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La valorizzazione al tempo delle information and communication technologies

La valorizzazione dei beni e degli spazi pubblici di interesse culturale attraverso la diffusione delle moderne tecnologie informatiche: il caso della c.d. "Piazzetta degli Ariani" di Ravenna

di Giuseppe Garzia

Sommario: 1. Introduzione. La "Piazzetta degli Ariani" e le ragioni di una ricerca. - 2. Inquadramento del sito sul piano della disciplina giuridica. - 3. Gli strumenti informatici e la diffusione delle conoscenze nell'ambito dei beni culturali. Il c.d. decreto legge "valore cultura". - 4. (Segue) La diffusione delle conoscenze attraverso gli strumenti informatici come forma di valorizzazione dei beni culturali. - 5. Conclusioni. La partecipazione dei cittadini alla cura dei beni e degli spazi pubblici.

The Valorization of Cultural Heritage and Public Sites through the Diffusion of the Modern Information Technologies. The Case Study of "Piazzetta degli Ariani", Ravenna
This article is part of a "cross-over" research project of the Department of cultural heritage (University of Bologna - Ravenna Campus) and it is about the valorization of cultural heritage and public sites through the diffusion of the most modern information technologies (3D modelling system). In particular the case of "Piazzetta degli Ariani" (UNESCO site), which is located in the center of Ravenna city and suffering chronic problems of physical and social deterioration, was studied. The use of 3D technologies could be seen as a very important "tool" for a higher diffusion of the knowledge of the cultural heritages among the citizens and consequently its own economic, cultural and social valorization.

Keywords: Cultural Heritage; Information Technologies.

1. Introduzione. La "Piazzetta degli Ariani" e le ragioni di una ricerca

La c.d. "Piazzetta degli Ariani" - situata nel centro storico di Ravenna - anche se non molto conosciuta costituisce un importante sito dal punto di vista storico-culturale soprattutto per la presenza di alcuni interessanti edifici risalenti al VI secolo che testimoniano la presenza dei Goti a Ravenna.

In particolare al centro del lato sud della piazzetta è ubicato il Battistero degli Ariani, uno degli otto monumenti paleocristiani di Ravenna inseriti nel 1996 nella lista "Unesco" [1], la cui struttura è in parte incuneata all'interno del cortile del Dipartimento di beni culturali dell'Università di Bologna.

Sempre sulla piazzetta si affaccia la Basilica dello Spirito Santo (anch'essa risalente al VI secolo), la quale è collegata al Battistero da un tratto del c.d. "muro di Drogdone", che oggi è quel che rimane di un esteso complesso che per molti secoli fu utilizzato come monastero.

La piazzetta, pur costituendo un'area di notevole interesse sotto il profilo storico, sino a pochi anni or sono era caratterizzata da un notevole degrado che la rendeva in buona parte sconosciuta sia alla cittadinanza che ai turisti (i quali, nella gran parte dei casi, si limitano a visitare il Battistero). Si tratta - in altri termini - di uno spazio urbano nella sostanza ignorato e - in certe sue parti - in stato di semi abbandono.

Proprio per tale ragione un gruppo interdisciplinare di ricercatori del Dipartimento di beni culturali dell'Università di Bologna ha deciso di intraprendere un percorso di studio della piazzetta non tanto (o meglio non solamente) per rilevarne i suoi pregi e caratteri rilevanti sul piano storico, archeologico e della conoscenza dei materiali dei diversi edifici ivi presenti, ma soprattutto per sperimentare l'utilizzo di tecnologie informatiche (sistema di modellazione 3D) al fine di favorire una più ampia e approfondita conoscenza del sito.

In tal senso si è provveduto alla ricostruzione virtuale della piazzetta nelle diverse epoche storiche [2] e i risultati della ricerca sono stati presentati in un convegno di studi [3] e in una mostra (denominata "ArianInPiazza") tenutasi nella seconda metà del mese di luglio scorso [4].

2. Inquadramento del sito sul piano della disciplina giuridica

Già dal punto di vista dell'analisi giuridica il sito presenta alcuni aspetti di un certo interesse.

