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La fondazione museale in partecipazione
tra enti locali e privati: il caso di Cortona [1]

di Antonio Bartolini


Sommario: 1. Premessa. - 2. L'istituzione. - 3. Segue: l'associazione non riconosciuta, l'associazione personificata e la società di capitali. - 4. Segue: la fondazione come modello ottimale nel campo della gestione museale ed i problemi posti nel caso di Cortona. - 5. La fondazione di partecipazione come punto di equilibrio tra pubblico e privato.



1. Premessa

Il presente contributo si propone di esporre il lavoro di un gruppo di studio costituito tra l'Accademia etrusca ed il comune di Cortona, avente ad oggetto l'individuazione di una forma organizzativa da dare al costituendo museo della città: si cercherà di raccontare la storia, per la verità travagliata, che ha portato la città di Cortona a desiderare la costituzione di una fondazione museale, che dovrebbe prendere il nome di Museo dell'Accademia etrusca e della città di Cortona.

L'Accademia etrusca, antica "istituzione" culturale cortonese, è proprietaria di un compendio di reperti archeologici etruschi, che attualmente vengono esposti in un palazzo di proprietà comunale.

I rapporti tra comune ed Accademia sono attualmente regolati da una convenzione, risalente al 1973. L'amministrazione comunale mette a disposizione alcuni piani di un palazzo, accollandosi pure le pulizie; l'Accademia s'impegna ad organizzare l'esposizione museale con i reperti di propria proprietà. Il raccordo tra le due entità è dato da un comitato tecnico, che ha compiti gestionali ed organizzativi.

Il limite di questa formula organizzativa sta nel fatto che il comitato non ha né soggettività, né proprio patrimonio, per cui le decisioni di spesa devono passare al vaglio degli organi comunali, con un rallentamento delle procedure e con innegabili conseguenze in termini d'ingerenza sull'autonomia dell'organizzazione museale.

A queste disfunzioni si è aggiunta, nel tempo, una struttura parallela e distinta, fondata in questo caso su un accordo tra comune e ministero dei Beni e Attività culturali, dove quest'ultimo ha affidato in uso all'amministrazione civica i reperti archeologici ritrovati nei tempi più recenti nel territorio cortonese.

Esistono, dunque, a Cortona due musei distinti che riguardano uno stesso oggetto, cioè le testimonianze archeologiche etrusche scoperte nel territorio di questa città. Il che sicuramente non comporta, in termini di sinergie e di omogeneità dell'offerta culturale, un'efficiente allocazione della risorsa museale.

E' sorta, pertanto, la necessità di riorganizzare l'attività museale in una nuova veste giuridica: l'Accademia etrusca ed il comune sono addivenuti ad una lettera d'intenti con cui è stato dato incarico ad una commissione di esperti di dare al costituendo museo una forma organizzativa confacente [2].

Nel corso dei lavori (ancora non conclusi) sono sorte le più disparate problematiche.

Ci si è, innanzitutto, domandati se sia preferibile il ricorso ad un'organizzazione pubblicistica quale l'istituzione o ad una privatistica, quale una associazione od una fondazione. Ci si è chiesti, altresì, nel caso di opzione per un modello privatistico, se il comune possa conferire la gestione di un servizio culturale ad un ente non profit e, dall'altro, se vi siano delle figure di diritto speciale cui necessariamente fare riferimento. Da ultimo si è dovuta cercare una forma giuridica che consenta d'instaurare un rapporto paritario tra pubblico (il comune) e privato (l'Accademia).

Il compito che ci si propone è proprio quello di evidenziare, in una sorta di scansione algoritmica, come sono state dipanate le predette problematiche.

A tal fine, l'analisi partirà dalle ragioni che hanno spinto a scartare la figura dell'istituzione a favore delle organizzazioni di diritto privato.

 

2. L'istituzione

Il Testo Unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) prevede che i servizi a carattere non industriale possano essere conferiti a delle particolari figure soggettive chiamate "istituzioni" [3].

