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Reddito degli immobili storici locati:
la Cassazione non cambia orientamento

(nota a Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza 9 novembre 2004, n. 21316)

di Alessandro Turchi


Sommario: 1. I termini della questione. - 2. L'orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità. - 3. L'intervento della Corte costituzionale. - 4. La presunta incidenza sul problema in esame della l. 431/1998.



1. I termini della questione

Qualche anno fa, questa rivista diede conto della prima pronuncia emessa dalla Corte di Cassazione in merito al problema della determinazione del reddito fondiario derivante dal possesso di beni immobili di interesse storico od artistico concessi in locazione [1], e segnalò gli orientamenti assunti al riguardo dalla giurisprudenza amministrativa e dalla stessa amministrazione finanziaria [2].

Negli ultimi anni il dibattito è proseguito perché, nonostante il progressivo consolidarsi dell'indirizzo giurisprudenziale favorevole ai proprietari degli immobili, il ministero ha continuato ad impartire istruzioni contrarie, e gli uffici periferici a notificare avvisi di accertamento ed a respingere istanze di rimborso delle imposte che i contribuenti assumevano come indebitamente versate.

Anche la Corte costituzionale è intervenuta sul punto, avallando la posizione del supremo collegio; in questo contesto, la in esame rappresenta l'ennesima conferma di un orientamento che costituisce ormai ius receptum, pur senza riuscire in realtà a dissolvere tutte le perplessità originate da una normativa che, con il passare del tempo, si è stratificata in modo non sempre armonico.

In estrema sintesi, la questione consiste nello stabilire se, in caso di locazione di un immobile di interesse storico od artistico, il reddito tassabile in capo al locatore coincida con il canone pattuito (al netto delle riduzioni previste dalla legge) o con il reddito catastale. Il problema ha assunto rilevante portata a seguito dell'approvazione delle nuove tariffe d'estimo, avvenuta tra il 1990 ed il 1991 con effetto dal 1° gennaio 1992.

Prima di soffermarsi su questo punto, va peraltro ricordato che la revisione delle rendite catastali non ha inciso sul sistema di tassazione del reddito derivante dalla locazione di immobili non vincolati: l'art. 11, 1° comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 si è limitato infatti a trasferire a regime la disciplina transitoria dettata dall'art. 134, 2° comma, del Testo unico (Tu) decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, aggiungendo il comma 4-bis all'art. 34 (oggi art. 37), ed a sostituire il 2° comma dell'art. 129 (oggi art. 185).

E' stato così riproposto il sistema basato sulla prevalenza del reddito effettivo rispetto a quello tabellare: in caso di locazione immobiliare, invero, il reddito imponibile è costituito dal canone forfetariamente ridotto, se superiore alla rendita catastale, od anche se inferiore, per gli immobili condotti ad equo canone.

La riforma del 1991 ha inciso invece sulla disciplina impositiva delle locazioni aventi ad oggetto immobili vincolati perché, mentre l'art. 134, 3° comma, del Tu prevedeva semplicemente (anch'esso in via transitoria) che le relative rendite catastali fossero aggiornate applicando il minore tra i coefficienti stabiliti per i fabbricati, l'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 sancisce che "in ogni caso" il reddito di tali immobili sia determinato mediante applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona.

L'amministrazione finanziaria ha sempre ritenuto applicabile la norma ai soli immobili storici non locati, intendendo l'espressione "in ogni caso" come riferita alla determinazione del reddito catastale, non di quello effettivo: secondo la finanza, il criterio de quo vincolerebbe gli uffici in tutte le ipotesi in cui sia necessario utilizzare parametri catastali per determinare il reddito prodotto da immobili storici, ma non anche laddove - in presenza di contratti di locazione- sia possibile prescindere da tali parametri ed assoggettare a prelievo il reddito effettivamente percepito dal locatore.

Questa posizione, espressa in diverse occasioni [3] e ribadita dalla circolare 6 marzo 2001, n. 22/E è stata ripresa più di recente in un parere reso in sede di interpello ordinario ed in occasione di chiarimenti forniti ai contribuenti, oltre che nelle istruzioni alla compilazione di alcuni modelli di dichiarazione [4]; va comunque segnalato che, prendendo atto del contrario indirizzo giurisprudenziale, l'Agenzia delle entrate ha ritenuto non irrogabili le sanzioni, perlomeno in relazione alle dichiarazioni presentate prima dell'entrata in vigore della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (che, come si dirà, ha mutato ancora il quadro normativo di riferimento).

