testata
 
numerocorrentehome../indice../risorse%20web

La gestione museale tra vecchi e nuovi problemi

I musei tra l'immaginario collettivo e la realtà giuridica e gestionale

di Andrea Crismani

Sommario: 1. La cultura quale fattore produttivo di ricchezza, settore d'investimento, di finanziamento e di occupazione lavorativa. - 1.1 Realizzare una governance culturale. - 2. - Il museo quale luogo in cui i significati culturali trovano un loro oggettivo riconoscimento. - 2.1. (...) e le criticità sul grado di istituzionalizzazione dell'assetto organizzativo e gestionale. 3. Il reperimento dei mezzi finanziari.

Museums between Imagination and Legal and Managerial Reality
Culture with its inherent elements of creativity and innovation is a value in itself. It has a significant public value and contributes to the achievement of smart, sustainable and inclusive growth in the Eu system. Starting from this premise, the aim of the Paper is to analise, in the first paragraph, the role of statitistics and statistical comparability which has for consequence that organisation, methods and contents could be very different not only from one country to an other, but also in the same country amoung different public entities concerned with cultural policies. This last aspect is the topic of the second paragraph in which are considered cultural domains such as are Museums belonging to different government entities such as State, Regions and local government subjects like province and municipalities. It is statistically proved by the Audit comptroller and the Italian National Institute of Statistics that in Italy public Museums are mostly, with some exceptions, organizational structures without a scientific, financial and accounting autonomy. They are publicly funded and financed and the fact that could now find themselves together with commercial organisations under the concept of "cultural industries" is somehow problematic. In the past two years the system of funding the Museums has somehow changed (and is still changing) in order to decrease public funds and promote self-financing strategies, donations and sponsorships. This is the topic of the third paragraph and the conclusion is that it is necessary to strengthen links between culture and economy in particular in this times of economic downturn when there is a need for cultural policies to be even more effective, efficient and sustainable.

Keywords: Cultural Domains; Cultural Industries; Museums; Funding.

1. La cultura quale fattore produttivo di ricchezza, settore d'investimento, di finanziamento e di occupazione lavorativa

La cultura è un "sistema complesso", una categoria concettuale oggettivamente difficile da declinare in termini fenomenologici. Essa si riferisce a un ambito molto vasto e generico, dove l'attributo culturale è correntemente utilizzato per qualificare in modo soggettivo e discrezionale prodotti, attività, comportamenti sia individuali che sociali, senza però essere precisamente ed univocamente definito e codificato [1].

Il giurista nell'approcciare questa materia tende ad avere una naturale diffidenza nei confronti di orientamenti interpretativi della realtà culturale che "si teme riducano in modo inaccettabile le molte dimensioni delle quali è composto il concetto di arte, di bello, di storico e di valore ad esso collegato" [2] e spesso non può essere spiegata solo tramite le sue componenti. Il giurista è, infatti, abituato a confrontarsi con categorie di analisi certe e tutto ciò che non assume connotati di giuridicità, oppure li perde diventa per il giurista fonte di un sostanziale disinteresse e terra di incursione di analisi non giuridiche o di analisi giuridiche compiute da non giuristi [3].

La cultura con i suoi elementi di creatività e d'innovazione non è solo un valore in sé, ha anche un grande valore pubblico, contribuisce alla realizzazione di una crescita intelligente, è inclusa nella strategia europea, forma oggetto di specifica politica europea ed è settore di intervento delle Istituzioni europee [4].

In origine il Trattato istitutivo della Comunità contemplava esplicitamente i settori strettamente connessi alla realizzazione della libera circolazione dei beni, dei servizi, delle persone e dei capitali quali l'agricoltura, i trasporti, il commercio, ecc.

In virtù "dell'eccezione culturale" le iniziative pubbliche sono (in parte) sottratte a una rigida applicazione delle regole della concorrenza e del mercato in particolare sotto il profilo degli aiuti di Stato [5]. Tuttavia la cultura, la sua promozione e il suo sviluppo rappresentano l'elemento di collegamento tra gli Stati membri e un valido veicolo d'integrazione tra essi.

La cultura, oltre a costituire un fattore di coesione e di integrazione sociale, rappresenta un pilastro attorno al quale ancorare lo sviluppo economico di un paese [6]. Infatti, essa è oggi considerata un fattore produttivo di ricchezza, settore d'investimento, di finanziamento e di occupazione lavorativa [7]. La cultura può altresì dare un formidabile contributo alla ripresa economica [8]. Il Presidente Napolitano in un intervento ebbe a rilevare che "se vogliamo più sviluppo economico, ma anche più occupazione, bisogna saper valorizzare, sfruttare fino in fondo la risorsa della cultura e del patrimonio storico-artistico" [9]. L'intervento s'inserisce in un dibattito molto più ampio che si era acceso tra lettori, istituzioni culturali, economiche e politiche dopo la pubblicazione sul Sole 24 Ore del "Manifesto per la Cultura" [10] dal titolo "Niente cultura, niente sviluppo" [11]. Questa iniziativa parte dalla premessa che "occorre una nuova visione strategica, un patto tra chi gestisce il bene pubblico e chi opera nel mondo della cultura per quanto concerne la produzione, diffusione e ricezione della cultura". Si pone l'obiettivo di far uscire la cultura dalla marginalità e, conseguentemente, non considerarla una spesa da emarginare.

Il giudizio negativo che il prezzo o il denaro rappresenterebbero uno svilimento della cultura oggi è da considerarsi in gran parte superato [12]. Tale riserva era in passato riconducibile al fatto che il paradigma analitico dell'economia della cultura fosse scientificamente inadeguato [13]. Parimenti è da ritenersi superata l'opinione che "con la cultura non si mangia". Teorie economiche dimostrano un nesso molto forte tra cultura, da un lato, e sviluppo, dall'altro [14], laddove per cultura si intende una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica, conoscenza e lo sviluppo non sia inteso solo come una nozione meramente economicistica, incentrata sull'aumento del Pil.

1.1. Realizzare una governance culturale

Con lo sviluppo e l'accentuarsi del processo di integrazione europea il campo d'azione delle politiche comuni europee si è esteso anche ad altri settori incluso quello della cultura. La politica culturale assume un carattere orizzontale e trasversale in diversi settori e livelli di governo.

A livello europeo, ma anche nel nostro Paese in particolare con l'iniziativa del Manifesto per la cultura, è maturata l'idea di rafforzare i nessi tra cultura, economia, istruzione, ricerca e innovazione che in tempi di flessione dell'economia assumono un maggiore slancio. In tal modo è posta una maggiore attenzione alle politiche culturali in termini di efficacia, efficienza e sostenibilità chiedendo a tutti i livelli di governo, e in particolare al livello regionale e locale, di "unire le forze per sfruttare appieno le potenzialità economiche e sociali del settore culturale" [15].

L'obiettivo è realizzare una governance culturale intesa sia quale metodo per realizzare le politiche culturali, sia quale strumento per approfondire l'integrazione della cultura nell'agenda politica tramite il coordinamento delle politiche culturali con altre politiche settoriali.

