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I beni culturali in tempo di guerra

Il recupero dei beni culturali trafugati tra avventura e diritto (a proposito del libro di Francesca Bottari e Rodolfo Siviero, Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell'arte, Castelvecchi, Roma, 2013)

di Giuseppe Piperata

The Recovery of Stolen Cultural Goods between Adventure and Law (About the Book of Francesca Bottari and Rodolfo Siviero, Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell'arte, Castelvecchi, Roma, 2013)
The biography of Rodolfo Siviero provides an opportunity to address the issue, more than even relevant, of the protection and recovery of cultural heritage in times of war.

Keywords: Cultural Heritage; Armed Conflicts; Protection.

Negli ultimi tempi, è tornato di stretta attualità il tema della condizione di fragilità in cui versa il patrimonio culturale in occasione dei conflitti armati. Paolo Matthiae ha preso ad esempio l'ennesima crisi politica mediorientale per ricordarci che proprio in questi momenti di tensione l'arte è esposta a distruzioni, depredazioni e dispersioni, con danni irreparabili per le comunità di riferimento [1]. Ad arricchire, poi, il dibattito è intervenuta la cronaca, riportando vicende di grande impatto mediatico, come i ritrovamenti, a Monaco di Baviera, a distanza di decenni di oltre 1500 opere d'arte trafugate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. E proprio ai capolavori trafugati dai nazisti anche il cinema ha dato risalto, con il film The monuments men, che narra dell'operato di un gruppo di esperti d'arte incaricati dalle forze alleate, durante e subito dopo la guerra, di trovare e recuperare le opere illecitamente confiscate nei vari territori occupati.

Ma, come ci racconta Francesca Bottari nel bel libro Rodolfo Siviero. Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell'arte, The monuments men non furono i soli ad agire per contenere il saccheggio nazista di opere d'arte e per provare a recuperare quanto, per diretta volontà di Hitler, era stato trafugato in Germania. Anche in Italia Siviero e i suoi "segugi dell'arte rubata" hanno dato vita ad azioni di ricerca e recupero, spesso accompagnate da quegli elementi di intrigo e mistero, che spesso le trasformano in imprese e, di conseguenza, le rendono ideali per un racconto.

2. Il libro di Francesca Bottari è, come si capisce già dal titolo, per prima cosa una biografia. Esso narra la vita avventurosa di Rodolfo Siviero, il quale - tra una missione da agente segreto e diversi incarichi da parte del governo italiano - dall'inizio della seconda guerra mondiale fino alla fine dei suoi giorni (1983), ha operato per la tutela ed il recupero del patrimonio artistico e culturale italiano, raggiungendo risultati tali da giustificare, ancora oggi, l'interesse degli storici, e non solo, verso la sua figura e le sue azioni. E la sua figura non è priva di quei misteri e di quelle storie di contorno che sono in grado di trasformare chi le ha vissute in un personaggio. In un suo recente lavoro sul patrimonio culturale in epoca di conflitti anche Sergio Romano ricorda Siviero come un uomo la cui storia non sempre è stata lineare e cristallina: "sarebbe stato dapprima fascista poi, deluso dal regime, antifascista. Uso il condizionale perché non tutto ciò che sappiamo della vita di Siviero è documentabile. Era bell'uomo, intelligente, polemico, loquace, incline a rappresentare se stesso come coraggioso e intemerato san Giorgio, sempre in lotta contro il drago degli Stati predoni e del collezionismo criminale" [2].

Il racconto della Bottari è per fasi, e si avvale, oltre che del materiale già pubblicato sul nostro, dei diari e delle carte personali che egli ha lasciato, nonché dei preziosi riscontri documentali recuperati nei vari archivi, considerato che "durante tutta la vita Rodolfo ha fatto sparire le tracce di sé, che non fossero le vicende che lui stesso ha voluto narrare" (85).

