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Il Decreto "Art Bonus"

L'Art Bonus come sovvenzione pubblica in forma di "credito d'imposta"

di Raffaello Lupi

Sommario: 1. Un veicolo tributario per un istituto sovvenzionale. - 2. L'alternatività del contributo rispetto alle deduzioni/detrazioni tributarie. - 3. Il limite quantitativo-dimensionale. - 4. Lo strumento della compensazione di versamenti fiscali. - 5. L'oggetto della sovvenzione e il basso tasso di burocrazia.

The Art Bonus as Public Subsidy in Form of "Tax Credit"
To improve art and culture Italian tax law granted a tax credit equal to 65 percent of contributions to public museums and monuments. The tax credit replaces previous similar provisions and also tax deduction for direct tax purposes, which were - however - less favourable. The tax credit can be gained also by taxpayer in a loss position, because can be used to pay withholding taxes, value added tax, social contributions for employees, and other tax liabilities. Public cultural institutions must give evidence of the sums received also in order to allow the payer an advertising impact similar to that of a sponsorship.

Keywords: Tax Allowances; Public Museums; Monuments.

1. Un veicolo tributario per un istituto sovvenzionale

Si parla molto dell'Art Bonus, istituito dall'art. 1 del d.l. 83/2014 [1], in termini di "agevolazione fiscale" per i beni culturali. Si tratta di una definizione impropria in quanto l'istituto utilizza il c.d. "credito di imposta", ma si pone fuori dalla logica della determinazione dei tributi, ed è nella sostanza, in buona misura, una sovvenzione "autoliquidata" dal contribuente.

La pubblica amministrazione ha la possibilità di intervenire solo in un secondo momento per il controllo generale, ex post, svolto dagli uffici tributari. Il provvedimento legislativo riguarda insomma una fase successiva alla determinazione della ricchezza, cui i tributi si riferiscono, ed anche alla fase successiva, di determinazione "in diritto" dei singoli tributi.

Si potrebbe dire metaforicamente che l'Art Bonus è uno strumento di pagamento dei tributi, e quindi interviene dopo il calcolo dei medesimi, venendo commisurato ad una erogazione concettualmente estranea all'esercizio delle attività da cui deriva il reddito; vedremo che sotto questo profilo l'Art Bonus si pone all'esterno della determinazione dei tributi, utilizzandone però alcune procedure per finalità di sostegno sovvenzionale al sistema pubblico della cultura. L'Art Bonus consiste infatti in un contributo pubblico, che viene auto liquidato dagli stessi interessati, utilizzando adempimenti, documenti e parametri anche di ordine tributario. Anche la fase di utilizzazione del "bonus", come vedremo al penultimo paragrafo, passa attraverso il pagamento di tributi o contributi.

Lo schema dell'Art Bonus non costituisce una novità concettuale, ma una riutilizzazione di meccanismi logici ben conosciuti per l'erogazione di contributi diretti ad altre finalità, come la ricerca scientifica, l'incremento della base occupazionale o i nuovi investimenti produttivi [2]; alcuni di questi si collocano "all'interno" dell'attività di impresa, il che quindi consente di cumulare la fruizione del contributo con la deduzione del costo ai fini delle imposte sui redditi, con la detrazione dell'IVA, etc.; questo cumulo, come vedremo, non può invece verificarsi, per ragioni logiche normativamente confermate, per l'"arte bonus".

Soffermiamoci per ora su questa logica generale dei "contributi auto liquidati", che si ripete per l'Art Bonus.

Lo schema concettuale generale, in cui rientra anche l'Art Bonus, è l'attrazione alla legge, e l'esternalizzazione sui privati, di quelle che un tempo erano delle fasi istruttorio-valutative dei contributi pubblici. La "autoliquidazione" del contributo può essere interpretata come uno strumento per "tagliare la burocrazia", demandando agli interessati le relative procedure; dal punto di vista dei pubblici uffici che dovrebbero essere coinvolti nell'istruttoria per la concessione del contributo, la sua autoliquidazione comporta uno sgravio da responsabilità di analisi preventiva, salvo un intervento di controllo ex post.

