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Anche il reddito degli immobili storici locati a uso
non abitativo dev'essere determinato su base catastale

(Nota a Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza 23 maggio 2005, n. 10860)

di Alessandro Turchi


Sommario: 1. Premessa. - 2. La sentenza in commento. - 3. Ulteriori profili emersi all'attenzione della giurisprudenza.



1. Premessa

Il problema della tassazione del reddito derivante dal possesso di immobili storici concessi in locazione è stato affrontato in numerose occasioni dai giudici di legittimità, e risolto in modo pressoché univoco a favore dei proprietari, che hanno vista riconosciuta la tesi secondo cui detto reddito coincide con quello catastale, determinato mediante applicazione della più bassa tariffa d'estimo della zona, e non con il canone pattuito (seppur al netto delle riduzioni di legge). La tesi si fonda sulla lettera e sulla ratio dell'art. 11, 2° comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale sancisce che "in ogni caso" il reddito degli immobili storici è determinato con riferimento alla minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della relativa zona censuaria: norma che - diversamente da quanto ritiene l'amministrazione finanziaria - la Corte di cassazione considera appunto applicabile a tutti gli immobili storici, compresi quelli concessi in locazione [1].

Questo indirizzo è stato ribadito anche con riguardo a fattispecie verificatesi dopo l'entrata in vigore della legge 9 dicembre 1998, n. 431 che, al fine di incentivare la stipula di locazioni di immobili ad uso abitativo secondo le modalità da essa previste, ha riconosciuto specifiche agevolazioni fiscali in materia. In particolare, l'art. 8, 1° comma, prevede, con riferimento agli immobili situati in comuni ad alta densità abitativa, una riduzione del 30% del "reddito imponibile ... determinato ai sensi dell'art. 34" (oggi, art. 37) del Testo Unico. Ad opinione dell'amministrazione finanziaria, la norma confermerebbe che, in caso di locazione immobiliare, il reddito imponibile debba essere sempre calcolato e tassato in base alle disposizioni del Testo Unico, con conseguente sua determinazione in misura pari al canone locativo ridotto [2]: ma è possibile replicare che lo stesso art. 34 del Testo Unico identificava (come l'art. 37 identifica) il reddito degli immobili concessi in locazione, a seconda dei casi, in quello catastale od in quello effettivo, sicché il beneficio accordato dall'art. 8, 1° comma, della l. 431/1998 risulta in realtà applicabile in entrambe le ipotesi [3]: tanto il canone locativo al netto della riduzione forfetaria del 15%, quanto (se superiore) la rendita catastale possono perciò fruire della riduzione del 30%.

 

2. La sentenza in commento

La pronuncia in commento - che si segnala per l'accuratezza e l'incisività della motivazione - non solo conferma l'indirizzo assunto dal Supremo Collegio, ma ne riconosce l'applicabilità anche alle locazioni di immobili storici stipulate ad uso non abitativo. La questione nasce dal fatto che, nel prevedere il criterio di calcolo del reddito derivante dalla locazione di immobili storici, il citato art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 fa riferimento alla minore fra le tariffe d'estimo esistenti per le "abitazioni" site nella zona censuaria: il che potrebbe indurre a ritenere utilizzabile detto criterio solo per gli immobili destinati ad abitazione.

Uno spunto in tal senso sembrava in effetti provenire da altra sentenza di legittimità, secondo cui la locuzione "in ogni caso", contenuta nella norma ora richiamata, sarebbe stata idonea a ricomprendere i fabbricati storici "in genere destinati ad abitazione, siano essi goduti direttamente o concessi in godimento ad altri", mentre non avrebbe avuto senso "ritenere applicabile al reddito di immobili riconosciuti di interesse storico ed artistico aventi una destinazione diversa da quella abitativa la stessa disciplina agevolativa della minore tariffa d'estimo prevista per le abitazioni" [4]. L'impatto di questa sentenza era stato però fortemente ridimensionato dalla stessa Corte con una successiva pronuncia - richiamata in motivazione - in cui si dava atto che, nel caso affrontato nel 2002, la destinazione ad abitazione non rifletteva l'uso specifico dell'immobile, "ma quella tipicamente catastale di suddivisione di tutti gli edifici in (cinque) 'gruppi' (contrassegnati dalle lettere dell'alfabeto dalla 'A' alla 'E')", sicché nemmeno la sentenza n. 11211 del 2002 aveva inteso in realtà riconoscere "la rilevanza della destinazione d'uso degli immobili di interesse storico-artistico ai fini dell'applicazione dell'agevolazione di cui all'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991" [5].