L'A. liquida in poche pagine l'origine, gli anni della gioventù e della formazione fiorentina di Siviero, per approdare subito a quelli che sono i momenti in cui si delineano i due tratti caratteristici del personaggio: la sua passione per i beni culturali, l'arte e la cultura, della quale sempre sentirà l'irresistibile attrazione, ma nel cui mondo sempre si sentirà non pienamente accettato; il suo particolare modus operandi nel portare avanti quella che considererà una vera e propria missione per tutta la vita, ossia la tutela e la ricerca dei beni culturali rubati al patrimonio nazionale, alternando azioni diplomatiche arricchite dall'eleganza tipica dell'esperto d'arte, alle azioni coperte proprie dell'agente segreto, alle azioni rocambolesche da Serpico dell'arte.

Secondo il racconto di Siviero, la sua attività inizia a Firenze fin dal 1940, quando con un gruppo di amici antifascisti intellettuali avviano un'opera di sabotaggio degli acquisti di opere d'arte, commissionati direttamente da Hitler e Göring, che avvenivano illegalmente in Italia. Ma è dopo l'8 settembre del 1943 che comincia ad emergere con certezza il suo ruolo nel recupero di opere d'arte trafugate, soprattutto perché è successiva a tale data la costituzione di una organizzazione fiorentina del Servizio Informazioni della Difesa (SID), all'interno della quale Siviero, reclutato come funzionario fascista, opererà di nascosto in stretto contatto con i gruppi partigiani. In tale veste di agente segreto, durante le ultime fasi della guerra, a Siviero tocca il compito di seguire e provare a boicottare le attività del Kunstschutz, un reparto della Wehrmacht tedesca, formalmente costituito per la salvaguardia delle opere d'arte italiane dai rischi bellici, ma in realtà struttura militare incaricata dell'individuazione e selezione dei capolavori italiani da trasferire in Germania, dove avrebbero trovato collocazione nel Linz Museum che Hitler pensava di realizzare. Aiuta De Chirico e altri artisti a nascondersi e a nascondere le loro opere; con stratagemmi evita che diverse opere vengano trafugate; segue, con i suoi uomini, molte di quelle che partono, provando a proteggerle e a registrarne gli spostamenti: attività quest'ultima che si rivelerà preziosissima a fine guerra per rintracciare e recuperare i beni trafugati.

Il 1945 è, secondo la Bottari, un anno cruciale, poiché inizia a definirsi l'assetto istituzionale italiano in difesa delle opere d'arte e dei monumenti e, allo stesso tempo, il "doppio destino" di Siviero: "uno luminoso, di uomo fuori dagli schemi con un passato leggendario che gli fa ottenere posti di rilievo nella politica di recupero, e un altro oscuro che lo rende oggetto di diffidenze e di qualche aperta ostilità" (127). In quell'anno viene costituito il c.d. Ufficio recuperi, la cui direzione viene affidata proprio a Siviero. Da quell'ufficio Siviero avvierà una duratura e operativa attività diretta al recupero di opere italiane trafugate dai nazisti e una più elaborata attività diplomatica finalizzata a creare le condizioni necessarie affinché il recupero avvenga con la collaborazione dei vari paesi interessati.

I risultati non tardano ad arrivare. Vengono recuperati importanti beni trafugati: la Danae di Tiziano, l'Apollo di Pompei e altri capolavori provenienti dai musei di Napoli, Firenze e Venezia. Ma soprattutto, sul piano diplomatico, Siviero ottiene la modifica dell'art. 77 del Trattato di Pace, che permetterà all'Italia di poter rivendicare anche le opere trafugate dai tedeschi prima dell'armistizio.

Negli anni a seguire Siviero continuerà in questa sua missione di recupero del patrimonio artistico: i successi saranno molti, ma non mancheranno le amarezze, in parte dovute al fatto che ai suoi meriti alcuni non mancavano di contrapporre certe non felici fasi del suo passato, nel quale era stato "l'agente segreto, la spia, il fascista, il doppiogiochista, il critico mancato, il giornalista frustrato, il poeta fallito" (88).

