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Il punto su contratti pubblici e beni culturali

La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità

di Antonella Sau

Sommario: 1. Il contesto e le ragioni della riforma. - 2. I profili di specialità nella disciplina degli appalti pubblici di lavori nel settore dei beni culturali: la qualificazione degli esecutori dei lavori. - 2.1. La definizione dell'oggetto e la qualificazione dell'appalto. - 2.2. Livello e contenuti della progettazione. - 2.3. I criteri di aggiudicazione e scelta degli offerenti. - 2.4. L'esecuzione dei lavori: varianti, vigilanza e collaudo. - 3. La verifica preventiva dell'interesse archeologico. - 4. Il partenariato pubblico privato: dalla sponsorizzazione alla gestione dei beni culturali.

Procurement contracts for cultural heritage between simplification and specialty profiles
The article explains the recent reform of procurement contracts for cultural heritage with particular attention for the new forms of public-private partnership and the novelties introduced by the Mibact-Mit regulation.

Keywords: Procurement contract; Protection; PPP; Sponsorship.

1. Il contesto e le ragioni della riforma

Le modifiche apportate alla disciplina degli appalti pubblici nel settore dei beni culturali [1] dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, c.d. codice dei contratti pubblici (di seguito anche Codice), rispondono all'esigenza, esplicitata nella legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, di garantire il "riordino" e la "semplificazione" della normativa in materia di contratti relativi a beni culturali "tenendo conto della particolare natura di quei beni e delle peculiarità delle tipologie degli interventi" prevedendo altresì, nel rispetto delle disposizioni di tutela previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, "modalità innovative per le procedure di appalto relative a lavori, servizi e forniture e di concessione di servizi" (art. 1, comma 1, lett. o).

Specialità ed innovatività, semplificazione e riordino: questi i "principi ed i criteri direttivi" dettati al legislatore delegato che, in apparente continuità con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, dedica ai contratti pubblici relativi ai beni culturali un Capo specifico [2] nell'ambito del Titolo VI della Parte II del codice dei contratti riservato ai "Regimi particolari di appalto".

Le assonanze con la disciplina previgente si fermano qui.

Per quanto concerne anzitutto l'ambito di applicazione della disciplina, il primo comma dell'art. 145, superando l'infelice formulazione dell'art. 198, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, rinvia in termini generici ai contratti pubblici concernenti i beni culturali tutelati dal d.lgs. n. 42/2004 cui sono equiparati, nel comma successivo, gli scavi archeologici compresi quelli subacquei. Il mancato riferimento agli "interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale, sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42" richiamati dal citato art. 198 non determina peraltro alcun delimitazione dell'ambito di applicazione della nuova disciplina: se tutelati come beni culturali ai sensi della Parte II del codice di settore anche gli "elementi architettonici" e le "superfici decorate" dei beni paesaggistici sono senz'altro assoggettabili al Capo III del d.lgs. n. 50/2016.

Ancora, mentre l'art. 197 del d.lgs. n. 163/2006 indicava puntualmente quali norme, "in quanto non derogate e ove compatibili», fossero applicabili ai contratti nel settore dei beni culturali, l'art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 precisa che "per quanto non diversamente disposto" dal Capo III "trovano applicazione le pertinenti disposizioni" del codice dei contratti, operando un rinvio generalizzato alla disciplina comune degli appalti pubblici nei settori ordinari, laddove non espressamente derogata dagli artt. 145-151.

Il legislatore sembrerebbe così svoltare, in termini più decisi rispetto al passato, verso una "normalizzazione" delle procedure di affidamento dei contratti pubblici relativi ai beni culturali nel rispetto, ovviamente, delle ineludibili esigenze di specialità del settore assicurate nelle fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione dei lavori, da un'attenzione particolare alla definizione dell'oggetto dell'appalto (art. 148), al regime di qualificazione degli operatori (artt. 25, comma 2 e 146), al contenuto e all'adeguatezza del livello di progettazione (artt. 23, comma 3, 25, 147 e 151, comma 2) e alla verifica dei risultati, tanto nella realizzazione dell'appalto che in sede di collaudo (artt. 149, 150 e 151, comma 2). Nella stessa prospettiva va letta anche la semplificazione delle procedure di selezione dello sponsor e l'apertura a forme speciali (rectius atipiche) di partenariato pubblico privato (art. 151).

In ultimo, si segnala la scelta del legislatore di affidare ad un decreto interministeriale, adottato dal ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo di concerto con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, la disciplina di dettaglio relativa agli appalti di lavori riguardanti i beni culturali (art. 146, comma 4), la quale dovrà coordinarsi con le linee guida [3] dettate dall'Anac sul sistema unico di qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici ai sensi dell'art. 83, comma 2 [4].

Per effetto delle modifiche apportate al d.lgs. n. 50/2016 dal primo decreto correttivo al codice [5] è stata rinviata al 31 dicembre 2017 l'adozione, con regolamento governativo [6], delle linee guida finalizzate ad assicurare speditezza, efficienza ed efficacia alla verifica preventiva dell'interesse archeologico e la contestuale individuazione, sulla base di tali parametri, di procedimenti semplificati in grado di coniugare la tutela del patrimonio archeologico con l'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera (art. 25, comma 13). Spetta invece al Mibact la tenuta dell'elenco degli istituti archeologici universitari e dei soggetti qualificati per le indagini archeologiche preliminari e la definizione, con apposito decreto [7], dei criteri per la tenuta del medesimo elenco (art. 25, comma 2).

L'adozione del decreto interministeriale previsto dall'art. 164, comma 4 consente di delineare il complesso scenario con il quale dovranno confrontarsi gli operatori coinvolti negli interventi di scavo archeologico [8], di monitoraggio, manutenzione e restauro dei beni culturali mobili ed immobili, delle superfici decorate di beni architettonici e dei materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico, artistico o archeologico cui espressamente rinvia l'art. 1, comma 2, lett. c) dello schema di decreto ministeriale recante "Regolamento concernente gli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 2" [9]. Con la sua entrata in vigore cesseranno pertanto di aver efficacia le disposizioni del d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, fatte salve in via transitoria dall'art. 216, comma 19, e verrà abrogato il d.m. 3 agosto 2000, n. 294, sulla qualificazione dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici.

2. I profili di specialità della disciplina degli appalti pubblici di lavori nel settore dei beni culturali: la qualificazione degli esecutori dei lavori.

L'art. 146, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, in perfetta continuità con la previgente disciplina, individua nel possesso da parte degli esecutori dei lavori di "requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene (culturale) oggetto di intervento" il primo elemento di specialità della disciplina degli appalti nel settore dei beni culturali, precisando che ai fini della suddetta qualificazione i lavori possono essere fatti valere, quale requisito tecnico, dal solo operatore che gli ha effettivamente eseguiti senza alcun limite temporale (comma 2).

In questa direzione si inserisce la scelta del legislatore di invocare l'"eccezione culturale" riconosciuta dall'art. 36 del TFUE per vietare il ricorso all'istituto dell'avvalimento dei requisiti di gara (art. 146, comma 3) la cui applicazione al settore dei beni culturali, mai messa in dubbio dalla maggiore giurisprudenza [10], è sempre stata piuttosto dibattuta in dottrina [11].

L'individuazione dei requisiti di qualificazione [12] degli esecutori di lavori e dei direttori tecnici, unitamente alle modalità del loro accertamento ai fini della qualificazione, sono integralmente rimessi dal Codice al decreto attuativo adottato dal Mibact di concerto con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Solo a proposito dei lavori concernenti beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico-artistico, l'art. 146, comma 4, specifica come il direttore tecnico incaricato dall'aggiudicatario dell'appalto debba necessariamente possedere la qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della disciplina definita dagli artt. 9-bis, 29 e 182 [13] del d.lgs. n. 42/2004.

L'art. 4, comma 1, dello schema di decreto ministeriale sugli appalti dei beni culturali, differenzia i requisiti di qualificazione degli esecutori di lavori a seconda che l'importo dei lavori sia pari o superiore a 150.000 ovvero sotto tale soglia.

Nella prima ipotesi i requisiti speciali, attestati dalle SOA nell'ambito della procedura di qualificazione delle imprese, sono identificati nell'"adeguata idoneità tecnica", nell'"adeguata idoneità organizzativa" e nell'"adeguata capacità economica e finanziaria" (art. 6).

L'"adeguata idoneità tecnica", a sua volta, è dimostrata dalla presenza di un direzione tecnica conforme ai requisiti indicati dall'art. 13 del decreto medesimo e nell'avvenuta esecuzione di lavori per un importo complessivo non inferiore al settanta per cento dell'importo della classifica per la quale è stata chiesta la qualificazione (art. 7, comma 1). Nell'ipotesi in cui sia rimasta invariata la direzione tecnica dell'impresa e sia stato rispettato il principio di continuità nell'esecuzione dei lavori, a conferma della perdurante idoneità ad eseguire interventi nella categoria per la quale è stata richiesta l'attestazione SOA, è inoltre consentito un utilizzo illimitato dei pregressi lavori ai fini della qualificazione (art. 7, comma 2), purché si tratti di lavori effettivamente svolti dall'impresa anche come subappaltatrice (art. 11, comma 4) [14].

I criteri richiesti dall'art. 7, comma 1, sono certamente meno restrittivi di quelli prescritti dall'art. 4 del d.m. n. 294/2000, che oltre a porre un limite di rilevanza temporale dei lavori pregressi richiedeva ai fini della qualificazione un importo maggiore degli stessi (pari al novanta per cento), ma vanno considerati unitamente a quelli, molto più stringenti rispetto al passato, previsti dalla disciplina attuativa del codice per la qualificazione del soggetto o dei soggetti responsabili della direzione tecnica e per l'assunzione del relativo incarico. L'art. 13 dello schema di regolamento riserva infatti la direzione tecnica ai soggetti titolari di una specifica abilitazione professionale o in possesso di idoneo titolo accademico [15] che abbiano maturato un'esperienza almeno biennale nel settore dei lavori su beni culturali e richiede che siano legati all'impresa esecutrice da un rapporto di lavoro stabile [16] e che per tutta la durata dell'appalto non rivestano analoghi incarichi per altre imprese, impegnandosi a presentare alla stazione appaltante una "dichiarazione di unicità dell'incarico" che autocertifichi l'assunzione della direzione tecnica in via esclusiva.

