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Paesaggio

A proposito delle valutazioni di compatibilità rispetto a vincoli storico-artistici e paesaggistici

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Premessa. - 2. I dati normativi di riferimento. - 3. Gli spunti di riflessione suggeriti: a) in tema di silenzio-assenso e di assolutezza della tutela del patrimonio culturale. - 4. (segue) b) in tema di valutazione di compatibilità fra interesse storico-artistico o paesaggistico e interventi progettati. - 5. Verso una valutazione con ponderazione degli interessi coinvolti?.

How to evaluate the compatibility with regard to historical-artistic and landscape constraints
The article discusses the evaluation of compatibility with regard to historical-artistic and landscape constraints carried out by the authority in charge of the protection of cultural heritage in the case of building interventions directed to overcome architectural barriers in private structures. Furthermore, the article also examines such assessments in general, providing proposals for reform.

Keywords: Historical-artistic and landscape constraints; Assessment of compatibility of interventions to the tied heritage.

1. Premessa

Una sentenza abbastanza recente, segnalata anche dalla stampa non specialistica per la platea dei possibili interessati al principio che essa afferma [1], ha richiamato l'attenzione sulla legge 9 gennaio 1989, n. 13 ("Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati"). Si tratta di un atto normativo di sicura importanza per le finalità di promozione sociale che lo ispirano [2], ma che in questa sede si intende considerare esclusivamente per il rilievo che esso presenta sulla disciplina dei beni storico-artistici e paesaggistici, rilievo che, a dispetto del periodo non breve trascorso dall'entrata in vigore della legge è passato, per così dire, in sordina [3].

L'esame che si intende condurre prenderà avvio dalle disposizioni della legge e si focalizzerà sulle valutazioni di compatibilità - fra interventi relativi a beni del patrimonio culturale e vincoli storico-artistico o paesaggistico sugli stessi gravanti - che l'autorità di tutela è chiamata a compiere preliminarmente rispetto al rilascio o al diniego di atti di autorizzazione. Peraltro non mancheranno spunti anche per valutare anche altri profili di interesse per lo statuto di tali beni, con il risultato ad un tempo di verificare alcuni schemi concettuali tradizionali e di prospettare elementi per un loro aggiornamento.

2. I dati normativi di riferimento

I dati normativi della legge n. 13/1989 rilevanti per l'indagine sono rappresentati dagli artt. 4 e 5:

Art. 4.

1. Per gli interventi di cui all'articolo 2 [innovazioni da attuare su edifici privati diretti a eliminare barriere architettoniche], ove l'immobile sia soggetto al vincolo di cui all'articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 [ora art. 134 del d.lgs. 22.gennaio 2004, n. 42], le regioni, o le autorità da esse subdelegate, competenti al rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 7 della citata legge [ora art. 146 del d.lgs. cit.], provvedono entro il termine perentorio di novanta giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni.

2. La mancata pronuncia nel termine di cui al comma 1 equivale ad assenso.

4. L'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato.

5. Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato.

Art. 5.

1. Nel caso in cui per l'immobile sia stata effettuata la notifica ai sensi dell'articolo 2 [rectius 2 e 3] della legge 1° giugno 1939, n. 1089 [ora art. 10, comma 3, d.lgs. cit.], sulla domanda di autorizzazione prevista dall'articolo 13 [rectius 11 e 12; ora 21, comma 4, d.lgs. cit.] [4] della predetta legge la competente soprintendenza è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 2, 4 e 5.

3. Gli spunti di riflessione suggeriti: a) in tema di silenzio-assenso e di assolutezza della tutela del patrimonio culturale

I dati normativi appena richiamati offrono spunto a un triplice ordine di riflessioni, il cui ambito - giova sottolinearlo preliminarmente - ha un carattere 'trasversale', perché non limitato ad uno specifico settore dei beni del patrimonio culturale. Poiché a venire in rilievo negli artt. 4 e 5 sono edifici privati oggetto di vincolo ai sensi delle ll. nn. 1089 e 1497 del 1939, le considerazioni che seguiranno investono tanto i beni di interesse storico-artistico quanto quelli di interesse paesaggistico.

