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La valorizzazione del patrimonio culturale: modelli organizzativi e strumenti

Tutela e valorizzazione dei beni culturali nel sistema dei piani di gestione dei siti Unesco

di Giuseppe Garzia

Sommario: 1. Premessa. I caratteri più rilevanti del piano di gestione dei siti Unesco. - 2. Le "guidelines" e il loro recepimento nell'ordinamento interno. - 3. La struttura del piano di gestione e il relativo procedimento di approvazione. - 4. (segue). La natura giuridica e i suoi effetti. 5. Fruizione e valorizzazione dei siti Unesco. - 6. Il piano di gestione e la partecipazione dei soggetti privati.

Protection and Valorization of Cultural Heritage in the Unesco's Management Plans System
The Unesco's management plan is an important institute of protection and valorization of cultural heritage regulated in the "Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention" The purpose of this paper is to investigate its legal regulation at international and national level. In particular it faces two different aspects: the nature and the effects of the instructions of the plan and the possibility to use the Unesco's management plan as a "legal tool" which could be useful to facilitate the partecipation of citizens and associations to the processes of valorization of cultural heritage.

Keywords: Unesco; Plan; Protection; Valorization.

1. Premessa. I caratteri più rilevanti del piano di gestione dei siti Unesco

Il piano di gestione costituisce il principale strumento giuridico previsto nell'ambito del sistema della Convenzione internazionale Unesco del 1972 [1] per la tutela e la valorizzazione dei siti culturali e naturali riconosciuti di "Outstanding Universal Value" [2].

Si tratta di un istituto che presenta aspetti di interesse in diversi ambiti scientifici (scienza economica, giuridica, discipline storiche, scienze naturalistiche etc.).

Sotto il profilo giuridico esso viene in rilievo in primo luogo in quanto è lo strumento per mezzo del quale gli Stati aderenti alla Convenzione Unesco del 1972 assicurano il rispetto ai propri obblighi di carattere internazionale riguardo la protezione del sito di interesse culturale e/o naturale inserito nella World Heritage List.

In tal modo - spostando il ragionamento in termini più generali - il piano di gestione costituisce un esempio paradigmatico di istituto giuridico inquadrabile nell'ambito del c.d. "diritto amministrativo globale" [3] che - com'è noto - si caratterizza per il fatto di prevedere una integrazione (di tipo "verticale" e/o "orizzontale" a seconda dei casi) tra ordinamenti giuridici diversi.

Nel caso in questione in sede di ordinamento internazionale (Unesco) vengono stabiliti gli standard normativi fondamentali di disciplina dell'istituto (attraverso le "Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention" elaborate e periodicamente aggiornate dall'"Intergovernmental Commitee for the protection of the world cultural and natural heritage"), i quali dovranno essere poi recepiti dai vari Stati - secondo una logica "top - down" - attraverso i propri istituti di diritto amministrativo nazionale. In secondo luogo il piano di gestione presenta senza dubbio alcuni caratteri di specificità rispetto ad altre tipologie di piani previsti nel nostro ordinamento.

Come si avrà modo di vedere nel corso della esposizione tra questi almeno due possono essere considerati i più significativi.

Dal punto di vista strutturale il piano di gestione va oltre una visione puramente settoriale degli interessi pubblici (tipica del tradizionale sistema di pianificazione e/o programmazione), cercando - viceversa - di favorirne un loro possibile raccordo in funzione del perseguimento del fine di tutela/valorizzazione del sito proiettato anche in una prospettiva temporale di medio - lungo periodo.

Inoltre, per ciò che attiene ai possibili contenuti, esso rappresenta (o - meglio - può in astratto rappresentare) un "modello" di sistema di partecipazione "attiva" dei cittadini (e più in generale dei soggetti privati) alla conoscenza e alla gestione dei beni "comuni" di interesse culturale e naturale.

2. Le "guidelines" e il loro recepimento nell'ordinamento interno

Anche se non tutti i siti Unesco in Italia si sono già dotati di un piano di gestione [4], esso comunque costituisce un adempimento di carattere obbligatorio sia per i siti già ricompresi nella "World Heritage List" che per quelli - inseriti nella c.d. "Tentative List" - in relazione ai quali si è avviata la procedura di richiesta di riconoscimento [5].

L'istituto - se esaminato nel suo complesso - presenta almeno due caratteristiche di fondo che risultano essere di fondamentale importanza per riuscire a coglierne gli aspetti fondamentali:

1. la disciplina di "base" è essenzialmente costituita da norme aventi natura giuridica di "soft law" (in primo luogo le citate "guidelines");

2. le fonti normative (anche interne) principalmente si preoccupano soprattutto di individuare le finalità piuttosto che i contenuti e i relativi effetti giuridici, che quindi rimangono in buona parte indefiniti.

Sotto questo secondo profilo è quindi del tutto evidente che dovrà essere la concreta esperienza applicativa a dover tentare, in qualche modo, di colmare le "lacune" dell'istituto cercando di individuare le possibili soluzioni [6].

Iniziando proprio dalle "guidelines", la diposizione fondamentale è senza dubbio quella di cui al par. 108, ai sensi del quale "each nominated property should have an appropriate management plan or other documented management system which must specify how the outstanding universal value of a property should be preserved, preferably through participatory means", il cui scopo, indicato nel successivo par. 109, è quello di assicurare la protezione del sito non solo nel presente ma anche per le future generazioni ("the purpose of a management system is to ensure the effective protection of the nominated property for present and future generations").