Si tratta di un'entità piuttosto flessibile, in quanto non definita dalle disposizioni ordinamentali sugli enti locali, limitandosi a dare la generica definizione di "organismo strumentale dell'ente locale" [4]. Ha, pertanto, carattere polimorfo, potendo assumere tanto la veste di ente giuridico, quanto quella di organo con legittimazione separata (cioè un organo comunale avente un propria legittimazione sostanziale e processuale) [5]. Ma soprattutto, per quanto in questa sede ci interessa, può avere una composizione organica interna, in cui possano essere immessi anche interessi extra comunali. Ne discende che i titolari degli organi di amministrazioni possono essere designati anche da soggetti esterni, compresi enti privati (purché portatori di un interesse coincidente con quello perseguito dall'istituzione) [6].

In questo quadro, rispetto alle problematiche cortonesi, si era adombrata la soluzione di creare un'istituzione museale cui affidare la gestione del compendio archeologico, dove metà degli amministratori sarebbero potuti essere stati designati dall'Accademia etrusca (in cambio del conferimento in comodato dei reperti archeologici di quest'ultima).

Il ricorso all'istituzione, tuttavia, comporta dei profili problematici da apprezzarsi sotto un duplice ordine di argomenti.

a) Prevalenza del momento organizzativo pubblicistico su quello privatistico. Ai sensi del Tuel, l'istituzione non ha autonomia normativa ed organizzativa, poiché l'ordinamento ed il funzionamento dell'organismo sono sottoposti alla disciplina data dallo statuto e dai regolamenti dell'ente locale [7]. L'ente locale determina, altresì, le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali [8]. L'istituzione è, dunque, un'entità meramente strumentale priva di autonomia e nel completo dominio dell'ente locale. L'istituzione mal si attaglia a situazioni come quella cortonese, dove un soggetto privato vuole conferire ad un'organizzazione museale un ingente ed importante compendio archeologico di sua proprietà. Nessuno è disposto a cedere quota dei propri diritti dominicali senza poter proferir parola. Cosa che, invece, succederebbe nel caso di una scelta a favore dell'istituzione museale, in cui sarebbe il comune ad avere un dominio totale anche su beni eventualmente "conferiti" da soggetti privati. Va da sé che l'istituzione non è uno strumento organizzativo indicato laddove il museo voglia essere il frutto di una collaborazione, in modo da rendere fruibili alla collettività beni pubblici e privati

b) Prevalenza del diritto speciale sul regime a diritto comune. L'istituzione oltre alle norme contenute nel Tuel è naturalmente soggetta alla disciplina di genere cui sono sottoposte tutte le pubbliche amministrazioni. Ne consegue che la medesima è sottoposta allo statuto generale delle p.a. ed in primo luogo alle disposizioni sull'impiego pubblico privatizzato. Né va dimenticata la soggezione al controllo della Corte dei conti. Vi è, poi, la legge generale sul procedimento amministrativo ed in particolare il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Vi è un'integrale applicazione delle norme sugli appalti pubblici di servizi, forniture e lavori. Né, da ultimo, vanno dimenticate tutte quelle disposizioni del codice penale che si estendono alle pubbliche amministrazioni.

Ed anche sotto questo profilo sono evidenti le difficoltà che sorgono rispetto ad organizzazioni in cui confluiscono apporti patrimoniali pubblici e privati. E' difficile che un ente privato decida di assoggettare le proprie iniziative ad un simile statuto, quando il ricorso a figure organizzative di diritto comune consentirebbe una sostanziale esenzione dallo statuto delle pubbliche amministrazioni.

In definitiva gli strumenti di collaborazione tra pubblico e privato devono dirigersi verso il diritto comune, poiché, altrimenti, vi sarebbe il rifiuto di questi ultimi a partecipare ad iniziative in collaborazione. E' "l'esperienza (a mostrare) con chiarezza che l'amministrazione laddove voglia acquisire il supporto gestionale di operatori privati, essa deve almeno concordare con gli stessi il contenuto del rapporto e attribuirsi un ruolo di indirizzo e controllo compatibile con l'autonomia del gestore" [9].

