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La disciplina dello spettacolo dal vivo tra continuità
e nuovo statuto delle autonomie

di Claudia Tubertini


Sommario: 1. La competenza legislativa in materia di spettacolo secondo la giurisprudenza costituzionale: fine di un contrasto interpretativo. - 2. Il finanziamento delle funzioni amministrative nelle materie di potestà concorrente: l'attuale sorte del Fondo unico per lo spettacolo... - 3. (Segue) e le prospettive di riforma. - 4. Significato ed effetti del principio di continuità nella giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione.



1. La competenza legislativa in materia di spettacolo secondo la giurisprudenza costituzionale: fine di un contrasto interpretativo

Tra le numerose questioni interpretative suscitate dalla riforma costituzionale del 2001 in ordine al riparto delle competenze tra Stato e regioni ed al significato da attribuire alle cd. "nuove materie" elencate in Costituzione, quella della attribuzione della potestà legislativa in materia di spettacolo ha ricevuto ora un significativo chiarimento, grazie all'intervento della Corte costituzionale.

Con le sentenze 255 e 256 del 21 luglio 2004, originate da una questione di legittimità e da un conflitto di attribuzione sollevati dalla regione Toscana, la Corte ha infatti affermato che lo spettacolo, pur non essendo espressamente citato all'interno del nuovo art. 117 Cost., non è da ricondursi alla competenza residuale delle regioni, bensì rientra a pieno titolo nella "promozione ed organizzazione di attività culturali", indicata nel comma 3 dell'art. 117 tra le competenze di tipo concorrente.

Come per altre materie, anche per le attività culturali la tecnica utilizzata dal legislatore nella redazione del nuovo art. 117, comma 4, Cost. - il quale, nell'attribuire alla competenza legislativa regionale "tutte le materie non espressamente elencate ai commi 2 e 3", ha determinato creazione un'area di materie a competenza regionale "implicita" - ha favorito l'emergere di diverse soluzioni interpretative: una prima, fondata sul principio di tassatività delle competenze legislative statali, favorevole alla riconduzione alla competenza esclusiva-residuale delle regioni di tutte le materie non espressamente menzionate; la seconda, invece, più attenta ad interpretare il significato delle definizioni utilizzate nella Costituzione in modo da evitare la disarticolazione di quegli ambiti di disciplina nei quali la ripartizione in sub-settori fosse arbitraria e possibile fonte di ulteriori conflitti di competenza.

Nell'aderire a questo secondo filone, la Corte costituzionale ha in primo luogo valorizzato l'interpretazione testuale della Costituzione, affermando che le "attività culturali" alle quali allude l'art. 117 comma 3 non possono che essere intese in senso lato, comprendente "tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura", in quanto non esiste nella Carta fondamentale alcun elemento, diretto o indiretto, che consenta di ritagliare al loro interno singole partizioni. In questo senso, gli unici limiti "esterni" alla materia della promozione ed organizzazione delle attività culturali sono quelli riconducibili ad altri titoli di competenza statale, come le "norme generali sull'istruzione" (art. 117, comma 2, lett. l) o la "tutela dei beni culturali" (art. 117, comma 2, lett. s).

In secondo luogo, con riferimento alla ripartizione delle competenze precedente alla riforma, la Corte ha depotenziato il principale argomento addotto dai sostenitori della tesi della riconducibilità dello spettacolo alla competenza residuale regionale, che si fondava sull'autonoma e distinta disciplina di questo settore all'interno dei conferimenti di funzioni amministrative a regioni ed enti locali operati in attuazione del cd. "federalismo a Costituzione invariata". Secondo la Corte, infatti, l'impatto di questa separata collocazione sistematica dello spettacolo è stato piuttosto limitato, in quanto l'unica disposizione ad esso specificamente dedicata (l'art. 156 decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112) elenca solo i compiti di rilievo nazionale riservati allo Stato, escludendo implicitamente un ruolo delle regioni in questo settore.

In tal modo, la rilevanza del criterio di tipo cd. storico-normativo, in altri casi utilizzato come principale canone per l'interpretazione del significato da attribuire alle nuove disposizioni costituzionali, esce indubbiamente ridimensionato. La Corte, infatti, ha attribuito scarso peso alla circostanza che l'art. 156 del d.lg. 112/1998 intendeva sì preservare il ruolo comunque spettante allo Stato, ma sul presupposto che la riforma avesse posto le condizioni per il decentramento a favore delle autonomie di tutti i compiti non connessi ad esigenze di rilievo nazionale [1] (anche se la piena realizzazione di questo disegno - come è noto - ha registrato numerose difficoltà [2]).