I possibili contenuti del piano sono indicati in una elencazione - di carattere puramente esemplificativo - nel par. 111:

1. a thorough shared understanding of the property by all stakeholders;

2. a cycle of planning, implementation, monitoring, evaluation and feedback;

3. the monitoring and assessment of the impacts of trends, changes, and proposed interventions;

4. the involvement of partners and stakeholders;

5. the allocations of necessary resources;

6. capacity building and;

7. an accountable, transparent description of how the management system functions.

Anche la "struttura" del piano non risulta essere disciplinata, se si esclude la opportuna possibile previsione delle c.d. "zone cuscinetto" (o "buffer zone") necessarie per collegare il sito tutelato con l'area esterna allo stesso [7].

Si tratta di una disposizione che intende in qualche modo favorire la costituzione di una cornice di protezione al sito e che rende - sotto questo specifico aspetto - il piano di gestione assimilabile al sistema di pianificazione proprio delle aree naturali protette [8].

Le "guidelines" sono state recepite nell'ordinamento interno con l'art. 3 della l. n. 77 del 2006 ("Misure speciali per la tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti della "lista del patrimonio mondiale", posti sotto la tutela dell'Unesco"), il quale - pur avendo l'indubbio merito di avere tentato di fornire una prima disciplina di attuazione dell'istituto - non entra nel dettaglio dei possibili contenuti ma si limita ad una trattazione di carattere molto generale e certamente non esaustiva.

Infatti il suddetto art. 3 è composto solo da tre commi.

Il comma 1 individua le finalità del piano di gestione: "per assicurare la conservazione dei siti italiani Unesco e creare le condizioni per la loro valorizzazione"; il successivo comma 2 descrive, in modo abbastanza sommario, alcuni possibili contenuti: "le priorità di intervento e le relative modalità attuative nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie", "le opportune forme di collegamento con programmi e strumenti normativi che perseguono finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i piani relativi alle aree protette".

Infine il comma 3 definisce un opportuno coordinamento tra il procedimento di approvazione del piano di gestione e gli istituti in tema di valorizzazione dei beni culturali di cui al d.lg. n. 42 del 2004 ("Codice dei beni culturali e del paesaggio"), nel senso che prevede che gli accordi tra i soggetti pubblici istituzionalmente competenti alla predisposizione dei piani di gestione e alla realizzazione dei relativi interventi siano raggiunti con le forme e modalità previste dal suddetto d.lg. n. 42 del 2004 [9].

3. La struttura del piano di gestione e il relativo procedimento di approvazione

Dalla pur sommaria descrizione del quadro normativo vigente emerge che rimangono in buona parte indefiniti alcuni aspetti di un certo rilievo dell'istituto, tra i quali - ad esempio - il procedimento di approvazione, la natura giuridica, gli effetti [10].

Anche l'esperienza dei piani adottati negli ultimi anni - pur essendo ovviamente di fondamentale importanza per riuscire a comprendere alcune dinamiche dell'istituto - a causa della forte diversità di contenuti lascia comunque spazio a dubbi e a incertezze di carattere interpretativo.

Si tratta peraltro di problematiche che possono ritenersi in buona parte inevitabili se si considera che il piano di gestione, riguardando ogni tipo di sito (sia di interesse culturale che naturale), può avere a proprio oggetto anche realtà profondamente diverse tra loro; pertanto è evidente che la normativa non potrà che limitarsi a indicazioni di tipo generale che in seguito dovranno essere applicate e adattate tenendo conto delle specificità del caso concreto.

Non a caso le stesse "guidelines" (par. 110) si preoccupano di precisare che "an effective management system depend on the type, characteristics and needs of the nominated property and its cultural and natural context"; pertanto ogni "management system may vary according to different cultural perspectives, the resources available and other factors".

E' quindi, in un certo qual modo, del tutto logico che il piano di gestione abbia una struttura "elastica" e non predefinita sul piano normativo; anzi, il fatto di non avere un contenuto predefinito può essere considerato un suo punto di forza, nel senso che permette di adottare le soluzioni più idonee in funzione delle caratteristiche specifiche del sito.

Proprio per tale ragione, al fine di definire in modo più dettagliato l'istituto, il ministero per i Beni, le Attività culturali e il turismo (Mibact) - nel gennaio 2005 - ha adottato una sorta di "modello base" di piano, denominato "progetto di definizione di un modello per la realizzazione di piani di gestione dei siti Unesco", da applicare alle possibili diverse realtà esistenti.

Il modello si presenta strutturato in quattro "fasi" principali:

1. analisi propedeutica;

2. analisi conoscitiva delle risorse patrimoniali del territorio e quadro territoriale e socio economico;

3. definizione strategie e sviluppo dei piani d'azione di breve e di medio-lungo periodo;

4. costruzione di un modello di adozione.

Più in dettaglio nell'ambito della fase di cui al precedente punto c) vengono individuati quattro piani d'azione di breve e di medio-lungo periodo: piano della conoscenza, piano della tutela e conservazione, piano di valorizzazione (sia nel senso "culturale" che "economico") e piano della promozione, formazione e comunicazione. Si tratta di strumenti formalmente distinti e autonomi, ma strettamente interdipendenti tra loro [11].

Premessi questi brevi cenni riguardo la struttura del piano di gestione, va osservato che uno degli aspetti di maggiore problematicità dell'istituto è sicuramente quello concernente la competenza all'approvazione e il relativo procedimento.