In primo luogo - come si è detto - è presente un edificio di proprietà statale: il Battistero degli Ariani, vincolato durante la vigenza della legge 1 giugno 1939, n. 1089 [5] e ricompreso nelle "World Heritage List" dell'Unesco [6].

Trattandosi - per l'appunto - di un sito Unesco, Il comune di Ravenna, nel 2005, ha adottato un piano di gestione (attualmente in fase di revisione) contenente l'individuazione degli interventi di conservazione e le misure di valorizzazione [7]. A tale piano ha fatto seguito un "protocollo di intesa" di durata triennale (firmato nel 2005 e poi rinnovato nel 2008 e nel 2011) con il quale sono stati individuati i soggetti promotori del piano e si è costituito un comitato di coordinamento tra gli stessi [8].

Attorno al Battistero - dai primi anni del secolo scorso - risulta essere stato istituito anche un vincolo di tutela di tipo "indiretto" tuttora in essere [9].

Anche la chiesa dello Spirito Santo, di proprietà dell'Archidiocesi di Ravenna e Cervia, è assoggettata a un vincolo di natura storico-artistica.

Viceversa il muro di "Drogdone" - pur costituendo una fondamentale testimonianza storica della presenza ariana a Ravenna - non risulta soggetto a vincolo; esso, inoltre, è di incerta individuazione anche per ciò che attiene al regime della proprietà essendo posto proprio sul confine con un immobile di proprietà privata.

Tutto ciò premesso va osservato che il principale "strumento" di gestione del sito (avente carattere in qualche modo generale) è quello di natura urbanistica costituito dalle vigenti disposizioni del regolamento edilizio urbanistico (RUE) del comune di Ravenna relative al centro storico [10].

Nello specifico il RUE inserisce la piazzetta degli Ariani all'interno di un due assi "strutturanti": il primo di "interesse turistico-monumentale" e il secondo di "particolare interesse turistico-commerciale della città storica>".

In tal modo lo strumento urbanistico - considerata la posizione "strategica" del sito rispetto ai potenziali percorsi turistici - intende non solamente individuare le consuete norme di tutela conservativa tipiche delle aree di centro storico [11], ma altresì inserire la piazzetta all'interno di una serie di interventi finalizzati all'insediamento di attività ricreative e turistiche al fine di una sua valorizzazione anche sotto il profilo economico.

3. Gli strumenti informatici e la diffusione delle conoscenze nell'ambito dei beni culturali. Il c.d. decreto "valore cultura"

Il progetto di ricerca intrapreso, come si è detto, si basa sull'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche (in particolare di quelle che utilizzano la modellistica 3D) e ha essenzialmente lo scopo di favorire una migliore conoscenza del sito oggetto di studio attraverso l'utilizzo di tecniche comunicazione di tipo sia tradizionale (pannelli informativi) che di carattere multimediale.

Nello specifico la tecnologia 3D permette la ricomposizione virtuale del sito nelle diverse epoche storiche e ciò consente alcuni vantaggi in termini di conoscenza del bene. In particolare viene ricostruita la situazione in cui si trovava il sito nelle diverse epoche storiche, favorendo una sua più precisa percezione in tutti i diversi aspetti (struttura, materiali, usi etc.).

In altri termini, la tecnologia 3D - unita all'utilizzo delle reti informatiche - fa sì che le informazioni prodotte diventino, per così dire, disponibili al "di fuori del tempo e dello spazio" e ciò consente una conoscenza non solo più ampia (nel senso di aumentare il numero dei possibili interessati alla conoscenza del sito) ma anche più approfondita [12].

Le tecnologie informatiche possono quindi contribuire non sono all'ampliamento, ma, più in generale, al miglioramento "qualitativo" delle condizioni di conoscenza del bene culturale, nel senso di consentire la possibilità di accedere ad informazioni che in passato non era possibile avere. Sotto questo profilo esse possono senz'altro costituire anche uno strumento utilizzabile dagli studiosi nel campo dei beni culturali ad integrazione delle metodologie di indagine di carattere tradizionale proprie delle scienze del passato (storia, storia dell'arte, archeologia, etc.) [13].