Del resto, l'attività delle regioni nel settore dello spettacolo (con particolare riferimento allo spettacolo dal vivo) si è sviluppata in modo incrementale negli anni, pur in assenza di una legislazione statale di cornice, con un investimento sempre maggiore sul piano progettuale, della promozione, della comunicazione e del sostegno alle diverse iniziative culturali nascenti dal territorio. In particolare, a seguito del d.lg. 112/1998 molte regioni hanno provveduto al riordino della propria legislazione di settore, ispirandosi a principi comuni quali l'affermazione del valore sociale ed economico dell'attività, l'approccio integrato alla materia e il ricorso a modalità di sostegno economico differenziate, tali da prevedere sia contributi finanziari sia incentivazioni sul piano economico e fiscale [3].

Riconducendo la materia dello spettacolo alla competenza concorrente tra Stato e regioni, la Corte ha così risolto una disputa di ordine non solo giuridico, ma anche politico, che ha visto contrapporsi i garanti del ruolo preminente dello Stato [4] ed i promotori di una interpretazione il più possibile estensiva del federalismo [5]. La possibilità per le regioni di disciplinare questo settore, caratterizzato da così forti legami con il territorio di riferimento (in relazione sia al tessuto produttivo, sia ai potenziali fruitori dell'attività culturale), è stata quindi considerata possibile, ma all'interno di una cornice unitaria statale, garantita dal riconoscimento della riserva allo Stato della disciplina di principio.

Secondo la Corte, la collocazione dello spettacolo nella sfera delle competenze concorrenti non rappresenta una penalizzazione, ma, al contrario, accresce molto la responsabilità delle regioni, "dato che incide non solo su importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come gli enti lirici e i teatri) con un forte impatto anche sugli stessi strumenti di elaborazione e di diffusione della cultura" (sentenza 255/2004, punto 2 diritto).

Pur senza spingersi in una esatta ricognizione del contenuto della materia, la Corte coglie dunque l'occasione per sottolineare la molteplicità dei profili che le regioni possono disciplinare e l'ampia gamma degli strumenti di intervento a loro disposizione (finanziamento, vigilanza e controllo sugli enti, promozione e divulgazione delle iniziative, formazione professionale, etc.), anche se nel rispetto delle norme di principio statale.

La correttezza di questo approccio interpretativo (che le stesse regioni hanno finito per accogliere [6]) non deve comunque far trascurare un dato di fondo, ovvero, come e quanto abbiano giocato a favore di questa scelta considerazioni relative all'attuale assetto normativo ed agli effetti dirompenti che su di esso avrebbe comportato la collocazione dello spettacolo nell'area di competenza esclusiva/residuale delle regioni [7].

Infatti, non si deve dimenticare che le questioni che hanno originato le due pronunce della Corte costituzionale attengono entrambe alla compatibilità con la riforma costituzionale della disciplina del finanziamento statale dello spettacolo, avendo ad oggetto, rispettivamente, l'art. 1 del decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24 ("Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo") convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82 e i decreti ministeriali 8 febbraio 2002, n. 47 (successivamente modificato dal decreto ministeriale 19 settembre 2002, n. 241) e 21 maggio 2002, n. 188, regolamenti recanti, rispettivamente, criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali e in favore delle attività di danza, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico dello spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.

Tutti i citati provvedimenti si inquadrano nelle forme di intervento pubblico indiretto a sostegno dello spettacolo da sempre caratterizzate dal ruolo determinante dello Stato, culminato, appunto, nell'istituzione di un fondo unico statale (il Fondo unico per lo spettacolo, d'ora in poi Fus) destinato a finanziare enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante (art. 1 legge 163/1985).

Come è noto, tra gli elementi peculiari (e più criticati) di questo meccanismo di finanziamento vi è la predeterminazione legislativa delle quote percentuali da destinarsi ai vari tipi di attività rientranti nello spettacolo (secondo un criterio di preferenza per le attività musicali, e, a decrescere, per quelle cinematografiche, teatrali di prosa, circensi e dello spettacolo viaggiante). La gestione delle risorse, peraltro, avviene secondo un procedimento di tipo accentrato, in cui il ministero (ora dei Beni e delle Attività cultuali), titolare del Fondo, provvede sia alla fissazione dei criteri di ripartizione all'interno dei distinti settori, sia alla concreta erogazione dei finanziamenti.

Determinare la spettanza della competenza legislativa in materia di spettacolo significava, dunque, stabilire su chi ricade la responsabilità finale del sostegno pubblico al settore: e ciò fa ben comprendere perché accanto alle rivendicazioni delle regioni la Corte abbia dovuto considerare anche l'esigenza di garantire continuità e consistenza alle risorse destinate allo spettacolo ed attenuare i timori degli operatori, preoccupati dei possibili effetti negativi della riforma costituzionale.