Un primo spunto è costituito dalla previsione contenuta nel comma 2 dell'art. 4, per il quale "la mancata pronuncia [sull'istanza di autorizzazione] nel termine di cui al comma 1 [novanta giorni] equivale ad assenso". La previsione è richiamata dall'art. 5, sia pure con un diverso termine (centoventi giorni). Si tratta di una ipotesi di silenzio-assenso in tema di patrimonio culturale, non in linea né con la esclusione del meccanismo per i beni culturali e paesaggistici prevista dall'art. 20, comma 4, legge n. 241/1990, né con quanto disposto dall'art. 146, comma 10 (che prevede un meccanismo sostitutivo) e dalla versione attuale dell'art. 22, comma 4 [5] (che configura un silenzio-inadempimento) del d.lgs. n. 42/2004. Può solo rilevarsi che detta previsione (da porsi presumibilmente in rapporto con il particolare interesse sociale che ha inteso soddisfare), a quanto consta, non è stata fatta oggetto, nei non pochi anni della sua vigenza, né di questioni di legittimità costituzionale né di rilievi critici da quanti hanno espresso contrarietà all'istituto del silenzio-assenso in tema di patrimonio culturale [6].

Un secondo spunto è suggerito dal disposto dal comma 4 dell'art. 4, anch'esso richiamato dall'art. 5, secondo cui "l'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato". La perimetrazione del potere di diniego al solo caso del "serio pregiudizio" lascia chiaramente intendere che l'autorizzazione va rilasciata dall'autorità di tutela non solo quando l'intervento venga valutato come non lesivo dell'interesse storico-artistico o paesaggistico, ma altresì quando esso incida su detto interesse purché in misura non rilevante, ossia appunto senza arrecare un "serio pregiudizio". Con il che si delinea la peculiarità della valutazione concernente interventi su beni del patrimonio culturale volti a rimuovere barriere architettoniche rispetto a quelli concernenti in genere tali beni, nel senso che la presenza di detta finalità rende autorizzabili (e da autorizzare) interventi che 'in via normale' non potrebbero essere assentiti in ragione della loro incompatibilità con il vincolo culturale o paesaggistico [7].

Soprattutto, però, a essere coinvolto è il principio di 'intangibilità' o 'non disponibilità' da parte del legislatore dell'interesse culturale o paesaggistico. Se, secondo la lettura fornita dalla giurisprudenza, dalla previsione della legge n. 13/1989 non può desumersi la "vigenza di un principio di superabilità e derogabilità assoluta e automatica dei vincoli posti sugli immobili per finalità di tutela storico culturale e paesistico ambientale" [8], è certo che il legislatore ha esplicitamente ammesso il sacrificio dell'interesse insito nei beni vincolati allorché lo richiedano esigenze di protezione di soggetti con disabilità.

Si potrà certo osservare che il sacrificio di detto interesse avviene in presenza di un interesse di particolare rilevanza sociale che trova tutela anche nel diritto internazionale [9], e che comunque è soggetto ad un limite qualitativo (non serietà della lesione), ma appare innegabile che il legislatore ordinario non ha considerato come assoluta e quindi in linea di principio inderogabile la garanzia accordata dall'art. 9 Cost. alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione. Nella legge n. 13/1989 egli ha proceduto ad una valutazione comparativa fra due interessi di sicura rilevanza costituzionale - tutela del patrimonio culturale (art. 9) e garanzia della dignità della persona e del diritto alla salute (artt. 2, 3 e 32) [10], dando la prevalenza al secondo a condizione che il primo non ne subisca una rilevante incidenza ("serio pregiudizio").

E sarà anche possibile sostenere che il legislatore non ha rispettato il quadro costituzionale, ma non andrebbe dimenticato che la possibilità che anche valori 'primari', come quello espresso dall'art. 9 Cost., entrino nel bilanciamento degli interessi operabile dal legislatore ordinario - possibilità che costituisce l'altra faccia della inesistenza di una gerarchia di valori predeterminata dal costituente - rappresenta ormai un dato acquisito da parte del giudice delle leggi [11] e della dottrina costituzionalistica [12].

4. (segue) b) in tema di valutazione di compatibilità fra interesse storico-artistico o paesaggistico e interventi progettati

Ancor più significativo risulta lo spunto a proposito della valutazione di compatibilità che l'autorità di tutela è chiamata a formulare in sede di autorizzazione di interventi su beni culturali o paesaggistici. Quanto disposto dal comma 5 dell'art. 4 ("Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato"), che l'art. 5 richiama aggiungendo la previsione secondo cui l'autorità di tutela "è tenuta a provvedere ..., anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni", offre elementi importanti per chiarire la struttura di tale valutazione e le regole che ad essa presiedono anche al di là del caso in cui venga in rilievo un intervento volto a rimuovere barriere architettoniche.

