ai soli beni culturali, dall'art. 10 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 "Disposizioni sui beni culturali", la Sibec s.p.a., peraltro mai istituita [3].

Con la creazione di Arcus s'intendeva porre nella disponibilità dell'Amministrazione statale e, in particolare, del ministero delle Infrastrutture e del Mibac, uno strumento operativo, essenzialmente finanziario, provvisto della veste privata della società per azioni ma sostanzialmente di natura pubblicistica, con capitale sociale interamente sottoscritto dal ministero dell'Economia e delle Finanze (da ora, Mef), tramite il quale promuovere e sostenere con risorse tecnico-economiche e organizzative progetti e investimenti nel settore dei beni e delle attività culturali [4].

Il lento avvio dell'esperienza di Arcus, costituitasi solo nel 2004 e impegnata, nella sua prima fase di operatività, anche a definire il proprio assetto organizzativo e di funzionamento ma soprattutto le debolezze del modello, sostanzialmente chiuso alle interazioni con altri soggetti, sia pubblici sia privati, in ragione del forte assoggettamento al controllo dei ministeri di riferimento, si tradussero ben presto nell' incapacità della società ad assolvere la finalità per la quale era stata pensata, ossia attrarre risorse finanziarie esterne, coinvolgendo in progetti innovativi diversi attori pubblici e privati dei territori interessati [5].

Numerose riserve nei confronti dell'operato di Arcus furono subito formulate anche dalla Corte dei Conti che, nella relazione sull'esercizio 2006, ne evidenziò la fragilità degli interventi, spesso obbedienti a logiche e a esigenze contingenti al di fuori di un disegno che neppure le sedi istituzionali e innanzi tutto il Mibac chiamato a definirne i programmi di indirizzo, di concerto con il ministero delle Infrastrutture, s'incaricarono di temperare e correggere, incorrendo in ritardi e inadempienze, tanto da indurre la Corte a suggerire un riesame del modello, anche in vista della sua eventuale soppressione.

L'allora ministro Rutelli, nel 2006, sospese l'attività del Consiglio di Amministrazione e nominò una Commissione di studio incaricata di "raccogliere e analizzare in modo organico i documenti contabili, gli atti finanziari e la documentazione amministrativa relativi ad Arcus", nonché proporre "le soluzioni più opportune al fine di consentire in tempi quanto più possibile rapidi la ripresa della piena funzionalità ed operatività della Società, nel rispetto del ruolo ad essa assegnato dal legislatore" [6].

Dal 2006 Arcus venne sottoposta a una gestione commissariale di anomala lunghezza, che si protrasse sino al 2008, durante la quale conobbe reiterate disattenzioni da parte delle sedi ministeriali, in conseguenza delle quali non fu garantito neppure il rinnovo degli organi ordinari. In questa fase, l'azione di Arcus, come evidenzierà poi la Corte dei Conti, si frantuma in interventi di modesta portata a favore di beneficiari di incerta soggettività, talvolta connotati da finalità lucrative, e soprattutto si allontana sempre più dai canoni di una corretta e sana gestione nonché dalla sua configurazione legislativa, per atteggiarsi come un'agenzia ministeriale che si limita a porre in essere "azioni sostitutive o integrative di quelle ordinarie" proprie del Mibac [7].

Nei primi mesi del 2012, sono i ministri per i Beni e le Attività culturali e per le Infrastrutture a dichiarare l'intenzione di procedere a un ripensamento delle sorti di Arcus, formalmente annunciato dal ministro per i Beni e le Attività Culturali in un'audizione del 13 giugno 2012 presso la VII Commissione permanente del Senato.

In questa sede, il ministro si fa portavoce della consapevolezza che il modello accolto con Arcus, di un soggetto sostanzialmente pubblico e solo formalmente privato, non riesce ad assolvere lo scopo per il quale è pensato, ossia attrarre risorse a favore della cultura, ma si traduce solo in una duplicazione di apparati amministrativi. Il Mibac, aggiunge, stava perciò valutando l'avvio di un "percorso graduale di rientro delle funzioni [...] esercitate da Arcus all'interno della normale programmazione ministeriale".