Vi è un duplice approccio (il c.d. twin track approach) applicato alla governance culturale, che consiste innanzitutto (primo obiettivo) nel ricercare un metodo di definizione delle politiche culturali e, di conseguenza (secondo obiettivo), promuovere sinergie e sviluppare strategie integrative per favorire un approccio più olistico alla cultura [16].

Il primo obiettivo è dare una definizione alle politiche culturali e rendere effettivi gli strumenti di conoscenza sotto il profilo unitario e uniforme, ma anche attribuire un connotato maggiormente chiaro e definito alla nozione stessa di politica culturale. Il settore culturale nel quale le politiche si propongono è un paesaggio indefinito, di incerta perimetrazione, i cui confini tendono a dilatarsi progressivamente per includere nuove forme di espressione e linguaggi inediti [17].

La "cultura" è stata dilatata in modo tanto ampio da contenere praticamente tutto [18], fino quasi a coincidere con "tempo libero". La dilatazione è dovuta ad alcune fondamentali innovazioni scientifiche (computer science, information and communication science, digitalizzazione, internet, software applicativo), che hanno consentito di produrre strumenti e macchine per il consumo di cultura audiovisuale disponibili e accessibili a costi relativamente contenuti in ogni parte del mondo a miliardi di persone al fine di incrementare e facilitare l'accesso e la fruizione da parte del pubblico [19].

A sua volta la domanda di cultura ha registrato un rilevantissimo incremento a seguito dello sviluppo dei processi di istruzione, dei nuovi fenomeni di urbanizzazione, della creazione di meta-città e dell'aumento di redditi e ricchezze individuali.

Questa tendenza di dimensioni mondiali ha trainato la domanda dei beni dell'industria dei contenuti (editoria, cinema, musica, audiovisivo, musei, biblioteche), delle altre industrie culturali e dei servizi accessori ai mercati dei beni culturali e creativi (pubblicità, sistemi legali, formazione) [20].

Solitamente si predica l'unità del concetto di cultura. In realtà non sono ancora sufficientemente sviluppati gli strumenti per conoscerla unitariamente sotto il profilo giuridico, statistico, economico e strutturale [21]. Non esiste un'unità di conoscenza e di organizzazione. Al contrario vi è una molteplicità di enti e di competenze amministrative, afferenti a diversi centri di responsabilità politico-amministrativa [22].

Vi sono differenti approcci di studio delle politiche culturali. Esse sono studiate secondo la distinzione tra politiche commerciali private e politiche pubbliche oppure secondo la logica dell'intervento pubblico correttivo dei fallimenti del mercato oppure secondo il profilo funzionale. E da un punto di vista funzionale è da condividere la divisione delle politiche culturali in quattro categorie: a) quelle che rientrano nel modello della conservazione del patrimonio culturale; b) quelle che fanno parte del modello della produzione di cultura; c) quelle che appartengono al modello della distruzione della cultura tangibile e intangibile; e infine d) quelle che dipendono da un comportamento negligente [23].

Vi è la convinzione che una suddivisione di questo tipo sembra esaurire ogni possibilità, perché "la cultura o la si conserva o la si produce o la si distrugge, secondo un modello incivile, oppure la si trascura" [24]. Inoltre vi è la constatazione che storicamente ci sia stata una sopravvalutazione delle politiche di conservazione a scapito di quelle di produzione di cultura sulla quale l'economia della cultura tende a concentrarsi e spesso si dimentica dell'importanza delle politiche di conservazione.

Secondo l'approccio europeo il tema delle politiche culturali può essere affrontato ricorrendo all'informazione statistica. La tecnica di ricerca è basata sui dati di fatto cioè sul c.d. evidence based approach che ha come obiettivo ricercare e raccogliere i dati di fatto presenti a vari livelli dei singoli Stati membri (nazionale, regionale e locale) [25]. Con questo metodo s'intende promuovere: la politica culturale anche in altri settori politici; la collaborazione e il collegamento in rete tra gli istituti culturali e di istruzione, centri di ricerca e imprese culturali e creative; la proficua utilizzazione (best use) delle strutture esistenti; lo scambio di esperienze e la diffusione di buone prassi (best practise); il collegamento a rete delle istituzioni politiche; l'utilizzo di un quadro statistico comune; l'utilizzo di un'uniforme metodologia statistica al fine di sviluppare un sistema statistico comparabile.

Inoltre questo metodo se applicato all'indagine e all'analisi dei dati contabili permette di favorire la valutazione del contributo che la cultura apporta all'economia [26].

Il secondo obiettivo consiste nel promuovere le sinergie e sviluppare le strategie integrate per un approccio più olistico alla cultura affinché la governance culturale diventi più aperta, più partecipativa, più efficace e più coerente. Siccome la politica culturale assume un carattere orizzontale e trasversale in diversi settori e livelli di governo, necessariamente vanno potenziate le sinergie tra le Istituzioni comunitarie, tra esse e gli Stati membri, tra gli Stati membri, in particolare a livello locale e regionale, e tra i soggetti pubblici e privati favorendo i modelli di partenariato pubblico-privato, stimolando la partecipazione della società civile mediante un dialogo e una consultazione [27].

Se un primo obiettivo è dotare gli Stati membri di un sistema europeo uniforme d'informazione statistica [28] al fine di ricercare su dati di fatto condivisi quale sia il contributo della cultura (e così tracciare il contenuto delle politiche culturali), il secondo e conseguente obiettivo è approcciare la cultura come fattore produttivo di ricchezza, settore d'investimento, ma anche di finanziamento e di occupazione lavorativa al fine di favorire un sistema di governance.

2. Il museo quale luogo in cui i significati culturali trovano un loro oggettivo riconoscimento

Nell'eterogeneo e mutevole mondo della cultura i musei, a prima vista, si candidano a costituire un fermo punto di riferimento come luogo in cui i significati culturali sembrano trovare un loro oggettivo riconoscimento [29].

Vi è però una notevole discrasia tra l'immaginario collettivo e la realtà giuridica.

Nell'immaginario collettivo sono lo spazio in cui gli oggetti e i "beni" conservati ed esposti sono l'espressione validata e certificata di un "patrimonio" il cui valore culturale è accertato, codificato, condiviso, e proprio in virtù di questo preservato ed esibito [30]. Emerge subito evidente l'opposto: la cultura - fenomeno evanescente senza parametrazioni certe - ha influito sul settore museale rendendolo a sua volta disaggregato e difficilmente riconducibile ad unità. A ben vedere i musei sono una realtà tutt'altro che statica e prevedibile [31].

Nella realtà giuridica si può notare che le ricostruzioni giuridiche dei musei sono abbastanza esigue. Si tende a porre l'accento sull'analisi del museo come azienda, organizzazione di risorse umane e finanziarie e fattore produttivo di ricchezza nazionale [32]. Infatti, il settore dei musei, come del resto la cultura in generale negli ultimi anni ha suscitato crescente interesse sotto il profilo economico. Tale profilo ha, però ben presto evidenziato non poche mancanze dal punto di vista dell'organizzazione, dell'attività e del finanziamento dei musei [33]. Storicamente il museo non ha avuto una rilevanza istituzionale pari a quella dei musei stranieri e dal punto di vista giuridico e amministrativo si è configurato (e per molti aspetti continua a configurarsi) come museo ufficio della soprintendenza statale o dell'assessorato (regionale, provinciale o comunale) in cui è incardinato [34].