Ciò chiarito, la pronuncia in esame ricorda come anche la Corte costituzionale abbia considerato legittima la concessione di agevolazioni fiscali ai proprietari di immobili storici "in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni, quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9, 2° comma, Cost.", ritenendo che l'elemento decisivo nella valutazione della ragionevolezza del criterio introdotto dall'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 sia costituito dall'esistenza del vincolo (id est, dalla natura storica od artistica del fabbricato) e non dal fatto che questo sia concesso in locazione [6]. La Consulta ha escluso l'irragionevolezza della norma che prevede l'assoggettamento ad identica tassazione degli immobili vincolati, concessi o meno in locazione: dal che deriva, a fortiori, l'arbitrarietà di qualsiasi criterio volto a dar rilievo alla particolare destinazione dell'immobile, e - dunque - al fatto che esso sia locato ad uso abitativo o commerciale.

In definitiva, come si legge in sentenza, "né l'interesse pubblico alla conservazione dell'immobile di interesse storico-artistico, né i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, né l'incertezza sulla determinazione del reddito effettivo (da desumersi dal reddito locativo) che l'incidenza di tali costi causa, dipende dalla diversa destinazione, abitativa o meno, dell'immobile", sicché limitare l'applicazione dell'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 agli immobili storici locati ad uso abitativo "significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole, tenuto conto della ratio legis della norma agevolativa, e optare, di conseguenza, per un'interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente conforme".

 

3. Ulteriori profili emersi all'attenzione della giurisprudenza

Merita infine accennare a due recenti sentenze di cassazione che hanno chiarito la portata operativa dell'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 sotto profili diversi da quello in esame.

Per un verso, la Corte ha stabilito che la disposizione si applica anche nei casi in cui il proprietario dell'immobile vincolato non adempia agli obblighi previsti per consentire l'esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato. E' vero infatti che l'art. 134 del Testo Unico sanciva (come oggi l'art. 190) la perdita di ogni agevolazione fiscale per il proprietario che non avesse assolto detti obblighi: ma il diritto di prelazione risultava - e risulta oggi - previsto solo per il caso di "alienazione a titolo oneroso" dell'immobile, non anche per la locazione, sicché la sanzione de qua interessa l'applicazione delle imposte dovute sulla vendita, e non di quelle applicabili in caso di locazione [7].

Per altro verso, si è affermato che la disciplina introdotta dall'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 trova applicazione solo nell'ambito della materia per la quale è stata dettata, e cioè per le imposte sui redditi, non interessando invece la determinazione dell'imposta di registro dovuta in occasione del trasferimento di immobili vincolati, per la quale il legislatore ha comunque previsto un'aliquota agevolata, sempreché l'acquirente assolva gli obblighi di conservazione e protezione previsti dalla legge [8].

 



Note

[1] Per più estesi riferimenti all'evoluzione giurisprudenziale ed alle posizioni assunte dalla dottrina e dall'amministrazione finanziaria, sia consentito rinviare ad A. Turchi, Reddito degli immobili storici locati: la Cassazione non cambia orientamento (nota a Cassazione civile, sezione tributaria, sentenza 9 novembre 2004, n. 21316), in Aedon, n. 1/2005.

[2] Così le circolari n. 6/E del 22 marzo 2001, in Boll. trib., 2001, 453, e n. 55/E del 20 giugno 2002, ivi, 2002, 1018.

[3] In questo senso si sono recentemente espresse Cass., 15 ottobre 2004, n. 20354, in Mass. giur. it., 2004, e Id., 22 luglio 2004, n. 13687, ibid., secondo cui l'art. 8, 1° comma, della l. 431/1998 "nel prevedere l'abbattimento del 30% del reddito imponibile non esclude l'applicazione della norma speciale di cui all'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991".

[4] Cass., 30 luglio 2002, n. 11211, in Foro it., 2003, I, 2452.

[5] Cass., 3 febbraio 2005, n. 2178, in Mass. giust. civ., 2005.

[6] Corte cost., 28 novembre 2003, n. 346, in Riv. dir. trib., 2004, II, 99, con nota di De Marco, Sul reddito delle case storiche la Consulta conferma la Cassazione e invita il legislatore a intervenire.

[7] Cass., 30 dicembre 2004, n. 24226, in Mass. giur. it., 2004.

[8] Cass., 27 agosto 2004, n. 17152, in Mass. giust. civ., 2004. L'aliquota ridotta è oggi prevista dall'art. 1, 3° comma, della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 in misura pari al 3% del valore dell'immobile.



 

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