 

3. Segue: l'associazione non riconosciuta, l'associazione personificata e la società di capitali

Ci si è, pertanto, indirizzati verso moduli organizzativi privatistici. In questo ambito si sono valutati i costi e benefici derivanti dall'utilizzo delle seguenti figure soggettive, cioè l'associazione non riconosciuta, l'associazione, la società di capitali e la fondazione.

Per quanto concerne l'associazione non riconosciuta si è immediatamente verificato che il ricorso a tale figura non è consentita dal Tuel. E ciò per un'ovvia ragione: l'utilizzo della gestione del servizio culturale mediante ente di fatto comporta per l'ente locale una sottrazione al beneficio dello "schermo della personalità giuridica", con conseguente estensione della responsabilità patrimoniale diretta.

In secondo luogo si è verificata la possibilità di costituire un'associazione od una società di capitali [10]: ma, tra le tante ragioni, è stata ritenuta assorbente la considerazione in base alla quale questo tipo di figure soggettive non hanno il carattere della stabilità del tempo, data la possibilità di sciogliere il vincolo associativo. Sono, dunque, enti non necessari, che non garantiscono la continuità del servizio nel tempo e la possibilità di seguire progetti culturali di lungo periodo.

La scelta, pertanto, è caduta sulla fondazione.

 

4. Segue: la fondazione come modello ottimale nel campo della gestione museale ed i problemi posti dal caso di Cortona

La fondazione, come patrimonio destinato ad uno scopo, è sembrato lo strumento ottimale per progetto cortonese [11].

Da un lato, consente di dare all'iniziativa una stabilità nel tempo e, dall'altro permette di utilizzare lo schermo della personalità giuridica, in modo da confinare la responsabilità patrimoniale all'interno dell'entità museale. Del resto l'esperienza di altri paesi dimostra come la figura della fondazione sia l'archetipo delle istituzioni private museali.

Il ricorso alla figura della fondazione codicistica consente ai privati fondatori di restare soggetti al diritto comune e, quindi, di essere sottratti a gran parte delle norme ricomprese nello statuto delle pubbliche amministrazioni [12].

Si è anche proposto di attribuire alla fondazione in parola lo status di Onlus, in modo da poter beneficiare degli sgravi e delle agevolazioni fiscali.

L'idea di seguire la strada della fondazione ha comportato per il gruppo di studio la soluzione di alcuni punti problematici posti dal moderno diritto positivo.

A tal fine, giova, difatti, rammentare che l'ordinamento, di recente, ha posto alcune disposizioni dirette a regolare l'utilizzo delle fondazioni per servizi culturali ed in particolare per quelli museali.

Ci si è chiesti, innanzitutto, se l'ordinamento degli enti locali consente la gestione dei musei tramite "fondazioni partecipate" da soggetti pubblici e privati.

Ed a questo proposito, bisogna rammentare che, prima della legge finanziaria del 2001 [13], le forme di gestione dei servizi locali, anche socio-culturali, erano tipizzate in un'elencazione, dove non erano comprese le fondazioni.

Ciò nonostante nell'esperienza applicativa erano e sono sorte numerose fondazioni museali partecipate dagli enti locali. E' nato, pertanto, il dubbio se questa prassi era da considerare contra legem [14]. A tal proposito si è, innanzitutto, partiti dalla considerazione che per principio pacifico gli enti pubblici, nell'esercizio della propria autonomia privata funzionalizzata, possano costituire e partecipare ad enti non-profit, purché perseguano finalità ed interessi omogenei a quelle dell'ente. In secondo luogo, le forme organizzative delineate dall'ordinamento degli enti locali hanno valore tassativo solo per l'erogazione di servizi in regimi di riserva, cioè per servizi in monopolio dell'ente locale o aventi ad oggetto beni in proprietà del medesimo.