Oggigiorno, invece, viene evidenziato un ruolo diverso dei musei intesi come prestatori di un servizio pubblico, ponendosi la questione di distinguere la funzione di tutela dei beni culturali da quella di gestione, laddove entrambe presentano caratteri di trasversalità e incerti confini e non sempre accade che vi sia una chiara distinzione degli incarichi affidati al personale [35].

A livello europeo, si pone la questione se inserire i musei nel novero delle industrie della cultura e della creatività (cultural and creative industries) oppure tenere distinto il settore pubblico dal settore privato, cioè dal mercato [36].

Nel nostro ordinamento interno è diffusa l'idea, ciclicamente riproposta sotto varie angolature, che i beni demaniali di uso collettivo, e in particolare i musei, appartengano a tutti i cittadini, i quali avrebbero, in qualità di cittadini, un diritto ad usufruirne. In tal modo si prospetta la tesi che i beni culturali, e in particolare i musei, siano assimilabili ai beni di uso civico e, come tali, riconducibili ad una vera e propria proprietà collettiva [37].

Tuttavia la questione va vista sotto una diversa angolazione. Va fatta una dissociazione fra il profilo soggettivo della proprietà e il profilo oggettivo della tutela che è, secondo Merusi, emblematicamente rappresentato dall'amministrazione statale fra Ministero per i beni culturali e il demanio dello Stato [38]. Il che significa che "non bisogna confondere il regime amministrativo della tutela riferibile ai beni a chiunque appartenenti con quello della proprietà e di conseguenza della possibile gestione del bene" [39].

L'uso collettivo del bene è intrinseco alla nozione stessa di museo, perché il museo è un insieme di beni destinati al pubblico godimento, la sua attività, invece s'inquadra nell'attività di erogazione di un servizio al pubblico che se esercitato da un soggetto pubblico è ascrivibile ai servizi pubblici [40].

Le istituzioni museali hanno sperimento, nel corso degli ultimi anni, una profonda trasformazione che ne ha modificato sostanzialmente ruolo, funzioni e significato. Negli ultimi anni la spinta a superare la tradizionale staticità dell'istituzione museale si è fortemente accentuata. Vi sono state non poche innovazioni che hanno riguardato le forme organizzative (di tipo pubblicistico o privatistico o misto) e gestionali (a conduzione pubblica e a conduzione privata), le politiche tariffarie, gli orari di apertura, le modalità di promozione e comunicazione al pubblico [41]. Per di più, gli stessi contenuti dei servizi proposti hanno subito importanti innovazioni: i musei da contenitori di beni tendono a diventare luoghi di eventi (spazi che propongono, ospitano o offrono spazi a esposizioni temporanee, percorsi tematici, seminari, attività culturali e altre manifestazioni di varia natura) [42].

Inoltre, come notato al precedente paragrafo il diritto europeo presta sempre maggiore attenzione ai servizi culturali, ed in particolar modo a quelli museali, in quanto i medesimi possono soggiacere al diritto della concorrenza. Infatti, le attività museali e, più in genere, quelle di fruizione di beni culturali svolte dalle istituzioni culturali assumono, di regola, carattere d'impresa [43]: theatres, museums and libraries etc. that have been publicly funded and financed in the past, will now find themselves together with commercial organisations under the concept of "cultural industries" [44].

2.1. (...) e le criticità sul grado di istituzionalizzazione dell'assetto organizzativo e gestionale

In una tale compagine l'analisi giuridica spesso non è centrale oppure si ricava in via indiretta da quella economica [45], ma limitatamente agli aspetti gestionali e al concreto svolgimento del servizio pubblico [46].

Per una più completa analisi giuridica è opportuno appoggiarsi alle informazioni statistiche. Tuttavia ben presto emerge il limite della reperibilità di dati aggiornati, completi, esaustivi e affidabili, in particolare a livello europeo, poiché manca un istituto/organismo preposto alla raccolta di tali informazioni. Come notato, per ovviare a queste carenze, a livello europeo si stanno gettando le basi per costruire una governance culturale e delineare il contenuto delle politiche culturali attraverso l'elaborazione di metodi di raccolta e di analisi dei dati, inoltre si sta costruendo una rete tra le Istituzioni europee con le autorità nazionali.

L'ulteriore limite che ne emerge è che a livello nazionale in molti Paesi manca un'unità di conoscenza e di organizzazione.

Per quanto riguarda l'unita di conoscenza in Italia un ruolo importante è svolto dall'Istat che nel corso degli anni e da ultimo nel 2012 ha effettuato importanti rilevazioni a carattere censuario e di analisi dei dati. Inoltre un ruolo propulsivo in tale ambito è stato svolto dalla Corte dei conti in sede di funzione di controllo. Ad esempio, nel 2005 nell'ambito della sua attività di controllo, la Corte dei conti ha rilevato una scarsa cognizione della realtà museale a livello nazionale dovuta alla mancanza di un censimento del complessivo sistema musei.

In effetti, entrambi gli organi (di controllo e di statistica), con approcci distinti, hanno rilevato una serie di criticità che ancora oggi sono presenti.

Secondo l'analisi giuridica e prescindendo dal piano simbolico dell'istituzione museale, l'Istat e la Corte dei conti hanno posto l'attenzione soprattutto sul grado di istituzionalizzazione dell'assetto organizzativo dei musei.

Sono emersi non pochi aspetti critici e per nulla trascurabili. Gli organi di controllo e di statistica hanno constatato che: (I) i musei sono realtà debolmente strutturate in termini formali [47]; (II) vi è un'oggettiva difficoltà di individuare, in via generale, l'iter di istituzione di un museo; (III) è difficile distinguere in concreto le funzioni di tutela, valorizzazione e gestione alla luce del nuovo riparto di competenze previsto dal novellato art. 117 della Costituzione; (IV) non è sempre ben definito il rapporto tra l'organo politico e quello gestionale; (V) spesso non vi è una chiara e netta compatibilità della logica aziendale con l'interesse pubblico.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la tendenza, sebbene oggi abbandonata dal legislatore, è (continuare a) configurare i musei come degli uffici dell'ente di afferenza (soprintendenza, assessorato, direzione). Negli anni più recenti, il quadro normativo ha però subito un'evoluzione che ha portato ad ampliare il ruolo e la funzione dei musei: da "contenitore di oggetti d'antichità e d'arte" il museo ha progressivamente assunto l'identità di un soggetto giuridico preposto in modo sempre più esplicito alla fruizione ed alla valorizzazione di "beni culturali", intesi in senso più ampio come l'insieme degli oggetti mobili e immobili e delle altre espressioni materiali che, a prescindere dalla loro natura, costituiscono testimonianza avente "valore di civiltà" [48].

Talché i musei nonostante resistenze ideologiche degli enti di appartenenza sono destinati ad abbondare la figura e la concezione di musei uffici giacché la legge (art. 115, c. 2, Codice beni culturali) spinge verso un diverso modello organizzativo, considerato che la gestione diretta deve essere assicurata mediante strutture organizzative apposite, dotate di autonomia organizzativa, finanziaria contabile e scientifica e del supporto di personale specializzato [49].