Altrettanto rigorosa è la previsione del comma terzo dell'art. 7 che nel caso di acquisizione di azienda o di un suo ramo, prevede che i requisiti di idoneità tecnica maturati dall'impresa cedente siano mutuabili alla sola condizione che nella cessione sia compreso il trasferimento del direttore tecnico che ha avuto la direzione dei lavori della cui certificazione ci si vuole valere ai fini della qualificazione e che questi permanga nell'organico del cessionario per un periodo di almeno un anno.

Il requisito dell'"adeguata idoneità organizzativa" (art. 8), per le imprese che nell'ultimo quinquennio abbiano avuto un numero di addetti non inferiore a cinque unità, è invece dimostrata: per la categoria OG2, dal concorso di criteri che attengono al costo complessivo del personale rispetto all'importo dei lavori complessivi svolti nel quinquennio precedente la sottoscrizione del contratto con la SOA e alla percentuale del costo impegnato per personale operario oppure tecnico, laureato o specializzato [17] (commi 2-4); per le categorie OS 2-A e OS 2-B dalla presenza nell'organizzazione aziendale di una percentuale di restauratori e di collaboratori restauratori non inferiore, rispettivamente, al venti per cento e al quaranta per cento dell'organico [18] oppure dall'aver sostenuto per personale dipendente con qualifica di restauratore e di collaboratore restauratore un costo complessivo non inferiore al quaranta per cento dell'importo dei lavori complessivi svolti nel quinquennio precedente la sottoscrizione del contratto con la SOA (commi 5-8); per le categorie OS 25 dalla presenza nell'organizzazione aziendale di una percentuale di archeologi non inferiore al trenta per centro dell'organico [19] oppure dall'aver sostenuto per personale dipendente con qualifica di archeologo un costo complessivo non inferiore al trenta per cento dell'importo dei lavori complessivi svolti nel quinquennio precedente la sottoscrizione del contratto con la SOA (commi 9-11) [20].

Circa l'"adeguata capacità economica e finanziaria", infine, l'art. 9 dello schema di regolamento si limita a richiedere per le imprese qualificate nelle categorie OS 2-A, OS 2-B e OS-25 il possesso di idonee referenze bancarie, rinviando sul resto a quanto previsto dal codice dei contratti agli artt. 84 e 86 e alle linee guida dall'Anac sul sistema unico di qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici.

Per i lavori [21] di importo inferiore ai 150.000, l'art. 12 richiede invece che le imprese esecutrici siano iscritte alla Camera di commercio, abbiano un organico in linea con i parametri indicati dall'art. 8 e abbiano svolto in passato, direttamente ed in proprio, lavori appartenenti alla medesima categoria di quelli oggetto di gara per un importo non inferiore a quello del contratto da stipulare e comunque, nell'ultimo triennio, non inferiore al suo sessanta per cento, oppure, in alternativa a tale ultimo requisito, vantino una "idonea" direzione tecnica.

La presenza solo eventuale di una direzione tecnica conforme ai criteri indicati dall'art. 13, pare adeguatamente compensata, dalla reintroduzione del limite di rilevanza temporale dei lavori pregressi scomparso, come detto, per i lavori sopra soglia.

A prescindere poi dalla soglia, ai fini della qualificazione per i lavori sui beni culturali tutelati dal codice di settore, relativi alle categorie di opere generali OG 2 e alla categorie di opere specializzate OS 2-A, OS 2-B, OS 24 e OS 25, la certificazione rilasciata ai soggetti esecutori deve contenere anche l'attestato di buon esito degli interventi eseguiti rilasciato dall'autorità preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori (art. 4, comma 5).

2.1. La definizione dell'oggetto e la qualificazione dell'appalto

La specialità del bene culturale ed il suo peculiare regime giuridico condizionano profondamente la disciplina delle prestazioni oggetto di affidamento ed incidono sulla stessa qualificazione dell'appalto.

Dietro il divieto di affidamento congiunto a lavori afferenti ad altre categorie di opere generali o speciali dei lavori sui beni culturali ribadito dall'art. 148, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, si cela infatti un'attenzione particolare per la salvaguardia del valore culturale di cui il bene è portatore.

Confermando quanto previsto dall'art. 200, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, il codice giustifica tale accorpamento sono a fronte di motivate ed eccezionali esigenze di coordinamento dei lavori accertate dal responsabile del procedimento che non possono in alcun modo riguardare la sicurezza dei luoghi di lavoro [22], aggiungendo che in nessun caso le lavorazioni specialistiche possono essere assorbite in altra categoria o omesse nell'indicazione delle lavorazioni di cui si compone l'intervento a prescindere dall'incidenza percentuale che il valore degli interventi di tipo specialistico assume rispetto all'importo complessivo dell'appalto (art. 148, comma 2).

Ne consegue l'obbligo per la stazione appaltante, nella predisposizione degli atti di gara, di separare gli interventi di monitoraggio, manutenzione e restauro da quelli di carattere strutturale, impiantistico o di adeguamento funzionale che riguardino beni immobili tutelati.

Il rigore osservato dal legislatore su tale versante conferma che la capacità operativa ed organizzativa dei fattori produttivi necessari alla completa esecuzione della lavorazione ed il possesso di tutte le specifiche abilitazioni tecniche ed amministrative previste dalle vigenti norme legislative e regolamentari non possono in alcun modo essere bypassate dalla lex specialis.

Circa la qualificazione dell'appalto, invece, nel caso di appalti aventi ad oggetto gli allestimenti di istituti o luoghi di cultura o relativi alla manutenzione di ville, parchi e giardini tutelati ai sensi dell'art. 10, comma 4, lett. f) del d.lgs. n. 42/2004, la stazione appaltante, con provvedimento motivato del responsabile del procedimento, può applicare la disciplina relativa agli appalti di servizi o forniture laddove questi assumano rilevanza preponderante rispetto ai fini dell'oggetto del contratto, a prescindere dall'importo dei lavori (art. 148, comma 3). Per il resto trova applicazione la disciplina generale degli appalti misti di cui all'art. 28 del codice.

Sul tema lo schema di decreto ministeriale aggiunge ben poco, salvo puntualizzare che gli interventi sui beni culturali sono inseriti nei documenti di programmazione dei lavori pubblici ed eseguiti nel rispetto del principio della conservazione programmata. A tal fine le stazioni appaltanti, sulla base della ricognizione e dello studio dei beni affidati alla loro custodia, redigono un documento sullo stato di conservazione del singolo bene tenendo conto della pericolosità territoriale e della vulnerabilità delle risultanze evidenziate nel piano di manutenzione e nel consuntivo scientifico, delle attività di prevenzione e degli eventuali interventi pregressi di manutenzione e restauro, illustrando, nel caso di beni archeologici, i risultati di eventuali indagini diagnostiche (cfr. art. 3, comma 1).

2.2. Livello e contenuti della progettazione

Particolarmente significative le novità introdotte dalla riforma del 2016 sul livello e sui contenuti della progettazione di lavori concernenti i beni culturali [23].

Sul primo fronte l'art. 147, comma 4, del codice, inserendosi nel solco tracciato dalla disciplina previgente (art 203, comma 1, d.lgs. n. 163/2006), conferma che i lavori di monitoraggio, manutenzione e restauro dei beni culturali mobili, di superfici decorate di beni architettonici materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico, artistico o archeologico, quelli di scavo archeologico, anche subacqueo, nonché quelli relativi al verde storico (ex art. 10, comma 4, lett. f), d.lgs. n. 42/2004) sono appaltati "di regola" [24] sulla base del progetto esecutivo.

La progettazione esecutiva può essere omessa, con il conseguente affidamento dei lavori sulla base del solo progetto definitivo, qualora il responsabile unico del procedimento accerti che la natura e le caratteristiche del bene ovvero il suo stato di conservazione siano tali da non consentire l'esecuzione di analisi e rilievi esaustivi o comunque presentino soluzioni determinabili solo in corso d'opera disponendo quindi, nel rispetto del quadro economico, che l'integrazione delle progettazione avvenga in corso d'opera (art. 147, comma 5) [25]. Nell'ipotesi ivi contemplata l'impresa esecutrice dei lavori, come precisato dall'art. 14, comma 4, lett. b) dello schema di decreto ministeriale, sottopone al responsabile unico del procedimento la documentazione riguardante la progettazione integrativa perché venga approvata previa valutazione della stazione appaltante.

Di diversa natura l'ulteriore ipotesi [26] di omissione della progettazione esecutiva prevista dallo schema di regolamento a proposito di quei lavori su beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico, artistico o archeologico che "non presentino complessità realizzative, quali ad esempio la ripulitura ed altri interventi che presentano caratteristiche di semplicità e serialità" (art. 14, comma 4, lett. a).

Mentre la deroga contemplata dall'art. 147, comma 5, del codice, trova giustificazione nella limitata prevedibilità degli effetti dell'intervento e nella conseguente sostanziale impossibilità di procedere alla progettazione esecutiva prima dell'avvio dei lavori, quella proposta in sede attuativa rinvia a casi nei quali la predisposizione di un progetto esecutivo non è affatto problematica ed in questo senso non può ritenersi ispirata alla medesima ratio della prima [27].

Il delimitato campo di applicazione della norma scongiura indubbiamente ogni rischio di estendere oltre misura l'eccezione alla regola generale dell'art. 59, comma 1, del codice dei contratti: è del tutto evidente che se alle ipotesi caratterizzate da un tasso di "complessità" o "imprevedibilità" si aggiungessero anche "tutte" quelle caratterizzate da "estrema semplicità o ripetitività" tanto varrebbe affermare che nel settore dei beni culturali ad andare in gara è sempre e comunque il progetto definitivo.