Percorso che si risolve nella scelta accolta con l'art. 12, commi 24-28, del d.l. 95/2012 di disporne la messa in liquidazione [8], benché negli ultimi anni qualche cosa fosse cambiato.

Nella relazione al Parlamento della Corte dei Conti, sulla gestione finanziaria dell'Ente nell'esercizio 2010, approvata con determinazione n. 92 del 26 ottobre 2012, successiva all'approvazione della legge n. 135/2012, la Corte attenua i rilievi da sempre formulati nei confronti di Arcus o, meglio, ne opera una differente imputazione.

La Corte rileva infatti come dal 2009, a distanza di un solo anno dall'approvazione del regolamento di disciplina dei criteri e delle modalità per l'utilizzo e la destinazione delle risorse finanziarie [9], avesse preso avvio, con la redazione del Piano d'impresa triennale 2009-2011, un nuovo modo di operare di Arcus, con la messa a punto di meccanismi di valutazione ex ante ed ex post degli investimenti atti a valutarne l'impatto sull'economia dei territori interessati, affidato ad assetti organizzativi interni leggeri e flessibili.

Ciò che non cambia è, semmai, l'atteggiamento dei ministeri di riferimento i cui ritardi e le cui inadempienze, impedendo anche il ricambio di talune figure apicali, ostacolano la piena operatività di Arcus e ne compromettono le potenzialità.

Nella scelta di disporne la messa in liquidazione si può perciò leggere, senza dubbio, l'intento, sotteso all'intero corpus dei provvedimenti adottati con la legge 135/2012, di operare razionalizzazioni funzionali al contenimento della spesa pubblica, procedendo alla soppressione di apparati e strutture che presentano costi diretti e indiretti non adeguatamente compensati dai risultati, ma in questa scelta non si può non riconoscere anche altro.

Le esigenze della spending review sembrano, in sostanza, dare occasione per esprimersi ad altre ragioni. Innanzi tutto, all'inidoneità del modello, accolto con Arcus, sostanzialmente chiuso al contributo anche decisionale di soggetti diversi dagli apparati ministeriali, a conseguire un obiettivo da tempo elevato a finalità delle politiche pubbliche per i beni e le attività culturali, qual è attrarre risorse organizzative e finanziarie, pubbliche e private, da destinare al soddisfacimento delle necessità di un settore che stenta a farsi risorsa e motore di sviluppo culturale, sociale ed economico. Ma la scelta di sopprimere Arcus racconta anche, se non soprattutto, l'incapacità e ancor più l'indisponibilità delle Amministrazioni statali e, in particolare, del Mibac ad aprirsi all'intervento e alla collaborazione di altri soggetti, anche quando disponga di apparati a ciò deputati.

Le travagliate vicende delle quali la Società è stata oggetto, quelle che la Corte dei Conti, nella sua ultima relazione del 2012, non esita a qualificare come "inadempienze gravi e prolungate delle Amministrazioni di riferimento" (Mibac, ministero delle Infrastrutture, Mef) restituiscono l'immagine non solo di un Arcus inidonea, ma soprattutto di apparati ministeriali refrattari ad avvalersi di modelli gestionali che comunque implicano una ridefinizione del loro ruolo e delle modalità in cui declinano la propria azione.

Una sorta di resistenza del centro statale in cui ben può ravvisarsi il sintomo di una più generale difficoltà del Mibac a ripensarsi in funzione degli apporti che possono essere arrecati da soggetti esterni siano essi pubblici, come le amministrazioni territoriali, siano essi privati.

Di questa più generale incapacità offrono, d'altro canto, evidenza le complesse vicende che hanno compromesso l'utilizzo e gli esiti di altri percorsi pensati dal legislatore perché anche il centro statale promuovesse lo sviluppo di sinergie interne ed esterne al settore culturale così da farne occasione, se non motore, per uno sviluppo integrato dei territori.

