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Editoriale

Un patrimonio culturale senza frontiere?

di Lorenzo Casini

Cultural Heritage without Borders?
The editorial introduces the essays of the current issue of Aedon by focusing on the international regulation of cultural heritage and its implications for national legal orders.

Keywords: World Cultural Heritage; Tourism; Museum Directors; Collections; Economic Dimension of Cultural Heritage.

Nel luglio 2018, con l'inserimento della città industriale di Ivrea nella lista dei siti patrimonio mondiale dell'umanità, l'Italia ha confermato il proprio primato in questa classifica dei luoghi "eccezionali" e "universali" del pianeta: il nostro Paese conta ora 54 siti; la Cina segue a 53, la Spagna a 47 [1]. La riunione del World Heritage Committee – in cui non si è verificata la paventata cancellazione dalla lista del centro storico di Shakhrisyabz in Uzbekistan, evitando quello che sarebbe stato il terzo caso di "de-listing", dopo quelli del santuario delle orici in Oman (nel 2007) e della valle dell'Elba a Dresda (nel 2009) – chiude un periodo molto fecondo per il diritto internazionale del patrimonio culturale. Basti ricordare che, solo dal settembre 2016 a oggi, vi sono stati: la prima decisione della Corte penale internazionale in cui è stato affermato che la distruzione intenzionale del patrimonio culturale costituisce un crimine di guerra [2]; la risoluzione ONU n. 2347 del 2017, preparata dall'Italia, grazie al ruolo chiave del Nucleo speciale Tutela dell'Arma dei carabinieri, e dalla Francia [3]; il primo G7 nella storia dedicato alla cultura, purtroppo non replicato nel 2018 dalla Presidenza canadese [4]; l'approvazione a Nicosia della Convenzione del Consiglio d'Europa sui reati contro i beni culturali [5].

In tale fermento, l'Italia ha finora svolto un ruolo strategico, tornando a essere Paese leader al mondo nel settore della cultura. Sarà quindi fondamentale proseguire lungo questa strada, investendo risorse umane e finanziarie nella internazionalizzazione di questo ambito. E, proprio in questa ottica, la decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sulla vicenda dei direttori europei dei musei italiani è un segnale positivo, in linea con quanto era stato già auspicato nell'Editoriale del precedente numero di questa Rivista e da alcuni commentatori [6].

Sorprende, certo, che ci sia voluto tanto tempo, ma la questione andava ben al di là dei musei, perché riguardava – e ora ancor di più riguarderà – l'intera dirigenza statale. E qui emerge forse il principale paradosso di questa storia: chi ha censurato in più occasioni la scelta europeista di aprire la direzione dei nostri musei statali a esperti non italiani, un'apertura che con cautela Governo e Corte dei conti avevano realizzato limitatamente ai musei e senza mai mettere in discussione le regole generali della dirigenza statale, si ritrovano ora con una pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa che consente molto di più, aprendo a non italiani l'accesso a qualsiasi posto da dirigente che non comporti esercizio di pubblici poteri e tutela di interessi generali (un tipo di compiti che sia la Corte di giustizia UE, sia il Consiglio di Stato correttamente interpretano in senso molto ristrettivo). Questa decisione – la "sentenza Assmann" (dal nome del direttore austriaco del Palazzo ducale di Mantova, coinvolto nella vicenda) – rappresenta, in sostanza, per la dirigenza pubblica italiana, l'equivalente della sentenza "Bosman", con una differenza però: per i musei, a determinarla, non è stato uno "straniero" che chiedeva di accedere a un posto in Italia, ma un cittadino italiano che domandava di tenere chiuse le "frontiere" per accedere ai posti di dirigente di istituti e luoghi della cultura e che ora le ha invece viste riconoscere aperte per i posti di dirigente statale in qualsiasi settore.

Alla necessità di seguire gli sviluppi del contesto internazionale, specialmente con riguardo alle azioni intraprese per contrastare i fenomeni globali che interessano il patrimonio culturale, si affianca la necessità – a cui questo numero della Rivista tenta di dare risposta – di approfondire e fare il punto su tematiche caratterizzanti il diritto di questo settore.

Innanzitutto, i due saggi di Paolo Carpentieri e di Girolamo Sciullo ricostruiscono in modo accurato l'evoluzione del diritto del paesaggio, soffermandosi anche su problemi finora poco studiati, come il tema delle valutazioni di compatibilità rispetto a vincoli storico-artistici e paesaggistici. Una ulteriore conferma, ove mai ve ne fosse ancora bisogno, del rilievo ormai acquisito dal paesaggio nel comprendere i nodi giuridici propri dell'intera disciplina.

Inoltre, i due contributi di Carlo Eugenio Baldi e di Alessia Ottavia Cozzi si concentrano su una questione divenuta sempre più importante, ossia la dimensione economica dei beni culturali, anche in relazione alla disciplina europea degli aiuti di Stato. Peraltro, l'Italia negli ultimi anni è riuscita a sostenere la propria posizione in Europa, anche valorizzando il proprio semestre di Presidenza. L'auspicio è che si possa continuare lungo questa strada.