Circa i contenuti della progettazione l'art. 147, comma 2, coerentemente con le esigenze di una conservazione programmata del patrimonio culturale, richiede anzitutto la redazione, in sede di adozione del progetto di fattibilità [28], di una scheda tecnica che individui le caratteristiche del bene oggetto di intervento, descriva gli aspetti di criticità della conservazione del bene culturale prospettando quali interventi si rendano opportuni [29].

La norma non individua i soggetti responsabili della stesura della scheda tecnica, riferendosi genericamente a professionisti "in possesso di specifica competenza tecnica in relazione all'oggetto dell'intervento", rimettendo al decreto attuativo il compito di precisare in quali casi, ovvero per quali interventi, la stessa debba essere obbligatoriamente redatta da restauratori di beni culturali qualificati ai sensi della vigente normativa. L'art. 16, comma 3, dello schema di regolamento non procede tuttavia alla semplificazione auspicata dal codice estendendo l'obbligo di avvalersi di un restauratore per la redazione della scheda tecnica a tutti i lavori sui beni culturali dallo stesso considerati, eccezion fatta per quelli di scavo archeologico per i quali sarà competente un archeologo.

La scheda tecnica unitamente alla relazione generale e a quella tecnica, alle indagini e ricerche preliminari, alla planimetria generale, agli elaborati grafici, alle prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani della sicurezza [30], al calcolo sommario della spesa, al quadro economico di progetto e al cronoprogramma dell'intervento, compongono il progetto di fattibilità cui spetta dare una visione d'insieme, aggiornata e completa, dello status quo, indicando quali tipologie di indagine siano strettamente necessarie per la conoscenza del bene culturale, del suo contesto storico e ambientale e per una prima reale individuazione delle scelte di intervento e dei relativi costi (art. 15, commi 1, 2 e 6 schema d.m.). Del resto è proprio nella fase di progettazione della fattibilità che il responsabile unico del procedimento, basandosi sulla natura e sulle caratteristiche del bene e dell'intervento conservativo, valuta la possibilità di ridurre i livelli di definizione progettuale e definisce i contenuti dei vari livelli progettuali salvaguardandone la qualità (art. 14, comma 6, schema d.m.).

Il progetto di fattibilità [31], in altri termini, comporta lo svolgimento di indagini e ricerche volte ad acquisire ogni elemento utile per la stima del costo dell'intervento, per la scelta dei tipi e delle metodologie di intervento da approfondirsi nel progetto definitivo in modo che in questo secondo livello di progettazione, anche attraverso ulteriori indagini diagnostiche e conoscitive di taglio multidisciplinare, possano essere puntualmente individuati i fattori di degrado del bene e definiti i metodi di intervento [32]. Il progetto esecutivo, elaborato sulla base di indagini dirette e campionature di intervento giustificate dall'unicità dell'intervento conservativo, entra invece nel dettaglio delle specifiche metodologie operative, dei materiali da utilizzare, delle modalità tecnico-esecutive degli interventi definendo altresì le linee del monitoraggio e della manutenzione dell'opera al fine di mantenerne nel tempo la funzionalità e le caratteristiche di qualità ed efficienza (art. 147, comma 3) [33].

L'art. 25 dello schema di decreto attuativo consente di derogare alla rigorosa disciplina sulla progettazione per i soli lavori di manutenzione se ciò sia giustificato "dalla natura del bene e del tipo di intervento che si realizza", prevedendo che in tal caso i lavori possano essere eseguiti, coerentemente con le previsioni del piano di monitoraggio e manutenzione, anche sulla base di una semplice perizia di spesa [34].

L'art. 147 del codice chiude precisando che la direzione dei lavori [35], il supporto tecnico alle attività del responsabile unico del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale delle opere pubbliche devono avvalersi di un restauratore di beni culturali oppure, a seconda della tipologia dei lavori, di uno dei professionisti [36] indicati all'art. 9-bis del d.lgs. n. 42/2004 con esperienza almeno quinquennale ed in possesso di specifiche competenze coerenti con l'intervento da realizzare.

Le stesse competenze, nei casi in cui non sia prevista l'iscrizione ad un ordine o a un collegio professionale, sono richieste dallo schema di regolamento per l'esecuzione delle prestazioni relative alla progettazione di fattibilità, definitiva o esecutiva (art. 22, comma 1). Così come specifici requisiti di qualificazione sono richiesti per i soggetti di cui si avvale la stazione appaltante nella verifica preventiva della progettazione [37] che il responsabile del procedimento può decidere di limitare, dandone adeguata motivazione, al solo livello di progettazione posto alla base di gara (art. 21, comma 2).

2.3. I criteri di aggiudicazione e scelta degli offerenti

L'assenza di una disciplina speciale del sistema di scelta degli offerenti e dei criteri di aggiudicazione conferma lo sforzo del legislatore di ricondurre ad unitarietà la disciplina degli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali

Quanto alle procedure di scelta del contraente si applicano gli artt. 59 ss. del codice, quanto ai criteri di aggiudicazione dell'appalto la disciplina generale dell'art. 95 che privilegia il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, salvo prevedere, in deroga al comma 4 dello stesso art. 95 [38], l'utilizzo del criterio del minor prezzo per i lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro [39].

Le altre previsioni "speciali" in materia riguardano la possibilità per le stazioni appaltanti di riconoscere, in sede di previsione dei criteri di valutazione delle offerte, uno specifico regime di premialità per le offerte presentate da imprese che si avvalgano nella progettazione e nell'esecuzione dei lavori di personale in possesso di titoli rilasciati dalle scuole di cui al decreto del Miur 31 gennaio 2006 (art. 7, comma 4, schema d.m.) [40]; la determinazione del corrispettivo dell'appalto che l'art. 148, comma 6, prevede sia fissato "di noma a misura, indipendentemente dal relativo importo" e l'innalzamento a 300.000 della soglia di importo che consente alla stazione appaltante di derogare alla normale procedure di gara disponendo la immediata esecuzione dei lavori (c.d. esecuzione dei lavori in somma urgenza).

L'art. 148, comma 7, rinvia ai presupposti generali contemplati per tutti i lavori pubblici dall'art. 163 del codice, ovvero al rischio di un "insanabile pregiudizio" dovuto al "ritardo", qui declinato con riguardo alla "tutela del bene" e alla "pubblica incolumità", rimettendo al decreto attuativo il compito di individuare, entro i medesimi limiti di importo, particolari tipi di intervento che consentano l'affidamento in somma urgenza. L'art. 23 dello schema di regolamento qui in esame sul punto invero tace, limitandosi a riprodurre la disposizione codicistica salvo precisare, in maniera un po' tautologica, che l'esecuzione dei lavori è funzionale a "rimuovere lo stato di pregiudizio e pericolo".

2.4. L'esecuzione dei lavori: varianti, vigilanza e collaudo

Sul piano dell'esecuzione dei lavori il legislatore del 2016 conferma, con alcuni importanti aggiustamenti, la disciplina delle varianti contenuta nell'art. 205 del d.lgs. n. 163/2006.

L'art. 149 del codice distingue le situazioni nelle quali il direttore dei lavori ritiene opportuno intervenire in corso d'opera per risolvere aspetti di dettaglio, finalizzati a prevenire e ridurre i pericoli di danneggiamento o deterioramento dei beni tutelati, che non modificano qualitativamente l'opera e non comportano, nel rispetto del quadro finanziario, una variazione inferiore o superiore al venti per cento del valore di ogni singola categoria di lavorazione ovvero una variazione del dieci per centro dell'importo complessivo del contratto (comma 1) dalle varianti vere e proprie ammesse, nel limite del venti per cento in più dell'importo contrattuale, per fatti verificatisi in corso d'opera, per rinvenimenti imprevisti o imprevedibili nella fase progettuale o qualora la salvaguardia del bene ed il perseguimento degli obiettivi dell'intervento rendano necessari un adeguamento dell'impostazione dell'opera o nel caso in cui l'evoluzione dei criteri della disciplina del restauro giustifichino una modifica contrattuale (comma 2).

In linea, invece, con quanto già previsto nel regolamento di esecuzione dell'abrogato codice degli appalti, l'art. 150, comma 1, del nuovo codice ribadisce l'obbligatorietà del collaudo [41] in corso d'opera, sempre che non sussistano le condizioni per il rilascio del certificato di regolare esecuzione [42].

L'individuazione dei casi nei quali il certificato di collaudo dei lavori ed il certificato di verifica di conformità (nel caso di servizi e forniture) possono essere sostituiti dal certificato di regolare esecuzione è rimessa dall'art. 102, comma 8, del codice ad un decreto adottato, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sentita l'Anac, dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti [43].

Lo stesso art. 102, al comma successivo, prevede infine che al termine dei lavori il direttore dei lavori [44] debba redigere, come ultima fase del processo della conoscenza e del restauro e premessa per il futuro programma di intervento sul bene, un consuntivo scientifico [45], una relazione tecnico-scientifica con l'esplicitazione dei risultati culturali e scientifici raggiunti ed aggiornare il piano di monitoraggio e manutenzione.

Resta fermo nel corso dell'esecuzione dei lavori, come ribadito dall'art. 26, comma 3, dello schema di regolamento, il dovere della stazione appaltante e dell'ufficio preposto alla tutela del bene culturale, di vigilare sul rispetto dei requisiti di qualificazione richiesti dalla normativa speciale e sul mantenimento da parte delle imprese esecutrici dei requisiti di ordine speciale di qualificazione richiesti per l'attestazione SOA, adottando, in caso di inosservanza, i provvedimenti sanzionatori previsti dalla vigente normativa.

3. La verifica preventiva dell'interesse archeologico

L'art. 25 del d.lgs. n. 50/2016 conferma, con alcune modifiche, la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico già disciplinata dagli artt. 95 e 96 del d.lgs. n. 163/2006 [46] che, in attuazione dell'art. 28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, impone alle stazioni appaltanti l'obbligo [47] di trasmettere alla soprintendenza archeologica territorialmente competente, prima dell'approvazione, copia del progetto di fattibilità dell'intervento (o un suo stralcio) corredato da un'indagine archeologica e geologica preliminare [48] onde consentire all'amministrazione di valutare se sussistano o meno i presupposti per avviare ulteriori indagini volte ad accertare l'interesse archeologico dell'area oggetto di progettazione (c.d. fase preliminare).