Tutto ciò spiega la delicatezza delle questioni oggetto delle due sentenze, benché occorre avvertire che le risorse provenienti dal Fus rappresentino già oggi solo una parte (circa la metà) del finanziamento pubblico generale allo spettacolo dal vivo [8], che gode di ulteriori forme di sostegno finanziario, non solo provenienti dallo Stato [9], ma anche da regioni ed enti locali.

 

2. Il finanziamento delle funzioni amministrative nelle materie di potestà concorrente: l'attuale sorte del Fondo unico per lo spettacolo...

Lo spettacolo ha sempre scontato la mancanza una normativa che fissasse principi e criteri generali in ordine all'azione di promozione pubblica: già la legge istitutiva del Fus si proponeva infatti come disciplina dichiaratamente transitoria, rinviando a successive apposite leggi di riforma la determinazione dei criteri di distribuzione delle risorse e la puntuale individuazione degli aspetti procedimentali.

Sino all'adozione del decreto ministeriale 4 novembre 1999, n. 470, che per la prima volta ha disciplinato in via regolamentare i criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, la determinazione dei criteri di ripartizione del Fus è avvenuta attraverso lo strumento delle circolari ministeriali. Anche dopo l'entrata in vigore della riforma costituzionale il ministero ha pertanto continuato a disciplinare tali profili con lo strumento regolamentare: ne sono prova proprio i decreti ministeriali 8 febbraio 2002, n. 47 e 21 maggio 2002, n. 188, oggetto della sentenza 256/2004.

In questo quadro è intervenuto il d.l. 24/2003, convertito nella legge 82/2003, il quale ha stabilito che le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo siano determinate annualmente con decreti del ministro per i beni e le attività culturali "non aventi natura regolamentare". La transitorietà di questo meccanismo viene sottolineato dall'espressa limitazione della sua validità "sino alla emanazione della legge di definizione dei principi fondamentali di cui all'art. 117 comma 3 Cost., con la quale verranno fissati i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato, delle regioni e delle autonomie locali in materia ed il conseguente trasferimento della quota del fondo unico per lo spettacolo riservata alle attività teatrali di prosa".

Dal contenuto di quest'ultimo provvedimento si può agevolmente desumere come il legislatore statale, ancora prima della pronuncia della Corte costituzionale, avesse aderito alla ricostruzione in termini di competenza concorrente della potestà legislativa in materia di spettacolo. Non solo, infatti, il decreto legge rinvia espressamente a successive leggi quadro, ma affida la determinazione annuale dei criteri di riparto dei finanziamenti a decreti ministeriali aventi natura non regolamentare. In quest'ultima previsione è sin troppo evidente il timore del legislatore statale di incorrere in censure di legittimità costituzionale [10]: più volte la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza 376/2002) ha infatti sancito l'immediata operatività del nuovo art. 117, comma 6 Cost. e la conseguente illegittimità dell'esercizio di poteri regolamentari da parte dello Stato in materie estranee alla sua competenza esclusiva.

Proprio sulla base di questo consolidato orientamento della Corte costituzionale la regione Toscana ha costruito i propri ricorsi, sostenendo l'illegittimità non solo dei due regolamenti concernenti i criteri di ripartizione dei fondi destinati a musica e danza, ma anche della nuova disciplina legislativa dettata dal d.l. 24/2003, in considerazione della natura sostanzialmente regolamentare - al di là del nomen juris - dei decreti annuali previsti dalla citata norma [11].

Quale che sia la natura della fonte di determinazione dei criteri di ripartizione del Fus, ciò che va notato è che il nuovo modello delineato dal d.l. 24/2003 non ha messo in discussione i caratteri essenziali del procedimento, fondato, come già osservato, sulla determinazione unilaterale da parte dello Stato, in sede di bilancio, dell'importo annuale del Fus; sulla predeterminazione legislativa delle percentuali di riparto tra i diversi comparti dello spettacolo; e, soprattutto, sulla partecipazione limitata ed indiretta delle regioni e degli enti locali alla determinazione dei criteri di ripartizione delle quote del Fus annualmente destinate alle diverse tipologie di manifestazione artistica ed alla loro materiale erogazione [12].

Proprio su questo aspetto si sono concentrate le osservazioni della Corte costituzionale, secondo la quale i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza dettati dall'art. 118 Cost. rendono ormai illegittime procedure amministrative di tipo accentrato in materie di competenza concorrente: di qui la necessità di una profonda revisione dell'attuale riparto tra Stato, regioni ed enti locali anche delle funzioni amministrative di erogazione di finanziamenti pubblici al settore dello spettacolo.

Pur in mancanza di un richiamo diretto, queste osservazioni sembrano riecheggiare altre recenti pronunce (in particolare, le sentenze 370/2003, 16/2004 e 49/2004 [13]) nelle quali la Corte ha esaminato gli effetti prodotti dall'art. 119 Cost. sulle modalità con le quali deve essere realizzato il finanziamento delle funzioni amministrative nelle materie a potestà legislativa concorrente. Secondo la Corte, l'autonomia di spesa riconosciuta alle regioni presenta un carattere auto-applicativo: pertanto, in queste materie lo Stato non può operare con gli strumenti tradizionali della cd. finanza derivata, ma deve disporre i trasferimenti a favore delle regioni e degli enti locali senza vincolo di destinazione, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le regioni nei processi decisionali attinenti il riparto e la destinazione dei fondi.

Va notato, tuttavia, come in questo caso la Corte, nel richiamare la necessità ineliminabile di una profonda riforma della legislazione attuale in materia di finanziamento dello spettacolo, sottolinei come dovranno essere elaborate procedure "che continuino a svilupparsi a livello nazionale" (almeno per i profili per i quali occorra necessariamente una considerazione complessiva a livello nazionale dei fenomeni e delle iniziative) "con l'attribuzione sostanziale di poteri deliberativi alle regioni" (quindi, con un loro effettivo coinvolgimento) "od eventualmente riservandole allo stesso Stato, seppure attraverso modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le regioni" (punto 3 diritto, sent. 255/2004). Essa, pertanto, rimette alle future scelte del legislatore nazionale - escludendo in radice la possibilità di un intervento riformatore diretto da parte delle regioni - l'individuazione del modello procedimentale più adeguato a trasformare una procedura accentrata in un modello di gestione imperniato sulle regioni, lasciando aperta sia la strada dell'attribuzione diretta alle regioni della gestione del fondo, sia quella di una riserva allo Stato di tale potere, ma con una procedura che preveda comunque l'intesa delle regioni.

Nelle precedenti sentenze l'applicazione del principio di autonomia di spesa delle regioni e degli enti locali aveva portato la Corte a sancire la sostanziale illegittimità dei meccanismi di finanziamento portati alla sua attenzione [14]. Diversa è invece la conclusione a cui essa perviene nell'esaminare il d.l. 24/2003: le obiezioni di legittimità sono infatti tutte respinte in considerazione del principio di continuità e della natura dichiaratamente transitoria della disciplina oggetto di contestazione.

Quanto alla sorte dei due regolamenti che, prima del citato d.l. 24/2003, avevano disciplinato criteri e modalità di erogazione dei contributi in favore delle attività musicali e di danza, la Corte richiama ancora una volta il principio di continuità, giungendo ad affermare che la perdita della potestà regolamentare da parte dello Stato per effetto del nuovo art. 117 comma 6 trova un limite nella necessità di non compromettere interessi e valori di fondamentale rilevanza costituzionale - quale, nel caso di specie, il sostegno pubblico allo spettacolo, che affonda le proprie radici negli artt. 9 e 33 Cost. - che sarebbero irrimediabilmente compromessi dall'accoglimento del ricorso e dal conseguente annullamento dei regolamenti (considerato in diritto, sent. 256/2004).

L'effetto combinato delle due pronunce è indubbiamente quello di ridimensionare uno dei principali risultati che la dottrina aveva imputato alla riforma costituzionale, ovvero, la sottrazione dello spettacolo ad ogni forma di potestà normativa secondaria dello Stato: una innovazione giudicata di grande spessore, stante lo spazio che gli strumenti di natura regolamentare e pararegolamentare (come le circolari) hanno sempre avuto nella disciplina dello spettacolo e, in particolare, di quello dal vivo [15].

Se, infatti, nella sentenza 255/2004 l'applicazione dell'art. 117 comma 6 Cost. viene aggirata, in quanto la Corte non approfondisce la censura regionale circa la natura sostanzialmente regolamentare dei decreti ministeriali previsti dalla norma impugnata, nella sentenza 256/2004 la Corte respinge le eccezioni di costituzionalità sollevate nei confronti dei due regolamenti ministeriali contenenti i criteri di finanziamento delle attività musicali e di danza, alla luce dell'esigenza di tutela dei destinatari del fondo.

L'esito della seconda decisione è dunque la sopravvivenza di due regolamenti statali emanati dopo l'entrata in vigore della riforma costituzionale in una materia di legislazione concorrente, i quali - si noti bene - non hanno una efficacia temporalmente limitata. Infatti, benché la Corte sostenga che i due regolamenti hanno sostanzialmente esaurito i propri effetti, tanto da proclamare la cessazione della materia del contendere, va sottolineato che il d.l. 24/2003, pur rimettendo per il futuro la determinazione dei criteri di ripartizione del fondo ad una nuova fonte (decreti non regolamentari), non li ha abrogati: essi, quindi, avranno realmente esaurito i propri effetti solo se e quando il ministero deciderà di sostituirli con decreti ministeriali non regolamentari, in attuazione della nuova disciplina legislativa [16].

 

3. (Segue) e le prospettive di riforma

Le considerazioni della Corte costituzionale sull'esigenza di un ripensamento dell'attuale sistema di riparto delle competenze in materia di finanziamento dello spettacolo non possono che rafforzare la convinzione, da più parti sostenuta, circa la necessità di un intervento normativo tempestivo e di ampio respiro. Ma nonostante questa necessità sia condivisa sia dagli attori istituzionali che dagli operatori del settore, diversi sono i percorsi ed i contenuti che ciascuno di essi vorrebbe imprimere al processo di riforma.

Ciò è dimostrato, in primo luogo, dai numerosi progetti di legge parlamentari presentati in materia nel corso di questa legislatura sia dai gruppi di maggioranza che di opposizione [17], la maggior parte dei quali affronta anche il nodo cruciale del finanziamento. L'iter di esame di tali proposte è stato sinora particolarmente accidentato, a causa della difficoltà di trovare una adeguata mediazione tra le posizioni più centraliste ed i fautori della regionalizzazione della promozione e del sostegno pubblico allo spettacolo. Per superare tale impasse la Commissione cultura della Camera ha ora costituito un comitato ristretto a cui è stato affidato il compito di redigere un testo unificato. Nel frattempo, la Commissione Istruzione pubblica e beni culturali del Senato ha avviato una indagine conoscitiva sui problemi dello spettacolo, al fine di far emergere i differenti approcci degli attori istituzionali e delle associazioni rappresentative di categoria in ordine alle modalità concrete da seguire nella riforma del settore.

L'iniziativa parlamentare sembra peraltro essere rallentata dalla quella concorrente del governo, che ha fatto della revisione del sistema di finanziamento dello spettacolo uno dei pilastri del proprio programma. Scaduta la delega contenuta nell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, la legge 27 luglio 2004, n. 186 [18], all'art. 2, comma 3 ha infatti nuovamente autorizzato il governo all'adozione, entro il termine di dodici mesi dalla data della sua entrata in vigore, di uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni legislative in materia di teatro, musica, danza ed altre forme di spettacolo dal vivo, da adottarsi sentita la Conferenza unificata e previo parere delle commissioni parlamentari competenti.

La delicatezza delle questioni coinvolte ed il ruolo riconosciuto alle regioni dalla Corte costituzionale hanno reso evidente l'impossibilità per il governo di procedere nella riforma senza una adeguato confronto con queste ultime. Del resto, la Conferenza dei Presidenti delle regioni, e, al suo interno, il Coordinamento interregionale in materia di spettacolo hanno svolto un ruolo particolarmente attivo, non limitato alla censura delle iniziative governative potenzialmente lesive del ruolo regionale, ma proiettato anche, in positivo, all'elaborazione di proposte di riforma [19].

In questa ultima direzione si colloca l'intesa stipulata nella Conferenza Stato-regioni del 29 aprile 2004, in attuazione della quale è stato costituito presso la Segreteria della Conferenza un Comitato tecnico paritetico composto da 5 rappresentanti designati dal ministro per i Beni e le Attività culturali e da 5 rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, incaricato della redazione di una proposta di riforma del Fus. Tale Comitato (i cui lavori sono stati di fatto prorogati alla luce della nuova delega al governo) dovrebbe quindi assumere un ruolo di rilievo nella elaborazione del disegno di legge governativo di riforma.

Tra i tanti temi emersi dal dibattito e dalle concorrenti iniziative di riforma, emergono, in primo luogo, l'esigenza di assicurare continuità, tempestività e congruenza dei finanziamenti [20]; la necessità di dettare nuovi criteri di ripartizione delle risorse in modo tale da garantire la diversificazione dell'offerta; inoltre, la ricerca di meccanismi di coordinamento che consentano ai diversi soggetti istituzionali di conoscere l'entità e la destinazione dei finanziamenti erogati dagli altri enti pubblici, in modo da evitare inutili sovrapposizioni e incongruenze.

Altrettanto essenziale è, tuttavia, anche alla luce del monito della Corte costituzionale, intervenire sulla struttura attuale del fondo e sulle procedure di gestione. Il punto cruciale è come combinare la responsabilità dello Stato e delle regioni nel finanziamento dello spettacolo, specie in questa fase nelle quali le regioni non dispongono - per i noti problemi di attuazione dell'art. 119 Cost. - di una effettiva autonomia finanziaria di entrata.

Qualora si procedesse nella direzione di un superamento del carattere nazionale del fondo e di una sua ripartizione a livello regionale, occorrerebbe comunque individuare meccanismi tali da evitare squilibri territoriali nella ripartizione delle risorse [21]. Per giungere a questo obiettivo, la nuova disciplina potrebbe ispirarsi ad altri meccanismi di riparto già utilizzati per altri settori (come la sanità), valorizzando le sedi permanenti di concertazione. In questa direzione si collocano le proposte delle regioni, che suggeriscono di rimettere alla Conferenza Stato-regioni, ed in particolare ad accordi tra lo Stato e le regioni stipulati in quella sede, l'individuazione dei parametri sulla base dei quali effettuare il riparto tra le singole regioni delle quota del Fus ad esse spettante.

In ogni caso, la soluzione che verrà prescelta dovrà contemperare gli interessi delle regioni con le istanze di coinvolgimento già avanzate dagli enti locali e con le concrete esigenze degli operatori, convinti sostenitori della necessità di evitare qualsiasi conflitto di competenza tra i diversi livelli di governo in nome della celerità e della effettività del finanziamento.

 

4. Significato ed effetti del principio di continuità nella giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione

Quanto appena detto circa la necessità di giungere ad una tempestiva riforma del Fus porta a formulare qualche ulteriore considerazione sul principio di continuità invocato dalla Corte costituzionale per giustificare la perdurante validità dell'attuale normativa in materia.

Le sentenze 255 e 256/2004 si collocano in un filone di pronunce in cui la Corte, in mancanza di una disciplina di attuazione amministrativa e finanziaria della riforma costituzionale, si è fatta portatrice dell'esigenza di garantire la continuità amministrativa nell'erogazione di prestazioni e di salvaguardare diritti quesiti, ora delimitando nel tempo la portata abrogativa delle sue pronunce di incostituzionalità [22], ora rimettendo al futuro intervento del legislatore regionale l'effetto abrogativo delle stesse [23].

Come è stato acutamente osservato [24], il principio di continuità, che prima aveva operato solo sul versante normativo, assume in queste sentenze un nuovo e diverso significato, quello di continuità istituzionale, che si colora di una vena garantistica quando l'abrogazione di una norma può determinare effetti negativi sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari della disposizione.

In questa ultima valenza il principio di continuità viene richiamato anche nelle sentenze 255 e 256/2004, ma con l'effetto di giungere alla dichiarazione di piena legittimità delle disposizioni impugnate, anche se accompagnata da un forte richiamo all'esigenza di un nuovo intervento riformatore. La forza di tale richiamo, peraltro, appare di per sé attenuata proprio dal tipo di pronuncia - nel primo caso, di rigetto, nel secondo, di cessazione della materia del contendere - che rimettono al legislatore statale l'individuazione del momento in cui il sistema transitorio dovrà essere sostituito da quello "a regime".

Di fronte alla soluzione prospettata dalla Corte, c'è da augurarsi che il legislatore statale non faccia una interpretazione distorta del principio di continuità, il quale non può in alcun modo giustificare la trasformazione di un meccanismo transitorio, fondato su ragioni di urgenza, in una disciplina di carattere permanente [25].

 



Note

[1] Cfr. C. Barbati, Art. 156 (Compiti di rilievo nazionale in materia di spettacolo), in G. Falcon (a cura di), Lo stato autonomista, Bologna, 1998, 516.

[2] Proprio la mancata elencazione da parte del d.lg. 112/1998 delle funzioni amministrative oggetto di decentramento nella materia dello spettacolo ha dato luogo a numerose incertezze ed ha reso evidente la necessità di un intervento legislativo di riforma sostanziale per la piena realizzazione del conferimento (sul punto cfr. M.P. Perrino, Nodi interpretativi e problemi applicativi connessi all'attuazione delle disposizioni del d.lgs. 112/1998 in materia di spettacolo, in Aedon, 2/1999). Tuttavia, dei numerosi disegni di legge di riordino presentati nella scorsa legislatura nessuno ha completato il proprio iter. Nella presente legislatura, la legge 137/2002, all'art. 10 ha attribuito al governo il compito di adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto in materia di cinematografia, nonché di teatro, musica, danza ed altre forme di spettacolo dal vivo. Tra i provvedimenti adottati in attuazione di questa delega, solo il d.lg. 28/2004, recante la riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, contiene anche disposizioni in tema di finanziamento, pur senza intervenire sulla quota del Fondo unico dello spettacolo destinata al cinema né sui suoi meccanismi di ripartizione.

[3] Cfr. C. Barbati e G. Piperata, L'evoluzione del quadro istituzionale e della legislazione statale e regionale nel decennio: obiettivi, scelte e risultati, in Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, Sez. II (Lo spettacolo dal vivo), Bologna, 2004, in corso di pubblicazione.