Con riferimento al secondo aspetto si nota che nonostante l'importante riordino normativo, di fatto, vi è un'oggettiva difficoltà di individuare, in via generale, l'iter di istituzione di un museo. Difatti, il museo si caratterizza con un istituto non sempre tipizzato, a prescindere dal settore di appartenenza e dalla tipologia. Di conseguenza riguardo a ciascuna fattispecie, la disciplina è rimessa alla normazione propria dell'ente dal quale dipendono, che può essere pubblico o privato [50]. Pertanto la creazione di nuovi musei avviene in svariati modi: con atto formale di legge (statale o regionale), con delibera dell'organo di governo, con un decreto ministeriale, con provvedimento amministrativo, con scrittura privata. Non di rado ci si trova di fronte a strutture rese operative con provvedimenti interni e ordini di servizio del soprintendente o del dirigente, che li hanno resi funzionanti di fatto, ma non ne hanno definito né la missione specifica, né gli obiettivi, né l'organizzazione [51]. Una tale autonomia presenta il grave difetto della mancanza di una tipizzazione normativa a livello di caratteristiche tecniche, gestionali, legislative e scientifiche per ottenere il riconoscimento dello "status" di museo.

A tale carenza ha fatto seguito la mancata adozione di percorsi e procedure amministrative di "riconoscimento" ovvero di "accreditamento" della qualità formale di museo. In particolare sussiste la difficoltà di individuare, in via generale, l'iter di istituzione di un museo. Se si fa riferimento agli enti locali dove vi è la maggior parte dei musei, non sembra che esista nella legislazione una particolare forma di accreditamento che assegni la definizione di museo, né quali siano le autorità pubbliche preposte a verificarne l'esistenza, quanto, piuttosto la verifica del possesso di alcuni requisiti necessari per essere ammessi all'erogazione di contributi pubblici (statali, regionali, provinciali, comunali). Questa incertezza pesa sui musei privati e su quelli pubblici [52].

Sotto il terzo aspetto che si riferisce al livello regionale si nota che la mancanza di una qualificazione univoca del museo nella legislazione regionale, l'assenza degli standard museali ben definiti comporta non poche difficoltà nel distinguere in concreto le funzioni di tutela, valorizzazione e gestione alla luce del nuovo riparto di competenze previsto dal novellato art. 117, Cost.

Le conseguenze che ne derivano sono di due tipi.

La prima conseguenza deriva soprattutto dall'incertezza della normativa regionale in materia di gestione. Le Regioni, in linea di massima e soprattutto in passato, non hanno elaborato politiche e programmi realmente incisivi per i musei. Una sostanziale mancanza di programmazione e coordinamento delle attività, in particolare dell'attività degli enti comunali, ha indotto alla proliferazione di distinte e autonome iniziative. Solitamente gli enti si limitano alla mera erogazione di contributi "a pioggia".

La seconda conseguenza che inevitabilmente deriva dalla prima è data da una sostanziale deresponsabilizzazione degli organi politici che negli istitutivi, negli indirizzi strategici e nell'assegnazione dei fondi hanno spesso seguito logiche contingenti in mancanza di precisazione delle funzioni e delle responsabilità del direttore (deleghe in bianco), di programmazione degli obiettivi di rafforzamento e di sviluppo museale [53].

L'ulteriore (e finale) aspetto riguarda la compatibilità della logica aziendale con l'interesse pubblico. La logica del profitto in senso economico va ritenuta, per la natura stessa del museo, fondamentalmente estranea alla sua "missione". In quest'ambito il "risultato" richiesto non è misurabile facendo riferimento a parametri di carattere economico. I ricavi sono essenzialmente utilizzati come validi indicatori di capacità attrattiva e acquistano significato prevalentemente in termini di verifica della bontà delle scelte strategiche adottate con riferimento all'orientamento al pubblico dell'offerta culturale. Si misura il rapporto fra i proventi della gestione di un museo (biglietti d'ingresso e servizi accessori offerti all'utente) e la spesa (funzionamento, personale, restauro, conservazione, sicurezza, diffusione, valorizzazione). Solitamente l'obiettivo è assicurare il sostentamento e non già il profitto [54].

Il problema sostanziale è dato dal fatto che le logiche e le esigenze di applicare i criteri di efficienza, efficacia ed economicità nell'organizzazione si scontrano con la mancanza di autonomia decisionale e gestionale rispetto all'autorità politica. Il che rende difficile la programmazione delle politiche, delle attività e degli obiettivi dei singoli musei [55].

Una delle scelte strategiche e gestionali più frequenti è rappresentata dall'esternalizzazione, cioè l'affidamento del servizio a terzi soggetti realizzato secondo lo schema del partenariato pubblico privato.

In tal modo l'istituzione museale non è più a gestione diretta, bensì a gestione indiretta. Com'è noto il modello di partenariato pubblico privato applicato al sistema museale comporta non poche difficoltà che sono proprie al settore dei beni culturali e riporta vecchie e nuove criticità. La prima difficoltà si rinviene nella difficile distinzione della gestione dei beni culturali dalla loro tutela, da cui può derivare l'affidamento della prima a soggetti estranei alla sfera pubblica. L'altro aspetto critico che è causa della prima difficoltà, s'individua nella carenza di coordinamento e di indirizzi specifici da parte del soggetto pubblico, che spesso non esplicita in modo chiaro quale sia l'interesse pubblico che necessariamente deve restare primario e, pertanto, l'attività privata al quale deve essere funzionale [56].

3. Il reperimento dei mezzi finanziari

E' constatato che i musei pubblici sono prevalentemente, salvo alcune eccezioni, strutture prive di alcuna autonomia organizzativa, finanziaria e contabile. Non hanno un proprio bilancio, né proprie regole di contabilità. Raramente hanno documenti che testimoniano il proprio e distinto andamento finanziario, non hanno proprio personale dipendente (quello stabile di cui dispongono è di ruolo presso il ministero, la regione, provincia, comune o altro ente), non hanno perciò relazioni industriali, non sempre hanno comitati scientifici, non hanno propri documenti patrimoniali, non hanno propri regolamenti, e in genere nemmeno sono propriamente organi, poiché sono di massima totalmente dipendenti da altri uffici [57].

Il d.m. 10 maggio 2001 [58] ha definito gli standard museali che in teoria faciliterebbero una definizione formale dello status giuridico dei musei attraverso la necessità di disporre di uno statuto, di un regolamento o di un altro documento scritto. Ma la ricognizione pratica del fenomeno ha evidenziato che difficilmente i musei sono provvisti di tali forme di regolamentazione [59].