Infine, il contributo di Eleni Moustaira , che trae spunto da un suo più ampio precedente studio, mette in luce un tema di grande attualità, soprattutto in Italia, ossia le modalità di tutela e gestione delle collezioni. Si tratta di un argomento ricco di implicazioni in materia di proprietà e di fruizione, su cui questa Rivista in passato ha ospitato anche un illuminante saggio di John H. Merryman [7]. Negli ultimi tempi, poi, non sono mancati casi nel nostro Paese in cui i collezionisti hanno lamentato alcuni limiti della normativa italiana, che ai proprietari non lascia spazio per alcuna "negoziazione" con lo Stato, per esempio nell'ottica di permettere l'uscita di alcune opere a fronte di acquisirne altre al patrimonio pubblico. L'attenzione al tema è quindi utile e opportuna e l'analisi comparata della Moustaira, pur non trattando la disciplina del nostro Paese, può offrire al lettore italiano non pochi spunti di interesse, anche nella prospettiva di futuri interventi legislativi.

I prossimi mesi, dunque, in attesa della legge di bilancio, saranno decisivi per comprendere se, quanto e come il Ministero per i beni e le attività culturali – che ha finalmente recuperato il "per" tanto voluto da Spadolini e inopinatamente cancellato nel 2013 – intenderà proseguire il percorso di crescita delle risorse finanziarie e umane per la cultura intrapreso dallo Stato italiano negli ultimi quattro anni. Dopo aver salvato, almeno per il 2018, il bonus cultura per i diciottenni che ha contribuito non poco al sostegno del settore del libro, l'annunciata assunzione 6.000 di funzionari con maxi-concorsi da 2000 posti l'anno sembra difficilmente realizzabile per i costi e per i tempi che avrebbero le procedure selettive. Sarebbe invece auspicabile varare un programma decennale di reclutamento, più sostenibile finanziariamente, con 300-400 assunzioni l'anno, così da colmare gradualmente e con il giusto ricambio – senza rischio di creare blocchi o "tappi" per futuri ingressi – le carenze in organico. E così le procedure concorsuali, che ogni anno potranno essere sempre più affinate, sarebbero probabilmente più gestibili.

Da ultimo, suscita alcune perplessità il decreto legge con cui il Mibact è tornato Mibac, perdendo la competenza in materia di turismo che gli era stato assegnata nel 2013. Se, infatti, l'integrazione tra turismo e cultura non era stata priva di difficoltà – il che non ha comunque impedito di raggiungere risultati importanti – affidare le politiche del turismo a un altro Ministero, quello delle politiche agricole, con minori elementi di contatto, rispetto alla cultura, con il settore turistico, non pare essere una soluzione così migliorativa. A ciò si aggiunge l'anomalo moltiplicarsi degli uffici e delle relative posizioni dirigenziali determinato dal trasferimento: la Direzione generale Turismo del Mibact, con 2 uffici dirigenziali non generali, nel passaggio al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è diventata un dipartimento, con 2 direzioni generali e un totale di 8 uffici dirigenziali non generali. Né risultano ancora chiare tutte le implicazioni organizzative per il Mibac, in particolare quelle derivanti dal previsto mantenimento, senza oneri aggiuntivi, del venticinquesimo ufficio di livello dirigenziale generale; un mantenimento che potrà avvenire – come stabilito nel decreto-legge – solo tramite la soppressione di 2 uffici di livello dirigenziale non generale già esistenti (come, per esempio, le soprintendenze, gli istituti dotati di autonomi speciale o gli archivi e le biblioteche con status dirigenziale).

Queste e altre questioni attendono il patrimonio e le attività culturali e il loro diritto, che per la prima volta sarà oggetto anche del Convegno annuale dell'Associazione dei professori di diritto amministrativo, in ottobre a Reggio Calabria, come l'anno scorso lo fu nel Convegno annuale dell'Associazione nazionale degli avvocati amministrativisti, a Ravello. Sono segnali incoraggianti del rinnovato e crescente interesse dei giuristi verso questo settore, sempre più messo alla prova da numerose tensioni. A fianco di quelle internazionali sopra ricordate, campeggia il tema dell'evoluzione tecnologica, che agisce anche sulla dimensione immateriale del patrimonio culturale e richiede con urgenza di soffermarsi sulle problematiche legate alla riproduzione dei beni e al relativo regime: un tema cruciale, di cui la Rivista non mancherà di occuparsi già a partire dal prossimo numero.

Note

[1] https://whc.unesco.org/en/list/.

[2] https://www.icc-cpi.int/CourtRecords/CR2016_07244.PDF. Sul tema, può leggersi il Symposium in 14 Journal of International Criminal Justice 1139 (2016).

[3] http://undocs.org/S/RES/2347(2017).

[4] http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/G7_atti.pdf.

[5] https://www.coe.int/en/web/culture-and-heritage/convention-on-offences-relating-to-cultural-property.

[6] Cons. St., ad. pl., 25 giugno 2018, n. 9 . Il riferimento è all'editoriale di M. Cammelli, Direttori dei musei: grandi riforme, piccole virtù e un passato che non passa, in Aedon, 1, 2018, agli scritti di M. Gnes, M.P. Monaco e F.G. Albisinni sulle sentenze Tar Lazio, sez. II-quater, nn. 6170 e 6171 e nn. 6719 e 6720 del 2017, in Gior. dir. amm., 2017, pag. 493 ss., nonché al commento alla sentenza Cons. St., VI, 2 febbraio 2018, n. 677, di M. Gnes, Dirigenza pubblica e requisito della cittadinanza, ivi, 2018.

[7] J.H. Merryman, Collection As A Good, in Aedon, 1-2, 2012.

 

 

 



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