E' una tendenza che senza dubbio diminuisce le lungaggini, ma in termini generali è fortemente deresponsabilizzante rispetto al funzionamento efficiente della macchina pubblica, che si trova a "giocare di sponda" con la legislazione, utilizzata come strumento di amministrazione. Il privato si trova infatti costretto a compiere scelte interpretative di inquadramento giuridico ex ante, che poi possono essere disconosciute dagli uffici tributari, anche con la applicazione delle sanzioni per "indebita compensazione", dettate come vedremo più avanti per finalità del tutto diverse. Nel caso dell'Art Bonus, tuttavia, trattandosi di erogazioni in denaro a pubbliche amministrazioni, queste incertezze interpretative sembrano molto minori di quanto siano per gli altri "crediti di imposta" menzionati sopra, dalla ricerca ai nuovi investimenti, etc.

2. L'alternatività del contributo rispetto alle deduzioni/detrazioni tributarie

L'estraneità dell'Art Bonus rispetto alla determinazione dei tributi emerge dalla normativa che presuppone l'inapplicabilità degli ordinari istituti tributari "a regime" con cui analoghe erogazioni potevano fruire di una detrazione d'imposta (per le persone fisiche e gli enti non commerciali) ovvero della deduzione dal reddito per i c.d. "oneri di utilità sociale"; la precisazione normativa secondo cui non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 15, comma 1, lettere h) e i) (per le persone fisiche), e 100, comma 2, lettere f) e g) (per le imprese) del testo unico delle imposte sui redditi, conferma che si tratta di erogazioni irrilevanti ai fini della determinazione del tributo, che non viene in alcun modo alterata.

In altri termini, ripeto, sono erogazioni indeducibili ai fini della determinazione del reddito, e sostenute fiscalmente solo dall'Art Bonus.

Cerchiamo di confrontare le due tipologie di beneficio. Se si considera che la incidenza del prelievo fiscale sulle società è di circa il 32 per cento, considerando imposta sui redditi delle società ed IRAP, lo scambio tra indeducibilità fiscale ordinaria (del resto discendente dai principi) e Art Bonus è complessivamente vantaggioso per gli eroganti. Anche quando l'erogazione potrebbe avere un effetto pubblicitario, e viene di fatto usata (cosa che mi sembra legittima) per fini pubblicitari [3], l'Art Bonus conviene rispetto alle erogazioni deducibili suddette e alle c.d. "sponsorizzazioni"; non ha quindi senso, per come è strutturato l'Art Bonus, chiedersi se sia preferibile veicolare l'erogazione come una sponsorizzazione; non solo la misura percentuale dell'Art Bonus è infatti maggiore dell'incidenza fiscale sui redditi di impresa, come indicato sopra, ma l'Art Bonus è fruibile e monetizzabile, come vedremo, anche in presenza di perdite, ad esempio per pagare IVA, contributi, ritenute etc. (cfr. il punto successivo).

Naturalmente, così come la somma cui è correlato l'Art Bonus è indeducibile dal reddito di impresa, come erogazione, l'Art Bonus, come credito di imposta, non concorre a formare il reddito del fruitore (è un riflesso già desumibile dai principi, dalle espressioni normative e comunque ribadito dalla circolare dell'Agenzia delle entrate del 31 luglio 2014, tempestivamente emanata appena due giorni dopo la legge di conversione).

Infine, è appena il caso di precisare che sono invece impraticabili scappatoie per cumulare la deduzione dal reddito di impresa e la fruizione dell'Art Bonus.

La destinazione del contributo a istituzioni pubbliche o a loro concessionari, agenti al di fuori dall'attività di impresa, e comunque la mancanza di una corrispettività (che sussisterebbe invece per le sponsorizzazioni) rende il contributo irrilevante ai fini IVA. Questa sua autonomia rispetto alla determinazione dei tributi impedisce di configurare il contributo in esame come "aiuto di stato" ed esclude obblighi di notifica alle istituzioni europee, che invece sussistevano per altre forme di "credito di imposta" [4], che si cumulavano con la deduzione dei relativi oneri dal reddito di impresa.

3. Il limite quantitativo-dimensionale

La "autoliquidazione" del contributo si svolge entro limiti quantitativi di legge, che fanno riferimento a concetti tratti dal diritto tributario, cioè il reddito imponibile per le persone fisiche e gli enti non commerciali ovvero i ricavi annui per gli operatori economici, cioè coloro che esercitano attività di impresa.