Le rappresentazioni più eloquenti di tali difficoltà sono offerte dalle politiche per la valorizzazione dei beni culturali. E' a questo fine che sono state cercate e tentate differenti soluzioni, alcune di natura solo funzionale altre di rilevanza anche organizzativa, accomunate dall'intento di favorire la cooperazione e il coordinamento tra i soggetti pubblici e tra questi e i privati, profit e non profit.

Il primo tentativo di aprire il Mibac a processi di esternalizzazione per "il più efficace esercizio delle funzioni" di valorizzazione si deve all'art. 10 del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, istitutivo del nuovo ministero che, rimasto privi dei provvedimenti attuativi necessari a consentirne l'operatività, più volte modificato, anche per adeguarlo al nuovo quadro delle competenze delineato con la riforma costituzionale del 2001 e per superarne le complesse compatibilità con le disposizioni generali e codicistiche di riferimento per la gestione dei servizi culturali, fu infine abrogato dall'art. 6 del d.lg. 24 marzo 2006, n. 156, correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42) [10].

Le medesime difficoltà avrebbero poi interessato, e tuttora interessano, altre soluzioni. Fra tutte, quelle accolte nell'art. 112 Cod. in cui si opera la codificazione del principio consensuale come modalità di esercizio delle attività di valorizzazione, funzionale alla definizione ed elaborazione di programmi e piani di sviluppo culturale capaci di promuovere l'integrazione delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati [11], ossia a un disegno che ripete in parte quello che doveva connotare le attività di Arcus s.p.a.

Egualmente complessa è la sorte conosciuta dagli altri percorsi delineati, e più volte ridefiniti con la riscrittura degli artt. 115 e 117 Cod., per l'avvio di forme di gestione delle attività di valorizzazione e di quelle loro espressioni che sono i servizi per il pubblico presso gli istituti e i luoghi della cultura, atto a favorire l'attrazione di risorse economiche e soprattutto organizzative di privati. Misure alle quali si è affiancata, fra le altre, anche la previsione esplicita della possibilità di accordi con le fondazioni bancarie (art. 121 Cod.) nonché una nuova disciplina delle sponsorizzazioni riferite al settore (art. 120 Cod.) [12].

Scelte e indicazioni delle quali molto si è detto e dibattuto all'interno di ampie e diffuse analisi, ospitate anche nelle pagine di questa Rivista, alle quali non si può che rinviare [13], non senza ricordare quello che ne è stato appunto il difficile cammino, ancora oggi privo d'importanti esperienze di sistema capaci di raccontare e soprattutto di avviare una nuova modalità di declinare la presenza e l'intervento pubblico, specie del Mibac, nel settore.

Quanto alle soluzioni a più diretta e immediata rilevanza organizzativa, anche per le ricadute che ne sarebbero potute derivare sul ruolo dell'Amministrazione ministeriale, fra tutte merita di essere ricordata quella confluita nell'istituzione della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale dotata di competenze ampie e trasversali, quasi a farne portatrice di un'esigenza con cui ogni altra azione e intervento del ministero si sarebbero dovuti confrontare per dare a essa spazio e condizioni per esprimersi [14].

Ma pure questa innovazione, a suo tempo oggetto di molte riserve e il cui rendimento non è ancora compiutamente verificabile [15], si è aggiunta a un assetto e a un ruolo che l'apparato ministeriale, indebolito dalle reiterate riforme che l'hanno interessato e dalle sempre più limitate risorse umane prima ancora che finanziarie, ha continuato a interpretare secondo antecedenti logiche e prassi, senza che dalle sedi dell'indirizzo politico siano giunte indicazioni volte a sollecitare o anche solo a promuovere una modalità di declinare la presenza atta a farne l'interlocutore di altri interessi e soggetti e non l'interprete esclusivo di un interesse culturale inteso come interesse non solo pubblico ma di più statale.

Un apparato ministeriale lasciato perciò a un'autoreferenzialità che sembra offrire supporto alla valenza settoriale assegnata a un ambito, qual è quello dei beni e delle attività culturali, che da sempre stenta a essere integrato nelle politiche pubbliche generali, quasi a scontare la propria perdurante difficoltà a essere riconosciuto come risorsa capace di generare risorse e non solo come attrattore di risorse pubbliche che non ci sono o che non sono sufficienti.