Fin qui la storia - ricca, avvincente e contraddittoria - di un uomo. Ma il libro della Bottari contiene anche episodi e racconti che portano la riflessione su quei beni ai quali il protagonista del libro ha dedicato la sua vita, ossia l'arte e il patrimonio che essa crea. In fin dei conti, l'esperienza umana di Siviero mette in risalto quanto sia difficile assicurare un adeguato sistema di tutela dell'arte e, in particolare, i pericoli cui il patrimonio culturale è esposto in caso di conflitti armati (e non solo). Sono, innanzitutto, pericoli legati al rischio di distruzione delle opere. A volte, la perdita del bene risulta essere un evento accidentale, un "effetto collaterale" di operazioni che hanno altri obiettivi; ma, altre volte, è proprio il bene culturale ad essere l'oggetto dell'azione di guerra, in quanto testimonianza o elemento di identità del nemico - come dimostra la distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001 ad opera dei talebani. Ci sono, poi, i saccheggi, i trafugamenti, il bottino: in questi casi la guerra diventa la causa e, a volte, il titolo legittimante l'apprensione di un bene culturale ed il suo trasferimento da parte del vincitore. Non mancano nella storia i casi in cui l'animus depredandi viene mascherato da ideali più nobili, come quello di "prendere in custodia" i beni più preziosi del nemico per sottrarli ad un incerto destino. Così Napoleone dirottò sul Louvre, diretto da Dominique - Vivant Denon, le collezioni d'arte rinascimentale che andava spogliando nei vari territori da lui conquistati, e si premurò di superare "eventuali scrupoli morali suscitati da quell'immane saccheggio", affermando che "ricuperare le opere di genio e custodirle nella terra delle Libertà avrà l'effetto di accelerare il progresso della Ragione e dell'umana felicità" [3]. Ma anche molti di quei carichi di opere d'arte italiane disposti dai tedeschi - e monitorati dal gruppo di Siviero nella Firenze occupata - avevano come formale giustificazione quella di allontanare collezioni preziose dai teatri di guerra, per custodirle in luoghi più sicuri.

E' a seguito delle vicende vissute da Siviero, dai Monuments Man e delle altre storie dei beni culturali distrutti o trafugati in occasione di conflitti armati che, subito dopo la seconda guerra mondiale, si è proceduto al rafforzamento, in ambito internazionale, della normativa sulla protezione del patrimonio culturale in tempo di guerra. La Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all'Aja il 14 maggio 1954 e i successivi Protocolli, rappresenta la fonte normativa primaria per assicurare un minimo di tutela a tali beni in epoca di guerra. La Convenzione del 1954 segna una rottura con analoghi trattati del passato, in quanto supera le impostazioni protezionistiche di tipo statalistico e abbraccia un'idea di patrimonio culturale come patrimonio comune dell'umanità [4]. E' proprio grazie a tale cambiamento, se, oggi, l'attacco deliberato al patrimonio culturale è visto come un crimine di guerra. Il nuovo quadro giuridico internazionale proibisce furto, saccheggio e sottrazione di un bene culturale sotto qualsiasi forma posto in essere e arriva ad obbligare il Paese occupante a impedire l'esportazione dei beni culturali dal territorio occupato.

Lo sforzo compiuto dal diritto internazionale per assicurare un minimo sistema di protezione dell'arte dai pericoli che - come la storia insegna - dagli eventi bellici possono derivare è stato notevole. Certo: saremmo troppo ingenui se pensassimo che quanto fatto permetterà in futuro ai beni culturali di godere di una sorta di immunità totale, considerato che in guerra il rispetto, prima che per l'arte, viene meno per le regole.

Ma l'esperienza di Siviero insegna che la protezione del patrimonio artistico passa anche dalla capacità delle amministrazioni e dei suoi funzionari a saper interpretare un importante ruolo che la legge gli affida al riguardo.