Non mi è chiarissima la finalità di questo limite, rispetto alla logica dell'Art Bonus, ma si tratta semplicemente di una ricognizione normativa della regola di comune esperienza secondo cui esiste, nell'id quod plerumque accidit, una proporzionalità tra contributo ammissibile e dimensioni dell'attività del contribuente. Erogazioni eccedenti le soglie del 15 per cento del reddito o del 5 per mille dei ricavi potrebbero apparire economicamente anomale e quindi ne è stata pregiudizialmente sancita l'irrilevanza.

Tutto sommato è un "non problema" perché, come vedremo nell'ultimo paragrafo, non sembra che - rispetto ai costi della cultura - ci sia mai stata la ressa per effettuare erogazioni del genere. Il limite del 15 per cento del reddito è sostanzialmente uguale per tutti, mentre quello sui ricavi riguarda un elemento del reddito di impresa, che può essere o meno generoso in relazione al diverso valore aggiunto dell'impresa medesima, cioè rispetto alla percentuale di profitto rispetto ai ricavi. Il limite del 5 per mille dei ricavi [5] è infatti relativamente modesto per le imprese "con pochi costi", a parità di giro d'affari (sinonimo di ricavi), come quelle di servizi immateriali o di consulenza.

Quando invece il valore aggiunto è basso rispetto ai ricavi, come per le imprese di rivendita di merci, il 5 per mille può portare a valori elevati rispetto al reddito. Si tratta di uno squilibrio inevitabile, in quanto il valore aggiunto, importante indice dimensionale dell'impresa, che tiene conto della redditività rispetto al giro d'affari, è relativamente difficile da calcolare [6]. Questo avvantaggia i soggetti con elevato fatturato rispetto al valore aggiunto, come ad esempio la grande distribuzione, i rivenditori di autovetture o di generi petroliferi. E' infatti agevole, in questo caso, avere elevatissimi fatturati rispetto al reddito, mentre ripetiamo che una azienda di servizi, ad esempio informatici o anche manifatturiera, in settori ad alto valore aggiunto rispetto alle materie prime, ha fatturati molto più bassi rispetto al valore aggiunto.

E' verosimile che la stesura non sia casuale, essendo probabilmente la norma pensata per il mecenatismo delle grandi aziende, tipo ENI, Coop, Enel, telefoniche e di servizi infrastrutturali, le quali hanno anche notevoli ricadute pubblicitarie da questi interventi. Definire quindi "modesta", come talvolta è avvenuto sulla stampa "specializzata" [7], la percentuale in cui è ammesso il credito di imposta, prendendo a base un fatturato di dieci milioni di euro, tipico di una piccola attività "padronale" appare quantomeno riduttivo.

4. Lo strumento della compensazione di versamenti fiscali

Come indicato sopra, l'Art Bonus serve per i pagamenti in compensazione di imposte, ritenute d'imposta e contributi di varia natura; quindi esso è fruibile e monetizzabile, come vedremo, anche in presenza di perdite, ad esempio per pagare IVA, contributi sociali, ritenute etc., ed è riportabile in avanti, per le quote non fruite, senza limiti di tempo.

Questo rende irrilevante, sostanzialmente un caso limite, l'unica caratteristica che lo differenzia dalle sovvenzioni statali in denaro; mi riferisco all'impossibilità di essere chiesto a rimborso in caso di "incapienza" dei debiti tributari; prima o poi infatti un debito tributario o previdenziale da poter utilizzare in compensazione necessariamente giungerà.

In questo senso l'istituto in esame è ancora "tributario" in quanto, pur se estraneo alla determinazione dei tributi, come indicato ai paragrafi precedenti, è fruibile solo per il pagamento di tributi e contributi. Segnaliamo che, come confermato anche dalla circolare dell'agenzia delle entrate del 31 luglio 2014, non si applicano i limiti alle utilizzazioni in compensazione previsti dalla disciplina di riferimento (decreto 241 del 1997).

