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Corte costituzionale

Sentenza 21 luglio 2004, n. 255

(in tema di potestà legislativa statale e regionale nella materia dello spettacolo)

 



LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Gustavo ZAGREBELSKY (Presidente); Valerio ONIDA; Carlo MEZZANOTTE; Fernanda CONTRI; Guido NEPPI MODONA; Piero Alberto CAPOTOSTI; Annibale MARINI; Franco BILE; Giovanni Maria FLICK; Francesco AMIRANTE; Ugo DE SIERVO; Romano VACCARELLA; Paolo MADDALENA; Alfonso QUARANTA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1 del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito, con modificazioni, in legge 17 aprile 2003, n. 82, promosso con ricorso della regione Toscana, notificato il 12 giugno 2003, depositato in cancelleria il 18 successivo ed iscritto al n. 52 del registro ricorsi 2003.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per la regione Toscana e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato il 12 giugno 2003 e depositato il successivo 18 giugno, la regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, recante disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 aprile 2003, n. 92.

2. - La ricorrente premette che la disposizione, al comma 1, disciplina i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo), affidandone la determinazione a "decreti del ministero per i Beni e le Attività culturali non aventi natura regolamentare"; al comma 2, invece, è disposta l’abrogazione del d.m. 4 novembre 1999, n. 470 (Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163).

Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata contrasterebbe con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. I primi due parametri risulterebbero violati in quanto il legislatore statale sarebbe intervenuto in una materia - quella dello "spettacolo" - da considerare affidata alla potestà legislativa residuale della regione, secondo quanto stabilito dall’art. 117, quarto comma, Cost.; di talché spetterebbe alle regioni disciplinare in via legislativa e regolamentare la suddetta materia, nonché stabilire il riparto delle funzioni amministrative tra le stesse e gli enti locali nel rispetto dei principi dell’art. 118 Cost. Tali conclusioni sarebbero supportate dal dato normativo fornito dallo stesso legislatore statale e, in particolare, dal d.lg. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che avrebbe sancito in termini espliciti l’autonomia dello spettacolo (disciplinato nel capo VI) rispetto alle attività culturali (disciplinate nel capo V), considerandoli ambiti distinti e separati.

La difesa regionale osserva che, anche volendo considerare lo spettacolo rientrante nella materia della "promozione ed organizzazione delle attività culturali" di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, alla legge statale spetterebbe il potere di determinare esclusivamente i principi fondamentali, i quali dovrebbero essere indirizzati al solo legislatore regionale "quale generale parametro per l’attività di regolazione della materia affidata alla competenza regionale". La disposizione impugnata, invece, non conterrebbe alcun principio di regolazione per la disciplina della materia "promozione ed organizzazione di attività culturali"; oltretutto, affermando espressamente di essere dettata "in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato", da un lato confermerebbe di non stabilire principi, dall’altro riconoscerebbe ambiguamente che il legislatore statale potrebbe assumersi il potere di determinare criteri e ambiti di competenza delle regioni, in violazione del riparto costituzionalmente stabilito.

3. - La ricorrente lamenta poi, in particolare, la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., per la parte in cui la disposizione censurata consentirebbe allo Stato l’esercizio di un potere regolamentare in materie diverse da quelle attribuite alla potestà legislativa esclusiva statale. A nulla varrebbe, infatti, la specificazione secondo la quale i decreti del ministro per i Beni e le Attività culturali non dovrebbero avere natura regolamentare, dal momento che - ad avviso della regione - tali decreti sarebbero comunque destinati a contenere norme generali ed astratte e pertanto, indipendentemente dal nome, costituirebbero illegittimo esercizio della potestà regolamentare, eludendo la disposizione costituzionale che regola la distribuzione di tale potere.

4. - L’ultimo profilo di censura è individuato nella violazione dell’art. 119 della Costituzione. La regione Toscana, premettendo che l’attuazione di tale norma richiederà, in prospettiva, la definizione di un sistema finanziario nuovo che realizzi il federalismo fiscale, afferma tuttavia che l’Amministrazione statale non potrebbe continuare a disciplinare le modalità di erogazione diretta dei finanziamenti a soggetti terzi per attività inerenti a materie che, come lo spettacolo, sono attribuite alla competenza delle regioni, perché ciò determinerebbe una sicura lesione delle attribuzioni di queste ultime. Secondo la ricorrente il rispetto di tali competenze imporrebbe, invece, il trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle regioni, alle quali poi competerebbe, nell’esercizio della riconosciuta potestà legislativa nel settore, disciplinare la procedura per l’erogazione delle stesse risorse agli aventi diritto.