Una misura indicativa, e comunque sintomatica, del grado di istituzionalizzazione dell'assetto organizzativo adottato, infatti, è data, appunto, dal grado di diffusione di strumenti organizzativi quali lo statuto, il regolamento, la carta servizi e il bilancio autonomo. Sulla base dei dati raccolti dall'Istat nel 2010, meno di un museo e un'istituzione similare su tre (31% del totale) sono dotati di uno statuto, cioè di un documento costitutivo che ne espliciti e ne descriva la missione, le funzioni e le attività. Solo il 36,5% dei musei e delle istituzioni similari non statali dispongono di un regolamento che ne disciplini l'organizzazione interna. A ciò si aggiunge la diffusa carenza di adeguati strumenti di rendicontazione finanziaria dell'attività gestionale, che consentirebbero di identificare in modo appropriato, di tenere sotto controllo e di valutare le risorse impiegate, le attività realizzate e i risultati conseguiti, dal momento che solo il 18,7% degli istituti ha dichiarato di disporre di un bilancio autonomo.

Nella larga maggioranza dei casi quindi si tratta di istituzioni la cui attività - pur importante sul piano economico oltre che culturale - non ha evidenza oggettiva e resta indistinta e per certi versi invisibile rispetto alla gestione amministrativa dell'ente di appartenenza. Nonostante che la legislazione abbia abbandonato la figura del c.d. museo-ufficio dando una nuova definizione di museo (art. 115, c. 2, Codice beni culturali), la conformazione giuridica di molti musei rimane ancorata al modello di pertinenza dell'ente (territoriale o centrale). In tal modo il museo è strutturato come una semplice unità interna dell'ente stesso e la forma di gestione è in economia o secondo la forma dell'istituzione. Nel caso della forma di gestione in economia manca l'autonomia finanziaria e giuridica del museo, inoltre l'autonomia decisionale ne è limitata. Nell'ipotesi di forma di gestione per mezzo di "istituzione" vi è la separazione gestionale dall'ente di riferimento. Anche in questo caso però vi è poca autonomia finanziaria e giuridica, mentre l'autonomia decisionale è limitata dall'indirizzo dell'ente. In queste due ipotesi casi il sistema gestionale e di rendicontazione segue le regole dell'ente di appartenenza con tutti gli svantaggi che ne derivano in termini di efficiente gestione in chiave economica.

Un approccio contraddistinto dall'autonomia gestionale e da una maggiore autonomia giuridica si rinviene nel modello della fondazione" e della "fondazione di partecipazione". In questo caso l'autonomia contabile e gestionale è maggiore ma è condizionata dai finanziamenti pubblici, talché vi può essere una scarsa autonomia finanziaria in assenza di finanziamenti privati.

La forma di gestione con i maggiori profili di autonomia e migliori possibilità di gestione in chiave economica è data dal modello societario che nel sistema nazionale è molto raro.

Uno degli aspetti critici che si evidenziano, oltre le questioni inerenti alla carente programmazione a monte e la correlativa gestione, riguarda il reperimento dei mezzi di finanziamento.

E' noto che a causa del quadro congiunturale dell'economia italiana e degli effetti delle misure di riequilibrio strutturale dei conti pubblici le politiche in materia di attività culturali, da alcuni anni si sviluppano in un quadro economico caratterizzato dalla progressiva riduzione degli stanziamenti. Le politiche finanziarie di questi ultimi anni hanno, infatti, progressivamente imposto al sistema delle imprese culturali italiane una decurtazione dei finanziamenti pubblici nonostante che il sistema italiano sia caratterizzato dell'oggettiva straordinarietà dei suoi contesti ambientali, storico-artistici e culturali [60].

Di fronte al crollo dell'intervento pubblico si evoca il contributo dei privati [61]. Tuttavia, secondo gli studi degli economisti e dall'analisi degli andamenti della spesa pubblica, la spesa privata diretta ai consumi culturali dipende strettamente dalla relativa dimensione della spesa pubblica. Vuol dire che l'incremento della spesa pubblica provoca l'incremento della spesa privata [62]. Vuol dire che la spesa privata essenzialmente assume un ruolo di complementarietà e non di sostituzione.

La riduzione delle risorse pubbliche suggerisce di intraprendere nuovi percorsi. In particolare se ne individuano due.

Il primo suggerisce di concentrare le risorse su progetti capaci di consolidare eccellenze già presenti sul territorio e accrescere l'efficienza operativa, anche attraverso un'organizzazione delle strutture complessivamente più snelle e meno costose [63].

Il secondo suggerisce un diverso approccio con i soggetti privati in termini di complementarità tra pubblico e privato che in base al citato Manifesto per la Cultura deve divenire la "cultura diffusa" e non presentarsi solo in episodi isolati. Questo modulo relazionale può esistere solo se non è pensato come sostitutivo dell'intervento pubblico, ma fondato sulla condivisione con le imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura. Vi è, infatti, la necessità di una ridefinizione complessiva del rapporto fra cultura ed economia. Il settore pubblico e quello privato devono trovare un punto d'incontro che vada al di là del mero scambio commerciale proprio delle sponsorizzazioni e che veda il formarsi di una convergenza di interessi, seppur rispettosa dei rispettivi ambiti [64]. Ad esempio, un modo per creare le condizioni per una reale complementareità tra investimento pubblico e intervento dei privati è rappresentato da un efficace sistema di sgravi fiscali che sia attrattivo per le imprese [65]. Tuttavia, nel nostro Paese il trattamento fiscale continua a essere poco favorevole ai contributi privati. Ancorché i privati sarebbero disposti e interessati a finanziare la cultura, il più delle volte sono scoraggiati dalla complessità delle procedure e dall'assenza di validi incentivi fiscali [66].

Per quanto riguarda le fonti di finanziamento si possono individuare una serie canali.

Innanzitutto, vi sono le fonti provenienti dalla finanza derivata, cioè dai trasferimenti, e che trova copertura essenzialmente nelle entrate tributarie generali o in quelle appositamente reperite con vincolo di destinazione: come esempio si può citare il recente finanziamento di maggiori oneri per la cultura con l'aumento della tassa sui consumi degli oli lubrificanti e dell'accisa sull'alcool (cfr. artt. 14 e 15 legge n. 112/2013).

Un'altra fonte di entrate, di tipo patrimoniale, si rinviene nell'impiego redditizio del patrimonio culturale, cioè nelle gestioni secondo logiche aziendali che predicano la massimizzazione del risultato (economico e culturale) e la riduzione dei costi (con risparmi conseguenti a beneficio della collettività) [67]. Si consideri che nei depositi dei musei italiani giace un "patrimonio artistico invisibile" e che è difficile da fruire. Talvolta è oggetto di furti, molto probabilmente mai sarà esposto e rischia il deperimento. Vi sono enormi giacimenti culturali che non sono sfruttati, ma che andrebbero valorizzati attraverso scambi di opere (in giacenza) con altri musei, con prestiti onerosi, con la rotazione della collezione esposta e con l'organizzazione di maggiori esposizioni [68]. Se ne trae che la componente delle entrate patrimoniali ha una potenzialità di crescita importante, ma trova il freno nel sistema gestionale inadeguato.

E ancora, un'altra fonte di entrate è data dalla cooperazione con le multiformi espressioni del "privato": dall'impresa al terzo settore passando per il non profit, le fondazioni, le forme associative e che possono trovare fonte di finanziamento anche nelle sponsorizzazioni e nelle donazioni.

Infine, vi sono le risorse comunitarie, in particolare i fondi strutturali il cui utilizzo tempestivo, proficuo e regolare sarebbe auspicabile.