I contribuenti hanno invece sempre sostenuto - anche tramite associazioni esponenziali di interessi di categoria, quale l'Adsl (Associazione dimore storiche italiane) - che l'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 detti la disciplina esclusiva per il calcolo del reddito derivante dal possesso di immobili storici: il reddito imponibile sarebbe "in ogni caso" quello catastale minimo, restando irrilevanti sia il reale classamento dell'immobile che il canone locativo eventualmente percepito.

 

2. L'orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità

Come anticipato, la Corte di Cassazione ha sposato sin dall'inizio, per poi costantemente ribadire, la tesi favorevole ai contribuenti: si contano ormai non meno di dieci sentenze che - seppur con diverso spessore argomentativo e non senza rimarcare a volte profili problematici - riconoscono ai proprietari di dimore storiche o artistiche il beneficio di una tassazione molto modesta, perché ancorata alle minori tariffe d'estimo [5].

Più incerta si è mostrata nei primi tempi la giurisprudenza di merito, che pare comunque essersi ora decisamente indirizzata sulle orme del supremo collegio [6].

Gli argomenti richiamati dalla giurisprudenza sono ben noti, e poggiano innanzitutto sulla lettera della legge, posto che la locuzione "in ogni caso", contenuta nel 2° comma dell'art. 11 della l. 413/1991, "se le parole hanno un senso, non può non essere intesa come espressiva dell'intento del legislatore di sottoporre la determinazione del reddito di tale particolare categoria di fabbricati, quale che sia la loro utilizzazione, all'unico criterio della rendita catastale" [7].

Sempre con riguardo alla littera legis, si è osservato che il 2° comma dell'art. 11 rende applicabile il criterio da esso previsto in tutte le ipotesi in cui sia necessario determinare il "reddito" degli immobili storici, senza distinguere fra reddito catastale e reddito effettivo: sicché le tariffe d'estimo dovrebbero essere utilizzate anche per tassare gli immobili concessi in locazione [8].

Nella sua prima pronuncia, la Corte di Cassazione aveva altresì evidenziato l'incongruenza della tesi ministeriale che, interpretando l'espressione "in ogni caso" come equivalente di quella "negli altri casi" (diversi rispetto alle ipotesi contemplate dall'art. 11, 1° comma, lett. h della l. 413/1991, cioè diversi dalle locazioni concluse in regime vincolistico), avrebbe comunque condotto a determinare il reddito degli immobili storici locati a canone libero sulla base della minore tariffa d'estimo della zona.

Anche questo rilievo è stato ripreso in pronunce successive [9]; e - sempre a questo riguardo - si può aggiungere che l'inserimento della locuzione "in ogni caso" al termine di una lunga serie di norme (lettere da a ad h dell'art. 11, 1° comma), concernenti fattispecie anche molto diverse fra loro e relative sia ad immobili sfitti che locati, condotti ad equo canone od a canone libero, rivela proprio l'intenzione del legislatore di disciplinare in separata sede la tassazione degli immobili di interesse storico od artistico e di riservare loro un trattamento di favore.

Può ben dirsi allora - con le parole del supremo collegio, ripetute anche dalla sentenza in commento - che l'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 contiene "l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici d'interesse storico od artistico".

Ricorrente è altresì il riferimento a profili di opportunità e ragionevolezza, connessi all'esigenza di agevolare i proprietari di immobili la cui manutenzione e conservazione richiedono spese notevoli, tali - fra l'altro - da rendere difficile la quantificazione del reddito effettivamente ritraibile dalla locazione [10].

Si tratta di un profilo ripreso anche dai giudici di merito [11], e sul quale - come subito si dirà - la Corte costituzionale ha fondato il rigetto delle questioni di legittimità della norma sollevate da altra parte della giurisprudenza.

 

3. L'intervento della Corte costituzionale

Nel novembre del 2002 la Commissione tributaria provinciale di Torino sollevò questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 in quanto applicabile, per diritto vivente, anche agli immobili storici concessi in locazione- per contrasto con i princìpi di capacità contributiva e di eguaglianza.

