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Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008 / Beni culturali

La valorizzazione: gli artt. 101, 104, 107, 112, 115, 119

di Carla Barbati

Sommario: 1. Generalità. - 2. Modifiche correttive. - 3. Modifiche integrative. - 4. Modifiche 'per sopravvenienza'.

1. Generalità

Le norme che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel Titolo II della Parte II, dedica alle attività - funzioni di fruizione e valorizzazione sono state interessate, per opera del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62, da modifiche di limitata entità sostanziale.

Le variazioni introdotte, anche quelle che hanno condotto ad una riscrittura integrale delle disposizioni, non incidono, in misura significativa, sulla normativa preesistente, essendo volte, essenzialmente, ad eliminare i possibili dubbi interpretativi e, perciò, applicativi cui potevano dare luogo alcune omissioni o imprecisioni terminologiche delle precedenti formulazioni o, al più, ad adeguare talune prescrizioni alle innovazioni, anche e solo amministrative, che hanno interessato gli istituti o i contesti di riferimento.

Modifiche utili, a questi effetti, anche per la loro idoneità a meglio definire condizioni e ambito di operatività delle norme, ma non tali da alterare il disegno che, in materia di fruizione e valorizzazione, il legislatore del Codice aveva delineato o, meglio, ri-delineato.

E', d'altro canto, opportuno ricordare che questa sezione del Codice, ed in particolare le disposizioni del suo Capo II, concernenti i "principi della valorizzazione dei beni culturali", erano già state oggetto di rilevanti modifiche da parte del legislatore delegato del 2006.

Al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156 si deve, infatti, una "nuova" disciplina di molti istituti centrali, per e della valorizzazione, confluita nella rielaborazione delle norme concernenti le modalità di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (art. 112), le forme di gestione (art. 115), la tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso (art. 116) e, sia pure solo parzialmente, di quella dedicata ai livelli di qualità della valorizzazione (art. 114).

Molte di tali innovazioni ancora attendono i provvedimenti necessari a darvi attuazione e, dunque, a consentirne quella sperimentazione che, sola, potrebbe documentarne il rendimento o le eventuali debolezze, al di là ed oltre i rilievi critici cui le previsioni del d.lg. 156/2006 hanno dato occasione in sede di analisi teorica.

Tuttavia, non è da queste vicende, che meritano comunque di essere rammentate, che può o deve farsi derivare il limitato intervento riformatore posto in essere, sul punto, dal d.lg. 62/2008, stante la costante disponibilità manifestata dal nostro legislatore, anche con riguardo alla disciplina dei beni culturali e, segnatamente, alla loro valorizzazione, a "riformare le riforme", ossia a modificare le normative prima ancora che esse abbiano ricevuto una qualche attuazione.

A testimonianza di ciò, se le norme del Codice, in materia di fruizione - valorizzazione, hanno sostanzialmente "resistito" al nuovo intervento del legislatore delegato, è su altri versanti, non meno rilevanti, a questi effetti, che si annuncia un'ulteriore azione riformatrice. E cioè: mentre i profili funzionali degli interventi, pubblici e privati, di valorizzazione restano confermati, con le integrazioni e le correzioni delle quali si darà conto, è l'organizzazione preposta ad attuarli che si candida ad essere oggetto di prossime modifiche, sia pure dettate da ragioni esterne al settore, dipendenti dalle più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica cui ha inteso dare risposta la legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112.

La riduzione degli assetti organizzativi che, a norma dell'art. 74, comma 1, del d.l. 112/2008, si rende necessaria, anche per l'apparato ministeriale di settore, diventa così motivo per un altro intervento di riforma cui si intende sottoporre il regolamento di organizzazione del Mibac, già modificato con l'approvazione del d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233.

E' a questi fini che, nell'art. 3 della bozza del provvedimento, presentato nel novembre 2008, si immagina una diversa articolazione delle strutture centrali e, segnatamente, delle Direzioni generali, la quale incide anche sulle funzioni di valorizzazione, almeno di quelle che, in ragione dei beni culturali interessati, siano riconducibili a competenze del centro statale. Di queste funzioni, si ipotizza, infatti, l'attribuzione ad un'apposita e nuova direzione generale, sostitutiva di altre, perciò soppresse, e dedicata ai "musei, alle gallerie e alla valorizzazione". Una soluzione che, per la configurazione e le competenze che la qualificano, ai sensi dell'art. 8 della medesima bozza, si propone, dunque, come veicolo di mutamenti significativi, per quanto discussi [1], capaci di reagire anche sulle azioni e sulle misure di valorizzazione.