La prima forma di finanziamento (i trasferimenti dall'ente statale, regionale o locale) è la più "comoda", mentre le altre forme di finanziamento possono addirittura creare un quadro di vere difficoltà perché "non c'è nulla di più estraneo alla forma amministrativa ministeriale dell'ordinaria esigenza di curare anche la possibilità di provvedersi di risorse integrative" [69].

Di recente il legislatore della legge n. 112/2013 è intervenuto sulle ora indicate fonti di finanziamento adottando un approccio basato sulle logiche aziendali e di maggiore coinvolgimento dei privati nella valorizzazione e gestione dei beni culturali (cfr. art. 12).

L'art. 3, c. 1, legge n. 112 cit., nel disporre le riduzioni di stanziamento e la previsione di aumento di imposizioni destinate a finanziare la cultura, ha riconosciuto una maggiore autonomia finanziaria ai musei i quali dovranno "dimostrarsi capaci di far da sé nel reperire risorse ulteriori" e "contare sulla libertà d'iniziativa" [70].

Con "l'oscura formulazione" del citato art. 3, che ha soppresso il riferimento all'art. 110 del Codice dei beni culturali e del paesaggio contenuto nell'elenco 1 allegato alla legge n. 244/2007 sulle disposizioni legislative autorizzative di riassegnazioni di entrate, è stato introdotto "un meccanismo di grande interesse contabile e pratico" [71].

Il richiamato art. 110 del Codice fa riferimento ai proventi che derivano dalla vendita dei biglietti di ingresso nei diversi istituti e luoghi della cultura del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (Mibact) nonché dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali (concessioni di beni mobili ed immobili, riproduzioni di immagini ed oggetti). Per effetto dell'innovazione normativa della legge n. 112, tali proventi - in precedenza restituiti dal Mibact al Ministero dell'economia e delle finanze (Mef) in omaggio al principio di unità di bilancio, salvo, poi successiva ma solo parziale rassegnazione (fino a un importo massimo del 50%) da parte dello stesso Mef al Mibact - saranno riassegnati a decorrere dall'anno 2014 allo stato di previsione della spesa dell'esercizio in corso del Mibact [72].

Il legislatore si è altresì occupato dalla questione delle erogazioni liberali a favore di musei. Nel nostro Paese le erogazioni liberali intese in senso lato (donazioni e sponsorizzazioni) sono esigue rispetto all'ammontare raccolto dai musei di altri Paesi come il Regno Unito [73] e gli Stati Uniti.

Principalmente sono stati individuati tre fattori negativi.

Il primo riguarda il sistema delle agevolazioni fiscali previsto per le erogazioni liberali che è eccessivamente macchinoso e burocratizzato tanto da non favorire il donatore.

Il secondo fattore attiene al sistema d'incentivazione a donare: manca un efficace sistema di promozione e sensibilizzazione ad elargire e difettano "i meccanismi di riconoscimento sociale e visibilità personale per il donatore".

Inoltre, vi è una scarsa trasparenza e tracciabilità nell'impiego delle erogazioni liberali raccolte dalle istituzioni culturali. Quest'ultimo (terzo) aspetto, come già notato sopra, è caratterizzato soprattutto dallo scarso grado di istituzionalizzazione dell'organizzazione del museo. Infatti, gran parte dei musei italiani non ha identità giuridica e non ha un conto economico proprio. Essi hanno un carattere "istituzionale" che è comunemente attribuito solamente sul piano simbolico e non già su quello giuridico. In questi casi chi dona in realtà non sceglie a chi, poiché in assenza di un'autonomia amministrativa e finanziaria dell'istituzione museale, le risorse vanno nelle casse dell'ente di appartenenza e solo successivamente riversate al museo.

Sul fronte delle sponsorizzazioni è intervenuto il legislatore della legge n. 35/2012 che ha convertito (con modifiche) il d.l. n. 5/2012, con l'art. 61, c. 1 dal quale è generato il d.m. (Mibact) 19 dicembre 2012 che ha approvato le "Norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate" e ne ha dato una compiuta disciplina [74].

Invece il legislatore della legge n. 112/2013, all'art. 12, è intervenuto sul sistema delle donazioni di modico valore (fino a diecimila euro) ponendo una serie di parametri come: a) la massima semplificazione ed esclusione di qualsiasi onere amministrativo a carico del privato; b) la garanzia della destinazione della liberalità allo scopo indicato dal donante; c) la piena pubblicità delle donazioni ricevute e del loro impiego, mediante una dettagliata rendicontazione, sottoposta agli organi di controllo; d) la previsione della possibilità di effettuare le liberalità mediante versamento bancario o postale ovvero secondo altre modalità (interamente tracciabili).

A conclusione di questo scritto si richiama quella dottrina che con dati finanziari alla mano ha notato che "è del tutto assente una politica che faccia leva sull'economia dei beni culturali sfruttando il vero patrimonio e la vera ricchezza del nostro Paese", perché se è ben vero che vi sia "una rigorosa normativa sulla tutela" è, anche, ben vero che "questo patrimonio non è adeguatamente valorizzato" [75]. A questa considerazione si aggiunge il pensiero che la normativa anticrisi e la progressiva formazione di una governance europea in ambito culturale contribuiscano ad aprire una nuovo varco verso una maggiore e migliore fruizione redditizia del patrimonio culturale quale modo e fonte di tutela e valorizzazione dello stesso.

 

Note

[1] Ssn-Istat, I musei e gli istituti similari non statali, 2010, 6, pag. 7.

[2] A.L. Tarasco, La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell'economia, in Foro amm. - C.d.S, 2006, 7-8, pag. 2382 ss.

[3] G. Cerrina Feroni, Profili giuridici della gestione dei musei nelle esperienze del Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, in www.giustamm.it, 2009.

[4] Consiglio dell'Unione europea, 26 novembre 2012, Conclusioni sulla governance culturale, in Guce, 19.12.2012, C 393, pag. 8-9.

[5] A. Bartolini, (voce) Beni culturali (diritto amministrativo), in Enc. dir., Annali VI, Milano, 2013, pag. 116.

[6] A.M. Gambino, Per uno sviluppo del patrimonio culturale: la leva fiscale, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 109.

[7] A. Cherchi, L'industria della cultura, in Il sole 24 Ore, 29 febbraio 2012.

[8] R. Grossi, Spendere per la cultura fa bene al Paese, in Il sole 24 Ore, 23 febbraio 2012.

[9] Ci si riferisce al discorso reso dal Presidente della Repubblica in occasione del XX anniversario di Giornata FAI del 23 marzo 2012.

[10] Il Manifesto per la Cultura è composto da cinque grandi capisaldi da presidiare: una Costituente per la Cultura; strategie di lungo periodo; cooperazione tra ministeri; l'arte a scuola e la cultura scientifica; merito, complementarietà pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale.

[11] Niente cultura, niente sviluppo, in Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2012.