La disposizione impugnata rinvia invece ad un atto statale la disciplina dei criteri, delle modalità di erogazione e delle aliquote dei contributi in favore dello spettacolo "del tutto noncurante della nuova norma contenuta nell’art. 119 della Costituzione".

5. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza del ricorso.

Quanto all’inammissibilità, l’Avvocatura rileva anzitutto che le argomentazioni svolte nel ricorso non investono affatto il secondo comma della disposizione oggetto di censura, con il quale è stato abrogato il regolamento di cui al d.m. n. 470 del 1999, di talché solo il primo comma dovrebbe considerarsi validamente impugnato. In secondo luogo, la difesa dello Stato osserva che se fosse dichiarata l’incostituzionalità della disposizione impugnata, la legge n. 163 del 1985 istitutiva del Fondo non potrebbe essere portata ad esecuzione (data anche la mancata impugnazione dell’abrogazione del regolamento attuativo); conseguentemente, la regione ricorrente provocherebbe a sé e alle altre regioni un danno nel quale sarebbe difficile scorgere la reintegrazione nelle proprie attribuzioni e che evidenzierebbe la mancanza di una concreta utilità dell’atto introduttivo del giudizio.

6. - Quanto al merito delle censure prospettate dalla regione, l’Avvocatura contesta l’assunto secondo il quale lo spettacolo costituirebbe materia autonoma e distinta dalle attività culturali. Il fatto che il d.lg. n. 112 del 1998 abbia tenuto distinte le attività culturali dallo spettacolo non significherebbe che costituiscano materie diverse, ma solo che le funzioni, per la natura degli interessi ad esse connessi, richiedono modalità di esercizio differenziate. In ogni caso, il legislatore costituzionale, nel definire le materie, non potrebbe che aver effettuato una classificazione autonoma, a meno di non volere sostenere che una classificazione del legislatore ordinario, fatta per il conferimento di funzioni, si possa imporre al legislatore costituzionale in sede di ripartizione della potestà legislativa. E la smentita della tesi regionale si troverebbe nello stesso art. 156 del d.lg. n. 112 del 1998, dove si prevede - alla lettera m) - la presenza dello spettacolo nelle scuole e nelle università e - alle lettere p) e q) - l’incentivazione del repertorio classico del teatro greco-romano e la promozione di forme nuove di sperimentazione.

Con riferimento alla presunta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., l’Avvocatura dello Stato riconosce che la normativa oggetto di censura non è da considerare "di principio"; tuttavia, ritiene che essa possa trovare legittimazione "sotto un diverso punto di vista costituzionale": in base al principio di continuità, la legislazione statale precedente la riforma costituzionale dovrebbe pacificamente considerarsi in vigore (e la sua legittimità costituzionale non sarebbe in discussione) anche dopo che la materia disciplinata sia stata attribuita alla potestà legislativa regionale, concorrente o residuale che sia; la legge n. 163 del 1985, che ha disciplinato il Fondo unico per lo spettacolo, continuerebbe dunque a produrre i suoi effetti, ma a tal fine richiederebbe necessariamente un procedimento statale per l’effettiva distribuzione dei contributi; il Fondo, infatti, per essere unico non poteva essere istituito che dallo Stato e non potrebbe essere distribuito che con un procedimento statale, come tale rientrante necessariamente nella potestà legislativa dello Stato; la legge impugnata non farebbe altro che dettare i criteri e le modalità per dare esecuzione alla legge n. 163 del 1985 e dunque avrebbe un contenuto meramente procedimentale al fine di rendere l’erogazione del Fondo più adeguata alle esigenze di razionalizzazione della finanza pubblica.