Quanto alle variazioni che, per opera del d.lg. 62/2008, hanno invece riguardato gli artt. 101, 104, 107, 112, 115, 119 del Codice esse verranno, di seguito, ordinate ed esaminate, per gruppi, secondo la natura e l'entità della modifica apportata. Le modificazioni apportate agli artt. 117 e 120 sono esaminate, invece, in un contributo separato.

Procedendo, pertanto, da quelle che, per la valutazione che si ritiene di poterne dare, si risolvono in correzioni, talvolta rispondenti a mere esigenze di drafting, talvolta, espressioni di un "ripensamento" della disciplina, ci si soffermerà, successivamente, sugli interventi che possiedono una capacità anche integrativa delle precedenti previsioni, per poi esaminare quelle che, riprendendo la qualificazione proposta da Sciullo, possono definirsi "modifiche per sopravvenienza".

2. Modifiche correttive

Nel loro novero possono farsi rientrare tre interventi. In primo luogo, quello che interessa il comma 3 dell'art. 115, laddove, a proposito della gestione indiretta delle attività di valorizzazione, fra i soggetti che vi possono ricorrere, si menzionano le "amministrazioni cui i beni pertengono" e non più "appartengono". Un intervento di solo drafting, volto, come è, ad uniformare la terminologia della disposizione che, nei suoi commi 5 e 6, parla, appunto, di "amministrazioni cui i beni pertengono". Scelta lessicale, peraltro, non casuale, in quanto riflette l'intento di ritenere qualificante, agli effetti della competenza ad intervenire in materia di valorizzazione, che i beni culturali siano anche e solo nella disponibilità dell'amministrazione e non, necessariamente, oggetto di sua proprietà, così adeguandosi alle indicazioni che la stessa Corte costituzionale già aveva avuto modo di procurare [2].

Provvisto di una valenza essenzialmente correttiva è, inoltre, l'intervento che ha ad oggetto il comma 3 dell'art. 104, dedicato alla "fruizione dei beni culturali di proprietà privata". Per effetto della modifica, introdotta con l'art. 2 del d.lg. 62/2008, il soprintendente è tenuto a dare comunicazione al "comune e alla città metropolitana" delle modalità di visita concordate con il proprietario dei beni culturali che, a norma del comma 1, possono esservi assoggettati.

Si supera, in tal modo, quella che era la precedente alternatività tra il comune "o" la città metropolitana". Una variazione che è intervenuta anche nelle altre tre disposizioni del Codice in cui si prevedono obblighi di comunicazione a questi enti, esaminate nel commento di Roccella, e che può essere non solo lessicale, nel momento in cui rafforza il riconoscimento del ruolo sia della città metropolitana sia del comune, del quale restano, così, invariate le attribuzioni, anche per il caso in cui il territorio sia interessato dall'istituzione della città metropolitana.

La portata effettiva della modifica è, però, significativamente attenuata dalla circostanza che questo ente, benché già previsto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, dal decreto legislativo 19 agosto 2000, n. 267 e, attualmente, anche dall'art. 114 della Costituzione, non sia ancora giunto ad esistenza, tanto da rendere inaccettabile anche la giustificazione che di tale modifica è stata data nella Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo [3], laddove si fa riferimento alla necessità di "tener conto dell'effettivo assetto organizzativo" delle città metropolitane [4].

Espressione di un ripensamento della disciplina è, invece, la correzione che interessa il comma 6 dell'art. 115, dedicato alle "forme di gestione", per effetto della quale, nel caso di concessione a terzi delle attività di valorizzazione, è anche e solo l'inadempimento e non più il "grave" inadempimento, da parte del concessionario, degli obblighi derivanti dalla concessione e dal contratto di servizio a determinare, fra l'altro, la risoluzione del rapporto concessorio e la cessazione, senza indennizzo, degli effetti del conferimento in uso dei beni.

Una modifica per il cui tramite, come si legge nella Relazione illustrativa allo schema di decreto, si è "ritenuto di rendere ancora più incisivi i poteri di vigilanza sull'operato dei concessionari delle attività di valorizzazione".

3. Modifiche integrative

Obbedisce ad un intento essenzialmente integrativo la modifica apportata all'art. 101 del Codice, laddove, con riferimento agli "Istituti e luoghi di cultura", si precisa che tra le funzioni proprie dei musei e delle biblioteche vi sia anche quella di catalogazione.

Precisazione e, tecnicamente, integrazione che non innova, nella sostanza, il quadro delle attribuzioni e dei compiti spettanti ai musei e alle biblioteche, essendo la catalogazione dei beni già tra le attività tipiche da essi poste in essere per favorire la migliore fruizione del patrimonio culturale. Attività, che i musei hanno curato ricorrendo a differenti soluzioni organizzative, interne o esterne, sovente definite, quanto ai musei locali, all'interno dei piani o sistemi museali.

Se un significato "nuovo" è ascrivibile a questa integrazione, esso può, semmai, essere ravvisato nell'ulteriore menzione che il Codice, in tal modo, effettua delle attività di catalogazione, prima considerate nei soli artt. 17 e 118 del Codice, oltre che nell'esplicito riconoscimento della loro funzionalizzazione non soltanto alle attività di tutela, ma anche a quelle di fruizione e valorizzazione dei beni culturali.

Una valenza sostanzialmente integrativa appartiene altresì alla modifica di cui è oggetto un'altra delle disposizioni centrali, agli effetti della disciplina che il Codice detta della valorizzazione, ossia l'art. 112, in cui si fissano i principi per la "valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica".

Sebbene essa si concreti nell'aggiunta di un periodo all'ultimo comma dell'art. 112, la portata realmente innovativa dell'intervento appare di limitata entità. Non si è, infatti, in presenza di una "nuova" previsione, ma della ripresa, sia pure con correzioni e aggiustamenti, di una possibilità già riconosciuta dal legislatore e che la speciale normativa di riferimento avrebbe autorizzato a considerare comunque presente nell'ordinamento, anche in assenza di un suo richiamo espresso nel contesto del Codice.

La modifica consiste nel prevedere che il ministero, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali, ogni altro ente pubblico nonché i soggetti costituiti ai sensi del comma 5 dell'art. 112 possano stipulare accordi per la regolazione di "servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali", con le "associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che abbiano per statuto finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali".

Il riconoscimento del ruolo che, in materia di valorizzazione dei beni culturali, possono così assolvere anche questi soggetti, non è, appunto, "nuovo", ma trova un precedente nell'art. 8 della legge 8 ottobre 1997, n. 352, "Disposizioni sui beni culturali", intitolato alle "Associazioni di volontariato", ove si contemplava la possibilità, per le soprintendenze, di stipulare "apposite convenzioni" con le associazioni impegnate in attività per la salvaguardia e la diffusione della conoscenza dei beni culturali, "al fine di favorire la fruizione del patrimonio artistico, scientifico e culturale",

La norma effettuava anche un espresso rinvio alla legge 11 agosto 1991, n. 266, legge quadro sul volontariato, che, oltre a fissare i requisiti in presenza dei quali le organizzazioni di volontariato possono considerarsi tali, ed usufruire della speciale normativa di settore, statale e regionale, stabilisce le condizioni che devono accompagnare la stipula di loro convenzioni con i diversi soggetti pubblici (art. 7, l. 266/1991).

Questa previsione venne ripresa dall'art. 105 del decreto legislativo 29 ottobre 1990, n. 490, recante il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali". Norma dedicata più ampiamente, ma anche più genericamente, agli "Accordi per la promozione della fruizione".

In tale nuovo contesto, le associazioni di volontariato, impegnate in attività per la salvaguardia e la diffusione della conoscenza dei beni culturali, erano considerate fra le parti, ulteriori alle amministrazioni pubbliche e ad altri soggetti privati, di "accordi" che il ministero, in tutte le sue articolazioni, anche centrali, e non più per il solo tramite delle soprintendenze, era autorizzato a concludere sempre "al fine di promuovere e sviluppare la fruizione dei beni culturali".

Veniva meno, peraltro, ogni rinvio espresso alla disciplina contenuta nella legge quadro sul volontariato, aprendosi, così, taluni dubbi in merito al coordinamento con la normativa di settore.