[12] W. Santagata, (voce) Economia della cultura in XXI Secolo, in Treccani.it. Quest'A. osserva come il binomio cultura-economia è stato considerato dall'ortodossia accademica con sospetto, se non con disprezzo, fino a qualche decennio fa, e non poteva essere diversamente se gli strumenti analitici e gli assiomi dell'economia classica (teoria del valore-lavoro, teoria della distribuzione del reddito) e di quella neoclassica (ipotesi di rendimenti decrescenti, preferenze individuali date, scelte razionali), erano inadeguati di fronte all'irriducibilità della cultura e dei suoi prodotti a un modello in cui i beni perdono la loro specificità e personalizzazione.

[13] In tal senso con estrema sintesi W. Santagata, (voce) Economia della cultura in XXI Secolo, cit. che richiama (e si rinvia la consultazione di) W.J. Baumol, W.G. Bowen, Performing arts: the economic dilemma, New York, 1966 e M. Blaug (edited by), The economics of the arts, London, 1976.

[14] G. Pennisi, L'importanza del capitale umano, in Il sole 24 Ore, 22 febbraio 2012. In questo articolo l'A. dimostra come "il capitale umano attira altro capitale umano, forma reti di capitale sociale ed avvia e sostiene il processo di sviluppo". Cita come esempio uno studio di Olivier Falck (dell'Ifo, il maggior centro di ricerca economica della Repubblica Federale), Michael Fritsch (dell'università di Jena) e di Stephan Heblich (del Max-Planck-Institut) - pubblicato dall'Iza (l'istituto tedesco di studi sul capitale umano) come Discussion Paper No. 5065 - con il quale si documenta che la più dispendiosa delle arti sceniche, l'opera lirica, è stata un volano di sviluppo. Questo lavoro analizza, in termini quantitativi, come in 29 bacini territoriali tedeschi, l'esistenza di un teatro d'opera sia stata essenziale alla crescita perché ha comportato, da un lato, una concentrazione di capitale umano (lavoratori specializzati, musicisti, orchestrali, cantanti) e, da un altro, un'apertura al resto del mondo (tramite le compagnie di giro).

[15] Consiglio dell'Unione europea, 26 novembre 2012, Conclusioni sulla governance culturale, cit., pag. 8-9. La cultura, oltre a costituire fondamentale fattore di coesione e di integrazione sociale, rappresenta un oggettivo e dimostrato fattore di sviluppo economico. Le attività culturali incidono sui valori dell'economia e delle attività produttive, determinando un indotto destinato a riflettersi ed incidere favorevolmente sull'aumento degli scambi, del reddito e dell'occupazione; in tal senso G. Improta, Il sostegno pubblico all'impresa culturale, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 31.

[16] In effetti, il governo della cultura ha bisogno di misurare lo sviluppo culturale.

[17] Ssn - Istat, I musei e gli istituti similari non statali, cit., pag. 7.Si nota altresì come "numerosi studi a livello internazionale hanno dimostrato come il sistema della produzione culturale e delle attività creative sia tra i più importanti settori per dimensione economica, è anche vero che questi studi hanno adottato definizioni e metodologie molto differenti per delimitare il loro campo di indagine e misurare le variabili di riferimento"; così W. Santagata - E. Bertacchini, Economia creativa. Come misurarla?, in Il Sole 24 Ore, 18 marzo 2012.

[18] Ad es. è riconosciuto il valore storico e culturale nella tradizione italiana del carnevale e delle attività e manifestazioni ad esso collegate, nonché delle altre antiche tradizioni popolari e di ingegno italiane. Pertanto ne sono favorite la tutela e lo sviluppo in accordo con gli enti locali. Così di recente ha stabilito il legislatore all'art. 12 della legge 7 ottobre 2013, n. 112, conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo.

[19] Su quest'aspetto è intervenuto il legislatore con la legge n. 112/2013, art. 2, che ha attuato un programma straordinario finalizzato alla prosecuzione e allo sviluppo delle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale, anche al fine di incrementare e facilitare l'accesso e la fruizione da parte del pubblico, pure attraverso l'utilizzo di appositi portali e dispositivi mobili intelligenti.

[20] W. Santagata, Libro bianco sulla creatività - Per un modello italiano di sviluppo, Milano, 2009, pag. XII.

[21] A.L. Tarasco, La gestione dei beni culturali degli enti locali: profili di diritto dell'economia, cit., pag. 2389.

[22] Ibidem.

[23] W. Santagata, (voce) Economia della cultura in XXI Secolo, cit.

[24] Ibidem.

[25] Si utilizza la tecnica di ricerca basata sui dati di fatto o il c.d. evidence based approach che è ripreso dal settore medico (evidence based medicine) e che da lì si è diffuso in altri settori, come la psicologia, l'educazione, la scienza, il settore bibliotecario, il sistema dei controlli e quello della certificazione di qualità. E' un metodo razionale basato non già su opinioni e sensazioni, bensì su dati di fatto che devono essere attendibili, verificabili e confrontabili al fine di poter svolgere uno studio di ricerca. I dati e i fatti sono selezionati e interpretati secondo una griglia di criteri predeterminati in base alle specifiche caratteristiche del settore indagato. Questo metodo normalmente non considera predominanti gli studi teorici e quelli qualitativi, bensì predilige gli studi quantitativi secondo una serie limitata e predeterminata di criteri secondo i quali sono catalogati i dati raccolti, i quali ne costituiscono la prova della ricerca. E' un approccio basato su dati statistici, sulla raccolta e sulla catalogazione di essi. Dati che però a loro volta permettono un migliore sviluppo degli strumenti di conoscenza unitaria, ma consentono anche di implementare gli studi teorici e quelli qualitativi; cfr. Consiglio dell'Unione europea, 26 novembre 2012, Conclusioni sulla governance culturale, cit., pag. 9.

[26] W. Santagata - E. Bertacchini, Economia creativa. Come misurarla?, cit.

[27] Consiglio dell'Unione europea, 26 novembre 2012, Conclusioni sulla governance culturale, cit., pag. 9.

[28] Come già tracciato nelle esperienze comunitarie da ESSnet-Culture e da LEG-Culture e in quelle internazionali dell'UNESCO, 2009 FCS.

[29] Ssn - Istat, I musei e gli istituti similari non statali, cit., pag. 7.

[30] Ibidem.

[31] L. Marchegiani, I segni distintivi dei musei, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 169 ss.

[32] G. Cerrina Feroni, Profili giuridici della gestione dei musei nelle esperienze del Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, in www.giustamm.it, 2009.

[33] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/AUT/2005, Relazione sul controllo. Musei degli enti locali, pag. 13.

[34] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/AUT/2005, cit., pag. 14.

[35] Così nota F. Merusi, La disciplina giuridica dei musei nella costituzione tra stato e regioni, Relazione, con modificazioni e integrazioni, presentata al Convegno "Musei. Discipline, gestioni e prospettive", Fondazione Cesefin Alberto Predieri, Firenze, 22 aprile 2009, pag. 7.

[36] Sul tema G. Fiori, L'impresa culturale: modello e gestione, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 15 ss.

[37] F. Merusi, La disciplina giuridica dei musei nella costituzione tra stato e regioni, cit., pag. 2.

[38] F. Merusi, op. cit., pag. 4.

[39] F. Merusi, op. cit., pag. 3.

[40] F. Merusi, op. cit., pagg. 5-6.