Tutto ciò appare particolarmente importante soprattutto se si considera che una delle più recenti e interessanti tendenze del mondo contemporaneo è proprio quella dell'aumento e della diversificazione nella domanda di fruizione dei beni culturali, nel senso che accanto alla fruizione di "massa" dei beni più conosciuti (favorita sia dal diffondersi dei sistemi di comunicazione che dall'aumento della mobilità dei flussi turistici derivanti dalla "globalizzazione") [14] emerge anche una domanda più qualificata (proveniente soprattutto dagli studiosi del settore) che necessariamente richiede l'utilizzo di "strumenti" tecnici adeguati [15].

Si tratta - quindi - di un fenomeno molto importante (anche se comunque non privo di rischi) [16] che si è cercato di "stimolare" anche con alcune recenti iniziative sia in ambito internazionale che nazionale.

In primo luogo, nella raccomandazione della Commissione UE del 27 novembre 2011 "sulla digitalizzazione e l'accessibilità in rete dei materiali culturali e sulla conservazione digitale" [17] si precisa che la digitalizzazione rappresenta un mezzo importante per garantire un "accesso" e una "utilizzazione" più ampia dei materiali culturali con possibili riflessi positivi anche dal punto di vista economico e dello sviluppo imprenditoriale [18].

Anche sul piano nazionale alcune normative di recente adottate possono essere opportunamente inquadrate in questo contesto.

In particolare l'art. 2 del d.l. 8 agosto 2013, n. 91 (c.d. decreto "valore cultura") [19] ha indetto l'attuazione di un programma straordinario di assunzione di 500 giovani finalizzato alla

prosecuzione e allo sviluppo delle attività di inventariazione, catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale, anche al fine di incrementare e facilitare l'accesso e la fruizione da parte del pubblico anche attraverso l'utilizzo di appositi portali e dispositivi mobili intelligenti. // Il programma prevede l'implementazione di sistemi integrati di conoscenza attraverso la produzione di risorse digitali, digitalizzazione di immagini e riproduzioni del patrimonio medesimo nelle sue diverse componenti anche tramite accordi con le Regioni, le Università, le istituzioni dell'alta formazione Artistica e musicale (AFAM), gli Istituti culturali e gli altri enti e istituzioni culturali, nonché con fondazioni e associazioni interessate alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ivi comprese associazioni o fondazioni di scopo costituite per contribuire al programma con proprie risorse o con erogazioni liberali da parte di accademie, fondazioni, imprese e privati cittadini.

In sintesi, lo sviluppo della digitalizzazione nel campo dei beni culturali, oltre ad avere effetti importanti sull'incremento della conoscenza del patrimonio, può altresì costituire un fattore non irrilevante sul piano della crescita economica e sociale.

Una seconda importante conseguenza dello sviluppo dell'uso delle tecnologie informatiche applicate ai beni culturali è costituita dal fatto che questi ultimi divengono sempre più "slegati" da una visione di tipo territoriale del bene (come, viceversa, avveniva in passato); in altri termini sembra perdere importanza l'idea del bene in quanto necessariamente collocato in un determinato luogo fisico.

Si pensi, ad esempio, all'idea, proposta da alcune importanti istituzioni culturali internazionali, di creare - attraverso l'utilizzo delle stampanti 3D - delle copie del tutto identiche alle opere e manufatti originali da poter collocare anche in siti diversi rispetto a quello ove è collocato il bene [20].

Si tratta di un fenomeno senz'altro interessante i cui effetti (sia positivi che negativi) non possono essere sottaciuti. Tra l'altro - come è stato opportunamente osservato - la diffusione delle conoscenze relative al patrimonio culturale (e più in generale della cultura) in un contesto - per così dire - "globalizzato", potrebbe favorire la creazione di una identità di carattere sovranazionale tra i diversi popoli che - in termini astratti - potrebbe anche porre le basi per una nuova idea di "cittadinanza" [21].

4. (Segue) La diffusione delle conoscenze attraverso gli strumenti informatici come forma di valorizzazione dei beni culturali

Il miglioramento (quantitativo e qualitativo) delle conoscenze dei beni culturali reso possibile dalle moderne tecnologie informatiche può quindi favorire una più ampia e articolata "fruizione" da parte degli interessati e ciò determina - come logica conseguenza - una complessiva "valorizzazione" degli stessi beni.