[4] Cfr. A. Baldassarre, Parere pro veritate in tema di spettacolo (citato in B. Caravita, Parere pro veritate circa il riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni in materia di spettacolo, 10 luglio 2002, in www.federalismi.it), dove si propone una lettura restrittiva della potestà legislativa esercitabile dalle regioni nel settore in questione, da considerarsi limitata alle sole attività culturali "di mero interesse regionale".

[5] Cfr. B. Caravita, Parere pro veritate, cit., secondo il quale lo spettacolo è da ricondurre alla competenza concorrente regionale. Cfr. anche Cons. Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, parere n. 3608 del 20 dicembre 2002, dove lo spettacolo era già stato pacificamente ricondotto al novero delle attività culturali, e, dunque nelle materie a competenza legislativa concorrente Stato/regioni.

[6] Dopo un iniziale orientamento favorevole alla collocazione dello spettacolo tra le materie di competenza residuale regionale, la Conferenza dei Presidenti delle regioni si è attestata su una posizione meno rigida, comunque aperta alla possibile riconduzione dello spettacolo nel quadro delle competenze concorrenti (cfr. ad es. il parere sullo schema di decreto legislativo recante "disposizioni in materia di attività cinematografiche" del 26 novembre 2003). Ulteriore prova dell'accoglimento di questa impostazione è data dall'iniziativa regionale (su cui v. oltre) volta alla predisposizione di un progetto di legge quadro nazionale recante principi fondamentali in materia di spettacolo.

[7] C. Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Costituzione del 1948 al "nuovo" Titolo V e ritorno), in Aedon, 1/2003 aveva già rilevato come la circostanza che la eventuale riconduzione dello spettacolo tra le competenze esclusive regionali avrebbe inciso anche sulla gestione dei finanziamenti (tradizionalmente accentrata e leva effettiva di ogni politica in materia di spettacolo) ha portato alla ricerca di soluzioni interpretative differenti.

[8] La consistenza del Fus ha subito nel corso degli anni fasi alterne. Dopo una prima fase di crescita, corrispondente al periodo 1985-1990, una fase si sostanziale assestamento (1991-1997) ed una di crescita progressiva (1998-2001), negli ultimi anni il Fondo - oltre alla diminuzione del suo valore reale, dovuto alla contingenza economica - ha subito un decremento (dai 531.000 euro del 2001 ai 500.000 del 2004), anche se parallelamente il ministero ha aumentato l'erogazione diretta di finanziamenti con altri fondi di sua competenza.

[9] Tra gli ulteriori canali di finanziamento dello spettacolo si può ricordare quanto stabilito dall'art. 2 della legge 16 ottobre 2003, n. 291 che ha previsto l'istituzione della Società per lo sviluppo dell'Arte, della Cultura e dello Spettacolo (Arcus Spa). La società (il cui capitale è aperto alle regioni ed agli enti locali per una quota non superiore al 60% della quota dello Stato) ha come fine la promozione ed il sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di progetti ed iniziative di investimento a favore di attività culturali e di spettacolo, da realizzarsi tramite il ricorso al 3% degli stanziamenti previsti in attuazione della cd. legge-obiettivo per la realizzazione di opere strategiche nel settore dei beni e delle attività culturali.

[10] Si noti che il Consiglio di Stato, nel già citato parere 3806/2002, aveva ritenuto illegittimo per contrasto con l'art. 117 comma 6 Cost. proprio uno schema di regolamento ministeriale (poi ritirato) contenente criteri e modalità di erogazione dei contributi in favore delle attività teatrali, nonostante lo stesso regolamento contenesse una norma che lo dichiarava valevole solo fino all'entrata in vigore della legge di definizione dei principi fondamentali della materia.

[11] La crescente previsione di veri e propri poteri normativi definiti però espressamente dalla legge come "non regolamentari" configura, secondo Ugo De Siervo (Il sistema delle fonti: il riparto della potestà normativa tra Stato e Regioni, in www.federalismi.it), una nuovo tipo di "fuga dal regolamento".

[12] Esse sono infatti coinvolte solo per il tramite dei membri designati dalla Conferenza Stato-regioni e dalla Conferenza Stato-città (in ragione rispettivamente, di due ed uno) nelle sei Commissioni (operanti nei diversi settori dello spettacolo) istituite presso il ministero, chiamate ad intervenire a vario titolo nelle diverse fasi del procedimento.