La procedura di verifica dell'interesse archeologico in senso stretto (fase c.d. operativa o esecutiva) comporta un approfondimento, per livelli successivi, dell'indagine archeologica preliminare attraverso tecniche d'indagine indirette (prospezioni geofisiche e geotermiche) e dirette (carotaggi, saggi archeologici e se necessario sondaggi e scavi), progressivamente più invasive [49], che consentono di accertare la presenza, la consistenza e la complessità del deposito archeologico [50] in modo da integrare il progetto di fattibilità con tutti gli elementi utili a definire il quadro delle conoscenze (art. 25, comma 8) a disposizione del soprintendente per valutare, nella relazione archeologica definitiva, la compatibilità dell'opera pubblica con la tutela del patrimonio archeologico (art. 25, comma 9) ed adottare le misure necessarie a garantirne la conservazione (art. 25, comma 11).

La riforma del codice ha inciso significativamente sulla tempistica dei sub-procedimenti in cui si articola la verifica preventiva dell'interesse archeologico, riducendo il termine della fase preliminare e limitando l'incertezza legata alla conclusione della fase operativa.

Con riferimento alla fase preliminare è stato ridotto da novanta a trenta giorni [51] il termine entro il quale il soprintendente, ricevuto il progetto di fattibilità e le indagini archeologiche preliminari, deve valutare se avviare o meno la verifica preventiva dell'interesse archeologico. Il termine è sospeso qualora il soprintendente, rilevata (in qualsiasi momento [52]) l'incompletezza della documentazione o la necessità di un approfondimento istruttorio [53], richieda, anche in via telematica, l'integrazione documentale ovvero convochi il responsabile unico del procedimento per l'acquisizione di ulteriori informazioni (art. 25, commi 3-4).

Acquisiti gli elementi istruttori il soprintendente ha quindi a disposizione il periodo di tempo non ancora trascorso per attivare la procedura operativa, non potendo contare sul termine di garanzia di 15 giorni accordato dalla previgente disciplina nel caso in cui il termine rimasto a disposizione dell'amministrazione fosse inferiore. Per quanto il codice non richieda più al soprintendente di segnalare con "modalità analitiche" l'incompletezza della documentazione ricevuta o di documentare l'esigenza di approfondimenti istruttori riferendosi "puntualmente" al contenuto della progettazione e alle caratteristiche dell'intervento [54], un'adeguata motivazione della richiesta di integrazione documentale ed istruttoria è richiesta dal principio di leale collaborazione procedimentale, quale declinazione dei principio generale di buon andamento, per consentire alla stazione appaltante di soddisfare la richiesta in maniera adeguata e alla soprintendenza, a maggior ragione se la stessa è stata presentata a ridosso della scadenza del termine procedimentale, di poter utilmente valutare gli elementi acquisiti prima della scadenza del termine [55].

Preso atto che le indagini preliminari non consentono di pervenire "in nessun caso ad una valutazione certa" in grado di escludere a priori un qualche rischio di tipo archeologico [56] sarà difficile che il soprintendente rinunci a richiedere un approfondimento dell'indagine archeologica essendo a tal fine sufficiente ravvisare un fumus di interesse archeologico dell'area [57] ovvero un minimum di probabilità di rinvenire nel sito reperti archeologici. Con buona pace per l'intento acceleratorio perseguito dal legislatore, destinato ad avere come unico (probabile) effetto quello di ridurre i (già pochi) casi di arresto della procedura alla fase preliminare.

Con riferimento alla fase operativa l'art. 25, comma 9, rimette al soprintendente il compito di predeterminare il termine conclusivo del procedimento tenendo in considerazione l'"estensione dell'area interessata" dall'intervento. Termine certamente "elastico", come ha avuto modo di osservare lo stesso Consiglio di Stato in sede consultiva [58], ma del resto difficilmente ancorabile ad elementi diversi dall'unico noto al momento dell'avvio della verifica (vale a dire l'estensione dell'area).

Il comma 15 dell'art. 25 ricorda che la stazione appaltante in caso di "eccessiva" durata del procedimento relativo a opere di rilevante impatto sul territorio ovvero di infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, può ricorrere alla procedura di fast track prevista dal d.p.r. 12 settembre 2016, n. 194 per ottenere una riduzione del termine di conclusione del procedimento [59] ed attivare il potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri. Per effetto della novella introdotta dal primo decreto correttivo la stazione appaltante può ricorrervi anche nel caso in cui non siano stati rispettati i termini dell'accordo di collaborazione e coordinamento che stazione appaltante e soprintendenza [60] possono stipulare entro 30 giorni dall'avvio della fase esecutiva ai sensi dell'art. 26, comma 14, al fine di graduare la complessità della verifica preventiva riducendo fasi e contenuti del procedimento e contingentandone di conseguenza i tempi.

Circa l'impatto delle misure di semplificazione procedimentale introdotte dal regolamento di delegificazione al procedimento di specie sia consentito esprimere qualche riserva: se da un lato la precisazione secondo cui la riduzione dei termini procedimentali deve tenere conto della "sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento" (art. 3, comma 1, d.p.r. n. 194/2016) induce a dubitare che per tale via si possa avere una sensibile accelerazione dell'iter procedimentale, dall'altro l'attivazione del potere sostitutivo del Presidente del Consiglio (oltre ad essere meramente eventuale) non potrà che chiamare in causa la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio quale "soggetto dotato di comprovata competenza ed esperienza in relazione all'attività oggetto di sostituzione" (art. 4, comma 2, d.p.r.) la quale è comunque titolare, in ragione del rapporto di sovraordinazione gerarchica, di un generale potere di avocazione degli atti di competenza del soprintendente [61]. In tale ipotesi la direzione sarà semplicemente tenuta ad adottare la relazione archeologica definitiva nel nuovo termine fissato dal Presidente del Consiglio "comunque di durata non superiore a quello originariamente previsto" (art. 4, comma 2, d.p.r. n. 194/2016) dal soprintendente o fissato nell'accordo stipulato ai sensi dell'art. 25, comma 14, del codice.

Al di là della corsia preferenziale tracciata dal regolamento di delegificazione, lastricata da troppi "se" [62] e da qualche dubbio di legittimità costituzionale di troppo [63], è nell'ordinario, ossia nelle linee guida indicate dall'art. 25, comma 13 (già previste dall'art. 95, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 e mai adottate) che dovrà essere ricercato un ragionevole equilibrio tra la necessaria tutela del patrimonio archeologico e l'interesse pubblico alla realizzazione delle opere pubbliche inserite nel programma triennale dei lavori pubblici, aprendo la strada all'individuazione di forme procedimentali semplificate che vadano oltre la mera riduzione dei tempi procedimentali.

Equilibrio tutt'altro che agevole da raggiungere stante l'"ambiguità di fondo" che caratterizza la stessa archeologia preventiva, astrattamente concepita come "strumento di conoscenza e progettazione consapevole delle trasformazioni del territorio" e declinata in concreto come "strumento di tutela anticipata" del patrimonio archeologico (art. 25, comma 9, lett. b) e c) e comma 11) [64].

4. Il partenariato pubblico privato: dalla sponsorizzazione alle gestione dei beni culturali

L'art. 151 chiude il Capo dedicato agli appalti nel settore dei beni culturali definendo la procedura di affidamento dei contratti di sponsorizzazione nel "settore culturale" [65] e delle forme speciali di partenariato dirette alla conservazione e alla valorizzazione dei beni culturali immobili.

Se da un lato il legislatore rinuncia a dettare una disciplina speciale per la selezione dello sponsor privato [66], rinviando a quanto previsto in termini generali dall'art. 19 del codice per le sponsorizzazione (pure, tecniche o miste) di lavori, servizi e forniture di importo superiore a quarantamila euro [67] dall'altro, puntando proprio sulle peculiari esigenze di fruizione e tutela del patrimonio culturale, sembrerebbe aprire la strada verso forme "nuove" di coinvolgimento dei privati nella gestione dei beni culturali [68].

Per effetto dell'allineamento con la disciplina generale dell'art. 19, l'affidamento di un contratto di sponsorizzazione pura o tecnica [69] è subordinato alla pubblicazione, per almeno trenta giorni, sul sito istituzionale dell'amministrazione di un avviso pubblico con il quale si comunica l'avvenuta ricezione di una proposta di sponsorizzazione o si rende nota la ricerca di uno sponsor segnalando, nel primo caso, il contenuto della proposta contrattuale ricevuta ed indicando sinteticamente, nell'uno come nell'altro caso, l'oggetto dell'intervento, la tipologia di sponsorizzazione proposta o cui l'amministrazione è interessata e l'associazione promozionale richiesta o offerta come controprestazione.

Come puntualizzato dalla circolare interpretativa del 9 giugno 2016 [circolare.pdf] [70] la proposta di sponsorizzazione non determina alcun obbligo di pubblicare l'avviso sul sito del ministero in quanto l'amministrazione è tenuta a vagliare, in via preliminare, l'ammissibilità della proposta sotto il profilo della compatibilità della controprestazione richiesta con le esigenze di tutela del bene culturale e della congruenza dell'offerta economica o dell'utilità prospettata, compiendo ogni sforzo "ragionevole e proporzionato" per colmare eventuali lacune o carenze della proposta suscettibili di miglioramento. In attuazione del principio del soccorso istruttorio di cui all'art. 6, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990, l'amministrazione, eccezion fatta per i soli casi di assoluta irricevibilità della proposta [71], dovrà quindi interloquire con il proponente sollecitando chiarimenti e/o proponendo integrazioni per definire i contorni di una proposta potenzialmente satisfattiva delle esigenze di tutela e valorizzazione del bene culturale in linea con l'art. 120 del codice dei beni culturali [72].

Trascorso il periodo di pubblicazione dell'avviso il contratto può essere "liberamente negoziato" [73] nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento degli operatori che abbiano manifestato interesse (art. 19, comma 2) senza dar corso ad una vera e propria procedura competitiva. L'avviso, infatti, persegue finalità informative di pubblicità e trasparenza e non deve sollecitare un confronto concorrenziale tra imprese [74].