La fruizione (resa possibile da una adeguata conoscenza) rappresenta quindi un elemento di fondamentale importanza nell'ottica della valorizzazione dei beni culturali; essa costituisce - per così dire - l'anello di congiunzione tra la conoscenza e la valorizzazione.

La stessa dottrina - del resto - già molti anni prima rispetto all'emanazione del codice dei beni culturali aveva avuto modo di evidenziare la centralità del concetto di fruizione. Non a caso Massimo Severo Giannini, negli anni '70, affermava che il bene culturale è tale non in quanto bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione [22].

Il punto è stato più recentemente ripreso da altri studiosi; in particolare si è sostenuto che il bene culturale è di interesse pubblico proprio in quanto bene di "fruizione" da parte della generalità dei consociati [23]. Di conseguenza le pubbliche amministrazioni, pur non fruendo direttamente del bene, devono comunque realizzare le condizioni per consentirne la fruizione da parte della collettività [24].

Anche la stessa Corte costituzionale [25] - dopo avere distinto tra due diverse "modalità" di valorizzazione (una prima riguardante i caratteri storico-artistici del bene ed una seconda posta al fine della sua fruizione) - in modo inequivocabile ha affermato che la valorizzazione "è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale". Quest'ultima, pur non incidendo sul bene nella sua struttura, può comunque concernere la diffusione della conoscenza dell'opera e il miglioramento delle condizioni di conservazione negli spazi espositivi.

Non è questa la sede per indagare sulle varie implicazioni insite nel concetto di fruizione (peraltro, come è noto, non definito dal codice dei beni culturali) [26], così come sui complessi rapporti e legami sussistenti con quello di valorizzazione [27]; ciò che appare indubbio, stante il chiaro disposto dell'art. 6, comma 1, del codice dei beni culturali [28], è che la fruizione costituisce il fine (o meglio uno dei fini) della valorizzazione [29].

Ne consegue che una corretta applicazione del citato art. 6 (visto proprio nell'ottica della "fruizione") fa sì che non ci si potrà limitare al semplice restauro di un bene culturale ma sarà altresì necessario che ci si attivi affinché - laddove possibile - siano predisposte (o comunque migliorate) le condizioni di accesso e di conoscenza del bene stesso. Sotto questo profilo, le tecnologie informatiche, anche perché utilizzabili oramai a costi pienamente sostenibili e, come si è detto, largamente diffuse tra i cittadini, possono senza dubbio essere di notevole aiuto [30].

A ben vedere, peraltro, i rapporti tra fruizione e valorizzazione possono anche essere visti in una prospettiva rovesciata, nel senso che la fruizione non costituisce solo uno dei fini della valorizzazione ma rappresenta essa stessa un mezzo (anzi, probabilmente, il principale mezzo) per perseguire la valorizzazione del bene culturale.

E' infatti del tutto evidente che migliorando le condizioni di conoscenza del bene culturale in tutte le sue possibili forme (e quindi la sua fruizione) si viene a determinare una complessiva valorizzazione del bene stesso. In altre parole, il miglioramento delle condizioni di conoscenza permette di aumentare la fruizione (sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo) la quale - a sua volta - favorisce la valorizzazione del bene.

Pertanto si tratta probabilmente di due concetti che possono essere inquadrati nell'ambito di un legame di reciproca interdipendenza quanto ai rapporti tra mezzo e fine, nel senso che tra essi sembra potersi individuare non un rapporto di carattere "unidirezionale" ma piuttosto di tipo "circolare" [31].

In altri termini, è indubbio che nell'impianto generale del codice dei beni culturali la "fruizione pubblica del patrimonio culturale" rappresenta un elemento di primaria importanza sia nell'ottica degli interventi di valorizzazione che di quelli di tutela [32]; come è stato opportunamente osservato essa, "lungi dall'essere una sorta di terra di nessuno, di limbo intermedio e non ben definito tra tutela e valorizzazione, costituisce la cerniera che consente la saldatura e il funzionamento del raccordo essenziale tra tutela e valorizzazione" [33].