Sotto questo profilo - infatti - l'unica indicazione ricavabile dal dettato legislativo è quella prevista dal citato art. 3, comma 3, della l. n. 77 del 2006, il quale, peraltro, come si è detto, sia per ciò che attiene al procedimento di approvazione del piano, che alla realizzazione degli interventi in esso previsti, rinvia genericamente al sistema di accordi tra i soggetti pubblici competenti di cui al d.lg. n. 42 del 2004.

In mancanza, quindi, di specifiche indicazioni sul piano normativo non può che farsi riferimento alla prassi dei piani approvati negli ultimi anni, la quale, peraltro, sotto questo specifico aspetto, si presenta nel suo complesso abbastanza eterogenea.

Volendo comunque tentare - anche se in via di larga approssimazione - di individuare uno schema di riferimento di base, può osservarsi come in diversi casi sia stata l'autorità comunale a intraprendere l'iniziativa per la redazione del piano di gestione, nel senso che il comune si è posto come soggetto che ha dato inizio al procedimento di approvazione del piano (o comunque come ente "referente") anche rispetto alla individuazione dei possibili "stakeholders" interessati all'iniziativa (autorità pubbliche e/o soggetti privati a seconda dei diversi casi).

Questi ultimi, in tal modo, hanno potuto fornire il loro apporto collaborativo in ambito procedimentale attraverso varie modalità (ad esempio istituzione di tavoli tematici di lavoro, incontri pubblici, etc.).

Il procedimento si è poi concluso con una intesa finale sottoscritta da tutti i soggetti coinvolti nel progetto [12].

Non mancano - peraltro - alcuni casi di piani di gestione aventi carattere "atipico", come ad esempio quello del sito "Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata", che è stato realizzato sulla base di un accordo tra il ministero e l'Unesco [13] successivamente ad una serie di raccomandazioni formulate nei rapporti ispettivi dell'Unesco stesso (periodo 2010 - 2013).

Un ulteriore aspetto che sembra emergere dalla prassi è quello di considerare una durata media del piano attorno ai 3-5 anni [14]; si tratta di una previsione temporale tutto sommato ragionevole, soprattutto se si considera che il piano di gestione si sostanzia un processo di carattere "ciclico" e quindi presuppone, necessariamente, un suo riesame nel corso degli anni successivi a quello della sua approvazione [15].

4. (segue). La natura giuridica e i suoi effetti

Sulla base delle considerazioni svolte si può ora tentare di impostare qualche considerazione riguardo alla natura giuridica dell'istituto e sui relativi effetti.

In primo luogo va detto che si tratta di uno strumento di "pianificazione" difficilmente inquadrabile all'interno della sistematica tradizionale nell'ambito urbanistico o settoriale [16], nel senso che esso è volto essenzialmente al raccordo tra diversi interessi (territorio, ambiente, turismo, sviluppo economico) in funzione della tutela e della valorizzazione del sito protetto.

Sotto questo profilo il piano di gestione presenta indubbiamente un carattere in buona parte "atipico" [17].

Non si tratta, infatti, di un vero e proprio piano di "settore", ma piuttosto di un sistema di azioni e programmi integrati tra oggetti e soggetti diversi che si aggiunge al sistema di tutela previsto dalla vigente normativa in tema di tutela dei beni culturali, paesaggio, aree naturali protette, etc., e che, in un certo qual modo, si pone a monte di queste ultime favorendone il raccordo e il coordinamento [18].

Questo aspetto - del resto - è anche evidenziato nel citato art. 3, comma 2, della l. n. 77 del 2006, secondo cui il piano di gestione individua "le opportune forme di collegamento con programmi e strumenti normativi che perseguono finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i piani relativi alle aree protette".

In particolare, con specifico riferimento al settore turistico, appare di notevole importanza il coordinamento con il "piano straordinario della mobilità turistica" (introdotto dal recente art. 11 del d.l. 31 maggio 2014, n. 83) in quanto esso ha lo scopo di favorire la "fruibilità del patrimonio culturale con particolare attenzione alle destinazioni minori e al sud Italia".

In altri termini, il piano di gestione è un piano di "principi" e "criteri guida", che, oltre a descrivere le caratteristiche culturali e/o naturali del sito tutelato (fase conoscitiva), è finalizzato - attraverso un processo di carattere "ciclico" [19] - a individuare gli interventi (anche di medio - lungo termine) necessari per una corretta ed efficace gestione del sito sottoposto a tutela.

Si tratta quindi - essenzialmente - di uno strumento "strategico" che ha la funzione di definire gli interventi da realizzare (con le relative priorità) e le azioni esperibili per reperire le risorse (pubbliche e private) a tal fine necessarie.

Quanto detto trova conferma anche nelle indicazioni contenute nel "modello" di piano di gestione elaborato dal MIBACT nel 2005, il quale, dopo aver precisato che il piano - avendo una sua autonomia - non può essere confuso con altri strumenti giuridici quali il programma di sviluppo, le misure o gli interventi strutturali e/o promozione oppure con la pianificazione urbanistica, afferma che esso svolge - in primis - un'opera di "coordinamento di tutte le altre pianificazioni" per:

1. mantenere nel tempo l'integrità dei valori che hanno consentito l'iscrizione nella World Heritage List;

2. coniugare la tutela e la conservazione con lo sviluppo integrato delle risorse d'area dell'economia locale.