Da questo punto di vista, secondo l’Avvocatura dello Stato, si dovrebbe cogliere anche l’infondatezza della censura concernente il sesto comma dell’art. 117 Cost.; il legislatore statale, infatti, avrebbe inteso sostituire il precedente meccanismo di attuazione fondato sui regolamenti contenenti norme generali e astratte, con provvedimenti ministeriali da emettere anno per anno in modo da corrispondere al rapido mutamento delle situazioni, procedendo dunque non mediante la disciplina di fattispecie astratte ma tramite determinazioni di carattere concreto. Pertanto, correttamente avrebbe disposto la legge impugnata nell’attribuire ai suddetti decreti ministeriali natura di atti "non regolamentari", come tali chiamati a conformarsi al parametro dell’art. 118 Cost.

Quanto infine alla violazione dell’art. 119 della Costituzione, la difesa del Governo si limita a ribadire che la legge impugnata non farebbe altro che assicurare la corretta ed utile attuazione della legge n. 163 del 1985 e che le regioni non potrebbero avanzare pretese dovendo i "fondi che questa legge prevede [...] rimanere là dove lo Stato li ha collocati". Se la regione ricorrente non ritenesse utile la normativa statale potrebbe senz’altro, con propria legge, renderla inapplicabile al suo territorio, senza però poter pretendere di continuare a godere dei benefici del Fondo statale. La dichiarazione di incostituzionalità della legge impugnata impedirebbe di portare ad esecuzione la legge istitutiva del Fondo, con conseguente danno per la regione ricorrente e le altre regioni, confermando così la sostanziale inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

7. - In prossimità dell’udienza, la regione Toscana ha depositato una memoria confermando la prospettata illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

La regione ribadisce le proprie argomentazioni quanto all’assenza di qualunque titolo di legittimazione in capo allo Stato per l’emanazione di una simile disciplina; in particolare, rileva la difesa regionale, non potrebbe essere invocato il titolo del "procedimento amministrativo statale" sia perché questa non è una materia autonoma (rappresentando l’aspetto strumentale di materie sostanziali, nel caso di specie lo "spettacolo"), sia perché i decreti ministeriali cui la norma rinvia non dovrebbero limitarsi a disciplinare un procedimento ma aspetti sostanziali ormai affidati alla competenza normativa della regione; né potrebbe essere invocata la lettera m) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, in quanto la disciplina impugnata non avrebbe affatto le caratteristiche sostanziali e formali che potrebbero farla annoverare come espressiva del potere di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 88 del 2003 e n. 282 del 2002).

Quanto alla asserita violazione dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, la regione Toscana sottolinea il contenuto sostanzialmente normativo che dovrebbero assumere i decreti ministeriali previsti dalla disposizione impugnata, dal momento che a tali decreti sarebbe affidata la previsione di norme generali e astratte, autoapplicative nei confronti dei terzi e necessariamente sovraordinate rispetto agli atti amministrativi esecutivi. La legge statale, secondo la difesa regionale, non potrebbe attribuire al Governo poteri sostanzialmente normativi "solo evitando il nomen di regolamento", oltretutto in una materia che certamente non sarebbe ricompresa tra quelle di potestà legislativa esclusiva dello Stato. La ricorrente sottolinea che il rigido riparto stabilito dall’art. 117, sesto comma, della Costituzione non sarebbe che la traduzione in norma costituzionale del principio - già enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte nella vigenza del vecchio Titolo V - secondo il quale nessun tipo di regolamento statale sarebbe legittimato a disciplinare materie di competenza regionale (sentenze n. 376 del 2002, n. 507 del 2000, n. 408 del 1998, n. 333 del 1995 e n. 465 del 1991); anzi, tale principio risulterebbe oggi rafforzato, come avrebbe chiarito questa Corte (sentenze n. 303, n. 302 e n. 267 del 2003) e confermato il Consiglio di Stato in sede consultiva, risultando inibita in radice alla fonte secondaria statale la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale e non potendosi invocare neppure i principi di sussidiarietà e adeguatezza per conferire ai regolamenti statali la capacità di incidere sugli ordinamenti regionali a livello primario.

Infine, in relazione alla eccepita violazione dell’art. 119 della Costituzione, la regione ribadisce la propria tesi, secondo la quale lo Stato non potrebbe continuare a disciplinare le modalità di erogazione diretta dei finanziamenti a soggetti terzi per attività inerenti a materie attribuite alla competenza delle regioni, in quanto si determinerebbe una sicura lesione delle attribuzioni di queste ultime; ciò risulterebbe anche dalle sentenze di questa Corte n. 49 e n. 16 del 2004, secondo le quali "sin da ora lo Stato può e deve agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole". Il rispetto delle competenze regionali, secondo la ricorrente, renderebbe dunque necessario il trasferimento delle risorse finanziarie disponibili alle regioni, alle quali poi competerebbe, nell’esercizio della riconosciuta potestà legislativa nel settore, disciplinare la procedura per l’erogazione delle risorse stesse agli aventi diritto.