Il fatto che il diniego debba essere motivato con "la specificazione della natura e della entità del pregiudizio" derivante dall'intervento prospettato, indica con tutta evidenza che l'autorità di tutela non è chiamata a ponderare interessi differenti (nella specie l'interesse storico-artistico o paesaggistico e l'interesse alla rimozione della barriera architettonica). La ponderazione, invero, è stata operata a monte da legislatore. All'autorità di tutela spetta solo il compito di apprezzare se l'intervento arrechi o meno un "serio pregiudizio" all'interesse che ha in carico. All'esito di tale valutazione risulta strettamente collegato il rilascio del provvedimento e il suo contenuto (fatto salvo quanto si osserverà nel prosieguo): "l'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato" (art. 4, comma 4).

In sintesi, non vi è comparazione fra interessi pubblici, ma solo un raffronto fra un fatto (l'intervento progettato) e un interesse (storico-artistico o paesaggistico) allo scopo di valutare se il fatto sia tale da arrecare o meno un "serio pregiudizio" all'interesse, raffronto da cui conseguono in termini fondamentalmente vincolati l'an e il quid del provvedimento.

La struttura del giudizio di compatibilità - e qui risiede il rilievo presentato dalla legge n. 13/1989 - non è dissimile negli altri casi di valutazione degli interventi su beni culturali o paesaggistici, disciplinati dagli artt. 21, comma 4, e 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/2004. In essi muta sì l'obiettivo della valutazione (è da apprezzare non un "serio pregiudizio", ma un pregiudizio tout-court), ma la struttura della valutazione e gli esiti sul provvedimento autorizzatorio non cambiano: si apprezza un fatto in rapporto all'interesse tutelato e la lesione che si ravvisi in ordine a questo è di ostacolo al rilascio dell'autorizzazione.

Nella lettura operata il giudizio di compatibilità di cui agli artt. 4 e 5 viene ricondotto all'area della discrezionalità tecnica [13]. Il che, se si sconta il carattere descrittivo o improprio della nozione [14] e soprattutto se si considera che tale giudizio non è costruito dal legislatore in termini di comparazione fra più interessi [15], può anche ritenersi soddisfacente. Tuttavia, se si analizzano fino in fondo gli elementi che lo compongono [16], emerge che il giudizio ha una doppia articolazione: a) come valutazione compiuta sulla base di cognizioni specialistiche delle caratteristiche dell'intervento prospettato, e come tale essa è da ricondursi agli apprezzamenti tecnici; b) come valutazione dell'incidenza dell'intervento sull'interesse culturale o paesaggistico, che è 'discrezionale' nel senso che si risolve nell'apprezzamento dell'interesse che l'autorità di tutela ha in cura [17]. D'altro canto, occorre tenere conto che in questo secondo apprezzamento la componente di ordine tecnico-scientifico svolge un ruolo significativo [18] in quanto apprezzamento di un interesse dipendente anche da criteri forniti da una disciplina specialistica. Parrebbe perciò forse non del tutto improprio parlare complessivamente di giudizio 'tecnico-discrezionale' [19]. In ogni caso, quello che più rileva è il tratto sostanziale della valutazione di compatibilità: l'assenza di una ponderazione fra interessi.

Alcune precisazioni. Che secondo le previsioni della legge n. 13/1989 l'autorità di tutela operi un apprezzamento 'discrezionale' (in ordine all'interesse storico-artistico o paesaggistico), è confermato dal fatto che essa ai sensi dell'art. 5 provvede "anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni". La previsione è dettata nel caso di immobile soggetto a vincolo storico-artistico, ma sicuramente risulta estensibile al caso di immobile vincolato paesaggisticamente [20]. Emerge, pertanto, la possibilità di una autorizzazione condizionata, che attesta la possibilità per l'autorità di tutela di 'gestire' l'interesse che ha in carico.

Che, poi, nel giudizio di compatibilità sia valutato l'interesse tutelato in rapporto all'intervento è confermato da quanto dispone il comma 4 dell'art. 4 (anch'esso richiamato, come si è detto, dall'art. 5), secondo cui il diniego va motivato con la specificazione della "rilevanza [del pregiudizio] in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca". La formula normativa risulterebbe di scarso significato se interpretata in senso 'quantitativo' (entità dell'intervento in rapporto alla conformazione materiale del bene vincolato). Acquista, invece, un significato chiaro e pregnante qualora intesa riferirsi all'incidenza dell'intervento sull'interesse culturale o paesaggistico insito nel bene sottoposto a vincolo [21].