Alla luce del complesso di disposizioni citate, quindi, pare pienamente condivisibile l'orientamento della dottrina secondo cui i piani di gestione non hanno la capacità di conformare direttamente i singoli beni posti all'interno dei sito (nel senso di prevedere nuove tipologie di vincoli in aggiunta a quelli esistenti) [20], ma - come si è detto - piuttosto quella di condizionare (o meglio orientare) i diversi sistemi di pianificazione in campo urbanistico, ambientale o turistico riguardanti il sito, i quali - necessariamente - dovranno essere con esso adeguatamente coordinati.

In altre parole, vista la natura "atipica" del piano di gestione e il carattere - essenzialmente di indirizzo - delle sue prescrizioni, si ritiene che possa escludersi la sussistenza si di un rapporto di tipo propriamente gerarchico rispetto al sistema di pianificazione urbanistica (di tipo regionale e locale) e settoriale (piani paesistici, piano del parco, etc.); fermo restando che comunque i diversi strumenti di pianificazione vigenti dovranno essere opportunamente coordinati al piano di gestione attraverso l'adozione delle necessarie disposizioni di carattere attuativo, integrativo o - eventualmente - modificativo.

Il fatto che il piano di gestione non possa prevedere nuovi vincoli di natura conformativa comunque non esclude che lo stesso non possa ipotizzare un programma futuro di revisione/riordino di quelli già esistenti sul sito, da realizzarsi sulla base delle vigenti procedure, al fine di assicurare una migliore e più efficace tutela e valorizzazione del sito stesso.

Anzi tale scelta potrebbe rilevarsi quanto mai utile soprattutto se si considera che il piano di gestione - per la sua intrinseca natura - permette di individuare le misure più idonee alla tutela e valorizzazione del sito anche in una prospettiva di medio lungo periodo. In tal senso esso può quindi svolgere una importante funzione di pianificazione e programmazione dei possibili interventi.

Sotto altro aspetto va rilevato che l'efficacia del suddetto strumento non si limita agli aspetti, per così dire, di diritto interno, in quanto esso si pone anche come il parametro fondamentale per valutare la corretta attuazione degli impegni assunti dallo Stato con riguardo alla gestione del bene inserito nella "World Heritage List".

Infatti, ai sensi dell'art. 4 della Convenzione Unesco, "Each state Party to this Convention recognizes that the duty of ensuring the identification, protection, conservation, presentation and transmission to the future generations of the cultural and natural heritage...belongs primarily to that State".

In altri termini, essendo il piano di gestione lo strumento fondamentale previsto dalla normativa Unesco per tutelare/valorizzare il sito, è evidente che esso costituirà anche il parametro di riferimento per valutare la correttezza (e l'efficacia) delle misure assunte dallo Stato.

Di conseguenza il mancato rispetto delle previsioni e dei programmi del piano potrebbe anche costituire una ipotesi inadempimento dello Stato agli obblighi assunti in sede Unesco [21].

In conclusione, quindi, si tratta di un istituto che presenta - quanto agli effetti - una duplice rilevanza: da un lato - nel diritto interno - esso rileva come strumento di coordinamento del sistema di pianificazione - programmazione degli interventi volti alla tutela/valorizzazione del sito, dall'altro - nel diritto internazionale - come parametro per valutare un possibile inadempimento dello Stato rispetto agli obblighi assunti con l'Unesco.

5. Fruizione e valorizzazione dei siti Unesco

Senza alcun dubbio la "valorizzazione" del sito riconosciuto di "Outstanding Universal Value" costituisce il fine fondamentale (o, comunque, almeno uno dei fini dei fondamentali) che si intende perseguire con il piano di gestione.

Per essere più precisi, come è stato opportunamente evidenziato [22], a differenza dell'impostazione del codice dei beni culturali, nel caso del piano di gestione dei siti Unesco "tutela" e "valorizzazione" si presentano in una posizione "equiordinata" e tra loro coordinata proprio in vista di una corretta gestione del sito.

Quanto affermato, del resto, si evince dallo stesso disposto di cui all'art. 3, comma 1, della l. n. 77 del 2006, ai sensi del quale i piani di gestione sono posti "per assicurare la conservazione dei siti italiani Unesco e per creare le condizioni per la loro valorizzazione".

Proprio nella prospettiva di accrescere la valorizzazione del sito acquistano, quindi, una decisiva importanza tutte quelle azioni volte al miglioramento (sia "qualitativo" che "quantitativo") della conoscenza del sito stesso in tutti i suoi pregi e valori. D'altra parte, come si è visto, le stesse "guidelines" prevedono che tra i contenuti del piano di gestione via sia anche una "approfondita conoscenza condivisa tra tutti i soggetti portatori di un interesse" (art. 111, lett. a).

La conoscenza - com'è logico - costituisce poi la base di partenza, la leva fondamentale, per consentire (e migliorare) la "fruizione" del sito nella prospettiva di una sua piena valorizzazione [23].

Detto in altre parole, l'ampliamento delle "forme" e "modalità" di fruizione - reso possibile grazie anche ai recenti straordinari sviluppi delle moderne tecnologie informatiche [24] - rappresenta, in un certo qual modo, l'anello di congiunzione tra la conoscenza del bene (nella sua storia, pregi e valori) e la sua possibile valorizzazione.

In questa prospettiva la "fruizione" costituisce, quindi, un elemento di fondamentale importanza nell'ottica della valorizzazione dei beni culturali e anche l'art. 6, comma 1, del d.lg. n. 42 del 2004 ne è una testuale e univoca conferma.