5. L'oggetto della sovvenzione e il basso tasso di burocrazia

L'Art Bonus non presuppone, anzi esclude, un intervento diretto del privato sul bene culturale pubblico, ma passa attraverso l'intermediazione della pubblica amministrazione o dei concessionari del relativo patrimonio. Il privato non può infatti sostenere oneri "in natura", ma deve compiere solo "versamenti agli enti destinatari"; ciò ha il vantaggio di escludere, come già indicato sopra, grandi questioni giuridico-interpretative sulle condizioni di spettanza del contributo; si sgonfia quindi il rischio di applicabilità delle disposizioni sulle "indebite compensazioni", sanzionate con punizioni amministrative molto elevate.

La procedura amministrativa mi sembra abbastanza "leggera", non c'è bisogno di "accordi quadro" e forse (mi azzardo) si potrebbe anche fare un bonifico, all'insaputa dell'ente destinatario [8]. E' proprio la destinazione ad enti pubblici o a loro concessionari ad aver probabilmente snellito le condizioni, le cautele e le pastoie altrimenti necessarie a verificare l'effettivo impiego delle somme, che sarebbe stato necessario per le erogazioni ad enti privati; i destinatari delle erogazioni sono infatti, ripetiamo, pubblici e parapubblici, ivi incluse le fondazioni lirico sinfoniche e i teatri di tradizione, cui il beneficio è stato esteso con il comma 11 della legge 190-2014.

La discriminazione tra patrimonio culturale pubblico e patrimonio culturale privato si giustifica con esigenze di cautela, che nel caso del patrimonio culturale pubblico esiste per definizione; sarebbero state invece necessarie verifiche, sull'impiego delle erogazioni, per gli enti privati, cui restano peraltro altri istituti tributari cui fare appello per chiedere sostegno [9].

E' questo il motivo per cui le erogazioni liberali devono essere in denaro, e non possono consistere nell'assunzione diretta di opere e lavori, nel qual caso riemergerebbe la necessità di documentazione e controllo. Tutto deve fluire insomma attraverso l'ente pubblico che sostiene la spesa, e correlativamente eventuali inadempienze dell'ente pubblico agli obblighi di legge [10] non possono pregiudicare l'Art Bonus per il privato erogante, anche perché sono fuori dalla sfera in cui egli può intervenire e controllare.

Mi riferisco per esempio alla specificità dell'utilizzo dei fondi, alla comunicazione mensile al ministero dei Beni e delle Attività culturali e alla pubblica comunicazione di tali ammontari, nonché della destinazione e dell'utilizzo delle erogazioni stesse. Non si può certo far carico al privato "sovventore" dell'inadempimento di questi obblighi da parte dell'ente beneficiario dell'erogazione. Del resto la previsione di questi obblighi costituisce un incentivo ad utilizzare l'istituto, aumentandone la valorizzabilità pubblicitaria per gli eroganti.

 

Note

[1] Conv. con legge 29 luglio 2014, n. 106.

[2] Ad esempio acquisto di nuovi impianti, macchinari, etc.

[3] Con un ritorno economico indiretto, confermato anche dalle forme di pubblicità che l'amministrazione ricevente è tenuta a fornire a proposito di tali erogazioni.

[4] Nuovi investimenti, incremento della base occupazionale, ricerca scientifica, etc., indicate al par. 1.

[5] Recepito dalla legislazione francese.

[6] Si sarebbe potuto far riferimento all'imponibile IRAP ma è una imposta troppo raffinata e tormentata per essere affidabilmente utilizzata agli scopi qui in esame.

[7] Il virgolettato è d'obbligo davanti alle generiche affermazioni che ritengono modesto il limite quantitativo riferendolo a un fatturato di dieci milioni di euro, assai modesto rispetto a quello delle aziende che erogano simili sovvenzioni; sono affermazioni contenute nell'articolo del giornalista che segue sul sole24 ore i temi di economia della cultura (A. Cherchi, Quello sconto piccolo piccolo, in Il sole 24 ore del 10 Novembre 2014).

[8] Non si capisce quindi come A. Cherchi, Quello sconto piccolo piccolo, cit., possa parlare di "macchinosità dell'agevolazione".

[9] Si tratta, per le imprese, dei già indicati strumenti degli "oneri di utilità sociale" (art. 100 TUIR) o delle sponsorizzazioni.

[10] Come quello di effettivo completo impiego della somma ricevuta per la destinazione indicata, ovvero di pubblicizzazione delle erogazioni ricevute da parte dell'ente destinatario.

 

 



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