5. Conclusioni. La partecipazione dei cittadini alla cura dei beni e degli spazi pubblici

Il programma di ricerca intrapreso dal gruppo di studiosi del Dipartimento di beni culturali dell'Università di Bologna e riguardante la c.d. "Piazzetta degli Ariani" ha essenzialmente due obiettivi: un primo di breve termine e un secondo di più lunga prospettiva.

Il primo - come si è detto - è quello di fare conoscere (anche grazie alle nuove metodologie informatiche) ai cittadini e ai turisti uno spazio urbano di una certa importanza sul piano della testimonianza storica. Il secondo - di più lungo periodo - è quello di favorire una riqualificazione della piazzetta dal punto di vista edilizio-urbanistico in grado di valorizzare anche (ma non solo) i valori storico-artistici e culturali ivi presenti.

Infatti è evidente che il "recupero" di carattere edilizio-urbanistico avrebbe anche l'effetto di favorire uno sviluppo sociale ed economico del sito (come tra l'altro è prefigurato anche dagli strumenti urbanistici locali vigenti), tornando - per così dire - a far "vivere" la piazzetta [34].

Tutto ciò appare ancora più importante se si pensa che la stessa è ubicata all'interno di un centro storico di quella che può ben essere definita una "città d'arte" [35], con tutto quello che deriva anche dal punto di vista della trasmissione dei valori propri dei luoghi storici alle nuove generazioni [36].

In altre parole, come ha avuto modo di evidenziare la stessa Corte costituzionale [37], il centro storico "rappresenta l'immagine della città" e quindi - in un certo senso - esprime anche "l'essenziale della nostra storia civile e artistica e della nostra cultura" che deve essere necessariamente preservata nel tempo.

E' quindi del tutto evidente che il recupero di uno spazio di interesse culturale di un centro storico presenta significati e valori che vanno oltre l'aspetto meramente architettonico o edilizio-urbanistico, nel senso che coinvolge necessariamente anche profili di natura culturale e sociale.

Ciò premesso, va comunque considerato che in una fase storica come quella attuale, caratterizzata da una oramai "cronica" carenza di risorse pubbliche nel settore dei beni culturali [38], ogni intervento di riqualificazione di uno spazio urbano senza dubbio presenta notevoli difficoltà di natura economica; proprio per tale ragione appare quindi necessario ipotizzare anche un concorso di risorse provenienti dal settore "privato" che vadano in qualche in qualche modo ad integrare il sistema di finanziamenti del settore pubblico.

Tra l'altro, l'opportunità di un coinvolgimento dei privati nel caso in questione appare particolarmente significativa se si considera che, essendo la piazza uno "spazio" urbano - per così dire - funzionale al benessere e ai bisogni della comunità (in quanto luogo di incontro e sviluppo delle relazioni sociali e culturali), può ben essere considerata un "bene comune" alla cui cura e valorizzazione possono contribuire sia soggetti pubblici che privati [39].

Non a caso l'art. 111 del codice dei beni culturali, compiendo una scelta "ideologica" e "culturale" di grande importanza [40], ha stabilito che al perseguimento delle attività di valorizzazione possono "concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati" (comma 1) e che "la valorizzazione è ad iniziativa pubblica o privata" (comma 2) [41].

Detto in altre parole, talvolta la mancata valorizzazione di un certo spazio urbano può essere dovuta (anche) al difetto di conoscenza del suo reale valore storico-culturale, nel senso che una situazione di diffusa ignoranza può portare a considerare, in un certo qual modo, come "accettabile" una determinata realtà di degrado [42].

Viceversa lo studio del sito in tutte le sue componenti (partendo ovviamente dall'analisi storica) e - soprattutto - un'adeguata comunicazione del suo reale valore potrebbe anche avere l'ulteriore effetto di stimolare forme "attive" di partecipazione dei cittadini (e più in generale dei soggetti privati anche di natura imprenditoriale) interessati non solo alla fruizione ma anche alla riqualificazione del sito stesso [43].