Ad opinione del giudice rimettente, infatti, la norma avrebbe accordato benefici eccessivi ai proprietari locatori, ed avrebbe dettato una disciplina incongruente, trattando in modo diverso situazioni uguali (locazioni di immobili, aventi o meno carattere storico), ed in modo uguale situazioni diverse (titolarità di immobili vincolati, concessi o meno in locazione).

La questione è stata dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale [12], che ha avuto buon gioco nel rilevare come la concessione di agevolazioni fiscali ai proprietari di immobili storici - lungi dall'essere arbitraria od irrazionale - appaia legittima "in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni, quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9, 2° comma, Cost.".

Quanto poi all'estensione del beneficio ai proprietari di immobili storici locati, la Consulta ha rovesciato la prospettiva del giudice rimettente, ritenendo che l'elemento decisivo nella valutazione della ragionevolezza del criterio introdotto dall'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 sia costituito dall'esistenza del vincolo (id est, dalla natura storica od artistica del fabbricato) e non dal fatto che questo sia concesso in locazione.

Pertanto, non è irragionevole tassare in modo diverso le locazioni aventi ad oggetto immobili vincolati o meno; e non è irragionevole tassare allo stesso modo gli immobili vincolati, concessi o meno in locazione.

Il regime impositivo previsto per gli immobili storici non è infatti comparabile a quello degli altri fabbricati, perché non esiste "sostanziale omogeneità delle due categorie di beni".

I giudici delle leggi hanno peraltro segnalato la necessità di armonizzare la disciplina dettata dall'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991 con quella sancita dall'art. 8, 1° comma, della l. 431/1998, ai sensi del quale, come noto, il reddito imponibile derivante da locazioni di immobili ad uso abitativo concluse nel rispetto degli accordi definiti in sede locale è "ulteriormente ridotto del 30%".

Secondo la Corte, quest'ultima disposizione prevederebbe infatti, anche per i proprietari di dimore storiche locate, la determinazione del reddito imponibile non con riferimento agli estimi catastali, ma in misura pari al canone forfetariamente ridotto del 45%: da qui il contrasto con il criterio catastale tuttora previsto dalla l. 413/1991.

 

4. La presunta incidenza sul problema in esame della l. 431/1998

In effetti, il problema del coordinamento fra la disciplina del 1991 e quella del 1998 è stato subito avvertito nella prassi, e proprio alla l. 431/1998 si è spesso richiamata l'amministrazione finanziaria per affermare che l'orientamento giurisprudenziale ad essa contrario si sarebbe formato senza tener conto delle nuove disposizioni introdotte in materia di locazione [13].

Ciò non è del tutto esatto, perché prima dell'emanazione della circolare n. 55/E del 2002 la Corte di Cassazione si era soffermata sul punto, escludendo che le norme del 1998 potessero incidere sulla disciplina dettata dall'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991 [14]; in ogni caso, la questione esiste (anche se la sentenza in commento non ne fa cenno) e va affrontata nel tentativo di offrire una lettura plausibile e possibilmente armonica delle disposizioni oggi vigenti.

E' indubbio al riguardo che la ratio della l. 431/1998 sia quella di incentivare la stipula di locazioni di immobili ad uso abitativo secondo le modalità da essa previste, ed è proprio a tal fine che l'art. 8, 1° comma, riconosce agevolazioni anche sotto il profilo tributario, prevedendo, con riferimento agli immobili situati in comuni ad alta densità abitativa, una riduzione del 30% del "reddito imponibile ... determinato ai sensi dell'art. 34" (oggi, art. 37) del Tu.

L'art. 34 del Tu identificava (come oggi l'art. 37 identifica) detto reddito, a seconda dei casi, in quello catastale od in quello effettivo, sicché il beneficio accordato dall'art. 8, 1° comma, della l. 431/1998 risulta applicabile in entrambe le ipotesi [15]: tanto il canone locativo al netto della riduzione forfetaria del 15% quanto (se superiore) la rendita catastale possono fruire della riduzione del 30%.