Se ora, dopo l'analisi della struttura della valutazione di compatibilità, prevista dagli artt. 4 e 5, si passa a considerare le regole che ad essa presiedono, è da menzionare, oltre alla possibilità, già accennata, di impartire "apposite prescrizioni" (art. 5), il dovere di motivare, in caso di diniego dell'atto autorizzativo, con "specificazione della natura e dell'entità del pregiudizio... e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato" (art. 4, comma 5, richiamato dall'art. 5). Si tratta di previsioni che hanno anticipato quanto ora previsto, in parte, dall'art. 21, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, e in termini più ampi, dall'art. 14-bis, comma 3, e dall'art. 14-ter, comma 3, della legge n. 241/1990, questi ultimi in tema di conferenza di servizi [22]. Anche in forza di tali collegamenti sistematici può avanzarsi l'idea che le indicate regole vadano applicate in via analogica per le valutazioni di compatibilità previste in genere dagli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42/2004.

Pare comunque indubbio che esse rappresentino una garanzia per gli altri interessi implicati nella vicenda autorizzatoria ma non oggetto di ponderazione nel giudizio di compatibilità, e ciò dà ragione dell'orientamento della giurisprudenza favorevole a interpretare in modo stringente il vincolo motivazionale gravante sull'autorità di tutela in caso di diniego dell'autorizzazione [23].

5. Verso una valutazione con ponderazione degli interessi coinvolti?

La notazione appena formulata consente di prospettare la possibilità che il legislatore modifichi la struttura del giudizio di compatibilità, trasformando il potere dell'autorità di tutela in un vero e proprio potere di ponderazione degli interessi coinvolti negli interventi su beni soggetti a vincolo storico-artistico o paesaggistico.

Tale possibilità è stata già ventilata a proposito del giudizio disciplinato dagli artt. 4 e 5 della legge n. 13/1989 [24], ma è opportuno estenderla ai giudizi normati dagli artt. 21 e 146 del d.lgs. 42/2004.

In un'epoca in cui era dominante la convinzione che l'interesse alla tutela storico-artistica e paesaggistica fosse di carattere 'assoluto' il legislatore con la legge n. 13/1989 ha proceduto ad operare un bilanciamento fra interessi diverso da quello stabilito per la generalità delle ipotesi di interventi su beni del patrimonio culturale e ha disposto che non fosse di ostacolo al rilascio dell'autorizzazione all'intervento il mero pregiudizio all'interesse (lato sensu) culturale, normalmente sufficiente, ma che fosse di impedimento solo il "serio pregiudizio".

In tempi più recenti, che hanno visto la crisi della primarietà, intesa come intangibilità, dell'interesse alla tutela del patrimonio culturale, il legislatore ha stabilito che il bilanciamento, con eventuale recessività di tale interesse, possa essere compiuto in sede di Consiglio dei ministri (cfr. art. art. 14-quinquies, comma 6, e art. 17-,, comma 2, legge 241/1990).

La soluzione di affidare anche all'autorità di tutela il potere di procedere a un bilanciamento fra l'interesse alla conservazione del patrimonio culturale e gli altri interessi di volta in volta coinvolti si porrebbe in una linea di continuità con le richiamate previsioni. Oltretutto non rappresenterebbe una novità in assoluto, dal momento che, sia pure "eccezionalmente" [25], l'art. 152 del d.lgs. n. 42 prevede che per particolari interventi (aperture di strade ecc.) l'amministrazione di tutela debba tener conto "della funzione economica delle opere già realizzate o da realizzare": il che è come dire degli interessi ad esse sottostanti.

Si può anche aggiungere che la soluzione prospettata, sul piano dell'organizzazione amministrativa, rappresenterebbe una valorizzazione, e al contempo una responsabilizzazione, degli apparati preposti alla cura del patrimonio culturale, a tutto beneficio della stessa funzionalità del processo decisionale affidato all'Amministrazione. L'autorità di tutela, liberata dal vincolo (più o meno) stretto di compatibilità, sarebbe chiamata essa stessa a ricercare soluzioni di compromesso fra interessi. E chi potrebbe sostenere che proprio l'autorità che ha in carico l'interesse alla conservazione del patrimonio culturale non sia quella più adatta a individuarne il punto di equilibrio rispetto alle esigenze che l'incessante divenire dell'ambiente sociale non smette di proporre?