Nel racconto della Bottari due visioni e due mondi si contrappongono: da un lato, l'Ufficio recuperi di Siviero, machiavellicamente ancorato solo allo scopo per il quale è stato creato, e come tale abituato a modelli operativi più da polizia segreta, che da struttura burocratica; dall'altro, invece, le amministrazioni pubbliche incaricate della tutela delle cose d'arte nell'ambito di un sistema più tradizionale di intervento pubblico. Ovviamente, Siviero non può che preferire il primo modello. E non lo nasconde. Egli sa che la protezione del patrimonio culturale è per prima cosa "un affare dell'amministrazione". E per lui ciò rappresenta un problema. Siviero, infatti, manifesta la sua insofferenza rispetto alla burocrazia e alle sue logiche, dicendo in maniera spesso rude quello che pensa. Dell'amministrazione lo colpisce "il suo lento giro sulla ruota senza destino" (105). E' comprensibile: ad un uomo d'azione come lui non andava a genio dover passare da carte, atti e procedure per poter conseguire l'obiettivo prefissato. Alla burocrazia preferiva la diplomazia; al procedimento l'iniziativa, a volte personale e in un contesto - diciamo - extra ordinem. Da qui la sua avversione verso tutto ciò che non è azione, rapida e essenziale: "se noi avessimo potuto impiegare le energie che abbiamo sprecato in Italia per recuperare i quadri in Germania, credo che avremmo riportato anche la Porta di Brandeburgo" (213).

Sono parole forti, giustificabili considerando il contesto storico in cui sono state pronunciate, ma a volte eccessivamente dure. Anche perché non mancano i casi nei quali anche gli uffici - diciamo - tradizionali hanno tentato di opporsi a depredamenti di opere d'arte. La Bottari nel suo libro cita un episodio molto interessante. I tedeschi avevano iniziato la loro strategia per prendere i beni culturali che erano di loro interesse a partire dal 1936. Ovviamente, essendo alleati dell'Italia, non potevano farlo con la forza, ma attraverso i canali diplomatici segnalavano di volta in volta le preferenze e i desiderata dei nazisti. L'interesse di Hitler cadde sulla statua del Discobolo di Lancellotti, opera vincolata dal 1909 e, come tale, non esportabile. L'allora Direttore del ministero dell'Educazione nazionale, Giuseppe Bottai, provò in tutti i modi a far valere il vincolo e il divieto, dando parere negativo al trasferimento della statua. Ma dovette, alla fine, arrendersi alle pressioni provenienti dallo stesso Ciano e consentire un'autorizzazione all'espatrio "per ragioni amministrative" (56 s.).

Oggi, l'Ufficio recuperi di Siviero non c'è più. La tutela e il recupero di beni trafugati è affidato ad altri strumenti e ad altri uffici, a partire dal Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Non c'è più una guerra a minacciare il nostro patrimonio culturale e non ci sono più eserciti occupanti famelici di opere d'arte. Tuttavia, il trafugamento di beni culturali è ancora un fenomeno rilevante nel nostro Paese. Saccheggi di siti archeologici, scavi abusivi, furti su commissione alimentano il traffico illegale di beni culturali, i cui numeri e il cui valore in termini economici sono significativi, come dimostrano alcuni recenti studi [5].

Molte delle opere rubate prendono la direzione verso paesi stranieri. In questi casi, diventa importante un'attività precisa di indagine e una successiva azione diplomatica di recupero: attività queste nelle quali Siviero ha dimostrato di essere un vero precursore, dando vita ad una esperienza ancora attuale. Oggi, infatti, come nel dopoguerra, i beni culturali continuano ad essere esposti, in alcuni casi, a seri pericoli di deterioramento, sottrazione o distruzione, confermando così quanto diceva Alexander Langsdorff, ufficiale tedesco responsabile del Kunstschutz di Firenze: "se l'arte in tempi più felici aveva bisogno di mecenati, in tempo di guerra e meno felici ha bisogno di protettori" (87).

 

Note

[1] P. Matthiae, Antichità di guerra a Oriente, in Domenica - Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2012.

[2] S. Romano, L'arte in guerra, Skira, 2013, pag. 63 s.

[3] Cfr. K. Schubert, Museo. Storia di una idea. Dalla Rivoluzione francese ad oggi, Il Saggiatore, 2004, 24.

[4] Cfr. M. Brocca, La protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, in Aedon, 2001, 3.

[5] Cfr. S. Beltrametti, Dati e analisi sul traffico illecito dei beni culturali, in Aedon, 2013, 1, e F. Isman, I predatori dell'arte perduta, Milano, Skira, 2009.

 

 



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