La disposizione fu poi abrogata dall'art. 184 del Codice, nell'originaria versione approvata con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quando venne sostituita da altra previsione, collocata, appunto, nel comma 8 dell'art. 112. Nell'occasione, si ampliava l'ambito di operatività della norma, disponendo che "apposite convenzioni" potessero essere stipulate non più e solo dal ministero, ma da tutti i "soggetti pubblici interessati" con le associazioni non solo di volontariato, ma anche "culturali"", impegnate in attività di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali.

Una formulazione, dunque, ampia ma generica quanto le precedenti e che lasciava aperti i consueti problemi di coordinamento con la disciplina in materia di volontariato.

Questa disposizione del comma 8 è stata, infine, eliminata dal d.lg. 156/2006, il quale parve, in tal modo, voler rinviare la disciplina di queste fattispecie di accordo-convenzione, con le associazioni del volontariato e di cultura, alla normativa speciale, senza sovrapporsi ad essa [5].

Il d.lg. 62/2008 reintroduce, pertanto, il riconoscimento del ruolo che, in materia di valorizzazione, può essere assolto dalle associazioni culturali o di volontariato, ma sembra voler ovviare, contestualmente, ad alcuni dei dubbi alimentati dalle precedenti formulazioni, specie sotto il profilo del mancato raccordo con le normative speciali.

Il nuovo periodo, aggiunto dal legislatore delegato del 2008, prevede, infatti, come già ricordato, che parti di questi "accordi" possano essere le associazioni culturali e del volontariato che abbiano per statuto "finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali" e che, inoltre, siano "dotate di adeguati requisiti". Clausola, quest'ultima, che nella sua polivalenza sembra rinviare alle condizioni poste dalle normative speciali, ad esse dedicate.

Quanto ai soggetti pubblici, legittimati a stipulare queste convenzioni, si conserva l'ampiezza del riferimento effettuato dall'art. 112, nella sua originaria versione, sia pure declinandolo in termini differenti: si menzionano, infatti, il ministero, le regioni, gli altri enti pubblici interessati ed ogni altro ente pubblico, aggiungendo i "nuovi" possibili soggetti costituiti ai sensi del comma 5, come vuole la riforma del 2006, ossia quelli costituiti dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti pubblici territoriali per l'elaborazione e lo sviluppo dei piani di sviluppo previsti dalla norma.

Le uniche modifiche alle quali può riconoscersi una qualche portata sostanziale, rispetto alle precedenti formulazioni che, per il resto, si può dire siano state adeguate alle innovazioni del contesto, sono quelle che interessano il profilo oggettivo della previsione, la quale ha, appunto, riguardo ai soli accordi volti a "regolare servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali".

Accordi che, in base a quanto già disponeva, e continua a disporre, il medesimo comma 9, nel suo primo periodo, possono essere stipulati anche "tra lo Stato, per il tramite del ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati" e che si delineano come possibilità ulteriori, ma accessorie, in quanto circoscritte nel loro oggetto, rispetto ai più generali ed ampi accordi che l'art. 112 nei suoi commi da 1 ad 8 prevede possano essere stipulati, sempre per la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, tra Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali ed, eventualmente, privati proprietari di beni culturali oltre che persone giuridiche private senza fine di lucro, il cui intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto.

Oggetto di una riformulazione integrale è anche l'art. 119, dedicato a quelle peculiari misure di valorizzazione, consistenti nella "diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole".

La previsione è, in realtà, interessata da modifiche che, come si legge nella Relazione illustrativa allo schema di decreto, intendono anche adeguarla ai "mutamenti organizzativi intervenuti in relazione ai soggetti istituzionali che costituiscono gli interlocutori naturali del ministero in subiecta materia". Tuttavia, appare prevalente la natura integrativa degli interventi, tramite i quali, sempre per quanto si legge nella Relazione, si è inteso rispondere alle richieste, provenienti dagli uffici ministeriali, "di ampliamento della platea dei destinatari delle attività formative" previste.

In effetti, le modifiche introdotte estendono l'ambito di operatività soggettivo e, sia pur parzialmente, anche oggettivo della norma, sebbene la loro portata innovativa sia di entità contenuta, in quanto non ridefiniscono la disciplina e lasciano, altresì, immutato l'impianto, anche procedurale, delineato dalla precedente lettera della disposizione.

Quanto ai soggetti coinvolti, una prima variazione riguarda il comma 1 dell'art. 119 e si risolve in un differente costrutto dell'enunciato, in conseguenza del quale al ministero per i Beni e le Attività culturale si riconosce, espressamente, un ruolo "attivo", oltre che di parte "necessaria", nella conclusione degli accordi, "per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale e favorirne la fruizione".

Una modifica che ha, dunque, il pregio di differenziare e, perciò, chiarire la posizione dell'apparato ministeriale di settore, in precedenza posto sullo stesso piano degli altri soggetti (Ministeri della pubblica istruzione; dell'università e della ricerca; regioni; altri enti pubblici territoriali interessati), tutti indicati come parti di questi eventuali accordi, senza alcuna distinzione, anche e solo sintattica, riferita o riferibile alla specificità del ruolo spettante, in materia, al Mibac.

Nel riscrivere questo comma dell'art. 119, il legislatore si è, poi, adeguato ai mutamenti che avevano interessato l'organizzazione del governo ma che, successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo del marzo 2008, sono stati, nuovamente, superati, con un ritorno alla situazione antecedente.

Menzionando distintamente il ministero della Pubblica Istruzione ed il ministero dell'Università e della Ricerca, il legislatore del 2008 ha inteso qui, come in altre disposizioni del Codice, uniformarsi alle norme della legge 17 luglio 2006, n. 233, di conversione, con modifiche, del decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, che, nel suo art. 1, aveva previsto lo scorporo dei due ministeri (il cd. "spacchettamento"), poi superato, dopo l'entrata in vigore del d.lg. 62/2008, per effetto della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Nel suo art. 1, comma 376, la legge finanziaria per il 2008 ha, infatti, stabilito che, "a partire dal governo successivo a quello in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, il numero dei Ministeri è stabilito dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300", nella formulazione precedente la modifica dovuta alla l. 233/2006, con la riunificazione delle competenze in capo all'unico ministero della Pubblica Istruzione, dell'Università e della Ricerca, poi disposto dal d.l. 16 maggio 2008, n. 85, convertito in legge 14 luglio 2008, n. 121 ed il conseguente superamento degli aggiornamenti introdotti con il d.lg. 26/2008.

Nella disposizione non vi è, invece, e peraltro comprensibilmente, traccia dei riordini, di diversa natura, che, per effetto del regolamento di organizzazione del Mibac, approvato con d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233, hanno interessato anche il ministero per i Beni e le Attività culturali, alcuni dei quali rilevanti agli effetti dell'applicazione che si farà di questa disposizione.

Modifiche che, quanto all'amministrazione centrale, si sostanziano nel demandare le competenze già assegnate alle precedenti strutture dipartimentali alle direzioni generali che, a seguito dell'art. 2, comma 94, della legge 24 dicembre 2006, n. 286, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, sono ritornate a connotare il modello organizzativo del ministero, peraltro senza che a ciò si sia accompagnata un'espressa attribuzione di competenza, in merito agli interventi previsti da questa disposizione.

Se si esclude, infatti, il generale, nonché generico, richiamo al compito di curare "la promozione della conoscenza e dell'immagine dei beni culturali e delle attività culturali in ambito nazionale e internazionale", oggi assegnato alla " Direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualità e la standardizzazione delle procedure" (art. 5 d.p.r. 233/2007) e già in precedenza proprio della Direzione generale per l'innovazione tecnologica e la promozione, facente capo al Dipartimento per la ricerca, l'innovazione e l'organizzazione (artt. 5 e 14 del d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173), il solo richiamo espresso agli interventi previsti dall'art. 119 compare fra le attribuzioni assegnate al Servizio IV, "Musei, mostre e valorizzazione", della Direzione generale per i beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici, di cui all'art. 8 del d.p.r. 233/2007.

E' questa l'articolazione chiamata a curare, fra l'altro, il coordinamento del sistema dei servizi educativi, di comunicazione, divulgazione e promozione ai sensi degli artt. 118 e 119 del Codice, per effettuare il quale dispone anche di una struttura dedicata, già istituita nel 1998, ossia il Centro per i servizi educativi, al quale spetta, infatti, promuovere le interazioni fra le agenzie formative, di ogni tipologia, ordine e grado, ed il sistema dei servizi educativi del Ministero.

