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Cassazione civile, sez. tributaria

Sentenza 23 maggio 2005, n. 10860

 


Favara presidente - Botta estensore - Maccarone P.M. (conf.) - A.D.C., M.D.C., V.D.C. (avv. A.S.) - Amministrazione finanziaria dello Stato (Avv. Gen. Stato)

Cassa Comm. trib. reg. del Lazio, 19 marzo 2004

Imposta sul reddito delle persone fisiche - Redditi derivanti da immobili di interesse storico od artistico concessi in locazione ad uso non abitativo - Determinazione - Criterio catastale previsto dall'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991 - Applicabilità (d.p.r. 917 del 22 dicembre 1986, artt. 129 e 134; legge 413 del 30 dicembre 1991, art. 11)

Il reddito degli immobili di interesse storico od artistico, anche se concessi in locazione ad uso non abitativo, dev'essere determinato con riferimento alla minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale gli immobili stessi sono ubicati

Omissis. - Passando all'esame dei motivi di ricorso, con il primo di questi, i ricorrenti denunciano violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché "mancato esame di un punto decisivo della controversia ed errore nel procedimento". Ad avviso dei ricorrenti - poiché l'Agenzia delle Entrate con l'unico motivo di appello si era limitata a sostenere che il giudice di primo grado non avesse tenuto in alcun conto la normativa contenuta nella l 431/1998 - il giudice di secondo grado, accogliendo l'appello in base ad un diverso motivo - e, cioè, per la ritenuta inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 agli immobili locati per uso diverso da quello abitativo - avrebbe contravvenuto al divieto di extrapetizione.

Il motivo non è fondato. Vero è, come emerge senza difficoltà dalla lettura della narrativa in fatto riportata nella sentenza impugnata, che l'appello dell'Agenzia delle Entrate fosse motivato (esclusivamente) dall'errore imputato al giudice di prime cure di non aver tenuto conto della normativa contenuta nella l. 431/1998, che l'appellante riteneva applicabile, in luogo di quella di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991, nell'ipotesi che l'immobile fosse locato. Ma altrettanto vero è che la questione relativa all'applicabilità dell'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 nell'ipotesi che l'immobile fosse locato per uso non abitativo, deve considerarsi implicita nella censura dedotta dall'appellante.

L'Agenzia delle Entrate, infatti, nel motivare la propria impugnazione sembra seguire la tradizionale linea difensiva dell'Amministrazione finanziaria nelle controversie di questo tipo, volta a distinguere l'ipotesi in cui l'immobile di interesse storico- artistico sia utilizzato direttamente dal proprietario, dall'ipotesi in cui detto immobile sia locato a terzi. Orbene, il giudice di secondo grado, decidendo di escludere l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 perché l'immobile de quo era locato ad uso "commerciale", ha certamente valutato la sostanza dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, affermando, implicitamente, che la locazione dell'immobile di interesse storico-artistico è irrilevante ai fini dell'applicabilità della richiamata norma agevolatrice solo nel caso in cui si tratti di locazione per uso abitativo.

In tal modo il giudice di secondo grado non ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: secondo l'orientamento di questa Suprema Corte, infatti, "il principio tantum devolutum quantum appellatum preclude al giudice di appello l'indagine sui punti della sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, ma solo in quanto essi non siano compresi nel thema decidendum neanche per implicito, perché non necessariamente connessi con i temi censurati" (Cass. n. 18095/2004; n. 10734/2002; n. 397/2002).

Del pari infondato appare il terzo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti imputano alla sentenza impugnata un vizio di motivazione, per essere affetta da "assoluta carenza di motivazione", riducendosi la "motivazione" "alla mera affermazione" secondo cui l'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 è applicabile solo agli edifici adibiti ad usi abitativi.

La sentenza impugnata è, infatti, motivata per relationem ad una sentenza di questa Suprema Corte della quale riporta le affermazioni, che il giudice di merito ha ritenuto di condividere, adeguando la propria decisione della controversia alla riportata decisione della Corte di Cassazione.

Resta, così, da valutare il secondo motivo di ricorso, che concerne il punto nodale del giudizio.

Con la censura ivi sviluppata, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del disposto dell'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 in relazione all'art. 134, comma 3, del d.p.r. 917/1986, affermando che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, la "norma agevolativa riguarda ogni tipo di fabbricato e la sua applicazione è prevista in ogni caso anche per i fabbricati con destinazione diversa da quella abitativa": il richiamo alle "abitazioni" contenuto nella predetta disposizione è, ad avviso dei ricorrenti, "solo diretto alla indicazione del relativo calcolo per la determinazione della rendita catastale da assoggettare all'imposta sul reddito, prendendo come parametro la più bassa delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato".