Ne consegue che decorsi trenta giorni dalla pubblicazione dell'avviso di avvenuta ricezione di una proposta di sponsorizzazione senza che siano presentate proposte contrattuali alternative l'amministrazione potrà, anzi dovrà [75], procedere alla stipula del contratto con l'impresa proponente definendo nel dettaglio, attraverso la negoziazione delle clausole accessorie (termine, condizione e modus), il regolamento contrattuale. Restano ovviamente estranei alla negoziazione gli elementi essenziali del contratto descritti nell'avviso di sponsorizzazione [76], quelli per intenderci sui quali si è formata la volontà a contrarre dell'amministrazione, pena la violazione dei principi di trasparenza, pubblicità, parità di trattamento ed imparzialità che presiedono al corretto svolgimento della procedura. Qualora l'amministrazione abbia manifestato l'interesse ad acquisire risorse private per la sponsorizzazione di un'iniziativa di tutela o valorizzazione senza ottenere alcun riscontro [77] nulla le impedisce di ripubblicare l'avviso con le modifiche (a partire dal tipo di sponsorizzazione richiesta) o le integrazioni (ad esempio sul piano promozionale) che possano rendere il progetto maggiormente appetibile per le imprese. Venuto meno l'obbligo di inserire l'elenco dei lavori, servizi, forniture da sponsorizzare nel programma triennale dei lavori pubblici, la programmazione strategica delle iniziative di sponsorizzazione, al netto del "debole" ruolo riconosciuto alla direzione generale bilancio [78], è rimessa a livello periferico ai segretariati regionale che coadiuvano gli altri uffici territoriali (ed in particolare i poli museali regionali [79]) nella programmazione degli interventi da finanziare tramite sponsorizzazione [80].

Nella differente ipotesi in cui entro trenta giorni dalla pubblicazione dell'avviso pervengano una o più proposte contrattuali l'amministrazione dovrà invece procedere ad un minimo confronto concorrenziale.

Sui limiti e contenuti del confronto concorrenziale la citata circolare del 2016 precisa che nel caso di sponsorizzazione pura questo potrà esaurirsi nella fissazione di un termine per presentare offerte in aumento, con il conseguente affidamento in favore dell'impresa che avrà offerto la somma maggiore [81]. L'amministrazione, dovendosi astenere dalla valutazione di elementi non economici o non misurabili in termini quantitativi e aritmetici, non potrà quindi considerare gli elementi migliorativi che attengono alla controprestazione dello sponsee [82] sebbene quest'ultimi, oltre ad essere suscettibili di apprezzamento sul piano economico, non siano affatto neutrali rispetto alle esigenze di protezione e di fruizione del bene [83] che dovrebbero (sempre) guidare la scelta amministrativa.

Ciò vale a maggior ragione se la sponsorizzazione pura è finalizzata al "sostegno" di istituti e luoghi di cultura, di fondazioni lirico sinfoniche e teatri di tradizione, realizzando un legame profondo, oltre che potenzialmente duraturo, tra sponsor e sponsee con tutto ciò che ne deriva in termini di (maggior) ritorno economico per l'impresa selezionata. La "nuova" forma di sponsorizzazione introdotta dall'art. 151, comma 1, del codice presenta gli stessi tratti dell'"adozione del monumento", figura ben nota alla prassi e richiamata dalle linee guida in materia di sponsorizzazione del 2012 nella quale l'apporto del soggetto privato (in denaro, lavori, servizi o forniture) è finalizzato a sopperire integralmente ad una o più specifiche esigenze di tutela e/o valorizzazione del bene culturale, comportando l'assunzione, per un determinato e più o meno lungo periodo di tempo, della cura del monumento o di alcune esigenze gestionali, tanto di ordinaria che di straordinaria amministrazione.

Nella sola ipotesi di sponsorizzazione tecnica la circolare ammette una valutazione comparativa tra l'offerta tecnica del primo proponente e quella o quelle successivamente presentate con un apprezzamento tecnico-discrezionale dei progetti di intervento da realizzarsi a cura o a spese dello sponsor, escludendo però, anche in tal caso, ogni valutazione dei profili relativi alle modalità promozionali. Va da se che se nel caso di una sponsorizzazione tecnica può essere strategico per l'impresa "prendere l'iniziativa", interagendo con l'amministrazione al fine di predisporre un progetto che sul piano tecnico aderisca alle esigenze e alle aspettative di tutela e valorizzazione del bene culturale, non altrettanto può dirsi per quella pura posto che l'esito dell'"interlocuzione" dell'impresa con l'amministrazione, informale ma certamente non a costo zero, può essere facilmente vanificata dal rilancio anche modico di un competitor.

Procedure semplificate analoghe o ulteriori a quelle previste per la scelta dello sponsor possono essere promosse dal Ministero anche per la costituzione di forme speciali di partenariato dirette al recupero, al restauro, alla manutenzione programmata, alla gestione, alla pubblica fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali immobili al fine di "assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione" e "favorire la ricerca scientifica applicata alla tutela" [84].

Al di là dell'enfatico richiamo al "patrimonio culturale della Nazione" la norma si applica ad una frazione, significativa ma pur sempre parziale, del patrimonio culturale ovvero ai beni culturali immobili, con il chiaro intento di fornire una solida base giuridica alle forme atipiche di partenariato contrattuale di incerta collocazione giuridica già diffuse nella prassi [85] ed al contempo di favorire una più ampia partecipazione di privati for profit ad iniziative di valorizzazione che coinvolgano la gestione stessa del bene culturale, nella direzione tracciata dal ministero nel d.m. 6 ottobre 2015 con la concessione in uso a soggetti no profit (associazione e fondazioni) di beni immobili del demanio culturale statale non valorizzati che richiedono interventi di restauro.

La formulazione della norma, aperta ed inclusiva, consente inoltre che le attività di conservazione, valorizzazione e gestione del bene possano essere finanziate attraverso sponsorizzazioni, erogazioni liberali o campagne di raccolta fondi anche nelle forme del finanziamento collettivo, lasciando così campo aperto alla sperimentazione di forme innovative di promozione e coordinamento delle politiche di gestione del patrimonio culturale che non possono che salutarsi con favore nella prospettiva della valorizzazione integrata dei beni culturali delineata dal d.lgs. n. 42/2004 contribuendo al rilancio dei piani strategici di sviluppo culturale [86].

In attesa che i regolamenti attuativi e le linee guida dell'Anac completino il quadro normativo [87] resta solo da capire se l'amministrazione dei beni culturali, provata da un triennio di profonde trasformazioni non ancora del tutto sedimentate, sarà in grado di cogliere le opportunità offerte dalla normativa.

 

Note

[1] Sull'evoluzione della disciplina dei contratti relativi ai beni culturali e le ragioni della sua specialità vedasi P. Carpentieri, P. Ungari, I contratti relativi ai beni culturali, in Trattato sui contratti pubblici, a cura di M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, IV, Milano, 2008, pag. 2969 ss.; sull'integrazione della disciplina codicistica per effetto del regolamento di esecuzione vedasi inoltre P. Carpentieri e G. Damiano, I lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, in Trattato sui contratti pubblici, a cura di M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, Milano, VIII, 2011, pag. 4833 ss.

[2] Cfr. Capo III, "Appalti nel settore dei beni culturali".

[3] Sulla natura giuridica delle linee guida Anac si rinvia a quanto osservato da M.P. Chiti, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2016, 4, pag. 436 ss. e C. Deodato, Le linee guida dell'ANAC: una nuova fonte del diritto?, in giustamm.it.

[4] Per le quali è stata appena aperta la consultazione pubblica.

[5] Sullo schema del primo decreto correttivo si è espresso favorevolmente il Consiglio di Stato con parere n. 782 del 30 marzo 2017, in giustizia-amministrativa.it.

[6] Su proposta del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

[7] In attesa che si completi l'iter di approvazione di tale decreto l'art. 216, comma 7, del codice dei contratti fa salva l'applicazione del d.m. 20 marzo 2009, n. 60.

[8] Come precisato dall'art. 2, comma 1, dello schema di decreto ministeriale "Lo scavo archeologico consiste in tutte le operazioni che consentono la lettura storica delle azioni umane, nonché dei fenomeni geologici che hanno con esse interagito, succedutesi in un determinato territorio, delle quali con metodo stratigrafico si recuperano le documentazioni materiali, mobili e immobili, riferibili al patrimonio archeologico. Lo scavo archeologico recupera altresì la documentazione del paleoambiente anche delle epoche anteriori alla comparsa dell'uomo". Lo scavo archeologico comprende anche le indagini archeologiche subacquee.

[9] Il testo qui commentato è per l'appunto quello sottoposto alla Commissione speciale del Consiglio di Stato nell'adunanza del 9 gennaio 2017 sul quale è stato reso parere favorevole con provvedimento n. 263 del 30 gennaio 2017, in giustizia-amministrativa.it.

[10] Se rispettati i contenuti essenziali richiesti dall'art. 49 del d.lgs. n. 163/2006 per la stipula del contratto di avvalimento (sui quali ex multis Cons. St., 27 gennaio 2014, n. 412, in giustizia-amministrativa.it) la giurisprudenza ha sempre ritenuto legittimo il rincorso all'avvalimento per le categorie superspecialistiche.

[11] Sul tema P. Carpentieri, P. Ungari, I contratti relativi ai beni culturali, cit., pagg. 3057-3059. Anche l' AVCP, chiamata a pronunciarsi sul tema, ha ritenuto compatibile il divieto di avvalimento previsto da una lex speciali di gara con il comma 30 dell'art. 253 del d.lgs. n. 163/2006, ritenendo quest'ultima "norma speciale derogatoria" tesa a garantire "l'effettivo possesso" da parte del soggetto partecipante alla gara del requisito specifico di avvenuta esecuzione nell'ultimo decennio di lavori nello specifico settore cui si riferisce l'intervento, al fine di "tutelare la stazione appaltante nella scelta dell'appaltatore in un settore così delicato" (cfr. deliberazione n. 80 del 15 novembre 2006).