Partendo dallo studio del luogo si potrebbe quindi cercare di innescare quel processo di sviluppo di tipo "circolare" di cui parla Cassese [44] che potrebbe consentire la riqualificazione complessiva dello spazio (o, per lo meno, la sua rivitalizzazione).

In linea di principio i modi di partecipazione attiva dei cittadini possono astrattamente essere i più diversi: forme di partenariato pubblico-privato, realizzazione dei c.d. microprogetti di arredo urbano o di interesse locale, ecc. [45]; soggetti pubblici (tra i quali può essere ben ricompresa anche l'Università di Bologna, che - come si è detto - è proprietario di un'area adiacente il Battistero degli Ariani) e privati possono collaborare insieme per contribuire a riqualificare e far rivivere uno spazio della città "dimenticato" ma di grande rilievo e valore storico.

Tra l'altro, essendo il Battistero degli Ariani - come si detto - un sito "Unesco", non vi è dubbio che anche il piano di gestione adottato dal comune di Ravenna (come si è detto, in fase di avanzata rielaborazione), potrebbe in qualche modo cercare di prefigurare queste possibili forme di partecipazione "attiva" dei cittadini (provenienti, per così dire, dal "basso"), in modo da delineare un quadro normativo di massima all'interno del quale collocare le diverse possibili iniziative parte sia del settore pubblico che da quello privato [46].

 

Note

[1] Si tratta di otto edifici eretti nel V e VI secolo e che sono stati inseriti nella lista "Unesco" in quanto manifestano una grande abilità artistica, testimonianza di una perfetta unione tra la tradizione greco-romana e l'iconografia cristiana con quella degli stili di Oriente e Occidente.

[2] La ricostruzione virtuale della piazzetta è visionabile sul sito http://patrimonioculturale.unibo.it/arianinpiazza.

[3] Più precisamente il 16 luglio 2013 presso il Dipartimento di beni culturali dell'Università di Bologna (sede di Ravenna).

[4] "Mostra multimediale, installazione, evento per la riqualificazione e la comunicazione del patrimonio culturale" - Piazzetta degli Ariani 16 - 20 luglio 2013.

[5] L'imposizione del vincolo è avvenuta con d.m. 14 luglio 1979.

[6] Sul "sistema" dei siti UNESCO si veda: D. Zacharias, The UNESCO Regime for the Protection of World Heritage as Prototype of an Autonomy-Gainging International Institution, in German Law Journal, 11, 2008, pag. 1833 ss.

[7] Infatti l'art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 77 prevede che per ogni sito italiano UNESCO sia approvato un piano di gestione al fine di assicurarne la conservazione e creare le condizioni per la sua valorizzazione. Il piano definisce le priorità di intervento e le relative modalità attuative, nonché le azioni esperibili per reperire le risorse pubbliche e private necessarie e le opportune forme di collegamento con i programmi o strumenti normativi che perseguono finalità complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i piani relativi alle aree protette. Sugli "incerti" caratteri giuridici del piano di gestione dei siti UNESCO si rinvia a A. Cassatella, Tutela e conservazione dei beni culturali nei piani di gestione Unesco: i casi di Vicenza e Verona, in Aedon, 2011, 1.

[8] Si tratta del Comune di Ravenna, della Direzione Regionali per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna; della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini e dell'Archidiocesi di Ravenna e Cervia.

[9] SBAPRa, AS, b.34/266, Dir. gen. Antichità e belle arti, prot. 3009 del 19.06.15 e allegati (fino al 1918, con difficoltà nella definizione dei limiti dell'area): si istituiva una zona di divieto assoluto di costruzione, e una di divieto relativo entro la quale si vietava la costruzione di fabbriche più elevate di 4m dal piano stradale; cfr. planimetrie in b. 38/286; AD, 2968-9 (arch. R. Strumia), 2973.

[10] Il RUE è stato approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 77035/133 del 28 luglio 2009.