8. - Anche l’Avvocatura dello Stato, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria nella quale, premessa l’osservazione che la normativa impugnata dalla regione Toscana aveva ricevuto il parere favorevole ed unanime della Conferenza Stato-regioni in data 27 febbraio 2003, ribadisce le ragioni che dovrebbero condurre a dichiarare infondato il ricorso introduttivo del giudizio.

In particolare, l’Avvocatura riafferma l’impossibilità di ricondurre la disciplina dello spettacolo nell’ambito della potestà legislativa residuale delle regioni di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione; ciò determinerebbe, infatti, l’inammissibile e irrealistica esclusione dello "spettacolo" dal genere delle "attività culturali" contemplate nel terzo comma dello stesso art. 117.

La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea la necessità di muovere da un dato di partenza che si afferma incontrovertibile: la legge n. 163 del 1985, istitutiva del Fondo unico per lo spettacolo, è tuttora vigente e continua ad applicarsi fino ad eventuali nuove disposizioni legislative regionali incompatibili; e ciò risulterebbe esplicitamente confermato non solo dalla giurisprudenza di questa Corte ma anche dall’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131. In assenza di una nuova disciplina regionale, allo Stato non sarebbero affatto preclusi interventi normativi di dettaglio come la ricorrente vorrebbe sostenere; infatti, la disciplina impugnata non atterrebbe alla finanza locale, essendo volta ad assicurare un sostegno finanziario diretto agli enti che si dedicano allo spettacolo attraverso un fondo destinato ad operare su tutto il territorio nazionale; dunque, secondo l’Avvocatura, fino a che il Fondo unico resterà operativo, lo Stato sarebbe abilitato ad intervenire in forza della propria competenza in materia di "organizzazione amministrativa dello Stato", riconosciuta dall’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione.

In relazione alla questione della pretesa violazione dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, la difesa dello Stato ribadisce che la previsione di decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, per la disciplina dei criteri e delle modalità di erogazione, nonché delle aliquote di ripartizione del Fondo, non costituirebbe un espediente verbale elusivo del riparto costituzionalmente stabilito, bensì risponderebbe all’esigenza di eliminare le rigidità e le incongruenze che sarebbero derivate da disposizioni generali attraverso l’emanazione di atti ministeriali provvedimentali, a carattere concreto, in grado di far fronte alle esigenze di ciascun anno finanziario. Ciò renderebbe inconferente il richiamo all’art. 117, sesto comma. In ogni caso, anche a voler ammettere la natura sostanzialmente regolamentare di tali decreti ministeriali, sarebbe la permanente vigenza della legge n. 163 del 1985 a giustificare, in via transitoria, il potere regolamentare dello Stato al fine di rendere applicabile e operativa quella legge con la modifica o la sostituzione dei regolamenti previgenti; questi ultimi, infatti, non potrebbero certo essere modificati o sostituiti da regolamenti regionali, per la necessità che la legge statale del 1985 trovi attuazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, né d’altronde potrebbe ragionevolmente imporsi la necessaria cristallizzazione di discipline non più adeguate all’evolversi delle situazioni. Tale interpretazione sarebbe del tutto conforme al quadro costituzionale, potendosi leggere l’art. 117, sesto comma, Cost., come norma dalla quale dovrebbe ricavarsi la necessità che il potere regolamentare accompagni sempre quello legislativo; e un tale effetto, a vantaggio dello Stato, sarebbe comunque destinato a venire meno nel momento in cui le regioni decideranno di intervenire con loro discipline.

Quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 119 della Costituzione, l’Avvocatura sottolinea nuovamente l’erroneità dell’invocazione di tale parametro, non soltanto perché la disciplina impugnata, essendo rivolta al finanziamento diretto di soggetti privati, non potrebbe in alcun modo incidere sul finanziamento di funzioni pubbliche della regione, ma anche perché dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 37 del 2004) dovrebbe ricavarsi la conseguenza che l’art. 119, fino all’emanazione dell’apposita disciplina legislativa di attuazione, si configurerebbe come "norma di principio alla stregua della quale non possono essere condotte verifiche di legittimità costituzionale delle singole leggi che fanno fronte alle nuove esigenze che insorgono nel frattempo".