Scegliere la messa in liquidazione di Arcus significa, pertanto, non solo liberare il settore e le stesse Amministrazioni ministeriali di riferimento da un apparato d'inadeguata concezione, d'incerto operare e di dubbi destini, ma significa anche o potrebbe significare riaprire, presso il centro statale, la questione delle soluzioni capaci di sostenere e promuovere i beni e le attività culturali, almeno in quelle loro espressioni e per quegli interventi che dipendano da scelte del Mibac, riconoscendo ad essi quella dimensione anche economica, capace di coinvolgere altri attori pubblici e privati, che sino ad ora è stata oggetto di numerose dichiarazioni d'intenti più che di politiche di sistema [16]. Che questo possa esserne il significato lo potranno dire solo le scelte future.

3. La soppressione dei Comitati tecnico-scientifici del Mibac

Più che una misura dedicata all'Amministrazione del settore, questa è la conseguenza di un provvedimento di carattere generale. Volendo mutuare le espressioni usate dalla Corte dei Conti, con riguardo alle vicende di Arcus, la soppressione dei Comitati tecnico scientifici sembra essere l'esito di quelli che, nei fatti, si sono atteggiati come "ritardi" della sede ministeriale e, soprattutto, del suo vertice politico anziché l'espressione di un disegno consapevole o quantomeno dichiarato come tale.

L'art. 12, comma 20, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, prevede, infatti, che "a decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga ai sensi dell'articolo 68, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le attività svolte dagli organismi stessi siano definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano".

In fase di conversione in legge 7 agosto 2012, n. 135, si sono esclusi dall'applicazione di questa disposizione alcuni Osservatori nazionali nonché il Comitato nazionale di parità e la Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, ai quali la legge di stabilità per il 2013 ha aggiunto la Consulta nazionale per il servizio civile.

La disposizione di per sé prosegue e porta a ulteriori sviluppi un disegno, avviato con la legge finanziaria per il 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448), proseguito con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 e con il richiamato art. 68 del d.l. 112/2008, per il riordino, nel segno della riduzione, degli organismi collegiali operanti presso la pubblica amministrazione, quale misura funzionale non soltanto al contenimento delle spese connesse al loro funzionamento ma anche allo snellimento delle procedure e all'alleggerimento dell'organizzazione amministrativa.

Un provvedimento di carattere generale che si abbatte anche sui Comitati tecnico-scientifici del Mibac. Le procedure per il loro rinnovo benché avviate da tempo, e assolte dal Consiglio Universitario Nazionale (Cun) che effettuò le designazioni di competenza il 18 aprile 2012, non riuscirono a chiudersi in ragione dei ritardi nelle designazioni spettanti al ministro per i Beni e le Attività culturali.

Con lettera del 7 settembre 2012, il ministro Ornaghi comunicò al Cun l'impossibilità di dare corso alle nomine dei professori universitari indicati dall'organo, poiché la Presidenza del Consiglio non aveva ritenuto di concedere la proroga che il ministero aveva richiesto, motivandola con la perdurante utilità dei Comitati, in quanto l'art. 12, comma 20, del d.l. 95/2012, intervenuto nelle more del procedimento di rinnovo, ne comportava la soppressione.

Diverse voci si sono levate, lamentando che il venir meno di questi organi comportava l'uscita dalla disponibilità del ministero di quelle competenze scientifiche esterne, necessarie ad acquisire elementi conoscitivi e/o valutativi utili all'assunzione delle migliori decisioni da parte di un'Amministrazione le cui funzioni sono caratterizzate da contenuti altamente tecnici.