E nel caso dell'esperienza cortonese il servizio ha ad oggetto beni archeologici di proprietà privata o conferiti in uso dallo Stato; oltretutto la fondazione è conformata in modo da perseguire finalità che rientrano anche tra quelle dell'ente locale, atteso che le Bassanini conferiscono la funzione di valorizzazione dei beni culturali anche al comune [15].

Comunque la soluzione prospettata trova oggi un fondamento legislativo nella novella al Tuel, dove si consente espressamente agli enti locali "di procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate" [16].

Sotto questo profilo esiste, dunque, una conferma anche di diritto positivo sulla possibilità di costituire da parte degli enti locali fondazioni museali.

Tuttavia, si è dovuto affrontare un ulteriore nodo problematico, riguardante la possibilità di conferire in uso alla fondazione i beni archeologici di proprietà statale e conservati (attualmente) dal comune. Difatti, la fondazione dovrebbe racchiudere un percorso museale in cui siano raccolti tanto i compendi dell'Accademia, quanto quelli dati in uso dal ministero dei beni culturali al comune. Si è posto, peraltro, l'interrogativo se detti beni possano essere conferiti solamente alle "fondazioni culturali a partecipazione statale" [17]. Va, all'uopo, rammentato che il decreto legislativo istitutivo del ministero dei Beni e Attività culturali ha previsto la possibilità per il medesimo ministero di costituire o partecipare a fondazioni, al fine di valorizzare i beni culturali [18]. In attuazione di tale previsione, il ministero ha approvato un decreto avente ad oggetto le fondazioni culturali a partecipazione statale, dove l'amministrazione dei beni in esame può partecipare mediante conferimento in uso dei propri beni [19].

E' stato ovvio chiedersi se questa forma fondazionale sia il contenitore esclusivo in possano essere versati i beni culturali in appartenenza al ministero. Problema di non poco momento, per il caso di Cortona, visto che nella costituenda fondazione debbono essere conferiti i beni archeologici statali dati in uso al comune. In caso di risposta affermativa, si dovrebbe, infatti, seguire la forma tipizzata dal regolamento ministeriale.

A ben vedere lo schema fondazionale in parola appare necessitato solo laddove il ministero intenda partecipare o costituire una fondazione. Altrimenti, se l'amministrazione dei beni culturali si vuole limitare a conferire in uso i beni senza partecipare alla fondazione, si riaprono le strade del diritto comune e della completa autonomia privata. In quest'ultima evenienza, i beni culturali in appartenenza statale dovranno essere conferiti mediante accordi, così come previsto dalla fonte istitutiva del ministero per i Beni e le Attività culturali [20]. Per incidens, va, pure, evidenziato che, in un recente obiter dictum del Consiglio di Stato, il regolamento sulla fondazioni a partecipazione statale è stato ritenuto contrastante col nuovo Titolo V della Costituzione, il quale attribuisce la potestà regolamentare esclusiva in materia di valorizzazione dei beni culturali (essendo materia di legislazione concorrente) alle regioni: ne consegue che il medesimo regolamento va considerato incostituzionale [21].

Sulla base di queste considerazioni si è arrivati alla conclusione che il percorso museale avente ad oggetto i compendi dell'Accademia e quelli statali da esporre in un Palazzo di proprietà comunale può essere organizzato mediante una fondazione di diritto comune, costituita tanto dall'Accademia quanto dal comune. I beni culturali statali verranno conferiti in uso sulla scorta di un accordo tra fondazione e ministero; quelli dell'Accademia verranno attribuiti in comodato (alla medesima fondazione).

I rapporti tra ente locale e fondazione dovranno essere regolati, ai sensi del Tuel [22], sulla base di un contratto di servizio: quest'ultimo, in particolare, dovrà regolare le forme di tutela, conservazione e valorizzazione del bene culturale. Contratto di servizio che, per di più, pare incidere e contaminare la stessa struttura della fondazione, immettendo un elemento fortemente corporativo (il negozio di disciplina del rapporto, cioè il contratto di servizio) su un substrato istituzionale, che non gradisce interferenze su quanto cristallizzato nelle tavole di fondazione. Ma su quest'aspetto ci si riserva di ritornare nel prosieguo.