[12] Quanto ai requisiti generali l'art. 5, comma 1, dello schema di decreto ministeriale rinvia agli artt. 80 ss. del d.lgs. n. 50/2016 specificando che l'iscrizione dell'impresa al registro istituito presso la competente camera di commercio, richiesta dall'art. 83, comma 3, del codice ai fini della sussistenza dei requisiti generale di idoneità professionale, deve riferirsi alla specifica tipologia di lavori svolta dall'impresa (art. 5, comma 2).

[13] Come interpretato dalle linee guida adottate con d.m. 13 maggio 2014. Per una ricostruzione della disciplina sulla formazione in materia di restauro dei beni culturali sia consentito il rinvio a A. Sau, Un passo avanti nella disciplina della formazione dei restauratori: il decreto del Miur 2 marzo 2011, in Aedon, 2011, 2.

[14] Viceversa non possono essere utilizzati ai fini quella qualificazione quei lavori che l'impresa appaltatrice ha affidato in subappalto (art. 11, comma 2). Quanto alla loro certificazione lo schema di regolamento rinvia alla disciplina generale dell' art. 102 del codice, riconoscendo la validità dei certificati già rilasciati, purché accompagnati o integrati dalla dichiarazione di buon esito rilasciata dall'autorità preposta alla tutela dei beni sui quali i lavori sono stati realizzati. Comprensibili esigenze di semplificazione procedimentale inducono a precisare che per i lavori eseguiti per conto del medesimo committente, anche se oggetto di diversi contratti di appalto, può essere rilasciato un unico certificato con la specificazione dei lavori approvati ed eseguiti nei singoli anni (art. 11, comma 2). Specificazione, quest'ultima, utile per l'affidamento dei lavori sotto i 150.000 per cui rileva, come detto, l'arco temporale di svolgimento dei lavori ai fini della qualificazione.

[15] Nello specifico relativamente alla categoria OG 2, a soggetti iscritti all'albo professionale - Sezione A degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, o in possesso di laurea magistrale in conservazione dei beni culturali; relativamente alle categorie OS 2-A e OS 2-B a restauratori di beni culturali in possesso di un diploma rilasciato da scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 o dagli altri soggetti di cui all'art. 29, comma 9, del d.lgs. n. 42/2004, o in possesso di laurea magistrale in conservazione e restauro dei beni culturali; relativamente alla categoria OS 25, a soggetti in possesso dei titoli previsti dal d.m. da adottarsi ai sensi dell'art. 25, comma 2, del codice dei contratti. Con riferimento alle categorie OS 2-A e OS 2-B, la direzione tecnica può essere affidata anche a restauratori di beni culturali, che hanno acquisito la relativa qualifica ai sensi dell'art. 182, del d.lgs. n. 42/2004, purché tali restauratori abbiano svolto, alla data di entrata in vigore del presente decreto, almeno tre distinti incarichi di direzione tecnica nell'ambito di lavori riferibili alle medesime categorie.

[16] Ai sensi del'art. 13, comma 2, "qualora il direttore tecnico sia persona diversa dal titolare dell'impresa, dal legale rappresentante, dall'amministratore e dal socio, questi deve essere un dipendente dell'impresa stessa o ad essa legato mediante contratto d'opera professionale regolarmente registrato".

[17] Sono infatti richiesti, in alternativa, o un costo per personale dipendente non inferiore al quindici per cento dell'importo dei lavori rientranti nella categoria OG2 di cui almeno il quaranta per cento impegnato per personale operario, oppure un costo per personale dipendente assunto a tempo indeterminato non inferiore al dieci per cento dell'importo dei lavori rientranti nella categoria OG2 di cui almeno l'ottanta per cento impegnato per personale tecnico, diplomato, titolare di laurea (anche triennale) o di diploma universitario.

[18] Il comma 5 dell'art. 8 precisa che la presenza in organico dei collaboratori restauratori può essere sopperita in tutto o in parte dai restauratori, senza precisare i termini della diversa proporzione tra le due figure. Per le imprese con meno di cinque addetti il criterio dell'adeguata idoneità organizzativa è comprovata dalla presenza di almeno un restauratore (art. 8, comma 6).

[19] Per le imprese con meno di cinque addetti il criterio dell'adeguata idoneità organizzativa è comprovata dalla presenza di almeno un archeologo (art. 8, comma 10).

[20] L'art. 8, comma 12, richiede che restauratori, collaboratori restauratori e archeologi debbano avere un rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con l'impresa oppure, qualora l'impresa sia costituita come società cooperativa, essere soci della cooperativa.

[21] Ai lavori indicati nell'art. 1, comma 1, si aggiungono i lavori su parchi e giardini storici sottoposti a tutela e gli interventi di carattere strutturale, impiantistico e di adeguamento funzionale e sismico di beni culturali immobili (art. 12, comma 1).

[22] Come ricorda P. Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urb. app., 2016, 8-9, pag. 1014 ss., 1017, le esigenze legate alla sicurezza dei luoghi di lavoro sono state spesso utilizzate nella prassi come scappatoia all'onere motivazionale richiesto dalla disciplina previgente per derogare al divieto di disporre affidamenti congiunti.

[23] La disciplina codicistica sulla progettazione dovrà coordinarsi con quanto previsto dal decreto interministeriale cui l'art. 23, comma 3 del codice affida la definizione generale dei contenuti della progettazione lavori e con le linee di indirizzo, norme tecniche e criteri ulteriori preordinati alla progettazione e alla esecuzione di lavori che il Mibact è chiamato ad adottare, ai sensi dell'articolo 29, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, entro sei mesi dall'entrata in vigore del regolamento concernente gli appalti pubblici di lavori sui beni culturali. In attesa che si completi l'iter di approvazione del citato decreto interministeriale l'art. 216, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 fa salva l'applicazione degli artt. 14-43, 239-247 e relativi allegati del d.p.r. n. 207/2010.

[24] Inciso aggiunto nell'art. 147, comma 4, dal decreto correttivo al fine di precisare il rapporto tra regola (affidamento sulla base di progetto esecutivo) ed eccezione (affidamento sulla base di progetto definitivo).

[25] Come osservano P. Carpentieri e G. Damiano, I lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale, cit., pag. 4839, "gli interventi sul patrimonio culturale si caratterizzano per lo stretto legame tra la conoscenza del bene e l'attività esecutiva, con la conseguenza che spesso nella fase di realizzazione dell'intervento si consuma un ulteriore, fondamentale momento conoscitivo sulla sua reale composizione strutturale e materica, sui suoi intrinseci valori culturali nonché sul suo effettivo stato di conservazione e i contingenti fattori di rischio".

[26] Prevista dall'art. 203, comma 3-ter, del d.lgs. n. 163/2006 ma non recepita dal nuovo codice.

[27] Di qui le riserve espresse dal Consiglio di Stato in sede consultiva sulla legittimità della sua introduzione in sede regolamentare.

[28] Che nella progettazione dei lavori pubblici ha sostituito il progetto preliminare (cfr. art. 23, d.lgs. n. 50/2016).

[29] I contenuti della scheda tecnica sono definiti nell'art. 16, commi 1 e 2 dello schema di regolamento. Nell'ambito dei procedimenti di autorizzazione previsti dagli artt. 21 e 22 del codice dei beni culturali la scheda tecnica va sottoposta al soprintendente competente che ne approva entro 45 giorni i contenuti aggiornando se necessario le prescrizioni contenute nel provvedimento di vincolo del bene interessato dall'intervento (art. 16, comma 4).

[30] Sulla compatibilità dei lavori di impiantistica e di sicurezza con le esigenze di conservazione del patrimonio culturale si sofferma l'art. 20 dello schema di regolamento.

[31] Cfr. art. 15, commi 4 e 5 dello schema di regolamento. Sul progetto di fattibilità dei lavori di scavo archeologico vedasi invece l'art. 19, commi 1-5.

[32] Cfr. art. 17 e con riferimento ai lavori di scavo archeologico vedasi il successivo art. 19, commi 6-8.

[33] Cfr. art. 18 e con riferimento ai lavori di scavo archeologico vedasi il successivo art. 19, comma 9.

[34] Contenente la descrizione del bene corredata da sufficienti elaborati grafici e topografici redatti in opportuna scala; il capitolato speciale con la descrizione delle operazioni da eseguire ed i relativi tempi; il computo metrico-estimativo e l'elenco dei prezzi unitari delle varie lavorazioni.

[35] Per i lavori concernenti beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico o archeologico, oppure scavi archeologici, il restauratore o l'altro professionista indicato dal codice ricopre all'interno dell'ufficio di direzione dei lavori il ruolo di assistente con funzioni di direttore operativo (art. 22, comma 3).

[36] Vale a dire archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, collaboratori restauratori di beni culturali, esperti i diagnostica e di scienze e tecnologie applicate ai beni culturali e storici dell'arte.

[37] La stazione appaltante, nel rispetto dei requisiti generali previsti dall'art. 26, comma 6, del codice, può avvalersi del soggetto che ha predisposto la scheda tecnica, sempre che non abbia assunto il ruolo di progettista, oppure di un funzionario tecnico dell'amministrazione o che non abbia partecipato alla redazione del progetto e sia in possesso di specifica esperienza e capacità professionale coerente con l'intervento, con profilo professionale di restauratore o architetto o archeologo a seconda che l'appalto riguardi rispettivamente beni mobili culturali e superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico o archeologico ovvero beni culturali immobili oppure comporti lavori di scavo archeologico o indagini archeologiche subacquee.

[38] Che alla lett. a) prevede l'utilizzo del criterio del minor prezzo con riferimento ai lavori di importo pari o inferiori a 1.000.000 euro. La rispondenza ai requisiti di qualità è in tal caso garantita dall'obbligo che la procedura di gara avvenga sulla base del progetto esecutivo.

[39] Previsione introdotta dal decreto correttivo.