Se è indubbio che questo sia da sempre il motivo per il quale è nata e continua a prevedersi, non solo in questo settore, un'amministrazione consultiva, è noto tuttavia come il valore dei suoi contributi debba ormai essere posto a confronto con altre esigenze. In particolare, sono le ragioni della semplificazione organizzativa e procedimentale a consigliare da tempo una razionalizzazione dei soggetti chiamati a intervenire nei processi decisionali, spesso complicati e aggravati dalla loro presenza nonché dai rapporti spesso incerti, quando non di sovrapposizione, tra i pareri resi da un'amministrazione che si articola sovente in una pluralità di organi, con le disfunzioni che ne derivano a carico dell'azione amministrativa e dello stesso governo dei sistemi al quale dovrebbero contribuire [17].

I Comitati tecnico-scientifici del Mibac, configurati dall'art. 4 del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, come organi consultivi destinati a sostituirsi ai comitati di settore che il d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805, di organizzazione del ministero, delineava quali articolazioni dell'allora Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali [18], erano stati d'altro canto già oggetto di numerosi provvedimenti di riordino, alcuni dei quali adottati per le medesime finalità di contenimento della spesa pubblica e, in quanto tali, volti sia a ridurne il numero dei componenti sia a razionalizzarne le competenze.

Identificati, in relazione ai rispettivi ambiti di intervento, dal d.p.r. 6 luglio 2001, n. 307, furono interessati da talune prime modifiche in occasione del regolamento di organizzazione del ministero, approvato con d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173 (art. 18), anche sulla base dei correttivi che l'art. 2 del d.lg. 8 gennaio 2004, n. 3 aveva apportato al d.lg. 368/1998.

Con il d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2 adottato in attuazione del d.l. 223/2006 sono stati oggetto di altri riordini. E' a questo provvedimento che si deve fra l'altro l'introduzione di un nuovo Comitato, quello per l'economia della cultura, nonché una modifica della loro composizione, fissata in quattro membri, due dei quali su designazione del ministro, e delle funzioni che diventano anche propositive mentre quelle consultive vedono ridursi i casi della loro obbligatorietà. La loro ultima disciplina è stata dettata dal d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233, recante il nuovo regolamento di organizzazione del ministero, modificato con il d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91 [19].

La soppressione dei sette comitati, per i beni archeologici, per i beni architettonici e paesaggistici, per il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico, per gli archivi, per i beni librari e gli istituti culturali, per la qualità architettonica e urbana e per l'arte contemporanea, per l'economia della cultura comporta, perciò, più che la riconduzione delle rispettive funzioni in capo ai competenti uffici dell'amministrazione, l'eliminazione dei loro interventi consultivi e propositivi.

Una misura che di per sé si traduce in una semplificazione procedimentale e organizzativa che modifica processi decisionali comunque complessi e complicati dalle riorganizzazioni che avevano riguardato anche l'amministrazione attiva del ministero, e reagisce sulla stessa composizione dell'altro organo consultivo costituito presso il Mibac, ossia il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, rimasto privo della componente rappresentata dai presidenti dei Comitati tecnico-scientifici.

Modifiche non programmate, che si aggiungono alle tante già conosciute dall'amministrazione ministeriale del settore, rispetto alle quali anche l'impegno alla reintroduzione dei Comitati, annunciata dallo stesso ministro benché non effettuata neppure dalle leggi successive che avrebbero potuto disporla, non agevola la certezza né la stabilità delle riconfigurazioni indotte dalla loro soppressione.

4. Le modifiche "evitate"

Resta da fare qualche cenno alle misure previste nel d.l. 95 del 2012 per l'ambito contiguo delle attività culturali e, fra queste, dello spettacolo che, benché non accolte nella legge di conversione, conservano un proprio significato per ciò che raccontano delle politiche immaginate per il settore culturale in "occasione" dei programmi per la spending review.

Quelle proposte dal governo erano, infatti, misure destinate a introdurre modifiche parziali, quasi per via di estrapolazione, alla mappa dei soggetti operanti nel settore delle attività culturali, prevedendo soppressioni, come nel caso della Cineteca Nazionale e dell'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, e trasformazioni, come per la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia le cui funzioni si stabiliva fossero trasferite a un nuovo Istituto centrale afferente alla Direzione generale per il cinema del Mibac.