 

5. La fondazione di partecipazione come punto di equilibrio tra pubblico e privato

Ulteriori questioni problematiche sono state poste nel dettare il regolamento d'interessi su cui poggiare la fondazione museale.

Innanzitutto, vi è stata la necessità di trovare un punto di equilibrio, nell'organizzazione interna dell'ente, tra le istanze provenienti dall'ente locale e quelle rappresentate dall'Accademia etrusca; in secondo luogo, si è cercato di avere orizzonti più larghi, rispetto alla compagine iniziale e costitutiva, prevedendo forme che facilitino l'apporto di nuovi capitali da aggiungere alla dotazione patrimoniale iniziale.

Si è ritenuto di soddisfare queste due esigenze attraverso l'ibridazione della figura fondazionale attraverso diversi strumenti: da un lato, il ricorso allo schema della fondazione in partecipazione, che consente di dare all'ente un'organizzazione simile all'associazione, consentendo, in particolare, l'ingresso di nuovi finanziatori, chiamati "partecipanti"; dall'altro, il rinvio di una parte del regolamento degli interessi al contratto di servizio tra ente locale e fondazione, così come imposto dal Tuel.

Tale scelta comporta, peraltro, una significativa modificazione del tipo fondazionale, poiché con la fondazione di partecipazione si inseriscono elementi personalistici ed associativi che intaccano il substrato istituzionale dell'ente.

Ma lo stesso obbligo di prevedere un contratto di servizio potrebbe determinare un'alterazione dei rapporti tra fondatore e fondazione. Difatti, alle tavole di fondazione, che di norma hanno un carattere trascendente dalla volontà del fondatore, si affianca un elemento dinamico, dove uno dei fondatori ha la possibilità di regolare i propri rapporti (anche nel futuro) in via contrattuale, con una sicura alterazione del modello tipico.

Problematiche, del resto, non sconosciute alla migliore dottrina [23], la quale ha avuto modo di sottolineare che il tipo codicistico ammette forme di contaminazione, purché non venga alterato il nucleo essenziale della fondazione, costituito da un patrimonio destinato ad uno scopo non modificabile nel tempo e da perseguibile per un periodo illimitato nel tempo. A tal proposito si è andati alla ricerca del contenuto precettivo minimo [24] (seguendo una metodica collaudata anche per gli enti pubblici [25]), identificato, per l'appunto, "nella destinazione di un patrimonio allo scopo", che con il riconoscimento esce definitivamente dalla disponibilità del fondatore ed assume una propria consistenza reale [26].

Sulla base di queste premesse, possiamo vedere i limiti posti, per quanto in questa sede ci interessa, alla conformazione da dare alle fondazioni in partecipazione ed al contratto di servizio.

Per quanto riguarda la fondazione in partecipazione è intervenuto un parere del Consiglio di Stato [27], dove si è ammessa la possibilità di far "associare" alle fondazioni soggetti diversi dai fondatori, nel caso in cui i nuovi partecipanti apportino utilità aggiuntive al fondo patrimoniale. Viene, però, individuato un limite a questo ingresso e cioè che non venga alterata "la natura dell'ente e lo scopo iscritto nella tavola di fondazione, introducendo impropri elementi personalistici" [28].

Passando al contratto di servizio, questioni analoghe si sono poste in passato rispetto alle fondazioni previdenziali, dove i relativi statuti demandano ad un regolamento, posto in essere tra i fondatori e i beneficiari, le modalità di partecipazione al conferimento e i diritti dei beneficiari [29]. Su tale aspetto si è formato un orientamento che ammette la possibilità di rinviare parte del regolamento degli interessi a fonti extra fondazionali, purché abbiano carattere accessorio allo statuto e non alterino la destinazione patrimoniale allo scopo.