 

Note

[1] Cfr. "Il Sole 24 Ore" del 4 novembre 2017. La pronuncia è Cons St., VI, 18 ottobre 2017, n. 4824, che sulla scia di Cass. civ., II, 28 marzo 2017, n. 7938, ha affermato il principio secondo il quale la normativa di favore di cui alla legge n. 13/1989 [volta all'eliminazione di barriere architettoniche] si applica anche in ipotesi di "persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie".

[2] Cfr., ad esempio, Cass. civ., II, nn. 9101/2018 e 7938/2017 secondo cui la legge costituisce "espressione di solidarietà sociale".

[3] Salvo mio errore, la legge non è richiamata nell'analisi dottrinali relative alle autorizzazioni previste dagli artt. 21 e 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

[4] Come già rilevato dalla dottrina (F. Pellizzer, Commento agli artt. 4-6 della legge 9 gennaio 1989, n. 3, in Le nuove leggi civili commentate, 1991, pag. 357, che parla di "singolarità dispositiva"), i riferimenti alla legge n. 1089/1939 contenuti nell'art. 5 non risultano congrui. Se si tiene presente che l'art. 5, letto in connessione con l'art. 4, considera gli interventi su edifici privati (oggetto dell'art. 2, a sua volta richiamato dall'art. 4), risulta indubbio che in luogo del riferimento all'art. 13 (del tutto improbabile, visto che esso considera le operazioni di "distacco" di beni culturali, quali affreschi ecc.) sarebbe stato congruo quello agli artt. 11 e 12 (relativi a interventi su immobili). Anche il riferimento all'art. 2, seppur non erroneo, avrebbe dovuto essere completato con quello all'art. 3, dal momento che la prima disposizione si riferiva ai soli immobili culturali per relationem, ambito questo importante ma di certo non esaustivo dell'area degli edifici privati suscettibili di vincolo.

[5] Come si ricorderà, il testo originario del comma 4 dell'art. 22 - che riprendeva la formulazione del comma 3 dell'art. 24 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, a sua volta conforme al disposto del comma 5 dell'art. 12 della legge 15 maggio 1997, n. 127 - recava il principio del silenzio-assenso in ordine alle domande di autorizzazione relative a interventi in materia di edilizia pubblica e privata. Il ribaltamento della disciplina fu operato dall'art. 2, comma 1, lett. i), n. 2, del d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156. Sul punto cfr. A. Roccella, Articolo 22, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Il Mulino, Bologna 2004, pag. 151 s.

[6] Sul rapporto fra silenzio-assenso e 'interessi sensibili' (comprensivi di quello alla tutela del patrimonio culturale) sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti, al mio Gli interessi sensibili in recenti prese di posizione del Consiglio di Stato, in Riv. giur. urb., 2016, 2, pag. 56 ss.

[7] Cfr. in termini Con. St., VI, 7 marzo 2016, n. 905, punto 11, e 12 febbraio 2014, n. 682, punto 3.

[8] Cons. St., VI, n. 905/2016, punto 15 e n. 682/2014, punto 3.

[9] Cfr. Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, n. 61/106, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18.

[10] Cfr. Corte cost., n. 251/2008, punto 11, e T.A.R. Sicilia, Palermo, I, 4 febbraio 2011, n. 218. V. anche F. Pellizzer, Commento agli artt. 4-6 della legge 9 gennaio 1989, n. 3, cit., pag. 356 e M. Brocca, Barriere architettoniche e beni culturali: interessi a confronto, in Urb. e app., 2007, 11.

[11] Cfr., ad es., sentenze nn. 196/2004, punto 23; 85/2013, punto 9; 170/2013, punto 4.2; 165/2014, punto 7.1; 235/2014, punto 10.2.1; 56/2015, punto 5.1.; 210/2015, punto 6; 267/2016, punto 4.2. Al riguardo mi permetto di rinviare al mio 'Interessi differenziati' e procedimento amministrativo, in Riv. giur. urb., n. 2016, 2, pag. 83 ss.