Il motivo è fondato. Vero è che la sentenza di questa Suprema Corte, richiamata dal giudice di merito a supporto della propria decisione, la n. 11211/2002, ha affermato che l'interpretazione dell'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 "va effettuata in raccordo con quanto statuito dal comma 1, lettera h), della medesima legge che, sostituendo il comma 2 dell'art. 129 del Tuir, afferma il principio della prevalenza del minore canone locativo per i fabbricati dati in locazione in regime legale di determinazione del canone. Sulla base di tale combinato disposto si deduce che il legislatore ha inteso riferirsi, allorché ha fatto riferimento al reddito degli immobili riconosciuti d'interesse storico od artistico, ai fabbricati in genere destinati ad abitazione, siano essi goduti direttamente o concessi in godimento ad altri. La locuzione "in ogni caso" sta appunto a significare che per gli immobili di interesse storico od artistico destinati ad abitazione si applica sempre la particolare disciplina prevista dal menzionato art. 11, comma 2, senza alcuna differenza tra fabbricati goduti direttamente dal proprietario e no, e in caso di locazione tra fabbricati assoggettati o meno alla disciplina legale del canone. Non avrebbe senso, e non vi è in contrario alcun convincente elemento interpretativo né logico né letterale, ritenere applicabile al reddito di immobili riconosciuti di interesse storico ed artistico aventi una destinazione diversa da quella abitativa la stessa disciplina agevolativa della minore tariffa d'estimo prevista per le abitazioni; tanto più che la consistenza per le unità del gruppo A, necessaria per calcolare la rendita catastale, è calcolata con criteri diversi da quella degli altri gruppi (vani catastali per il gruppo A, metri cubi per il gruppo B, metri quadrati netti per il gruppo C determinazione diretta della rendita catastale, senza far luogo a computo di consistenza catastale, per le categorie dei gruppi D ed E)".

Questa stessa Suprema Corte, tuttavia, in una assai più recente sentenza - la n. 2178/2005 - ha avuto modo di chiarire che dalla ricordata decisione n. 11211/2002 non può trarsi il principio cui ha fatto riferimento nel caso in esame il giudice d'appello e che l'Agenzia delle Entrate pretenderebbe sostenere, se non a mezzo di una astrazione, che omette di considerare lo specifico oggetto della sentenza de qua, costituito dall'impugnazione, da parte del contribuente, dell'atto di attribuzione della rendita catastale ad un immobile di sua proprietà, motivata dalla ritenuta errata attribuzione della classe catastale a detto immobile. Se, invece, si tiene conto del contesto, come è doveroso che sia, è possibile rilevare che nell'ambito della ricordata sentenza n. 11211/2002 la destinazione ad abitazione considerata nella decisione non riflette affatto l'uso specifico dell'immobile (abitativo e 'diverso' nel senso, ad esempio, utilizzato dalla l. 27 luglio 1978, n. 392) ma quella tipicamente catastale di suddivisione di tutti gli edifici in (cinque) 'gruppi' (contrassegnati dalle lettere dell'alfabeto dalla 'A' alla 'E')" (Cass. n. 2178/2005).

Questa Suprema Corte, quindi, con la sentenza n. 2178/2005 ha escluso di aver inteso sancire, con la sentenza n. 11211/2002, la rilevanza della destinazione d'uso degli immobili di interesse storico-artistico ai fini dell'applicazione dell'agevolazione di cui all'art. 11, comma 2, della L. n. 413/1991.

Sarebbe comunque non condivisibile una interpretazione della disposizione di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 che ne limitasse l'applicabilità ai soli immobili di interesse storico-artistico adibiti ad uso abitativo. Ciò alla luce di quanto emerge dalla sentenza n. 346/2003 della Corte costituzionale.

In primo luogo il giudice delle leggi ha affermato che "nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt'altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9, secondo comma, della Costituzione".

Orbene, questo "complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9, secondo comma, della Costituzione" non muta, né nella sostanza, né nella gravosità, a seconda della concreta destinazione dell'immobile che ne sia specificamente oggetto, costituendo gli immobili di interesse storico-artistico, sotto l'indicato aspetto, una categoria omogenea.

In secondo luogo lo stesso giudice ha affermato che "la norma impugnata ... non è nemmeno illegittima, con riferimento sempre al canone di ragionevolezza, nella parte ... in cui prevede che il reddito imponibile sia 'in ogni caso' determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, e perciò anche quando l'immobile di interesse storico o artistico sia locato": ciò perché "una volta esclusa ... la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l'una e l'altra basate sull'erroneo presupposto della sostanziale omogeneità delle due categorie di beni".