Esso - infatti - affermando che "la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del bene culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso..." dimostra di voler considerare la fruizione come il fine (o, almeno, uno dei fini) delle attività di valorizzazione [25].

Il fatto che la fruizione debba essere considerata uno dei fini fondamentali dei processi di valorizzazione del bene culturale non costituisce, peraltro, una conclusione a cui si è giunti solo di recente; infatti - se si rivolge per un attimo lo sguardo al passato - può osservarsi come già Massimo Severo Giannini, negli anni 70, affermasse che il bene culturale è tale non in quanto bene di "appartenenza", ma in quanto bene di "fruizione" [26].

Anche la Corte costituzionale [27] - dopo avere opportunamente distinto tra due diverse "modalità" di valorizzazione (una prima riguardante i caratteri storico - artistici del bene e una seconda volta proprio al fine della sua fruizione) - ha espressamente affermato che la valorizzazione "è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale".

A ben vedere - quindi - i rapporti tra fruizione e valorizzazione - pur tenendo conto della inevitabile complessità del tema - sembrano essere legati non da un rapporto di tipo "unidirezionale" quanto piuttosto da una relazione "circolare" [28], nel senso che la fruizione non costituisce solamente il mezzo necessario per perseguire la valorizzazione del bene culturale ma ne rappresenta, come si è visto, anche il fine principale.

E' pertanto del tutto evidente che le pubbliche amministrazioni, anche nelle ipotesi in cui non gestiscono direttamente del bene culturale, devono comunque favorire la realizzazione delle condizioni necessarie per consentirne la piena fruizione da parte della collettività [29], e tutto ciò vale in particolare proprio per i siti Unesco, il cui valore - in un certo senso - va oltre i confini dello Stato nel quale essi sono ubicati e riguarda l'intera umanità [30].

Non a caso, a questo proposito, con una emblematica e significativa espressione, si è parlato di "cultural property internationalism" [31].

6. Il piano di gestione e la partecipazione dei soggetti privati

In astratto sono numerose le modalità per mezzo delle quali è possibile migliorare le condizioni di conoscenza (e quindi di fruizione) di un sito riconosciuto dall'Unesco; una tra le più importanti è certamente quella di prevedere la presenza momenti di natura "partecipativa" da parte sia dei singoli cittadini che delle realtà del mondo associativo.

Del resto, ragionando in termini più generali, va osservato che l'art. 6, comma 3, del d.lg. n. 42 del 2004, univocamente afferma che "la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale".

L'importanza del momento partecipativo è - inoltre - presente in modo inequivocabile anche in taluni paragrafi delle "guidelines".

Già nel par. 108 si afferma che il processo realizzato con il piano di gestione dovrà essere attuato "through partecipatory means", mentre nel successivo par. 111 - nell'ambito dei possibili contenuti - si prevede la necessità che siano coinvolti "partners and stakeholders".

Inoltre, come si è detto, il valore della partecipazione sia nel momento di approvazione del piano che in quello della realizzazione degli interventi è confermato dall'art. 3, comma 3, della l. n. 77 del 2006 che rinvia al sistema di accordi di cui al d.lg. n. 42 del 2004, nel cui contesto la norma fondamentale di riferimento è senza dubbio costituita dall'art. 111, comma 1 - che, riallacciandosi al già citato art. 6, comma 3 e compiendo una scelta "ideologica" e "culturale" di grande importanza [32], ha stabilito che al perseguimento delle attività di valorizzazione possono "concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati".

In sintesi, sia le disposizioni elaborate in sede Unesco che quelle del nostro ordinamento (in particolare, come si è visto, quelle del codice dei beni culturali) esprimono un chiaro e evidente favor per la possibile partecipazione dei soggetti privati indirizzata al fine di valorizzare il sito.

Con specifico riferimento al piano di gestione dei siti Unesco, la partecipazione - in linea di principio - potrebbe intervenire in tre diversi momenti:

1. nelle attività di studio e conoscenza del sito propedeutiche alla adozione del piano, anche sotto forma di collaborazione volontaria [33];

2. nell'ambito delle diverse fasi del procedimento di approvazione (come è previsto in molti dei piani di gestione approvati negli ultimi anni) [34];

3. nella gestione stessa del sito e nella realizzazione dei diversi interventi una volta che il piano è stato approvato.

In particolare - per ciò che attiene a quest'ultimo aspetto - il piano di gestione potrebbe proprio costituire il contenitore ideale per sperimentare forme "attive" di partecipazione dei cittadini alla gestione dei beni culturali secondo una logica di sussidiarietà "orizzontale" [35], nel senso che esso potrebbe delineare un quadro normativo di massima all'interno del quale collocare le diverse possibili iniziative da incentivare [36].

Anche se nel complesso la maggioranza dei piani di gestione fino ad ora approvati non sembra avere colto in tutte le sue potenzialità tale possibilità (nel senso che non sono molte le disposizioni dedicate alla partecipazione dei cittadini alla gestione del sito), non mancano alcune esperienze di un certo interesse.

Ad esempio - nel caso del piano relativo al sito "La città di Vicenza e le ville del Palladio nel Veneto", si prevedono forme di coinvolgimento di associazioni private nel sistema di gestione delle ville ricomprese all'interno del sito; nello specifico - tra l'altro - le associazioni, utilizzando le ville come propria sede, vengono anche ad assumersi anche i relativi obblighi sul piano della vigilanza e manutenzione [37].