Considerato in diritto

1. - La regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, recante disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), nella parte in cui disciplina i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo previsto dalla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo), affidandone la determinazione a "decreti del ministero per i Beni e le Attività culturali non aventi natura regolamentare".

Questa disposizione violerebbe l’art. 117 della Costituzione e, conseguentemente, gli artt. 118 e 119. Ciò perché il legislatore statale sarebbe intervenuto nella materia dello "spettacolo", da considerare affidata alla potestà legislativa residuale della regione in virtù dell’art. 117, quarto comma, Cost. Il riparto costituzionale delle competenze normative, tuttavia, dovrebbe essere ritenuto violato anche ove si ritenesse la disciplina de qua incidente nella materia "promozione ed organizzazione delle attività culturali" di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.; ciò in quanto anche nelle materie di competenza concorrente la disciplina legislativa statale non potrebbe che essere limitata ai principi fondamentali e sarebbe comunque preclusa l’attribuzione ad organi statali dell’esercizio di un potere sostanzialmente regolamentare, con conseguente violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. Solo alla regione dovrebbe spettare la disciplina delle funzioni amministrative e dell’erogazione delle risorse finanziarie in materia, di talché risulterebbero violati anche gli artt. 118 e 119 Cost.

2. - La questione non è fondata.

Preliminarmente, deve essere individuato l’ambito di materia nel quale interviene la disciplina oggetto del presente giudizio.

Al riguardo, deve essere innanzi tutto evidenziato che, anche se nel catalogo di materie di cui al nuovo art. 117 della Costituzione non si fa espressa menzione delle attività di sostegno degli spettacoli, da ciò non può certo sommariamente dedursi, come sostiene la regione ricorrente, che tale settore sarebbe stato affidato alla esclusiva responsabilità delle regioni.

La materia concernente la "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali", affidata alla legislazione concorrente di Stato e regioni, infatti, ricomprende senza dubbio nella sua seconda parte, nell’ambito delle più ampie attività culturali, anche le azioni di sostegno degli spettacoli.

Né è convincente la prospettazione della ricorrente, secondo la quale la separata disciplina dello "spettacolo" rispetto ai "beni e attività culturali" nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi della Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) dimostrerebbe la irriducibilità della materia "spettacolo" alla attuale materia di competenza concorrente; ciò in quanto - anche volendosi prescindere dalla dubbia idoneità di una argomentazione interpretativa del nuovo dettato costituzionale tratta soltanto dalla collocazione sistematica di una isolata disposizione nella precedente legislazione ordinaria - nel d.lg. n. 112 del 1998 le competenze delle regioni in tema di "attività culturali" (cioè le attività "rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte", così definite dall’art. 148, comma 1, lettera f), del d.lg. n. 112 del 1998) erano in realtà limitate alle sole attività di tipo promozionale previste dall’art. 153 [oggi abrogato, assieme allo stesso art. 148, dall’art. 184 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)], mentre l’art. 156, unica norma del Capo dedicata allo "spettacolo" e ancora vigente, in realtà enumera i "compiti di rilievo nazionale in materia di spettacolo" riservati allo Stato, escludendone quindi implicitamente le regioni.

Invece, nell’attuale sistema costituzionale l’art. 117, comma terzo, Cost., contempla la materia della "promozione ed organizzazione di attività culturali" senza esclusione alcuna, salvi i soli limiti che possono indirettamente derivare dalle materie di competenza esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost. (come, ad esempio, dalla competenza in tema di "norme generali sull’istruzione" o di "tutela dei beni culturali").

Ciò comporta che ora le attività culturali di cui al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo.

Questo riparto di materie evidentemente accresce molto le responsabilità delle regioni, dato che incide non solo sugli importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, ad esempio e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici o i teatri stabili); con la conseguenza, inoltre, di un forte impatto sugli stessi strumenti di elaborazione e diffusione della cultura (cui la Costituzione, non a caso all’interno dei "principi fondamentali", dedica un significativo riferimento all’art. 9).