[40] In attuazione dell'art. 95, comma 13, del codice che consente di introdurre nella lex sciali requisiti di premialità nella valutazione dell'offerta che agevolino la partecipazione alle procedure di affidamento delle microimprese, delle PMI, delle imprese di nuova costituzione o dei giovani professionisti, nel rispetto dei principi generali di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.

[41] Lo schema di regolamento, in linea con quanto previsto dal comma 6 dell'art. 147, entra nel merito della composizione dell'organo di collaudo valorizzando la presenza di un restauratore con esperienza quinquennale in possesso di specifiche competenze coerenti con l'intervento per il collaudo dei beni relativi alle categorie OG 2, cui si aggiungono per il collaudo dei beni relativi alle categorie OS 2-A e OS 2-B uno storico dell'arte o un archivista o un bibliotecario con specifica esperienza e capacità professionale coerente con l'intervento e per il collaudo dei beni relativi alla categoria OS 25 un archeologo con medesime caratteristiche di professionalità ed esperienza quinquennale, ferma restando la possibilità di coinvolgere un funzionario della stazione appaltante (storico dell'arte, archivista o bibliotecario) che abbia prestato servizio presso l'amministrazione aggiudicatrice per almeno cinque anni (cfr. art. 24).

[42] Occorre ricordare che entro sessanta giorni dal rilascio del certificato di esecuzione dei lavori le soprintendenze, accertata la regolarità delle prestazioni, attestano il buon esito dei lavori utile ai fini del soddisfacimento del requisito di idoneità tecnica previsto dall'art. 7, comma 1, lett. b), dello schema di regolamento (per i lavori eseguiti all'estero si continua ad applicare la disciplina prevista dall'articolo 84 del d.p.r. n. 207/2010, fino all'emanazione delle linee guida dell'Anac previste dall'articolo 83, comma 2, del codice). Le stazioni appaltanti, dopo l'attestazione del buon esito dei lavori, aggiornano, entro i successivi trenta giorni, la banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 213, comma 8, del codice.

[43] In attesa dell'entrata in vigore del decreto l'art. 216, comma 6, del codice rinvia agli artt. 215-238 del d.p.r. n. 207/2010.

[44] Oppure, nel caso di interventi su beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico-artistico o archeologico, un restauratore di beni culturali (art. 102, comma 9, lett. a).

[45] Il consuntivo è corredato dalla documentazione grafica e fotografica dello stato del manufatto prima, durante e dopo l' intervento, dall'esito di tutte le ricerche ed analisi compiute e da un'analisi dei problemi rimasti aperti. I costi per la elaborazione del consuntivo scientifico sono previsti nel quadro economico dell'intervento (cfr. art. 26, comma 1).

[46] Per una ricostruzione dell'istituto si rinvia a P. Carpentieri, La verifica preventiva dell'interesse archeologico, in Trattato sui contratti pubblici, cit., 2008, III, pag. 2369 ss.; L. Malnati, La verifica preventiva dell'interesse archeologico, in Aedon, 2005, 3; A.L. Tarasco, Misure cautelari e preventive (Sub art. 28), in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2011, pag. 302 ss. ed in particolare pag. 306 ss.

[47] Sono fatti salvi gli interventi che non comportano nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate da manufatti esistenti (art. 25, comma 1) e gli interventi nelle aree già riconosciute di interesse archeologico (aree e parchi archeologici ex art. 101, comma 2, lett. d) ed e) del d.lgs. n. 42/2004) o paesaggistico (zone di interesse archeologico tutelate ex lege dall'art. 142, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 42/2004) per le quali restano fermi i poteri cautelari e autorizzatori previsti dall'art. 28, comma 2, del codice dei beni culturali. Sebbene l'ufficio legislativo del ministero, nel parere reso all'(allora) direzione generale antichità del 13 settembre 2010, n. prot. 16719, escluda l'applicazione delle norme dell'archeologia preventiva alle opere private di pubblica utilità (o di pubblico interesse) sempreché gli esecutori non si avvalgano di un finanziamento statale o pubblico per un importo pari o superiore al 50% del valore dell'opera ricadendo così sotto l'applicazione del codice per effetto dell'art. 1, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 (ex art. 32, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 163/2006), continua a registrarsi in giurisprudenza un orientamento favorevole all'estensione delle indagini preventive anche alle opere private di pubblica utilità. In questi termini si segnala Tar Puglia, Lecce, 18 luglio 2009, n. 1890, in giustizia-amministrativa.it, che osserva come "elementi di rilevante interesse archeologico ben potrebbero emergere, altresì, in base all'azionedei privati, ossia in applicazione del principio dell'azione ambientale di cui al menzionato art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006.In tale ipotesi deve allora innestarsi un adeguato livello di approfondimento istruttorio - da parte non solo della soprintendenza statale ma anche di altri soggetti territorialmente interessati, in ottemperanza al principio buon andamento nonché di doverosa e lealecollaborazione interistituzionale - diretto a vagliare preliminarmente la eventuale sussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa di settore per l'applicazione dei relativi meccanismi di tutela (artt. 28 e 13 del codice BAC). E ciò anche al fine…di offrire al privato che intende svolgere l'iniziativaimprenditoriale di avere un quadro di certezze più ampio riguardo alle effettive possibilità legali connesse alla realizzazione dell'intervento" e Tar Calabria, Catanzaro, 23 marzo 2016, n. 549, in giustizia-amministrativa.it. In senso opposto, ex multis: Tar Catania, 16 febbraio 2016, n. 1622; Tar Catanzaro, 23 marzo 2016, n. 549; Tar Molise, 19 dicembre 2012, n. 763, in giustizia-amministrativa.it. Un impegno ad estendere le procedure dell'archeologia preventiva anche alle opere private potrebbe discendere dalla ratifica, avvenuta con legge 29 aprile 2015, n. 57, della "Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico" che all'art. 6, punto II, lett. a), impegna gli Stati aderenti ad aumentare le risorse materiali in favore dell'archeologia preventiva anche nel caso di "importanti lavori privati di sistemazione".

[48] Redatta da istituti archeologici universitari o dai soggetti qualificati inseriti nell'elenco predisposto e tenuto dal Mibact secondo criteri individuati dallo stesso ministero sentita una rappresentanza dei dipartimenti archeologici universitari. Come accennato in premessa in attesa dell'adozione di tale decreto e della compilazione del connesso elenco resta validi i criteri indicati nel d.m. n. 60/2009 e l'elenco redatto sulla base di questi. Quanto ai contenuti la relazione de qua viene redatta sulla base dei dati bibliografici e d'archivio e delle informazioni acquisite "sul campo" attraverso ricerche di superficie, letture geomorfologiche e, nel caso di opere a rete, fotointerpretazioni aeree.

[49] Il passaggio a metodi d'indagine più incisivi presuppone che dall'analisi indiretta siano emersi "elementi archeologicamente significativi" ovvero che sia certa la presenza nell'area indagata di "livelli di frequentazione, di strutture e/o materiali archeologici" (cfr. punto 9.6 della circolare della Direzione generale Archeologia 20 gennaio 2016, n. 1, recante "Disciplina del procedimento di cui all'articolo 28, comma 4, del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ed agli articoli 95 e 96 del Decreto Legislativo 14 aprile 2006, n. 163, per la verifica preventiva dell'interesse archeologico, sia in sede di progetto preliminare che in sede di progetto definitivo ed esecutivo, delle aree prescelte per la localizzazione delle opere pubbliche o di interesse pubblico di cui all'annesso Allegato 1").

[50] Il legislatore ha razionalizzato sul piano procedurale la fase operativa unificando la fase prevista dall'art. 96, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 163/2006 volta ad accertare, in sede di progettazione preliminare, la presenza e la consistenza del deposito archeologico nelle aree oggetto di progettazione con quella descritta dalla successiva lettera b) finalizzata ad accertare, in sede di progettazione definitiva ed esecutiva, la natura e la complessità di tale deposito. Il superamento del parallelismo tra fasi di approfondimento dell'indagine archeologica e livelli di progettazione ridimensiona l'utilità della norma che prevede, nel caso di saggi e scavi archeologici, la possibilità per il RUP di accordarsi con la soprintendenza proprio sulla riduzione dei livelli e dei contenuti della progettazione con particolare riguardo ad elementi già acquisiti agli atti del procedimento (art. 25, comma 10).

[51] Termine raddoppiato per progetti di grande opere infrastrutturali o a rete.

[52] E non più nel termine perentorio di 10 giorni dalla ricezione della documentazione preliminare (cfr. art. 95, comma 4, d.lgs. n. 163/2006).

[53] Nel codice del 2006 la richiesta di integrazione documentale comportava l'interruzione del termine di 90 giorni accordato per l'avvio della verifica preventiva dell'interesse archeologico, mentre la richiesta di approfondimenti istruttori ne comportava la mera sospensione.

[54] Cfr. art. 95, comma 4, d.lgs. n. 163/2006.

[55] Decorso il quale, ai sensi dell'art. 25, comma 6, il soprintendente potrà disporre l'esecuzione di saggi archeologici nei soli casi in cui "nuove informazioni" (nel senso di informazioni diverse da quelle prima disponibili e sopraggiunte dopo la scadenza del termine) ovvero "elementi archeologicamente rilevanti" emersi nel corso dei lavori inducano a ritenere "probabile la sussistenza in sito di reperti archeologici" giustificando così l'avvio del procedimento di verifica o dichiarazione dell'interesse archeologico dell'area.

[56] Come precisa L. Malnati, La verifica preventiva dell'interesse archeologico, cit., "la documentazione raccolta nella fase preliminare "permette di ipotizzare la presenza indiziaria di resti archeologici genericamente riferibili a forme di insediamento, ma, anche laddove i dati siano carenti o del tutto assenti, non autorizza - se non molto raramente - ad escludere a priori un rischio di tipo archeologico" (par. 4.1). Per l'Autore, in altri termini, "nessuna delle indagini previste è realmente risolutiva, e soprattutto consente di ritenere probante l'argumentum ex silentio. In sostanza, se le ricerche d'archivio, bibliografiche, di superficie e le tecniche di fotointerpretazione possono certamente individuare, con buoni margini di sicurezza, aree di interesse archeologico, non possono al contrario provare che le aree per cui mancano informazioni siano prive di resti archeologici".