[13] Le tre sentenze citate hanno ad in realtà ad oggetto fondi statali non rivolti direttamente ai destinatari dell'intervento pubblico (come il Fus), ma destinati a finanziare funzioni amministrative degli enti locali. L'aspetto di interesse per il tema qui trattato è dato, tuttavia, dal fatto che viene esaminata la legittimità di fondi statali (destinati all'esercizio di funzioni amministrative) in materie oggetto di potestà legislativa concorrente (o esclusiva) regionale: ora, anche l'erogazione di finanziamenti a favore degli operatori dello spettacolo è funzione amministrativa ricadente in materia di tipo concorrente, che dovrebbe coerentemente essere esercitata a livello regionale e locale. Di qui, l'importanza di verificare la legittimità costituzionale, in questa materia, di un sistema di finanziamento gestito unicamente a livello centrale.

[14] Si veda anche Corte cost., sent. 308/2004, dove, in materia di costituzione di un fondo di garanzia destinato alla concessione di finanziamenti agevolati agli studenti, la Corte ha parzialmente annullato la disciplina statale che, pur ricadendo in un'area di competenza concorrente (l'istruzione), regolava criteri e modalità di utilizzo di tale fondo secondo una procedura del tutto accentrata, assegnando alle regioni un ruolo meramente consultivo.

[15] Cfr. M.G. Arabia, Lo spettacolo, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, Diritto amministrativo speciale, tomo II, 1613 ss.

[16] Non sembra casuale che, al momento in cui si scrive, il ministero abbia provveduto a disciplinare con decreti non regolamentari solo il finanziamento dei settori non compresi nei due regolamenti: con il d.m. 27 febbraio 2003 e il d.m. 21 aprile 2004 le attività teatrali, con il d.m. 8 maggio 2003 le attività circensi e con il d.m. 23 maggio 2003 le attività di spettacolo viaggiante.

[17] Il numero dei disegni di legge in materia sinora assegnati alle Commissioni competenti di Camera e Senato è rispettivamente 38 e 12.

[18] "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 28 maggio 2004, n. 136, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione di deleghe legislative e altre disposizioni connesse".

[19] Le iniziative del coordinamento interregionale in materia di spettacolo si sono mosse, in particolare, in due direzioni: la redazione di una proposta di legge statale recante i principi fondamentali per lo spettacolo e la predisposizione di uno schema di legge regionale tipo per la diffusione dell'esercizio cinematografico. La prima iniziativa ha portato all'approvazione di uno schema di disegno di legge quadro da parte della Conferenza dei Presidenti delle Regioni l'11 novembre scorso. Sulle proposte delle regioni si veda l'intervento dell'assessore alla cultura della regione Emilia Romagna, Marco Barbieri, nel Giornale dello spettacolo, n. 31 del 5 novembre 2004.

[20] Tra le varie proposte vi è stata anche quella (avanzata dal ministro Urbani) di trasformare il Fus in un fondo rotativo: l'ipotesi, tuttavia, è stata avversata dalle associazioni rappresentative delle categorie interessate, anche hanno invece proposto di incrementare il Fus prevedendone un durata triennale e collegandolo a criteri oggettivi di incremento automatico (ad es. l'indice annuo di inflazione), oppure affiancando ad esso altre fonti di finanziamento (come i fondi Lotto). Sul punto si vedano, in particolare, le proposte dell'Agis esposte nel corso dell'audizione presso la Commissione Istruzione e beni culturali del Senato.

[21] Cfr. M. Trimarchi, Lo spettacolo dal vivo tra responsabilità istituzionali e opportunità economiche, in Aedon, 2/2002.

[22] Cfr. la già citata sentenza 370/2003, dove la Corte, in relazione ad una norma concernente il finanziamento statale degli asili nido (materia considerata di competenza concorrente), ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione di un fondo settoriale di finanziamento gestito dallo Stato, ma, in considerazione della particolare rilevanza sociale degli asili nido, che richiedono continuità di erogazione in relazione ai diritti costituzionali implicati, ha fatto salvi i procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti.

[23] Nella sentenza 13/2004 la Corte ha dichiarato illegittima una norma di legge statale avente ad oggetto l'organizzazione del servizio scolastico in quanto materia di competenza concorrente, ma per l'esigenza di garantire la continuità del servizio scolastico ha differito l'effetto della pronuncia di illegittimità al momento in cui le regioni avranno disciplinato con proprie leggi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche.

[24] G. Scaccia, Le competenze legislative sussidiarie e trasversali, in Diritto pubblico, 2004, 499.

[25] La tendenza ad espandere la portata temporale del meccanismo transitorio dettato dal d.l. 24/2003 sembra essersi già registrata: si veda l'art. 3-ter della legge 21 maggio 2004, n. 128 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo"), che, sostituendo l'art. 24 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, ha stabilito che i criteri di ripartizione della quota del Fondo unico per lo spettacolo destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche siano determinati ogni tre anni con decreto del ministero per i Beni e le Attività culturali non avente natura regolamentare.



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