Interventi dunque dedicati solo ad alcuni apparati, tra l'altro, già interessati da recenti riordini. La Fondazione Centro sperimentale di cinematografia, nuova denominazione assegnata con l'art. 1 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 32, alla Fondazione Scuola nazionale di cinema, istituita con il d.lg. 18 novembre 1997, n. 426, era stata articolata, sempre per effetto della disposizione del 2004, in due distinti soggetti: la Scuola nazionale di cinema e la Cineteca Nazionale. Anche l'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi era stato istituito, per subentrare alla Discoteca di Stato, con l'art. 15 del d.p.r. 233 del 2007.

Tramite queste soppressioni e trasformazioni il governo intendeva realizzare risparmi di spesa che la Relazione Tecnica al d.l. 95/2012 quantificava in circa 2 milioni di euro, derivanti sia dalla soppressione di una fondazione formalmente di diritto privato ma retta quasi completamente con risorse pubbliche, provenienti in gran parte dal Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), sia dall'azzeramento degli oneri connessi al venir meno di organi e di posizioni dirigenziali. Negli intendimenti dichiarati del Mibac, all'atto dell'approvazione del decreto legge, questi interventi erano volti anche a valorizzare le attività sia della Scuola nazionale di cinema sia della Cineteca nazionale [20].

Tuttavia, già in sede di esame parlamentare, non tutti questi esiti risultarono certi o certificabili [21], tanto da far apparire dubbia l'adeguatezza delle misure al fine, così come ad altri osservatori non ne appariva riconoscibile la coerenza con le politiche più recenti delle quali questi organismi erano stati oggetto.

Misure, comunque, di limitato respiro nelle quali era difficile ravvisare l'espressione di un più ampio disegno di razionalizzazioni e semplificazioni organizzative e che non sembravano perciò rispondere neppure a esigenze se non di contenimento quantomeno di qualificazione della spesa, come diverse associazioni e operatori del settore ebbero a sottolineare già all'indomani delle scelte governative, superate con l'approvazione in VII Commissione Cultura del Senato di un emendamento che andava a sopprimerle [22].

Misure, inoltre, che avrebbero lasciato irrisolte le tante questioni proposte dall'organizzazione delle funzioni pubbliche in materia di attività culturali e, segnatamente cinematografiche, le quali, da tempo, suggeriscono di ripensare la stessa opportunità di conservarle nella responsabilità di un apparato ministeriale e comunque richiedono ben altre attenzioni, ancora una volta di sistema, per assicurare efficacia alle politiche pubbliche di promozione culturale [23].

Se la spending review operata tramite il d.l. 95/2012 dice dunque qualche cosa, in merito alla considerazione di cui il settore culturale è fatto oggetto, si può ritenere valga a raccontare l'attenzione frammentata e residuale che continua ad essergli dedicata.

Un racconto che non è smentito né corretto dalle troppe attenzioni che gli sono state dedicate, facendolo oggetto di reiterati provvedimenti di riforma che hanno costretto i soggetti pubblici e privati a continui ripensamenti dei propri ruoli e con esse delle proprie modalità di azione. D'altro canto, come ben si sa, la troppa attenzione del legislatore non è meno dannosa della disattenzione, quasi a esserne l'altra faccia.

 

Note

[1] Si ricorda che il processo di spending review, avviato in via sperimentale con l'art. 1, comma 480, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), è diventato, con la legge 31 dicembre 2009, n. 196 parte integrante della nuova legge di contabilità e finanza pubblica. Sul punto, cfr. P. Giarda, Dinamica, struttura e criteri di governo della spesa pubblica: un rapporto preliminare, 24 gennaio 2012.

[2] Il provvedimento contiene, comunque, misure destinate a modificare anche altri interventi pubblici nel settore. In proposito, si ricorda la disposizione contenuta nell'art. 1, comma 26-ter della legge 7 agosto 2012, n. 135, di conversione del d.l. 95/2012, per la sospensione, sino al 31 dicembre 2015, dei contributi che il ministero, ai sensi degli artt. 35 e 27 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, può erogare ai privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali per la loro conservazione.