[57] Così Tar Calabria, Catanzaro, 23 marzo 2016, n. 549, cit.

[58] Cons. St., 1 aprile 2016, n. 855, in giustizia-amministrativa.it.

[59] In misura non superiore al cinquanta per cento rispetto al termine ordinario (cfr. art. 3, comma 1, d.p.r. n. 194/2016).

[60] Ai sensi dell'art. 39, comma 2, lett. n) del d.p.c.m. n. 171/2014, l'accordo viene stipulato su proposta della soprintendenza dalla commissione regionale per il patrimonio culturale.

[61] Per consentire alla direzione generale l'esercizio delle funzioni di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, ove necessario, di avocazione e sostituzione, la circolare della direzione generale archeologia n. 1/2016 prevede per l'appunto che l'accordo debba essere trasmesso a cura del segretario regionale al direttore generale archeologia.

[62] "Se" trattasi di procedimento relativo a opere di rilevante impatto sul territorio ovvero di infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, "se" il progetto infrastrutturale segnalato dalla stazione appaltante sarà selezionato dal Governo ed inserito nei decreti di cui all'art. 2 del d.p.r. n. 194/2016 che "potranno disporre l'applicazione" delle misure di semplificazione procedimentale previste dai successivi artt. 3-4; "se" la riduzione dei termini sarà significativa (art. 3, comma 1, d.p.r.) senza dimenticare in ultimo che la Conferenza Unificata deve ancora pronunciarsi sui criteri per la selezione dei progetti da parte del Presidente del Consiglio.

[63] Ben enunciati nel ricorso per conflitto di attribuzioni depositato dalla Regione Veneto alla Corte Costituzionale il 30 dicembre 2016. Sui diversi profili di legittimità vedasi quanto osservato da N. Paolantonio, L'amministrazione pubblica e la crescita economica: insediamenti produttivi, opere pubbliche e avvio delle attività imprenditoriali, in giustamm.it, 2016.

[64] Quanto all'ampio potere discrezionale riconosciuto all'amministrazione nella tutela del patrimonio archeologico è sufficiente ricordare come, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'imposizione del vincolo archeologico non presupponga che su tutte le aree interessate siano avvenuti ritrovamenti di carattere archeologico o paleontologico, essendo sufficiente che l'amministrazione, sulla base dei dati in suo possesso, pervenga alla ragionevole conclusione che il sottosuolo contenga reperti non ancora portati alla luce (Cons. St., VI, 2 marzo 2015, n. 999; Cons. St., VI, 17 giugno 2009, n. 3962; Cons. St., VI, 16 ottobre 2002, n. 5630, tutte in giustizia-amministrativa.it), essendo sufficiente a supportare tale convincimento anche la sola presenza di fonti bibliografiche e cartolari "certe e attendibili" che ne indichino in dettaglio l'estensione e le originarie destinazioni d'uso (Cons. St., VI, 24 gennaio 2005, n. 106; Cons. St., VI, 21 novembre 2016, n. 4856; in giustizia-amministrativa.it). Solo l'assoluta vaghezza delle fonti e la contestuale assenza di ritrovamenti impediscono di ravvisare l'"inequivocabile e concreto interesse pubblico culturale" richiesto dall'art. 10, comma 3, d.lgs. n. 42/2004, indispensabile a giustificare il sacrificio del diritto di proprietà tutelato dall'art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione E.D.U., così Tar Umbria, 9 gennaio 2017, n. 36, in termini analoghi anche Tar Campania, Salerno, 31 agosto 2016, n. 2046, entrambe in giustizia-amministrativa.it.

[65] Al tema delle sponsorizzazioni culturali Aedon ha riservato spesso attenzione, sia consentito pertanto rinviare ai molti contributi che hanno analizzato il regime giuridico delle sponsorizzazioni tra diritto pubblico e diritto privato pubblicati nei numeri 1/2010, 2/2013 e 1/2014.

[66] Sui problemi applicativi posti dalla procedura prevista dall'art. 199-bis del d.lgs. n. 163/2006 vedasi P. Carpentieri, Sponsorizzazioni e mecenatismo nei beni culturali, in giustamm.it, 28 maggio 2014 e S. Casciu, Il tema delle sponsorizzazioni/erogazioni liberali visto dalla parte delle Soprintendenze: difficoltà, equivoci, burocrazia, mentalità, in Aedon, 2013, 2.

[67] Sotto tale importo non è richiesta alcuna formalità per la selezione dello sponsor a prescindere dalla natura pura o tecnica della sponsorizzazione.

[68] Secondo la prospettiva descritta da G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione del patrimonio culturale: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 1-2.

[69] Nel caso di sponsorizzazione tecnica resta ferma la necessaria verifica del possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dall'art. 80 del codice e dei requisiti di qualificazione dei progettisti e degli esecutori richiesti dalla disciplina speciale dei lavori sui beni culturali così come l'obbligo per la stazione appaltante di impartire le prescrizioni che ritiene opportune in merito alla progettazione e all'esecuzione delle opere o forniture e alla direzione e collaudo dei lavori (art. 19, comma 2).

[70] Avente ad oggetto "Sponsorizzazione di beni culturali - articolo 120 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - articoli 19 e 151 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50".

[71] Circoscrivibile ai soli casi di interventi del tutto incompatibili con la destinazione storico-artistica del bene, con il decoro del bene da tutelare o valorizzazione o suscettibili di recare pregiudizio alla sua conservazione. Se in tali ipotesi il rigetto della proposta non richiede un particolare sforzo motivazionale nel caso in cui sia l'esiguità della somma di denaro o la trascurabilità sul piano economico dell'utilità offerta a giustificare il rigetto della proposta, l'amministrazione dovrà dare atto di aver adeguatamente ponderato gli interessi in gioco arrivando alla conclusione di poter soddisfare le esigenze di tutela e valorizzazione del bene senza ricorrere a risorse private. Un'ingiustificata archiviazione della proposta di sponsorizzazione potrebbe infatti integrare gli estremi di una responsabilità amministrativa per danno erariale dovuto al mancato introito per le casse dell'amministrazione.

[72] Come integrato dalle sezioni delle Linee guida in materia di sponsorizzazione adottate con d.m. 19 dicembre 2012 (cfr. "Norme tecniche e Linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazione di beni culturali, anche in funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi su beni culturali", in Aedon, 2012, 3) compatibili con la modifica codicistica e quindi ancora vigenti.

[73] L'avviso non integra gli estremi di una vera e propria offerta contrattuale, qual è l "offerta al pubblico" ex art. 1336 c.c. destinata a divenire vincolante per l'offerente non appena interviene l'accettazione di uno dei destinatari, né tantomeno costituisce "promessa al pubblico" ex art. 1989 c.c. destinata a vincolare il promittente non appena resa pubblica. Trattasi di un semplice "invito ad offrire" con il quale l'amministrazione si riserva il potere di decidere se stipulare o meno il contratto con l'offerente (come precisa Corte Cass., sez. civ., 19 febbraio 1992, n. 2067, in Mass. giur. it., 1992, per la stipulazione del contratto è necessaria un'ulteriore manifestazione di volontà del promittente).

[74] Come ricorda P. Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), cit., pag. 1025.

[75] Al di là della terminologia utilizzata pare evidente che l'"interlocuzione" tra amministrazione e "aspirante" sponsor intervenuta prima della pubblicazione dell'avvio di sponsorizzazione sia riconducibile ad una vera e propria negoziazione pre-contrattuale finalizzata a predeterminare i contenuti essenziali del contratto prima della scelta dello sponsor.

[76] Ossia il tipo di sponsorizzazione richiesta, il progetto o l'iniziativa sponsorizzata, le modalità di promozione del marchio, nome, immagine, attività o prodotto dell'attività dello sponsor. Ad avviso del Ministero è possibile chiedere allo sponsor una somma maggiore rispetto a quella originariamente offerta ed indicata nell'avviso, fermo restando che lo stesso rimane vincolato solo a quest'ultima (cfr. circolare 2016, pag. 6-7).

[77] Ovvero alcun riscontro ammissibile o accettabile (v. nota 70).

[78] Che ai sensi dell'art. 24, comma 2, lett. ee), d.p.c.m. n. 171/2014, si limita a promuovere progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta fondi, anche attraverso le modalità di finanziamento collettivo.

[79] Ai quali compete la definizione delle strategie e degli obiettivi comuni di valorizzazione in rapporto all'ambito territoriale di competenza (art. 34, comma 1, d.p.c.m. n. 171/2014).

[80] Sulla programmazione delle sponsorizzazioni culturali vedasi G.D. Comporti, Sponsorizzazioni ed erogazioni liberali, in Aedon, 2015, 2.

[81] Con la precisazione che la maggior somma eventualmente ottenuta sarà destinata alla conservazione programmata del bene.

[82] In termini, ad esempio, di minore superficie dei ponteggi allestiti per il restauro del bene occupata da immagini pubblicitarie oppure di minore visibilità sul sito istituzionale dello sponsee o ancora di limitazione dell'utilizzo dello status di sponsor da parte dell'impresa nelle proprie campagne di comunicazione ecc.

[83] Si pensi solo all'impatto che sulla fruizione del bene avrebbe la riduzione della superficie dei ponteggi allestiti per il restauro occupata da immagini pubblicitarie.

[84] La finalità esplicita dal comma 3 dell'art. 151 consente di distinguere questa fattispecie dal PPP ex art. 180 ss. del d.lgs. n. 5/2016 cui sono ascrivibili la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la locazione finanziaria di opere pubbliche, la concessione di servizi ed il contrato di disponibilità.

[85] Come sottolinea P. Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), cit., pag. 1027, elencandone alcune.

[86] Per un'analisi delle più recenti esperienze applicative vedasi S. Gardini, La valorizzazione integrata dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 2, pag. 403 ss.

[87] Sullo stato di attuazione del codice si sofferma il parere del Cons. St., 30 marzo 2017, n. 782, cit. (par. 1).



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