Una soluzione organizzativa che, peraltro, si annuncia oggetto di quelle ultime modifiche, in corso di definizione e approvazione, delle quali si è riferito nel par. 1.

Quanto agli assetti ministeriali, ad oggi vigenti, appaiono, comunque, maggiormente rilevanti ed incidenti, le modifiche che, per opera del d.p.r. 233/2007, art. 17 hanno riguardato le "Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici".

Nella nuova formulazione dell'art. 17 del d.p.r. 233/2007, mentre si conferma che ad esse "spetta promuovere, in collaborazione con le università, le regioni e gli enti locali, la formazione in materia di tutela del paesaggio, della cultura e della qualità architettonica ed urbanistica" (comma 3, lett.aa)), si innova il compito, ad esse assegnato, dalla successiva lett. bb), ove si prevede che promuovano "presso le scuole di ogni ordine e grado, la diffusione della storia dell'arte e della conoscenza del patrimonio culturale della regione, attraverso programmi concordati con il ministero della Pubblica Istruzione", laddove il precedente d.p.r. 173/2004 si limitava a contemplare il loro impegno a favore della sola diffusione della letteratura e della saggistica attinente alle materie di insegnamento.

Una modifica in cui si può leggere un sia pur debole segno della volontà di spostare su queste articolazioni periferiche, deputate a curare "i rapporti del Ministero e delle strutture periferiche con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione medesima" (art. 17, comma 1, d.p.r. 233/2007), la legittimazione ad interagire con le agenzie formative presenti sul territorio, attivandone, in tal modo, e valorizzandone, l'autonomia, al di là, e forse anche indipendentemente, dal ruolo delle altre autonomie, quelle territoriali, le cui competenze, in materia di istruzione, sono ancora alla ricerca di chiari confini. Un disegno che, peraltro, sembra cedere anche ad altri intenti, nella parte in cui circoscrive l'oggetto di questi interventi alla diffusione della conoscenza del patrimonio culturale regionale.

Di maggiore portata, anche sostanziale, è invece l'altra modifica riguardante i "soggetti", destinatari delle attività formative. Il comma 2 dell'art. 119, infatti, viene fatto oggetto di integrazioni per effetto delle quali, come si accennava sopra, si amplia la mappa delle agenzie formative con le quali i responsabili degli istituti e dei luoghi di cultura possono, sulla base degli accordi previsti al comma 1, stipulare apposite convenzioni. Il precedente riferimento alle sole "scuole di ogni ordine e grado, appartenenti al sistema nazionale di istruzione" viene integrato con la espressa menzione delle "università" e di "ogni altro istituto di formazione".

Ed è a questa modifica che si riferisce quella volontà di ampliare la platea dei destinatari, di cui parla la Relazione illustrativa del governo, ed in merito alla quale aggiunge che si intende, in tal modo, uscire "dall'ambito riservato rappresentato dal solo sistema nazionale di istruzione", per dare vita a momenti ed occasioni di promozione dello sviluppo della cultura su basi sociali le più ampie possibili, in rapporto alle risorse disponibili.

Per effetto della nuova formulazione, dunque, i destinatari di queste attività formative e, perciò, le parti di questi accordi non sono più solo le "scuole statali, paritarie private e degli enti locali", materne, primarie, secondarie e superiori, che, a norma dell'art. 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62 costituiscono il "sistema nazionale di istruzione", ma tutte le altre agenzie formative, comprese quelle per l'istruzione e la formazione professionale che, in base alla riforma approvata con legge 28 marzo 2003, n. 53, fanno parte del "sistema educativo di istruzione e formazione" (art. 2, comma 1, lett. d), oltre che le Università, già appartenenti, anche ai sensi dell'art. 21, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59 al "sistema formativo".

L'intento di ampliare l'ambito di applicazione della norma, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, è altresì leggibile nelle modifiche che riguardano gli accordi, non più qualificati dall'essere rivolti agli "studenti" e, dal punto di vista dei loro contenuti, suscettibili di includere anche la "elaborazione e attuazione di percorsi formativi e di aggiornamento", oltre che, come avveniva in precedenza, "la elaborazione di percorsi didattici, la predisposizione di materiali e sussidi audiovisivi" nonché "la formazione e l'aggiornamento dei docenti".