Simili indirizzi sono pienamente estensibili ai contratti di servizio, atteso che il Tuel non si preoccupa di darne una disciplina. Pertanto, ci sembra, che tali contratti potranno stabilire regole di conservazione, tutela e valorizzazione dei beni, ma non potranno mai conferire al "fondatore-comune" la disponibilità dei medesimi, una volta che questi, col conferimento, se ne è separato. Altrimenti si avrebbe una grave alterazione dello schema fondazionale in cui i beni sarebbero nella disponibilità di un soggetto, che, per il codice civile, deve essere privo di poteri di disposizione.

Sulla scorta di tali considerazioni si è, dunque, proceduto a conformare l'organizzazione della Fondazione museale dell'Accademia e della città di Cortona.

Per quanto concerne la necessità di dare un assetto equilibrato, è stato previsto un cda composto in rappresentanza paritetica dei due fondatori; la nomina del presidente deve avvenire d'intesa tra Accademia e comune; il direttore scientifico viene designato dall'Accademia, mentre il Segretario amministrativo dal comune.

Per quanto riguarda l'aspetto partecipativo, è stato previsto un organo ad hoc, il collegio dei partecipanti, formato dai soggetti che in futuro (si spera) apporteranno nuovi contributi patrimoniali. Il collegio dei partecipanti ha funzione consultiva e può nominare due amministratori.

Per quanto attiene il contratto di servizio, il medesimo dovrà avere ad oggetto le forme di conferimento e le regole di tutela e valorizzazione dei beni conferiti, con espressa esclusione di alcun potere disposizione.

In sede di conclusione è giusto avvertire il lettore che la Fondazione di Cortona è ancora ai nastri di partenza. Il progetto presentato dal gruppo di studio ha incontrato i veti incrociati delle due entità, i cui rapporti soffrono d'incomprensioni ultra centenarie.

E così un importante ed ambizioso progetto culturale di collaborazione tra pubblico e privato è fermo ai nastri di partenza.

 

 

 



Note

[1] Relazione tenuta al Convegno "Le fondazioni nella cultura e nell'economia" organizzato dalla Fondazione Festival Due Mondi, Spoleto 11 ottobre 2002.

[2] La commissione di esperti è diretta dal Prof. Bruno Cavallo e ne fanno parte il Dott. Ferruccio Fabilli (dirigente del comune di Cortona) e l'estensore del presente contributo.

[3] Cfr. art. 113-bis, Tuel.

[4] Art. 114, comma 2, Tuel.

[5] Su tale aspetto si vedano gli esatti rilievi di A. Andreani, L'istituzione per la gestione dei musei. Spunti problematici, in Aedon 2/1998.

[6] Cfr. sempre A. Andreani, L'istituzione per la gestione dei musei. Spunti problematici, cit. Per alcune applicazioni pratiche di questa possibilità vedi D. Jalla, Le istituzioni museali torinesi, ivi.

[7] Art. 114, comma 5, Tuel.

[8] Art. 114, comma 6, Tuel.

[9] Così E. Bruti Liberati, Pubblico e privato nella gestione dei beni culturali: ancora una disciplina legislativa nel segno dell'ambiguità e del compromesso, in Aedon 3/2001.

[10] Sulla valorizzazione dei beni culturali tramite società da ultimo si veda N.R. Torrepadula, La società per la valorizzazione dei beni culturali, in Aedon 3/2001. Né va dimenticato il contributo di M. Renna, La Sibec spa. tra realtà normativa e prospettive di attuazione, in Dir. amm., 1999, 597 ss.

[11] E', invece contrario all'impiego dello strumento fondazionale per la gestione dei musei G. Franchi Scarselli, Sul disegno di gestire i servizi culturali tramite associazioni e fondazioni, in Aedon 3/2000; Id., La gestione dei servizi culturali tramite fondazione, ivi, 1/2002, il quale, da un lato, mette in evidenza che con la fondazione l'interesse pubblico dell'ente locale viene spersonalizzato e depotenziato e, dall'altro, si consente di "costituire un soggetto non molto dissimile dall'ente pubblico economico di vecchia generazione che però, in quanto privato, è abilitato a prescindere dalle regole di trasparenza e di evidenza pubblica (valevoli solo al momento dell'affidamento del servizio sia pure sulla base di una innominata quanto sconosciuta normativa di "settore") salvo rientrarvi con notevoli difficoltà quale "organismo di diritto pubblico" laddove poi goda di risorse pubbliche".

[12] Sul punto va, peraltro, rammentato quanto sottolineato da G. Severini, Fondazioni e musei privati, Convegno Le fondazioni nella cultura e nell'economia organizzato dalla Fondazione Festival Due Mondi, Spoleto 11-12 ottobre 2002, il quale, nel dattiloscritto, rammenta che nei musei l'applicabilità della disciplina pubblicistica o meno, ricompresa nello statuto delle pubbliche amministrazioni, non dipende tanto dalla natura pubblica o privata della figura soggettiva che gestisce il bene, ma dalla natura del compendio museale. Se la raccolta museale appartiene allo Stato, ci troveremo di fronte a un bene demaniale che conferisce al museo gestito da un soggetto privato la natura di servizio pubblico in senso oggettivo: ne consegue che la gestione continuerà ad essere soggetta a un importante status pubblicistico in tema di diritto d'accesso ai documenti, disposizioni penali previste per gli incaricati di pubblico servizio, controllo della Corte dei conti sugli enti "sovvenzionati", regime d'indisponbilità dei beni culturali conferiti, ed appalti (se organismo di diritto pubblico). Sempre G. Severini, Fondazioni e musei privati, ha sottolineato che nel caso in cui i beni della dotazione museale provengano tanto dal pubblico quanto dal privato, per l'individuazione del regime applicabile occorrerà far riferimento al criterio ella prevalenza.

[13] In particolare cfr. art. 35 legge 21 dicembre 2001, n. 448.

[14] M. Cammelli, Il nuovo titolo V della Costituzione e la finanziaria 2000: note, in Aedon 1/2002, ritiene, a tal proposito, che le numerose esperienze locali in materia, prima della l. 448/2001, si trovavano nella "zona grigia di alegalità (se non di vera e propria illegittimità)".

[15] Cfr. art. 152, d.lg. 31 marzo 1998, n. 112.

[16] Così l'art. 113-bis, comma 3, Tuel, così come introdotto dall'art. 35 l. 448/2001.

[17] Su tale tipologia di fondazione si veda S. Foà, Il regolamento delle fondazioni culturali a partecipazione statale, in Giorn. dir. amm., 2002, 830 ss.

[18] Cfr. art. 10, comma 1, lett. b) e comma 2, d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368.

[19] Di cui al d.m. ministero per i Beni e le Attività culturali 27 novembre 2001, n. 491.

[20] Cfr. art. 10, comma 1, lett. a), d.lg. 368/1998. Nell'accordo dovrebbe essere, altresì stabilito, che in caso di estinzione della fondazione i beni culturali concessi dal ministero ritornino nella disponibilità di quest'ultimo.

[21] Cons. St., sez. consultiva per gli atti normativi, 26 agosto 2002, n. 1794/2002 (parere), in www.giust.it, n. 10-2002.

[22] Così l'art. 113-bis, comma 5, Tuel.

[23] In particolare si veda la bella monografia di A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, passim, ed ivi ampli riferimenti dottrinali e giurisprudenziali cui si rinvia per un ulteriore approfondimento.

[24] Sempre A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 66 e 75.

[25] Ci riferiamo a G. Rossi, Enti pubblici, Bologna, 1991.

[26] Ancora A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 83.

[27] Cons. St., Comm. Speciale, 20 dicembre 2000, n. 288/2000, in Cons. Stato, 2001, I, 490.

[28] Sempre Cons. St., Comm. Speciale, 20 dicembre 2000, n. 288/2000, cit.

[29] Tale problematica emerge dal lavoro di A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 148 (nt. 184).



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