In altri casi il piano di gestione potrebbe cercare di intervenire in quegli spazi cittadini degradati o non opportunamente valorizzati (ad esempio aree di centro storico) proprio per cercare di favorire una loro "rivitalizzazione" partendo dalla conoscenza dei suoi valori storici e culturali. Spesso, infatti, è proprio la situazione di degrado di un'area che impedisce la adeguata conoscenza (e trasmissione) dei valori in essa presenti [38].

Tra l'altro, incentivando la partecipazione dei cittadini si ottiene anche l'ulteriore vantaggio di indirizzare la comunità locale verso il raggiungimento di una maggiore consapevolezza circa il valore "universale" del sito [39].

In altri termini, il piano di gestione potrebbe individuare un quadro astratto di norme che - nel rispetto delle diverse normative di settore (concessioni di beni pubblici, appalti di lavori, etc.) - definisca le modalità di partecipazione dei cittadini di volta in volta applicabili a seconda delle diverse situazioni.

In via del tutto esemplificativa essa potrebbe avvenire sotto forma di proposta di collaborazione all'amministrazione competente, come nel caso in cui si intenda organizzare mostre o eventi culturali di vario tipo [40] oppure realizzare interventi di modesta entità (si pensi ai cd. "microprogetti di arredo urbani o di interesse locale" [41]). In tal senso si potrebbe ulteriormente distinguere la situazione in cui la proposta sia presentata direttamente dai cittadini da quello in cui, viceversa, sia formulata da questi ultimi in risposta ad una sollecitazione dell'amministrazione (che quindi avrebbe una funzione si "incentivo" e di "stimolo" rispetto alle possibili iniziative dei privati) [42].

Viceversa in altre ipotesi - caratterizzate da una maggiore complessità e dalla esistenza di un finanziamento pubblico - si dovrebbero prevedere vere proprie procedure di selezione pubblica per garantire il rispetto del principio di concorrenza. Ciò potrebbe portare anche all'affidamento della gestione dei beni culturali in forma "indiretta" seguendo le regole e le "garanzie" di cui all'art. 115 del d.lg. n. 42 del 2004 [43].

In conclusione, il piano di gestione ha in sé tutte le potenzialità per non essere solo un documento contenente astratti principi e programmi d'azione (nella sostanza un mero strumento di natura politico - programmatica) e divenire - viceversa - un istituto con il quale effettivamente riuscire a sperimentare concrete esperienze di coinvolgimento, nella gestione dei c.d. "beni comuni" [44], dei cittadini e delle realtà sociali in tutte le loro possibili componenti e articolazioni.

 

Note

[1] Convention concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage.

[2] Per un inquadramento di tipo generale sul sistema delle norme Unesco: D.Zacharias, The Unesco Regime for the Protection of World Heritage as Prototype of an Autonomy - Gainging International Institution, in German law review, 2008, n. 11; L. Casini (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, pag. 171 ss. e La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3.

[3] Com'è noto il "diritto amministrativo globale" costituisce una tematica vastissima oggetto di approfondite indagini da parte della recente dottrina sia italiana che straniera. Con specifico riferimento alla prima - per un inquadramento di carattere generale - sono fondamentali gli studi di S. Cassese; in particolare: La crisi dello Stato, Roma - Bari, 2002; Lo spazio giuridico globale, Roma - Bari, 2003; Oltre lo Stato, Roma - Bari, 2006 e Il diritto globale, Torino, 2009. Sempre sul piano generale si veda anche S. Battini, Amministrazioni senza Stato. Profili di diritto amministrativo internazionale, Milano, 2003. Con specifico riferimento al sistema delle norme Unesco, oltre ai contributi già menzionati nella nota precedente si veda anche S. Battini, The procedural side of Legal Globalization: the case of the World Heritage Convention, Jean Monnet Working Paper, 18/10.

[4] Come hanno infatti dimostrato recenti ricerche, solamente circa una metà dei siti Unesco hanno un piano vigente; sul punto si veda F. Badia, Monitoraggio e controllo della gestione dei siti Unesco. Il piano di gestione come opportunità mancata?, in Tafter Journal, 2014, n. 72.

[5] L'obbligatorietà del piano di gestione si è avuta con la dichiarazione di Bucarest del 2002 ("Budapest Declaration on World Heritage") ed è stata successivamente confermata nelle "guidelines" anche per i siti candidati. In particolare nel par. 132, 5, si afferma che "an appropriate management plan or other management system is essential and shall be provided in the nomination"; "a copy of the management plan or documentation of the management system shall be annexed in the nomination"; "a nomination which does not include the above - mentioned documents is considered incomplete...".

[6] Recenti interessanti contributi della dottrina hanno - infatti - avuto ad oggetto proprio l'esame di specifici piani di gestione: A. Cassatella, Tutela e conservazione dei beni culturali nei piani di gestione Unesco: i casi di Vicenza e Verona, in Aedon, 2011, 1; S. Marchetti e M. Orrei, La gestione dei siti Unesco di Villa Adriana e di Villa D'este a Tivoli, in Aedon, 2011, 1.

[7] Par. 104: "a buffer zone is an area surrounding the nominated property which has complementary legal and/or customary restrictions placed on its use and development ti give an added layer of protection to the property". Una "buffer zone" è stata ad esempio prevista nei piani di gestione relativi ai siti "Venezia e la sua Laguna", "Arte rupestre della valle Camonica" e "Centro Storico di Siena".