[3] Sulla costituzione di Sibec s.p.a., cfr. M. Renna, La Sibec s.p.a. tra realtà normativa e prospettive di attuazione, in questa Rivista, n. 2/1998.

[4] Ricordando qui che il Mibac era chiamato ad esercitare i diritti dell'azionista, d'intesa con il Mef, per una più ampia rappresentazione del modello accolto con Arcus e dei caratteri assegnati alla società, sia consentito rinviare a C. Barbati, Arcus s.p.a.: la ricerca di un nuovo soggetto per i beni e le attività culturali, in M. Cammelli-M. Dugato (a cura di), Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 275 ss.

[5] L'ingresso di altri soggetti, pubblici e privati, nella compagine sociale era, d'altro canto, immaginata come solo eventuale e comunque minoritaria, affidata alla previsione secondo cui "al capitale sociale della società possono partecipare altresì le regioni, gli enti locali e altri soggetti pubblici e privati, tramite acquisto di azioni di nuova emissione, per un importo non superiore al 60 per cento del capitale sociale sottoscritto dallo Stato" (art. 2, comma 3 legge 291/2003). In sostanza Arcus restava pur sempre, sia per la sua compagine sociale sia per la sua struttura organizzativa, una società nella disponibilità dello Stato.

[6] Cfr. Comunicato Ufficio Stampa Mibac, 5 agosto 2012.

[7] Così Corte dei Conti, Sezione del Controllo sugli enti, Determinazione n. 92/2012, su cui v. infra nel testo.

[8] La messa in liquidazione di Arcus, ai sensi dell'art. 12 del d.l. 95/2012, comporta la nomina di un commissario liquidatore che durerà in carica sino al 31 dicembre 2014, con il compito di portare a conclusione esclusivamente le attività in corso di svolgimento e per le quali siano sorti obblighi giuridicamente vincolanti nei confronti di terzi o siano già stati individuati con decreti interministeriali interventi e beneficiari e contratti i relativi mutui. Per lo svolgimento dei propri compiti, il Commissario si avvarrà della struttura e del personale della Società e non potrà procedere a nuove assunzioni. Tutti i beni residuanti dalla liquidazione della Società sono trasferiti al Mibac che subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi. Le disponibilità finanziarie residue sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo di spesa dello stesso ministero per la prosecuzione degli interventi già contrattualizzati ed eventualmente non conclusi al 31 dicembre 2014 e per ulteriori interventi da realizzare secondo modalità definite dalle medesime disposizioni.

[9] E' il regolamento approvato con d.I. 24 settembre 2008.

[10] Sulla difficile sorte dell'art. 10 del d.lg. 368/1998, sia consentito rinviare a C. Barbati, Esternalizzazioni e beni culturali: le esperienze mancate e le prospettive possibili (dopo i decreti correttivi del codice Urbani), in Riv. giuridica dell'edilizia, nn. 4-5, 2006, pp. 159 ss. Sul tema, cfr. anche M. Cammelli, Decentramento e outsourcing nel settore della cultura: il doppio impasse, in Dir. pubbl., 2002, p. 287.

[11] Si cfr. in proposito, L. Zanetti, Commento all'art. 112, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 453 ss.

[12] In materia di sponsorizzazioni culturali e con particolare riferimento alle modalità di selezione degli sponsor, si cfr. anche le innovazioni apportate, alla disciplina che ne dettava il d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, dal d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35. Sugli strumenti e sulle difficoltà della cooperazione tra soggetti pubblici e tra questi e i privati, nel settore, cfr., fra tutti, M. Cammelli, Pluralismo e cooperazione, in C. Barbati-M. Cammelli-G. Sciullo, Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 175 ss.