Per fare un esempio, se il canone locativo annuo ridotto del 15% fosse di 8.500 euro, superiore al reddito catastale di 5.000 euro, la riduzione del 30% dovrebbe applicarsi con riferimento al canone pieno (pari a 10.000 euro), e dare un reddito imponibile di 5.500 euro; se invece il canone locativo annuo ridotto del 15% fosse inferiore alla rendita catastale, la riduzione del 30% dovrebbe applicarsi alla rendita stessa, determinando, nell'esempio ora proposto, un reddito imponibile di 3.500 euro.

L'art. 8, 1° comma, della l. 431/1998 non detta una disciplina specifica per gli immobili storici, ed il suo generico richiamo all'art. 34 Tu ha indotto alcuni - compresa, come si è visto, l'amministrazione finanziaria - a sostenere che l'intenzione del legislatore sia stata quella di rendere applicabili anche a tali immobili le regole previste dal Tu, con conseguente determinazione dell'imponibile in misura pari al canone locativo (al netto delle riduzioni spettanti per legge) [16].

Si tratta però di un'opinione che non può essere condivisa.

Invero, a parte il fatto che lo stesso Tu prevede in certi casi la tassazione del reddito catastale in luogo di quello effettivo, va osservato che il riferimento all'art. 34 non può che interessare le sole fattispecie contemplate da detta norma, alle quali il legislatore del 1998 ha inteso accordare il beneficio fiscale.

La riduzione del 30% riguarda infatti il reddito imponibile "determinato ai sensi dell'art. 34 Tu", e non anche le (eccezionali) ipotesi in cui la legge prevede altri criteri di tassazione: una di queste ipotesi è costituita appunto dagli immobili storici, la cui omessa menzione da parte dell'art. 8 della l. 431/1998 si spiega quindi agevolmente, e risulta perfettamente in linea con il quadro normativo generale.

Il reddito derivante dalla locazione di un immobile storico -seppur conclusa in base ad accordo locale- viene tassato "in ogni caso" ai sensi dell'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991: e la modesta incidenza del prelievo giustifica la scelta di non concedere ulteriori benefici ai proprietari.

Del resto, ove si volesse interpretare diversamente la norma e ricomprendere anche gli immobili storici nel suo ambito applicativo, bisognerebbe concludere che - essendo tale disposizione volta a favorire, non a penalizzare, i proprietari di beni immobili, compresi i proprietari di dimore storiche - anche a costoro dovrebbe essere accordata la riduzione del 30% del reddito imponibile.

In questa prospettiva, il richiamo all'art. 34 Tu dovrebbe essere inteso come un (impreciso) riferimento alle regole impositive dettate per ciascuna tipologia di immobile, che il legislatore avrebbe operato senza considerare il particolare caso degli immobili storici (i quali, come più volte ripetuto, non soggiacciono alla disciplina comune bensì a quella prevista dall'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991).

Se così fosse, anche il reddito catastale minimo degli immobili storici locati ad uso abitativo verrebbe a fruire della riduzione concessa dall'art. 8 della l. 431/1998 [17].

La soluzione interpretativa sopra prospettata - in base alla quale la tassazione degli immobili storici non risulterebbe modificata dalla l. 431/1998 - sembra incontrare un ostacolo nell'art. 1, 2° comma, di detta legge, che menziona espressamente gli immobili de quibus per escludere l'applicabilità del successivo art. 8 ai relativi contratti di locazione che "non siano stipulati secondo le modalità di cui al 3° comma dell'art. 2": dalla lettura della norma si trae infatti l'impressione che l'art. 8 debba essere applicato in tutti i casi in cui gli immobili storici siano locati a canone convenzionato.

Si sarebbe quindi tentati di affermare che il reddito degli immobili storici locati a canone convenzionato debba determinarsi in base al canone pattuito ridotto del 45%, mentre il reddito degli immobili storici locati a canone libero coincida con quello catastale minimo (non essendo appunto applicabile il criterio posto dall'art. 8, 1° comma).

Tale interpretazione appare però irragionevole, perché finisce per accordare un regime tributario più favorevole alle ipotesi che la legge ha ritenuto meno meritevoli di tutela (cioè alle locazioni a canone libero), posto che, nella grande maggioranza dei casi, il canone locativo annuo di un immobile storico, pur concordato in base ad accordi di categoria e ridotto del 45%, è superiore alla minore fra le rendite catastali della zona.