[8] Sui caratteri del sistema di pianificazione in materia di aree naturali protette, da ultimo, si rinvia a A. Crosetti (a cura di), Trattato di diritto dell'ambiente - vol. III - La tutela della natura e del paesaggio, Milano, 2014.

[9] In particolare l'art. 112, comma 4, del citato d.lg. n. 42 del 2004 prevede che "lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriale definiti, e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. Lo Stato stipula gli accordi per il tramite del Ministero, che opera direttamente ovvero d'intesa con le altre amministrazioni statali eventualmente competenti". Per una analisi della norma in questione si rinvia al commento di L. Zanetti, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2007, pag. 435 ss.

[10] Malgrado le suddette difficoltà, il tema è stato comunque oggetto di interesse da parte della dottrina: C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, cit., pag. 171 ss.; A. Sau, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi. Il caso del governo del territorio, Roma, 2013, pag. 151 ss.; A. Cassatella, Tutela e conservazione dei beni culturali nei Piani di gestione Unesco: i casi di Vicenza e Verona, cit.; A. Bartolini, Beni culturali (dir. amm.), in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, pag. 108 ss.; S. Marchetti - M. Orrei, La gestione dei siti Unesco di Villa Adriana e di Villa D'este a Tivoli, cit.

[11] Per una analisi dei contenuti dei quattro tipi di piani si veda S. Marchetti - M. Orrei, cit.

[12] Ad esempio con riferimento al sito Unesco "Monumenti Paleocristiani di Ravenna", il comune di Ravenna nel 2005 ha adottato il piano di gestione a cui ha fatto seguito un protocollo di intesa di durata triennale (rinnovato nel 2008 e nel 2011) con il quale si è tra l'altro costituito un comitato di coordinamento tra i soggetti promotori (oltre al comune di Ravenna, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna, la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini e l'Archidiocesi di Ravenna e Cervia). Nel caso del sito "Cattedrale di Modena, Torre civica e Piazza Grande" (2012-15) il comune di Modena ha svolto il ruolo di soggetto coordinatore e sono stati coinvolti la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna, la Basilica Metropolitana e la provincia di Modena.

[13] Accordo MIBAC/Unesco riguardante il progetto denominato: "Towards a governance system for coordinating the updating and the implementation of the Management Plan of the Archeological Areas of Pompei, Herculaneum and Torre Annunziata Project".

[14] Ad esempio per il sito "Centro Storico di Siena" viene prevista una durata dal 2011 al 2014; per il sito "Venezia e la sua Laguna" dal 2012 al 2018 e per il sito "Cattedrale di Modena, Torre civica e Piazza Grande" dal 2012 al 2015.

[15] Il par. 112 delle "guidelines" infatti prevede che "an effective management involves a cycle of short, medium and long-term action to protect, conserve and present the nominated property".

[16] Sui caratteri del sistema di pianificazione urbanistica - per una trattazione di taglio generale - si rinvia a P. Stella Richter, Profili funzionali dell'urbanistica, Milano, 1984; V. Cerulli Irelli, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, pag. 86 ss.; più di recente si veda F. Salvia, Manuale di diritto urbanistico, Padova, 2012; S. Civitarese Matteucci, P. Urbani, Diritto urbanistico. Organizzazione e rapporti, Torino, 2013; sui rapporti tra pianificazione urbanistica e pianificazione settoriale (in particolare ambientale), si veda F. Bassi, L. Mazzarolli (a cura di), Pianificazioni territoriali e tutela dell'ambiente, Torino, 2000.

[17] Cfr. A. Cassatella, cit.

[18] Cfr. A. Sau, cit., pag. 151. Sulla funzione di indirizzo e coordinamento amministrativo, per un inquadramento di carattere generale, rimane fondamentale lo studio di V. Bachelet, Coordinamento, in Enc. dir., X, Milano, 1963, pag. 634 ss. In questo contesto risulta inoltre essenziale distinguere (quanto alla natura giuridica e agli effetti) tra gli "atti di coordinamento", quelli di "piano" e le "direttive" amministrative vere e proprie; su tali aspetti si rinvia a G. Sciullo, La direttiva nell'ordinamento amministrativo (profili generali), Milano, 1983, in particolare, pag. 197 ss.

[19] Sul punto si veda la precedente nota n. 15.

[20] In questo senso: A. Cassatella, cit e A. Bartolini, cit., pag. 108.

[21] In questo senso A. Cassatella, cit.

[22] Da C. Vitale, cit., pag. 179.

[23] Sulla complessa tematica della "valorizzazione", definita da L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1, come una vera e propria "chimera", si rinvia ai numerosi contributi della dottrina, tra i quali, in particolare; L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, pag 651 ss.; N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002; D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, 2011.

[24] Si pensi, in particolare, al grande progresso derivante dalla tecnologia 3D che permette la ricomposizione virtuale di un sito nelle diverse epoche storiche e la sua ricostruzione (attraverso le stampanti che per appunto utilizzano la tecnologia 3D) di una copia del tutto identica all'originale.

[25] Cfr. M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e come servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, 2007, 2, che osserva come uno dei pochi elementi certi che emergono dall'art. 6 del codice è proprio il fatto che la fruizione costituisce parte della valorizzazione.

[26] M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 31.

[27] Sentenza 13 gennaio 2004, n. 9, in cortecostituzionale.it.

[28] Com'è noto, sempre nell'ambito dei beni culturali, l'esistenza di un legame di natura "circolare" tra la "tutela" e la "valorizzazione" è stato individuato da S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998, pag. 674, nel senso che la possibile produzione di reddito derivante dalla valorizzazione potrebbe contribuire ad una migliore tutela e ad una fruizione più ampia del bene.