[11] Il tema dei centri storici, com'è noto, presenta di per sé una serie di problematiche derivanti in primis dal difficile coordinamento dei diversi interessi pubblici e privati ivi presenti. Sul punto si rinvia in particolare al Convegno di Studi tenutosi a Ravenna il 10 maggio 1996 e i cui atti sono pubblicati nel volume a cura di G. Caia e G. Ghetti, La tutela dei centri storici. Discipline giuridiche, Torino, Giappichelli, 1997; più di recente si veda C. Videtta; I centri storici al crocevia tra disciplina dei beni culturali, disciplina del paesaggio e urbanistica: profili critici, in Aedon, 2012, 3.

[12] Il punto è opportunamente sottolineato da C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, a cura di L. Casini, Bologna, Il Mulino, 2010, pag. 195. Sull'importanza della fruizione "virtuale" - sempre nell'ambito del medesimo volume - si veda anche A. Serra, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: la fruizione virtuale, ibidem, pag. 223 ss.

[13] L'importanza della "conoscenza" dei beni culturali emerge anche dai documenti adottati nell'ambito della convenzione Unesco. In particolare nella Dichiarazione di Bucarest del 2002 ci si propone, tra gli altri, i seguenti obiettivi: "promote World Heritage through communication, education, research, training and public awareness strategies" e "increase public awareness, involvement and support for World Heritage through communication".

[14] Sul fenomeno della "globalizzazione" nel settore dei beni culturali si veda L. Casini, La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3.

[15] Il punto è opportunamente evidenziato da C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2011, pagg. 14 - 15.

[16] Infatti, come osserva giustamente S. Silverio, Spunti sulle "nuove" modalità fruitive e diffusive del contenuto culturale, in Aedon, 2013, 1, è chiaro che la eccessiva presenza di contenuti culturali in rete potrebbe avere l'effetto di rendere confusa la comunicazione a scapito della effettiva conoscenza dei contenuti (un po' come avviene per la esagerata produzione di atti normativi).

[17] La suddetta raccomandazione può essere inquadrata nell'ambito delineato dalla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 def/2 del 26 agosto 2010: Un'agenda digitale europea.

[18] Infatti testualmente si afferma che "la digitalizzazione e un accesso più ampio alle risorse culturali aprono notevoli possibilità economiche e costituiscono una condizione essenziale per sviluppare ulteriormente le capacità culturali e creative dell'Europa nonché la sua presenza industriale in questo settore".

[19] Convertito - con modificazioni - nella legge 7 ottobre 2013, n. 112.

[20] E' il caso della riproduzione della tomba di Tutankhamon avvenuta con tecnologia laser e 3D ad altissima risoluzione e ubicata in luogo diverso da quello originario al fine di "proteggere" il bene dai rischi derivanti da un eccessivo flusso turistico. Per un accenno alle problematiche di tipo giuridico derivanti dalle riproduzioni con stampanti 3D si rinvia alle interessanti riflessioni di E. Segantini, Stampe tridimensionali per Van Gogh, nasce l'ibrido tra autentico e falso, sul Corriere della Sera del 4 ottobre 2013.

[21] In questo C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, cit., pagg. 171 - 172: "la cultura può contribuire alla creazione della cittadinanza europea, un'identità comune che nasce "dal basso" perché basata su valori condivisi e che si alimenta dalla diversità delle espressioni culturali...". Sui legami tra "globalizzazione" del turismo culturale e cittadinanza si veda R.V. Bianchi, M.L. Stephenson, Deciphering tourism and citizenship in a globalized world, in Tourism Management, 39, 2013, pag. 10 ss.

[22] I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 31.

[23] In questo senso G. Sciullo, I beni, in Diritto e gestione dei beni culturali, cit., pag. 41: il bene culturale è bene pubblico non in ragione della sua appartenenza ma in quanto bene di fruizione, nel senso della necessaria fruibilità da parte della collettività del suo valore culturale.

[24] In questo senso L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2004, pag. 481.

[25] Sentenza 13 gennaio 2004, n. 9, in corte costituzionale.it.

[26] Interessante - sotto questo profilo - è la recente ricostruzione di M. Carcione, Dal riconoscimento dei diritti culturali nell'ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, in Aedon, 2013, 2, soprattutto in relazione alla configurazione di un diritto individuale a fruire (godere) dei beni culturali per il loro interesse scientifico o educativo, per il loro valore estetico, oppure anche "solo" per mero diletto.