[12] Cfr., ad es., M. Luciani, I diritti "finanziariamente condizionati": profili di una categoria controversa, Relazione al 63° Convegno di studi amministrativi (Varenna, 21-23 settembre 2017), passim, A. Barbera, voce Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali VIII, Giuffrè, Milano 2015, pag. 322 ss. e 334 ss., A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia costituzionale, in Enc. dir., Annali II-2, Giuffrè, Milano 2008, pag. 185 ss. e 193 ss., F. Modugno, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Esi, Napoli 2007, pag. 34.

[13] Cfr. Cons. St., n. 682/2014, punto 3. F. Pellizzer, Commento agli artt. 4-6 della legge 9 gennaio 1989, n. 3, cit., pag. 356. In generale sulle valutazioni di compatibilità rispetto a vincoli storico-artistici e paesaggistici cfr., ad es., anche per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, A.A.V.V., Argomenti di diritto amministrativo, vol. I, Giuffrè, Milano 2017, pag. 184, nt. 147; G. Severini, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Aedon, 2016, 3, in particolare p. 1 e 4; P. Carpentieri, Semplificazione e tutela, ivi, spec. par. 5; G. Sigismondi, Valutazione paesaggistica e discrezionalità tecnica: il Consiglio di Stato pone alcuni punti fermi, ivi, par. 1 ss.; S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Laterza, Bari 2010, pag. 118; A. Gigli, La funzione di tutela del paesaggio tra discrezionalità tecnica e compresenza di interessi primari, in Riv. quadr. dir. amb., 2015, 2, par. 3.; G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, vol. I, Monduzzi, Bologna 2005, pag. 723 s.

[14] Cfr. ad es., V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm., 1984, 1, pag. 488, e R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Giappichelli, Torino 2006, pag. 106 e nt. 139, anche per ulteriori riferimenti.

[15] Comparazione questa reputata in genere dalla dottrina - sulla scia dell'insegnamento di M.S. Giannini (Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano 1939, pag. 77 s. e Diritto amministrativo, vol. II, Giuffrè, Milano 1993, pag. 49)- il connotato definitorio della discrezionalità amministrativa, cfr. per tutti, anche per ulteriori riferimenti R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., pag. 87 ss.

[16] L'esigenza di analizzare caso per caso le norme attributive del potere per la qualificazione dei compiti assegnati all'Amministrazione è persuasivamente sottolineata da V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, cit., pag. 494 s.

[17] Per tale ordine di idee cfr. V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, cit., pag. 493 e 496, che, ad esempio, a proposito della scelta di diverse soprintendenze di "staccare" il barocco da chiese di antica struttura romanica, parla di "vero e proprio potere discrezionale nel settore proprio di tale amministrazione", e F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull'amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, pag. 422, nt. 132, secondo il quale "il giudizio sul valore culturale è già 'ponderazione' dell'interesse pubblico alla conservazione di questo o di quel bene". V. anche F. Volpe, Discrezionalità tecnica e presupposti dell'atto amministrativo, in Dir. amm., 2008, 4, spec. pag. 826 ss.

[18] Cfr. V. Cerulli Irelli, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, cit., pag. 493, secondo il quale "la legge ha assunto ad interesse pubblico, di cui ha attribuito la cura all'autorità amministrativa, un interesse che possiede anche quella valenza tecnico-scientifica" (corsivo riportato).

[19] Per uno spunto cfr. F. Ledda, op. loc. ult. cit. Meno convincente sarebbe invece parlare di discrezionalità mista, sia perché l'apprezzamento dell'incidenza sull'interesse riposa anche su un sapere tecnico specialistico, sia perché soprattutto manca una valutazione comparativa di interessi.

[20] Cfr. in tal senso Cons. St., VI, n. 905/2016, punto 13.1.

[21] Cfr. Cons. St., n. 682/2014, punto 3.

[22] Art. 21, comma 5, d.lgs. n. 42/2004: "L'autorizzazione è resa su progetto... e può contenere prescrizioni"; art. 14, comma 3, e art. 14-ter, comma 3, legge n. 241/1990, rispettivamente: "Le amministrazioni coinvolte rendono le proprie determinazioni, relative alla decisione oggetto della conferenza. Tali determinazioni, congruamente motivate, ... indicano, ove possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell'assenso" e "Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell'amministrazione stessa su tutte le decisioni di competenza della conferenza, anche indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell'assenso".

[23] Al riguardo cfr. M. Brocca, Barriere, cit., 1421.

[24] Cfr. F. Pellizzer, Commento, cit., 356.

[25] Così S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, cit., pag. 153.

 



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