[29] In questo senso L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2004, pag. 481.

[30] Interessante, sul punto, è la ricostruzione di M. Carcione, Dal riconoscimento dei diritti culturali nell'ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, in Aedon, 2013, 2; in particolare nella parte in cui si viene a configurare un diritto individuale a fruire (godere) dei beni culturali per il loro interesse scientifico o educativo, per il loro valore estetico, oppure anche solo per mero diletto.

[31] J.H. Merryman, Cultural Property Internationalism, in International Journal of Cultural Property, 2005, 12, pag. 11: "Cultural Property Internationalism is shorthand for the preposition that everyone has an interest in the preservation and enjoyment of cultural property, wherever it's situated, from whatever cultural or geographic source it derives".

[32] L'espressione è di D. Vaiano, Commento all'art. 6, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, in Le nuove leggi civili commentate, 2005, 5/6, pag. 141.

[33] La collaborazione volontaria da parte di soggetti "privati" alle attività di studio/ricerca propria delle autorità competenti è un fenomeno che si è molto sviluppato negli ultimi tempi, in particolare con riferimento ai beni di interesse naturalistico e ambientale (c.d. "citizens' science").

[34] Sul punto si rinvia al precedente par. 3.

[35] Sul tema della sussidiarietà "orizzontale" - da ultimo - si rinvia alla ampia ricostruzione di D. Donati, Il paradigma sussidiario. Interpretazioni, estensione, garanzie, Bologna, 2013, pag. 265 ss. Più in particolare secondo l'Autore proprio il sistema delineato dal codice dei beni culturali costituisce un modello di sistema sussidiario vero e proprio (di carattere "integrativo" e non "competitivo"). Con specifico riferimento alla sussidiarietà nella "città" si veda C. Iaione, La città come bene comune, in Aedon, 2013, 1.

[36] Uno "stimolo" - in tal senso - potrebbe anche derivare da alcuni regolamenti comunali di recente adottati. In particolare il regolamento adottato dal comune di Bologna nel febbraio 2014 sulla "collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani" ha per l'appunto ad oggetto (art. 1) la disciplina delle forme di collaborazione dei cittadini con l'amministrazione per la cura e rigenerazione dei "beni comuni", definiti (art. 2, comma 1, lett. a) "i beni, materiali, immateriali e digitali che i cittadini e l'amministrazione, anche attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell'art. 116 ultimo comma della Costituzione, per condividere con l'amministrazione la responsabilità della loro cura o rigenerazione al fine di migliorarne la fruizione collettiva".

[37] Su tale aspetto si veda la trattazione di A. Cassatella, cit.

[38] Sul punto sia consentito il rinvio a G. Garzia, La valorizzazione dei beni e degli spazi pubblici di interesse culturale attraverso la diffusione delle moderne tecnologie informatiche: il caso della c.d. "Piazzetta degli Ariani" di Ravenna, in Aedon, 2013, 3.

[39] Il suddetto principio, di estrema importanza anche sul piano simbolico, è espressamente contenuto nel piano di gestione del sito "Cattedrale di Modena, Torre civica e Piazza Grande".

[40] Come avviene nel caso del piano di gestione relativo al sito "City of Verona", analizzato da A. Cassatella, cit.

[41] Su cui si rinvia a C. Iaione, La città come bene comune, cit.

[42] Come è previsto dall'art. 11 del regolamento del comune di Bologna sulla "collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani" (citato alla nota n. 36). Sulla possibilità che l'amministrazione possa svolgere una funzione di "stimolo" dei comportamenti dei cittadini si veda R.H. Thaler, C.R. Sunstain, Nudge: Improving Decision About Health, Wealth, and Happiness, New York, 2008.

[43] Sul punto si rinvia al commento di C. Barbati in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 426 ss., sempre della stessa Autrice si veda il capitolo Le forme di gestione, in Diritto e gestione dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2011, pag. 199 ss.

[44] Quello dei c.d. "beni comuni" - com'è noto - costituisce un tema estremamente complesso e di grande attualità non solo con riferimento agli spazi "urbani" ma anche (e soprattutto) in relazione ai beni ambientali e alle risorse naturali, in particolare a seguito della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 14 febbraio 2011, n. 3665, concernente la disciplina giuridica delle "Valli da pesca della laguna di Venezia" (la sentenza è pubblicata su Giorn. dir. amm., 2011, pag. 1170 ss. con nota di F. Cortese, Dalle valli da pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?). Volendosi limitare ad alcuni richiami di carattere generale sul tema si rinvia a: V. Cerulli Irelli, L. de Lucia, Beni comuni e diritti collettivi. Riflessioni de iure condendo su un dibattito in corso, in giustamm.it; G. Napolitano, I beni pubblici e le "tragedie dell'interesse comune", in atti del convegno "Analisi economica e diritto amministrativo", Milano, 2007, pag. 129 ss.; U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma - Bari, 2011; G. Arena, C. Iaione (a cura di), L'Italia dei beni comuni, Roma, 2012; T. Bonetti, I beni comuni nell'ordinamento giuridico tra "mito" e realtà, in Aedon, 2013, 1; E. Boscolo, Beni pubblici, beni privati e beni comuni, in Riv. giur. urb., 2013, pag. 341 ss. Da ultimo P. Maddalena, Il territorio come bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Roma, 2014.

 

 



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