In realtà, non sembra che l'art. 1, 2° comma, della l. 431/1998 imponga una distinzione fra il regime tributario degli immobili storici locati a canone libero od a canone concordato: esso può infatti essere semplicemente inteso come espressa conferma di un principio generale (l'inapplicabilità della riduzione del 30% alle locazioni di immobili storici a canone libero), senza che ciò comporti la necessità di desumere a contrario opposte conclusioni in relazione agli immobili storici locati a canone convenzionato.

Del resto, come già si è detto, l'art. 8 risulta malagevolmente applicabile agli immobili storici, perché riferito ad altre tipologie di beni (ossia agli immobili che producono reddito determinato secondo i criteri ordinari di cui all'art. 34 Tu).

Peraltro, ove si volesse ritenere che, per effetto dell'art. 1, 2° comma, della l. 431/1998, anche il reddito degli immobili storici locati a canone concordato debba essere tassato ai sensi del successivo art. 8, bisognerebbe considerare entrambe le norme come finalizzate ad incentivare l'utilizzo del canale convenzionato nella stipula di detti contratti.

L'applicabilità del criterio di cui all'art. 8 dovrebbe quindi costituire un vantaggio, non una penalizzazione, per i proprietari che scelgano di locare gli immobili in base a tali modalità: vantaggio che, rispetto alla disciplina ordinaria dettata dall'art. 11, 2° comma, della l. 413/1991, potrebbe consistere nella riduzione del 30% del reddito catastale minimo, ovvero - come prospettato dalla giurisprudenza di legittimità [18] - nella possibilità, riconosciuta al proprietario, di optare per la tassazione del canone concordato ridotto del 30%, se inferiore al reddito catastale.

 



Note

[1] Il riferimento è a Cass., 18 marzo 1999, n. 2442, in Aedon, 1/2000, con nota di A. Turchi, La Cassazione chiarisce i criteri di tassazione del reddito degli immobili di interesse storico o artistico.

[2] Cfr. l'ordinanza del Tar del Lazio 15 marzo 2000, n. 2323, confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza 18 aprile 2000, n. 1913, ivi, 2/2000, con nota di A. Turchi, Ancora una pronuncia in merito ai redditi degli immobili di interesse storico-artistico, nonché la circolare dell'Agenzia delle Entrate, 6 marzo 2001, n. 22/E ivi, 2/2001, con nota di A. Turchi, Continua il contrasto interpretativo in merito alla determinazione del reddito degli immobili di interesse storico-artistico.

[3] Come, ad esempio, nella circolare 10 giugno 1993, n. 7, in Boll. trib., 1993, 993; nella circolare 30 maggio 1995, n. 154/E ivi, 1995, 926; nella nota del 20 aprile 2000, in Foro it., 2000, III, 242.

[4] Si vedano la risoluzione 10 gennaio 2002, n. 6/E e la circolare 20 giugno 2002, n. 55/E disponibili anche sul sito www.agenziaentrate.it, nonché le istruzioni alla compilazione del modello unico per il 2000 e dei modelli 730 per il 2000 e per il 2001.

[5] Si segnalano, oltre alla pronuncia già ricordata: Cass., 11 giugno 1999, n. 5740, in Giur. it., 2000, 650; Id., 13 luglio 1999, n. 7408, in Giust. civ., 2000, I, 380; Id., 13 giugno 2000, n. 8038, in Guida normativa del Sole-24 Ore del 16 ottobre 2000; Id., 19 ottobre 2001, n. 12790, in Foro it., 2002, I, 64; Id., 30 luglio 2002, n. 11211, ivi, 2003, I, 2452; Id., 29 settembre 2003, n. 14480, in Riv. dir. trib., 2004, II, 99, con nota di De Marco, Sul reddito delle case storiche la Consulta conferma la Cassazione e invita il legislatore a intervenire; Id., 14 gennaio 2004, n. 368, in Giust. civ., 2004, I, 1247; Id., 2 marzo 2004, n. 4239, in Fisco, 2004, 1, 2955; Id., 11 agosto 2004, n. 15537, in Mass. giur. it., 2004; Id., 29 settembre 2004, n. 19519, ibid. Coeve alla sentenza in commento, e del tutto analoghe nel contenuto, sono le pronunce n. 21210 del 5 novembre 2004 e n. 21315 del 9 novembre 2004.