All'origine di questa riformulazione non sembrano, dunque, esservi difficoltà attuative dipendenti dalle applicazioni che ne sono state fatte e che non sono poche, a considerare i numerosi accordi e convenzioni che si richiamano a questa disposizione, pur nelle elevate differenze di intenti e di ambiti che le connotano, quasi a testimoniare la duttilità e le natura essenzialmente programmatica di una previsione che, comunque, non sembra introdurre possibilità o pratiche "speciali", ma trovare un proprio significato, soprattutto, nella volontà di favorire scambi ed interazioni che, stante la peculiarità della materia e degli oggetti, possono necessitare dell'apporto collaborativo del ministero.

Un ministero che viene, così, sollecitato a farsi parte attiva di progetti e programmi volti a diffondere la conoscenza del patrimonio culturale, al di là delle zone d'ombra che, comunque, possono rintracciarsi [6], qualora ci si arresti o, comunque, si enfatizzi la lettera di una disposizione che interviene sul difficile e complesso tema del rapporto tra autonomia delle istituzioni scolastiche nonché, dopo queste ultime modifiche, di tutte le agenzie formative, comprese le Università, autonomie territoriali e sistema di accordi e convenzioni con l'apparato ministeriale.

4. Modifiche 'per sopravvenienza'

Tale può considerarsi la riformulazione di cui è stato oggetto il secondo comma dell'art. 107, dedicato all'"uso strumentale e precario e riproduzione di beni culturali". Come si legge anche nella Relazione illustrativa allo schema di decreto, le modifiche, così introdotte, "danno puntuale conto dell'assetto della disciplina in materia di riproduzioni a seguito della emanazione dell'apposito decreto ministeriale previsto dalla disposizione nella sua precedente formulazione".

L'adeguamento ai contenuti del d.m. 20 aprile 2005, "Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell'articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42" ha, peraltro, offerto anche l'occasione per una migliore stesura della norma codicistica, che resta sostanzialmente immutata, pur giovandosi di una formulazione che la sottrae a possibili equivoci interpretativi.

Nel prescrivere, infatti, che "E' di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi, per contatto, dagli originali di sculture e di opere a rilievo in genere, di qualunque materiale tali beni siano fatti", si precisa che i calchi, così vietati, sono quelli "per contatto", i quali restano consentiti solo "in via eccezionale" e, comunque, "nel rispetto delle modalità stabilite con apposito decreto ministeriale" e che, in effetti, si trovano indicate nell'art. 1 del d.m. dell'aprile 2005.

Per l'eventualità, invece, in cui i calchi siano tratti da copie degli originali già esistenti o siano ottenuti con tecniche che escludano il contatto diretto con l'originale, quello che diventa, nella nuova formulazione, l'ultimo periodo dell'art. 107, comma 2, si limita a stabilire che essi siano consentiti, sia pure non più "ordinariamente", previa autorizzazione del soprintendente. E', poi, sempre il decreto ministeriale, pur non richiamato dalla norma, a questi fini, che definisce le procedure e le condizioni necessarie allo scopo.

 

 

Note

[1] Sul punto, cfr. il parere negativo espresso all'unanimità dal Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, nella seduta del 18 novembre 2008, di cui dà conto anche S. Settis, Il direttore manager è un vero errore, in La Repubblica, 19 novembre 2008, p. 41.

[2] Su questo, cfr. L. Zanetti, Commento all'art. 112, in M. Cammelli (a cura di), con il coordinamento di C. Barbati e G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2° ed., 2007, p. 440.

[3] E' questa la Relazione illustrativa con cui il Governo, il 12 febbraio 2008, ha trasmesso al Parlamento, e segnatamente alla Presidenza del Senato, lo schema di decreto legislativo (APS, XV leg., atto n. 217).

[4] Sul punto, cfr., anche A. Roccella, La conservazione: gli artt. 18-52, in questo numero.

[5] In questo senso, cfr. L. Zanetti, Commento all'art. 112, cit., p. 438

[6] Si cfr., in proposito, G. Marchi, Commento all'art. 119, in M. Cammelli (a cura di), con il coordinamento di C. Barbati e G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali, cit., pp. 477 ss.

 

 

 



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