[13] In particolare, e fra gli altri, cfr. G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento degli enti locali, in questa Rivista n. 3/2003, G. Sciullo, Gestione dei servizi culturali e governo locale dopo la pronuncia 272 del 2004 della Corte costituzionale, Ibidem, n. 3/2004; M. Cammelli, Pubblico e privato nei beni culturali: condizioni di partenza e punti di arrivo, Ibidem, n. 2/2007; G. Piperata, La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali, Ibidem, n. 2/2008; C. Barbati, La valorizzazione: gli artt. 101, 104, 107, 112, 115, 119, Ibidem, n. 3/2008; G. Sciullo, Mibac e valorizzazione, Ibidem, n. 1/2009; M. Cammelli, Le sponsorizzazioni tra evidenza pubblica ed erogazione, Ibidem, n. 1/2010.

[14] Per un'analisi di questa scelta, dovuta al d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91, cfr. G. Sciullo, Il Mibac dopo il d.p.r. 91/2009: il "centro" rivisitato, in questa Rivista, n. 3/2009.

[15] Sul punto, per un'analisi che già evidenzia alcune importanti criticità espresse dal funzionamento e dall'organizzazione della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, nei primi tre anni della sua attività, cfr. la relazione della Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato sui "Risultati conseguiti in termini di 'Valorizzazione del patrimonio culturale'" Delibera, n. 15/2012/G.

[16] Considerazioni non dissimili potrebbero formularsi anche con riguardo alle politiche e agli interventi di competenza delle amministrazioni territoriali. Benché presso questi livelli di governo si siano avute esperienze, anche significative, di collaborazione interistituzionale e con il privato, per la valorizzazione e per la promozione dei beni e delle attività culturali, le incertezze del quadro di riferimento normativo e la difficoltà a trovare nel Mibac un interlocutore che ne sostenesse, anche con forme di partecipazione attiva, le iniziative, hanno compromesso e depotenziato molti dei possibili esiti.

[17] Sul punto, e più ampiamente, sia consentito rinviare a C. Barbati, L'attività consultiva nelle trasformazioni amministrative, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 134 ss. e 157 ss.

[18] In proposito, cfr. la prima analisi che ne effettuò G. Sciullo, Organi di consulenza, strutture tecniche autonome e scuole, in questa Rivista, n. 1/1999.

[19] Per un'illustrazione diffusa di queste modifiche, cfr. G. Sciullo, Consiglio superiore e Comitati tecnico-scientifici: un riordino politically incorrect?, in questa Rivista, n. 1/2007 e Id., Il Mibac dopo il d.p.r. 91/2009: il "centro" rivisitato, Ibidem, n. 3/2009.

[20] Cfr. il comunicato reso dall'Ufficio Stampa del Mibac il 6 luglio 2012, nel quale si rilevava come la trasformazione della Fondazione Centro Sperimentale di cinematografia in Istituto Centrale del Mibac, avesse anche il fine di "razionalizzare, concentrare e rafforzare le risorse a sostegno delle funzioni della Scuola", focalizzandone le risorse sulla didattica e dotandola di un nuovo referente organizzativo. Anche per la Cineteca Nazionale si dichiarava che il provvedimento avrebbe condotto a una sua valorizzazione, rafforzandone le sinergie con l'Istituto Luce Cinecittà, entrambi integrati nei percorsi formativi della Scuola.

[21] Cfr. in proposito, l'analisi che ne fece il servizio del Bilancio del Senato, nel Dossier di Documentazione A.S. 3396, "Conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini".

[22] Contro la soppressione dell'Istituto centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi si espressero, fra gli altri, con comunicati e con petizioni pubbliche, l'Associazione Italiana Biblioteche (AIB) e molti attori del settore. Anche in sede parlamentare furono presentate interrogazioni, sino all'approvazione dell'emendamento di cui si riferisce nel testo.

[23] Non si possono, d'altro canto, ritenere espressioni di una diversa, e più qualificata, attenzione le disposizioni contenute nell'art. 51-bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134, in cui ci si limita a prevedere, fra l'altro, che agli organismi dello spettacolo, operanti nelle sue differenti forme di espressione, sia riconosciuta la qualifica di micro, piccola e media impresa ai sensi della disciplina dell'Unione europea vigente in materia.

 

 



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