[6] In senso conforme alla Corte di Cassazione si vedano, fra le altre, Comm. trib. I grado di Pisa, 30 giugno 1994, in Riv. giur. trib., 1995, 622, con nota di Baldassari, Criteri di determinazione del reddito di fabbricati di interesse storico e artistico; Comm. trib. I grado di Venezia, 6 febbraio 1995, in Dir. e prat. trib., 1995, II, 1339, con nota di Cattabriga, Locazione di immobili di interesse storico o artistico ininfluente per la determinazione della base imponibile; Comm. trib. I grado di Firenze, 21 giugno 1995, in Riv. dir. trib., 1996, II, 885, con nota di Chirichigno, Determinazione del reddito dei fabbricati di interesse storico od artistico; Comm. trib. I grado di Perugia, 12 febbraio 1996, in Fisco, 1996, 6659; Comm. trib. I grado di Reggio Emilia, 5 marzo 1996, ibid., 3204; Comm. trib. prov. di Milano, 18 novembre 1997, ivi, 1999, 135; Comm. trib. prov. di Treviso, 23 marzo 1998, ibid., 135; Comm. trib. reg. della Lombardia, 11 giugno 1998, in Boll. trib., 1998, 1747; Comm. trib. prov. di Piacenza, 27 marzo 2001, ivi, 2001, 1260; Comm. trib. reg. dell'Emilia Romagna, 28 giugno 2002, ivi, 2002, 1419; Comm. trib. reg. della Campania, 29 gennaio 2004, in Dir. e giust., 2004, 124. In senso contrario cfr. invece Comm. trib. I grado di Firenze, 16 novembre 1995, in Fisco, 1996, 3204; Comm. trib. reg. della Toscana, 10 gennaio 1997, in Boll. trib., 1997, 796, con nota di Alemanno, Immobili di interesse storico o artistico: imposte sul reddito e dintorni; Comm. trib. prov. di Modena, 16 luglio 1997, in Riv. giur. trib., 1998, 834.

[7] Così Cass., 13 luglio 1999, n. 7408, cit.

[8] Così ancora Cass., 13 luglio 1999, n. 7408, cit.

[9] Cfr. infatti Cass., 11 giugno 1999, n. 5740, cit., e Id., 29 settembre 2003, n. 14480, cit.

[10] Si vedano al riguardo Cass., 11 giugno 1999, n. 5740, cit.; Id., 29 settembre 2003, n. 14480, cit.; Id., 14 gennaio 2004, n. 368, cit.; Id., 2 marzo 2004, n. 4239, cit.

[11] In particolare, da Comm. trib. prov. di Piacenza, 27 marzo 2001, cit., e da Comm. trib. reg. dell'Emilia Romagna, 28 giugno 2002, cit.

[12] Corte cost., 28 novembre 2003, n. 346, in Riv. dir. trib., 2004, II, 99, con nota di De Marco, Sul reddito delle case storiche la Consulta conferma la Cassazione e invita il legislatore a intervenire. Profili di incostituzionalità della disciplina vigente erano stati segnalati, prima della pronuncia della Consulta, da D'ayala Valva, Brevi riflessioni sulla locazione degli immobili storici dopo il testo unico sui beni culturali ed ambientali, ivi, 2003, I, 434 ss.

[13] Così le ricordate circolari del 22 marzo 2001, n. 6/E e del 20 giugno 2002, n. 55/E.

[14] Cfr. infatti Cass., 19 ottobre 2001, n. 12790, cit. Questa posizione è stata poi ribadita, fra le altre, da Id., 14 gennaio 2004, n. 368, cit., e da Id., 11 agosto 2004, n. 15537, cit.

[15] Conforme Cantillo, Gli incentivi nel sistema della nuova legge sulle locazioni di immobili ad uso abitativo, in Rass. trib., 2000, 1702.

[16] Così Annecchino, in nota redazionale a Cass., 19 ottobre 2001, n. 12790, cit.

[17] Un implicito avallo a questa tesi sembra provenire dalla stessa amministrazione finanziaria che, nella circolare n. 150/E del 9 luglio 1999, in Boll. trib., 1999, 1138, ha riconosciuto la riduzione del 30% del reddito catastale in alternativa a quella del reddito effettivo, senza distinguere fra immobili storici o meno.

[18]Cass., 14 gennaio 2004, n. 368, cit.

 



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