[41] Sul punto e, in particolare, sulle nuove dinamiche organizzative dei servizi culturali e, in particolare degli enti locali, si rinvia a G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, in Aedon, 2003, 3; Idem, I modelli di organizzazione dei servizi culturali:novità, false innovazioni e conferme, ibidem, 2002, 1.

[42] L. Marchegiani, I segni distintivi dei musei, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 169 ss; C. Barbati, Le forme di gestione, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo Bologna, 2006, pag. 210 ss.

[43] A. Bartolini, voce Beni culturali (diritto amministrativo), cit., pag. 116.

[44] ESSnet-CULTURE, Final report, Luxemburg, 2012, pag. 135-9.

[45] G. Cerrina Feroni, Profili giuridici della gestione dei musei nelle esperienze del Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, in www.giustamm.it, 2009.

[46] Infatti, negli ultimi anni l'accento si è spostato su una gestione orientata non solo alla corretta conservazione dello stesso ma soprattutto alla sua valorizzazione, alla diffusione verso fasce di utenza sempre più ampie, mediante tecniche di comunicazione, gestione e organizzazione simili a quelle delle imprese propriamente dette. Per questo motivo gli studi sul management delle organizzazioni artistiche e culturali hanno negli ultimi tempi acquisito sempre più rilevanza sia per gli operatori del settore che per gli studiosi di economia aziendale in genere, al fine di identificare una via economicamente conveniente per proteggere, gestire e incrementare il patrimonio culturale e artistico di un paese; così osserva G. Fiori, L'impresa culturale, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 15-16.

[47] Sebbene vi siano regole tecniche di supporto come ad esempio il d.m. (Mibac), 10 maggio 2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (Art. 150, comma 6, del D.Lgs. n. 112 del 1998), in G.U. 19 ottobre 2001, n. 244, S.O.

[48] Ssn - Istat, I musei e gli istituti similari non statali, cit., pag. 9.

[49] A. Maresca Campagna, Il progetto di ricerca, in MBAC, La carta di identità del museo. Il Regolamento, Roma, 2009, pag. 10; Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/AUT/2005, cit.,pag. 14. Sul punto e, in particolare, sulle nuove dinamiche organizzative dei servizi culturali e, in particolare degli enti locali, si rinvia a G. Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, cit.; Idem, I modelli di organizzazione dei servizi culturali:novità, false innovazioni e conferme, cit.

[50] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/Aut/2005, cit., 15.

[51] A. Maresca Campagna, Il progetto di ricerca, cit., pag. 9 ss.

[52] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/Aut/2005, cit., pag. 13.

[53] A. Maresca Campagna, Il progetto di ricerca, cit., pag. 9 ss; Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/Aut/2005, cit., pag. 59.

[54] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/Aut/2005, cit., pag. 11.

[55] A. Maresca Campagna, Il progetto di ricerca, cit., pag. 9 ss.

[56] Corte dei conti, Sez. Autonomie, delib. n. 8/Aut/2005, cit., pag. 262.

[57] P. Forte, Musei e "altri" beni culturali. Codice etico di ICOM e disciplina dei musei in Italia, in Aedon, 2010, 2.

[58] D.m. (Mibac), 10 maggio 2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (Art. 150, comma 6, del D.Lgs. n. 112 del 1998), in G.U. 19 ottobre 2001, n. 244, S.O.

[59] Per approfondimenti il rinvio a C. Barbati, Gli standard nazionali di qualità per le professioni museali: le prospettive possibili, in Aedon, 2008, 1; G. Sciullo, Musei e codecisione delle regole, in Aedon, 2001, 2.

[60] A.M. Gambino, Per uno sviluppo del patrimonio culturale: la leva fiscale, in Analisi giuridica dell'economia, 2007, 1, pag. 109.

[61] R. Grossi, Spendere per la cultura fa bene al Paese, in Il sole 24 Ore, 23 febbraio 2012.

[62] A.M. Gambino, op. cit., pag. 110.

[63] Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, 27 giugno 2013, Decisione e Relazione sul Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2012, La gestione del bilancio dello Stato 2012, Ministero per i beni e le attività culturali, Vol. II, in www.corteconti.it, pag. 391. Su questa linea vi è anche la recente legge di stabilità per il 2014 (l. n. 147/2013) che all'art. 1, c. 382, detta i principi e criteri direttivi per il regolamento di erogazione dei contributi statali di cui alla legge 17 ottobre 1996, n. 534 sull'erogazione di contributi statali alle istituzioni culturali.

[64] A.M. Gambino, op. cit., pag. 111.

[65] A tal proposito: Niente cultura, niente sviluppo, in Il Sole 24 Ore, cit.

[66] L. Bini Smaghi, Il Fisco può aiutare il Pil dell'arte, in Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2012.

[67] L. Tarasco, Il governo efficiente del patrimonio culturale, in Riv. Giur. del Mezzogiorno, XXVII, 2013, 3, pag. 454.

[68] M. Pirrelli, I giacimenti nascosti dell'arte, in Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2012. Inoltre, i musei italiani, a differenza dei musei inglesi o americani, non possono alienare opere del patrimonio pubblico. Non si può ricorrere al sistema del cosiddetto deaccessioning alienando opere rispettando i vincoli sui ricavi reinvestendo nella collezione. Su questo tema, anche: S. Manzocchi, Dismissioni pubbliche per valorizzare la cultura, in Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2012.

[69] M. Cammelli, Prefazione, in I beni culturali tra tutela, mercato e territorio, a cura di L. Covatta, I Paper di Astrid, Firenze, 2012, pag. 9.

[70] S. Carrubba, A scuola di cultura da Cameron, in Il Sole 24 Ore, 5 luglio 2013, pag. 15.

[71] L. Tarasco, Il governo efficiente del patrimonio culturale, cit., pag. 454.

[72] L. Tarasco, op. cit., pag. 455.

[73] Si consideri anche che nel Regno Unito le donazioni in danaro non subiscono imposizione, le sponsorizzazioni sono equiparate a spese di lavoro.

[74] Sul tema R. Chieppa, Il nuovo regime delle erogazioni liberali e delle sponsorizzazioni: il settore dei beni culturali e l'intervento delle fondazioni, in Aedon, 2013, 2; A. Musso, La sponsorizzazione come contratto commerciale, ibidem; S. Casciu, Il tema delle sponsorizzazioni/erogazioni liberali visto dalla parte delle Soprintendenze: difficoltà, equivoci, burocrazia, mentalità, ibidem; G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 1-2; F. Mastragostino, Sponsorizzazioni e pubbliche amministrazioni: caratteri generali e fattori di specialità, in Aedon, 2010, 1.

[75] A. Bartolini, (voce) Beni culturali (diritto amministrativo), cit., pag. 131, il quale richiama la Memoria del Procuratore generale della Corte dei conti, resa in sede di giudizio sul Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2011, 28 giugno 2012, in www.corteconti.it, pag. 309 ss. Sull'argomento nell'ambito del Manifesto per la Cultura: R. Grossi, Spendere per la cultura fa bene al Paese, in Il sole 24 Ore, 23 febbraio 2012 A. Cherchi, Vince la città che investe più in cultura, ivi, 25 febbraio 2012; Idem, L'industria della cultura, ivi, 29 febbraio 2012.

 



copyright 2013 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina