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La riforma del settore cinematografico e audiovisivo

Calcolo e regime tributario delle sovvenzioni al cinema tramite "tax credit"

di Raffaello Lupi

Sommario: 1. I crediti di imposta sul cinema: affinità e differenze rispetto ad altre forme di sovvenzione. - 2. Segue. Crediti di imposta come "sovvenzione", oltre l'agevolazione fiscale. - 3. Radicamento dei crediti per il cinema in un'attività economica: differenze rispetto all'Art Bonus. - 4. Criteri di calcolo dei crediti e riaggregazione dei dati contabili. - 5. I crediti come potenziali componenti positivi dell'imponibile: perplessità sulla specifica disposizione esentativa.

Calculation and tax regime of movie subsidies in the form of "tax credit"
The paper describes the calculation criteria and the tax regime, in derogation to the general principles of business income, of movie subsidies granted in the form of tax credit. Italian tax credit for movies is a public contribution, granted to companies involved in production of distribution of films. The credit is calculated by the same company entitled to it and is, moreover, exempt from income taxes. The tax credit can be used to pay withholding taxes, value added tax, social contributions for employees, and other tax liabilities.

Keywords: Tax Allowances; Movie Production; Movie Distribution.

1. I crediti di imposta sul cinema: affinità e differenze rispetto ad altre forme di sovvenzione

A una prima impressione, le disposizioni sul cinema e gli altri audiovisivi, contenute nella legge n. 220 del 2016 e relativi decreti attuativi [1] non hanno una portata tributaria; esse infatti non attengono alla funzione tributaria, intesa come copertura della spesa pubblica mediante contributi a carico di chi è in contatto con essa, come le tariffe e le tasse in senso stretto, oppure le imposte, commisurate a manifestazioni di ricchezza [2]. Tuttavia queste disposizioni sovvenzionali usano strumenti tributari ed hanno un regime tributario, in quanto si inseriscono nella determinazione degli imponibili degli operatori economici che ne sono destinatari.

La funzione sovvenzionale di partenza di queste erogazioni le colloca però in prima battuta nel settore della spesa pubblica, a sostegno di un settore, come quello cinematografico, ritenuto socialmente rilevante. I vari tipi di crediti di imposta previsti dalla legislazione suddetta, che ha riformato quella vigente già dal 2008, sono in ultima analisi "sovvenzioni autoliquidate"; in questo hanno qualcosa in comune con il c.d. "Art Bonus", che avevo trattato nel numero 3/2014 di Aedon.

Sia tale "Art Bonus" sia i crediti di imposta in esame sono fenomeni bifronti, analizzabili come spesa pubblica in quanto tale è l'erogazione cui tali crediti sono commisurati; il privato nella sostanza sostiene spese legislativamente ritenute di rilevanza pubblica, per il patrimonio artistico o per il cinema; si tratta di "spese pubbliche", benché erogate da privati, per la loro funzione di sostegno a un settore ritenuto socialmente rilevante.

Qui siamo lontani dalle entrate pubbliche, di competenza del tributarista, ma questo profilo riemerge a proposito del regime tributario di questa "spesa pubblica", in capo al privato che la eroga e in capo al destinatario che ne beneficia. Questa qualificazione funzionalmente pubblicistica dell'intera somma erogata dal privato era però più facilmente configurabile per l'"Art Bonus", diretto alla salvaguardia di beni culturali di proprietà pubblica, di quanto sia configurabile per il cinema; qui infatti, come vedremo, il contributo pubblico consistente nel credito di imposta, finanzia attività economiche private anche potenzialmente profittevoli per loro conto. Il credito di imposta sul cinema si inserisce infatti all'interno di una attività di impresa, della quale l'imprenditore fa propri eventuali risultati positivi. Non è la prima volta che ciò accade, in quanto crediti di imposta costruiti in modo analogo costituiscono, negli ultimi decenni uno strumento per la realizzazione di molte politiche industriali pubbliche; si pensi ai crediti di imposta per i beni strumentali, gli investimenti innovativi o le nuove assunzioni. L'elemento comune a tutti, incluso l'Art Bonus, è l'intervento ridotto, se non assente, della pubblica amministrazione nella fase dell'erogazione del contributo, "autoliquidato" mediante il credito di imposta. Quest'autodeterminazione del contributo, senza intervento "ex ante" dell'amministrazione, e con una possibilità remota di intervento "ex post" in sede di controllo, è familiare ai tributaristi; essa infatti riprende molto della cosiddetta "autodeterminazione dei tributi" attraverso le varie forme di credito di imposta sopra indicate. I meccanismi predeterminati di fonte legislativa, che regolano il contributo, costituiscono già un ulteriore caso di svolgimento di una funzione amministrativa con un intervento solo "virtuale" di pubblici uffici.

Le perplessità che possono derivarne non sono di natura ideologica, legata ad astratte opzioni sulla dialettica "pubblico-privato", ma sono di natura pragmatica, sulla inevitabile rigidità di meccanismi prestabiliti in astratto per legge; tali meccanismi infatti possono essere carenti per eccesso, sovvenzionando chi in concreto non lo meriterebbe, o per difetto, non sovvenzionando chi in concreto lo meriterebbe; il timore della discrezionalità, intesa come valutazione caso per caso in relazione alla funzione svolta [3], rischia insomma di innescare le controindicazioni, con cui si chiuderà questo scritto; rispetto ai crediti di imposta generali, come quelli sui nuovi investimenti o la ricerca [4], agevolazioni più connesse ad apprezzamenti culturalmente qualificati, come nella cultura o lo spettacolo, richiederebbero valutazioni caso per caso, evidentemente imbarazzanti da costruire e da gestire. Questo provoca una tendenza verso erogazioni prestabilite "ex lege" proprio dove una distinzione in base ai contenuti artistico-culturali sarebbe più necessaria.

2. Segue. Crediti di imposta come "sovvenzione", oltre l'agevolazione fiscale

I crediti di imposta suddetti sono utilizzabili per il pagamento di ogni forma di tributi e contributi, su ricchezza economicamente propria o anche riferita a terzi, cioè consumi (imposta sul valore aggiunto) o redditi di beneficiari, come accade per ritenute alla fonte e contributi previdenziali. In questo i crediti di imposta si distinguono dalle agevolazioni tributarie, che si innestano sulla determinazione della ricchezza imponibile, escludendone una parte, oppure abbattendo l'imposta per altri aspetti dovuta; queste agevolazioni operano nel mondo tributario, e hanno effetti solo nella misura in cui la ricchezza è "capiente", cioè emergono imponibili positivi; gli economisti intuiscono questa distinzione definendo le agevolazioni tributarie suddette come "tax expenditures".

I crediti di imposta per l'arte e il cinema sono invece expenditures tout court in quanto non legati a imponibili positivi ai fini di un determinato tributo; per essi non si pone cioè il già indicato problema della c.d. "capienza", cioè l'eventualità che il beneficiario sia sprovvisto di un imponibile adeguato a "monetizzare", il beneficio che gli spetta. I crediti di imposta in esame sono in altre parole "moneta sonante" essendo spendibili, come sopra indicato, a fronte di qualsiasi debito "tributario-contributivo"; rispetto alle altre sovvenzioni statali in denaro, c'è solo l'impossibilità che il credito sia rimborsato nel caso limite di c.d. "incapienza" dei debiti tributari; essendo infatti il credito riportabile in avanti senza limiti di tempo, prima o poi subentreranno debiti tributari o previdenziali in grado di assorbirli [5].

Ad ulteriore garanzia della "monetizzabilità" di tali crediti, anche in assenza di sufficienti debiti tributari o contributivi, l'articolo 21 comma 4 cit. consente addirittura la cessione dei crediti in esame a intermediari bancario-assicurativi, che possono utilizzarli in compensazione dei propri debiti d'imposta o contributivi; sotto tale profilo il comma 3 dell'art. 21 della legge n. 220/2016 esclude l'applicazione ai crediti in esame dei limiti alle utilizzazioni in compensazione previsti dalla disciplina di riferimento (legge n. 244 del 2007). Su queste premesse generali, tuttavia, i crediti di imposta possono fortemente diversificarsi in relazione al rapporto tra la loro funzione sociale e l'attività economica su cui si innestano. Come vedremo ora per il cinema.

3. Radicamento dei crediti per il cinema in un'attività economica: differenze rispetto all'Art Bonus

I vari crediti di imposta sul cinema sono erogati a esercenti attività economica, per l'esercizio di tale attività, e sono commisurati a vari parametri di costo e di ricavo ad essa relativi, distinguendosi in questo dal già nominato Art Bonus; quest'ultimo era separato dall'eventuale attività economica dell'erogante, essendo anche indeducibile dal relativo reddito. In questo l'Art Bonus si differenzia dai costi di sponsorizzazione, rapporto sinallagmatico, ma con ritorni d'immagine che possono essere economicamente molto simili. come si vedrà al punto successivo, i crediti d'imposta sul cinema restano inseriti nell'attività imprenditoriale, analogamente a numerosi altri "crediti di imposta" di uguale concezione, erogati alla generalità delle aziende che effettuano iniziative imprenditoriali "meritevoli". Anche il credito di imposta sul cinema, tra l'altro concettualmente cumulabile con altri crediti di imposta come quelli appena indicati, deve essere quindi inserito nel quadro complessivo dell'attività di impresa, astrattamente rilevante ai fini della produzione di un reddito, o di una perdita. Ne derivano, sul piano logico, alcune conseguenze, importanti anche per inquadrare l'inquadramento legislativo tributario di tali sovvenzioni, di cui diremo al prossimo paragrafo.

4. Criteri di calcolo dei crediti e riaggregazione dei dati contabili

I crediti di imposta per il cinema riguardano varie tipologie di beneficiari, tutti operatori economici del settore, in quanto produttori, distributori o investitori in opere cinematografiche. Ognuno di tali crediti è però inserito in una attività economica; i destinatari sono infatti operatori dell'attività cinematografica, oppure "investitori del settore", anch'essi esercenti attività di impresa. Si tratta infatti, in senso ampio, come del resto accadeva per i crediti d'imposta introdotti in via temporanea dalla legge finanziaria 2008 [6] e poi resi permanenti dal 1° gennaio 2014, di erogazioni commisurate ad attività d'impresa, come pagamento degli attori, acquisto di servizi necessari alla produzione, acquisto di macchinari e beni di consumo.

Il denominatore comune attorno a cui si aggregano i "tax credit" sembra comunque essere la singola opera cinematografica, con una necessità di aggregazione e rendicontazione dei dati riferiti alla produzione, alla distribuzione, all'investimento. Si tratta quindi di rielaborare i dati della contabilità generale dell'azienda cinematografica, che li raggruppa in modo globale "per natura". Questa rappresentazione contabile deve essere quindi, ai fini del credito di imposta, riqualificata per stabilire il costo delle singole iniziative filmografiche; è necessario quindi, per autoliquidare il contributo, "autodeterminare" un costo di produzione o di distribuzione del singolo film. Si tratta quindi di partire dai dati della contabilità generale aziendale, e della relativa documentazione, per riaggregare una parte di essi, secondo alcuni assunti concettuali di partenza, relativi a ogni iniziativa agevolabile col credito d'imposta. A tale scopo occorrerà riposizionare, "per funzione" alcuni costi inseriti nella contabilità aziendale "per natura" (acquisiti di beni e servizi, pagamenti di dipendenti, utilizzazioni di macchinari, noleggi etc.). Sono problemi di riqualificazione, prima concettuale, e poi numerica, presenti anche per tutte le altre forme di credito di imposta, come ad esempio la ricerca.

Alcune indicazioni normative di ordine generale si trovano nell'art. 110 del testo unico delle imposte sui redditi [7] secondo cui si comprendono nel costo gli oneri accessori di diretta imputazione esclusi gli interessi passivi e le spese generali; quest'ultima espressione si riferisce alle spese generali della struttura aziendale, ad esempio quelle per l'amministrazione o la gestione societaria, mentre fanno parte del costo le spese generali "industriali", nel nostro caso di produzione cinematografica; si tratta ad esempio dell'affitto degli studi, o dei macchinari di ripresa, usati per una pluralità di film. Tali costi generali "industriali" rilevano "pro quota", con la necessità di imputare secondo criteri aziendalistici spese generali di produzione a specifiche iniziative filmografiche; i criteri sono da analizzare caso per caso in relazione all'attività aziendale complessiva, in quanto occorre che a un singolo film non siano imputate più spese di quelle necessarie alla sua produzione. Bisogna cioè sterilizzare le eventuali inefficienze produttive dell'azienda; se l'assetto delle spese per studi, macchinari e anche personale tecnico consente, ad esempio, la produzione di dieci film, ma se ne producono solo tre, l'imputazione a questi ultimi di tutti i costi, per il calcolo del credito di imposta, potrebbe essere considerata eccessiva e censurata; le sanzioni rischierebbero di essere addirittura quelle, abbastanza pesanti, per "indebita compensazione" di debiti di imposta, con crediti inesistenti. Analoghi accorgimenti dovrebbero essere adottati nell'eventualità, abbastanza frequente, di costi relativi ad una pluralità di iniziative, per evitare duplicazioni di rendicontazione delle spese, con indebite estensioni del "tax credit".

Questi problemi di imputazione non esistono invece per il già indicato credito di imposta per il "finanziamento di film", in genere svolto mediante contratti di associazione in partecipazione. Queste somme infatti possono essere imputate specificamente alle singole iniziative cinematografiche; anche qui siamo pur sempre all'interno dell'attività di impresa, in quanto chi finanzia film lo fa in base a una sua giustificazione economica ulteriore rispetto al ritorno di immagine indicato sopra per l'"Art Bonus".

Ne derivano nel complesso una serie di correlazioni [8] con i regimi tributari tipici delle relative spese, descritte al punto successivo.

5. I crediti come potenziali componenti positivi dell'imponibile: perplessità sulla specifica disposizione esentativa

Sul piano della specificazione dei concetti economici, alla base dell'imposizione tributaria, il credito di imposta rettifica i costi di produzione/distribuzione cui è commisurato, nonché gli utili o le perdite del finanziamento dei film, erogati in genere secondo lo strumento dell'associazione in partecipazione, come indicato al punto precedente. Si tratta di spese o investimenti che in linea di principio rilevano ai fini della determinazione degli imponibili fiscali, soprattutto ai fini delle imposte sui redditi. Se da una parte rilevano le spese cui il credito di imposta si riferisce, è anche logica, nella precisazione dei concetti economici cui si commisura la tassazione, una simmetrica rilevanza impositiva del credito di imposta; avremmo infatti, altrimenti, elementi negativi di reddito, oggetto di tax credit, cioè di contributi pubblici, che continuano ad essere correntemente deducibili come se questa contribuzione non esistesse. Non a caso le regole tributarie previste "a regime" per i contributi in conto esercizio o in conto capitale, come il credito di imposta, ne confermano la astratta rilevanza tributaria, per un verso o per un altro. Tale rilevanza potrebbe, in alternativa, esplicarsi 1) considerando il contributo come elemento positivo del reddito imponibile 2) attraverso una riduzione della deducibilità fiscale dei costi finanziati dal contributo, ovvero 3) attraverso la registrazione del contributo come "fondo in sospensione di imposta", nel patrimonio netto.

Questa rilevanza fiscale "di principio" è conforme alla natura del credito di imposta come sovvenzione di una attività economica, e quindi tributariamente rilevante "in sé", diversamente dal "mecenatismo interessato", che ispirava l'"Art Bonus" e la sua suddetta "bidirezionale" sterilizzazione fiscale [9]. È quindi del tutto logica l'esclusione dell'Art Bonus dalla formazione del reddito imponibile, come sarebbe logica l'imponibilità del credito d'imposta per il cinema, in una delle tre possibili forme indicate sopra. Invece i crediti di imposta per il cinema, come molti altri crediti di imposta già indicati sopra, beneficiano di una specifica disposizione di esenzione ai fini delle imposte sui redditi, contenuta anch'essa nella legge n. 220/2016, secondo cui non concorrono alla formazione del reddito imponibile né provocano limiti, come ricavi esenti, alla deduzione dei costi cui si riferiscono.

Ci sono delle riflessioni da fare sulla giustificazione logico-sistematica di queste agevolazioni tributarie, che si sommano alla concessione della sovvenzione, entrambe notificate all'unione europea ai sensi della disciplina sugli aiuti di stato. Giustificare l'esenzione affermando che la tassazione dei crediti per il cinema ne ridurrebbe indirettamente l'importo, prova troppo, in quanto nega la premessa della necessità dell'aiuto. Questo si giustifica infatti, come vedremo, in quanto l'opera, o l'azienda che la produce, non avrebbero altrimenti un proprio equilibrio di mercato. Qui c'è una logica diversa rispetto ai crediti di imposta per investimenti o ricerca, meritevoli in sé, e la cui esenzione è una scelta maggiormente improntata a criteri politici, anche quando diretta ad investimenti inseriti in attività in sé profittevoli. La sovvenzione pubblica a uno specifico investimento, meritevole per natura e occasionale, si differenzia infatti dalla sovvenzione ad un'attività continuativa, come quella sul cinema, in questo simile ad altre attività (come alcune di trasporto locale) socialmente meritevoli, ma stabilmente in squilibrio economico. Se tale sovvenzione serve a ricostruire l'equilibrio economico dell'azienda, essa perde il proprio fondamento logico, pur restando giuridicamente impregiudicata, quando l'azienda è in equilibrio economico anche a prescindere dalla sovvenzione; quest'ultima dovrebbe quindi concorrere alla formazione del reddito imponibile nei modi indicati ai suddetti punti da 1 a 3.

Queste perplessità si rafforzano in considerazione del forte automatismo dei contributi, già rilevato al termine del precedente punto 1, spettanti anche a film "di costume", se non addirittura "commerciali", come del resto è rilevabile dai titoli finanziati, pubblicati sul sito del Mibact [10]. Questa decisione politica di agevolare l'intero settore, cui forse contribuisce il già rilevato l'imbarazzo per una selezione troppo personalizzata, suscita riflessioni estranee alla funzione tributaria, riguardando quella artistico-culturale. Su questo terreno occorrerebbe valutare non tanto il "tax credit", quanto la sua ulteriore esenzione fiscale sopra descritta, poco in linea rispetto alla logica tributaristica della determinazione degli imponibili.

 

Note

[1] Commentati da L. Casini, Il "nastro dei sogni"? Il diritto (pubblico) del cinema e dell'audiovisivo, in Aedon, 2017, 3.

[2] Sulla differenza tra prospettiva fiscale, tributaria, e di governo della spesa pubblica R. Lupi, Diritto amministrativo dei tributi, Roma, Castelvecchi Editore, 2017, par. 1.1.

[3] L. Casini, Il "nastro dei sogni"? Il diritto (pubblico) del cinema e dell'audiovisivo, cit., segnala la tendenza della legge n. 220/2016 a circoscrivere la discrezionalità nella commisurazione del contributo.

[4] L'erogazione meccanica di crediti d'imposta si presta meglio a sovvenzionare investimenti in macchinari o incrementi occupazionali, dove una valutazione contenutistico valoriale è tutto sommato di secondo piano rispetto al settore artistico-culturale. Il giudizio sul valore artistico o culturale di un'opera è invece caratterizzato da profili di incertezza molto maggiori, come rilevo in R. Lupi, Diritto amministrativo, cit., par. 3.9, a proposito dell'interpretazione.

[5] Viene quasi da accostare tali crediti di imposta alla c.d. "moneta fiscale", con cui veniva proposto, nel dibattito economico, di superare i vincoli all'emissione di moneta derivanti dai trattati sull'Euro.

[6] Art. 1, comma 325, legge n. 244/2007 e d.m. 21 gennaio 2010 "Tax credit investitori esterni e distributori".

[7] D.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917.

[8] Rientranti nella categoria generale delle "simmetrie tributarie" nella determinazione, mediante documenti e scritture contabili, della ricchezza imponibile ai fini tributari, su cui R. Lupi, Diritto amministrativo, cit., par. 3.12.

[9] Si tratta, nel caso dell'Art Bonus, di una sterilizzazione bidirezionale in quanto riferita sia alla spesa cui si commisura il credito d'imposta sia al credito. Qualora insomma il credito d'imposta denominato "Art Bonus" fosse stato fruito da una impresa, questa avrebbe sterilizzato fiscalmente sia l'erogazione effettuata "a monte" sia il relativo credito di imposta. Più precisamente l'erogazione, inevitabilmente imputata a conto economico, sarebbe stata recuperata a tassazione ai fini della determinazione del reddito imponibile, mentre il credito di imposta avrebbe costituito una forma di pagamento dei debiti "tributario-contributivi". Idealmente ne derivano una serie di imputazioni a conto economico e di rettifiche in dichiarazione dei redditi di segno opposto, tra loro interconnesse, e variamente gestibili, nel rispetto delle premesse indicate nel testo.

[10] Il link coi film beneficiari dei crediti di imposta è questo: http://www.cinema.beniculturali.it/uploads/AF/2018/pubblicazione_tax_credit_film_2013_09-02-2018.pdf.

Basta scorrere l'elenco dei film sovvenzionati per capire che in molti casi mancano le giustificazioni sociali delle sovvenzioni allo spettacolo, su cui C. Barbati, Istituzioni e spettacolo, Pubblico e privato nelle prospettive di riforma, Padova, Cedam, 1996.

 

 



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