3. - Se quindi il sostegno finanziario degli spettacoli è ormai riconducibile ad una materia di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., ciò però non significa l’automatica sopravvenuta incostituzionalità della legislazione statale vigente in materia, anzitutto in conseguenza del principio della continuità dell’ordinamento, più volte richiamato da questa Corte dopo la modifica del Titolo V (fra le altre cfr. sentenze n. 383 e n. 376 del 2002, ordinanza n. 270 del 2003).

Occorre inoltre considerare la specificità della legislazione vigente in materia, ed in particolare quella che disciplina appunto il Fondo unico per lo spettacolo, di cui agli artt. 1 e seguenti della legge n. 163 del 1985: in tale normativa, infatti, viene configurato un fondo unico di finanziamento annuo a livello nazionale finalizzato al "sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché per la promozione ed il sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all’estero" (art. 1), mentre gli artt. 2 e 13 della citata legge n. 163 contengono addirittura una predeterminazione legislativa delle percentuali di riparto del fondo di finanziamento fra le diverse forme di spettacolo (musica e danza, cinematografia, teatro di prosa, spettacoli circensi e viaggianti).

Ci si trova con tutta evidenza dinanzi alla necessità ineludibile che in questo ambito, come in tutti quelli analoghi divenuti ormai di competenza regionale ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., ma caratterizzati da una procedura accentrata, il legislatore statale riformi profondamente le leggi vigenti (in casi come questi, non direttamente modificabili dai legislatori regionali) per adeguarle alla mutata disciplina costituzionale. In tale opera, naturalmente, le disposizioni concernenti le funzioni amministrative di erogazione di finanziamenti pubblici dovranno risultare conformi alle prescrizioni contenute nell’art. 118 Cost.; in particolare, dunque, ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, i quali governano la allocazione delle funzioni amministrative, incluse quelle che qui vengono in considerazione.

Conseguentemente, almeno per i profili per i quali occorra necessariamente una considerazione complessiva a livello nazionale dei fenomeni e delle iniziative (ad esempio, si vedano le funzioni finora riservate allo Stato proprio dall’art. 156 del d.lg. n. 112), dovranno essere elaborate procedure che continuino a svilupparsi a livello nazionale, con l’attribuzione sostanziale di poteri deliberativi alle regioni od eventualmente riservandole allo stesso Stato, seppur attraverso modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le regioni.

In un settore del genere si sconta in modo particolare la difficoltà derivante dalla mancanza, nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della Parte seconda della Costituzione), di qualunque disposizione transitoria finalizzata a disciplinare la fase di passaggio nelle materie in cui si sia registrato un mutamento di titolarità fra Stato e regioni e particolarmente là dove - come nel caso in questione - occorra passare da una legislazione che regola procedure accentrate a forme di gestione degli interventi amministrativi imperniate sulle regioni, senza che le leggi regionali da sole possano direttamente trasformare la legislazione vigente in modo efficace.

4. - La richiesta delle regioni, che venga trasformata la vigente legislazione di sostegno delle attività culturali in conformità al nuovo dettato costituzionale, non ha ancora trovato spazio nella legislazione nazionale successiva alla adozione della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Peraltro, la necessità di continuare a dare attuazione, in considerazione della perdurante vigenza dell’attuale sistema disciplinato dalla legge n. 163 del 1985, alla erogazione annuale di contributi alle attività dello spettacolo (e quindi in una situazione di impellenti necessità finanziarie dei soggetti e delle istituzioni operanti nei diversi settori degli spettacoli), ha evidentemente indotto il legislatore ad adottare la disposizione impugnata, che non a caso appare esplicitamente temporanea, essendo stata approvata "in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato": a prescindere dalla imprecisa formulazione della norma, resta il fatto che le disposizioni della legge n. 163 del 1985 hanno iniziato ad essere modificate in conseguenza della trasformazione costituzionale intervenuta, quantomeno attraverso l’esplicito riconoscimento della provvisorietà di questa disciplina.

In considerazione di questa eccezionale situazione di integrazione della legge n. 163 del 1985, può trovare giustificazione la sua temporanea applicazione, mentre appare evidente che questo sistema normativo non potrà essere ulteriormente giustificabile in futuro.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, recante disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.

 

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2004

 



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