E' evidente che la disomogeneità che distingue gli immobili di interesse

storico-artistico, da un lato, dagli immobili che non siano tali, dall'altro e che legittima il diverso trattamento fiscale degli uni e degli altri, pur in regime di locazione, prescinde necessariamente dalla destinazione d'uso che abbiano gli immobili di interesse storico-artistico, essendo tale destinazione ininfluente al fine di determinarne l'appartenenza alla categoria "protetta".

In terzo luogo la Corte costituzionale ha evidenziato che non "può ritenersi, sotto un diverso aspetto, superato il limite della manifesta irragionevolezza per il fatto che il beneficio fiscale di cui si tratta si sostanzi in un criterio di determinazione del reddito imponibile fissato, con riferimento alle taríffe d'estimo, in modo indifferenziato tanto per gli immobili locati quanto per quelli non locati e perciò, di fatto, più vantaggioso per i primi. In proposito, a prescindere dal carattere generale del sistema catastale di tassazione degli immobili ..., è sufficiente osservare come il riferimento alle tariffe d'estimo censurato dal rimettente trovi una non irragionevole giustificazione nell'obiettiva difficoltà, evidenziata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni". E a questo proposito i giudici della Consulta richiamano esplicitamente la sentenza n. 14480/2003 della Corte di Cassazione, la quale aveva già sottolineato che "l'assegnazione di decisività al reddito catastale, anche in caso di maggiore entità del canone di locazione, potrebbe trovare ragionevole giustificazione nell'esigenza di agevolare i proprietari di quegli immobili e nell'obiettiva difficoltà di desumere dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione degli immobili medesimi".

Da tali affermazioni si ricava che la ratio legis della agevolazione disposta dall'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 è data dalla necessità di tenere conto del fatto che i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma agevolativa debbono affrontare, nell'interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione, così rilevanti, da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo rispetto al reddito locativo: una riprova può essere data dalla disposizione di cui all'art. 18, lettera c), della l. 133/1999, che conferma il principio stabilito dall'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'art. 3 della l. 1089/1939, "inteso a tenere conto dei vincoli gravanti su di essi nonché dell'interesse pubblico alla loro conservazione".

Se ciò è vero, come è vero, non avrebbe senso distinguere, all'interno della unitaria categoria degli immobili di interesse storico-artistico, gli immobili destinati ad abitazione dagli immobili altrimenti destinati: né l'interesse pubblico alla conservazione dell'immobile di interesse storico-artistico, né i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, né l'incertezza sulla determinazione del reddito effettivo (da desumersi dal reddito locativo) che l'incidenza di tali costi causa, dipende dalla diversa destinazione, abitativa o meno, dell'immobile.

Sicché limitare l'applicazione della disposizione di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 ai soli immobili di interesse storico artistico (che siano locati) ad uso abitativo, significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole tenuto conto della ratio legis della norma agevolativa - e optare, di conseguenza, per una interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente conforme.

Peraltro, secondo un orientamento più volte espresso da questa Suprema Corte, la separata formulazione della norma di cui al comma 2 dell'art. 11 della l. 413/1991 "rispetto alle disposizioni attributive di rilevanza al canone di locazione, e la mancanza in essa di espliciti od impliciti riferimenti alle disposizioni medesime, non consentono di eludere il significato letterale delle parole 'in ogni caso' quale espressione dell'intento del legislatore di sottoporre quei particolari fabbricati (ossia degli immobili di interesse storico-artistico) all'unico criterio della rendita catastale, con il beneficio della scelta della tariffa inferiore nella zona, a prescindere dall'ammontare dell'eventuale reddito locativo": di modo che l'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 "deve essere inteso come norma recante l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici d'interesse storico od artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore" (cfr. ex plurimis, tra le sentenze più recenti Cass. n. 21276/2004; n. 15671/2004; n. 15531/2004; n. 4139/2004; n. 14480/2003, tutte in motivazione; cfr. sulla "autonomia" della disposizione di cui all'art. 11, comma 2, della l. 413/1991 anche Cass. n. 2178/2005).

Se la regola generale per gli immobili di interesse storico-artistico è l'irrilevanza tout court del reddito locativo, in quanto l'unico criterio per la determinazione del reddito imputabile a tali immobili è il riferimento alle tariffe d'estimo (e in particolare alla più bassa della zona censuaria nella quale l'immobile specifico si trovi), allora siffatta regola è (e deve essere) applicabile tanto se si tratti di locazione ad uso abitativo, quanto se si tratti di locazione ad uso diverso.

Sicché deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri.

La sentenza impugnata deve essere cassata e, ricorrendone le condizioni, la causa può essere decisa nel merito rigettando l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio d'appello e del giudizio di cassazione.

 

 



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