[27] Sul concetto di "valorizzazione", tra i numerosi contributi esistenti in dottrina, si veda N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, Giappichelli, 2002; L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, pag. 651 ss; D. Vaiano, Commento all'art. 6, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, in Le nuove leggi civ. comm., 2005, 5-6, pag. 1083 ss; dello stesso Autore, più recentemente, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, Giappichelli, 2011.

[28] Ai sensi del quale "la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale".

[29] In questo senso M. Dugato, Funzione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e come servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, 2007, 2, secondo cui, pur nella complessità del concetto di "valorizzazione" di cui all'art. 6 del codice che rivela una natura eterogenea e composita, l'unico elemento certo è che la fruizione, secondo la lettera dello stesso art. 6, ne costituisce parte. In termini non dissimili P. Carpentieri, Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali, in AvvocatiAmministrativisti.it: "la fruizione del bene culturale costituisce non solo il fine (uno dei fini principali) della tutela e della valorizzazione, ma rappresenta la sintesi tra funzione e servizio pubblico di gestione del bene culturale al fine di conservarlo in condizioni da poter adeguatamente esprimere il suo valore culturale".

[30] Si pensi - ad esempio - alla differenza tra quelle strutture, magari ben tenute, ma prive di adeguati servizi di fruizione, e - viceversa - quei moderni siti opportunamente attrezzati con pannelli multilingua, attrezzature didattiche e installazioni multimediali che consentono al visitatore di accedere a una molteplicità di informazioni.

[31] Il rapporto di "circolarità" all'interno della valorizzazione era stato già intuito da S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998, 7, pag. 674, nel senso che la produzione di reddito derivate dalla valorizzazione dei beni culturali consente maggiori entrate e maggiori entrate possono assicurare una migliore tutela e una fruizione più ampia dei beni culturali.

[32] La quale, ai sensi dell'art. 3, comma 1, consiste "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione".

[33] P. Carpentieri, Fruizione, valorizzazione e gestione dei beni culturali, cit.

[34] Sui diversi e possibili significati del recupero dei centri storici si veda A. Fanizza, Note sull'interesse pubblico nel recupero dei centri storici, in Foro amm. - C.d.s., 2012, pag. 1067 ss, secondo cui l'intervento sui centri storici presenta un profilo materiale; un profilo sociale e da ultimo un profilo economico.

[35] Tra l'altro Ravenna costituisce una delle sei città inserite nella c.d. "short list" candidate al riconoscimento di "Capitale Europea della Cultura" per il 2019. Sulle problematiche relative alla complessa figura giuridica della "città d'arte" si rinvia a A. Serra, Riflessioni in tema di governo delle città d'arte: esigenze, obiettivi e strumenti, in Aedon, 2008, 1.

[36] Sul valore di "testimonianza" dei centri storici insiste anche la giurisprudenza; in particolare in tal senso si veda Cons. giust. amm. reg. sic., 22 marzo 2006, n. 107: la normativa sui centri storici "tende a conservare e tramandare nella loro integrità interi complessi architettonici che - in quanto prodotti irripetibili di un ciclo economico e sociale ormai chiuso - assumono valore di beni culturali a tutti gli effetti".

[37] Sentenza 30 luglio 1992, n. 388, in cortecostituzionale.it.

[38] Che riguarda sia i finanziamenti necessari per il restauro/recupero dei beni che gli aspetti più strettamente di natura organizzativa. Su questo secondo aspetto si rinvia a C. Barbati, La spending review e l'organizzazione del settore culturale, in Aedon, 2012, 3.

[39] In questo senso C. Iaione, La città come bene comune, in Aedon, 2013, 1. Il punto è sottolineato anche da G. Galeazzo, Limiti del pubblico e doveri civici, in Aedon, 2011, 2, ove si osserva che la piazza, in quanto spazio funzionale al benessere della comunità locale e urbana, rientra tra i "beni comuni urbani" alla cui cura devono concorrere sia soggetti pubblici che privati. Anche V. Cerulli Irelli - L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi. Riflessioni de iure condendo su un dibattito in corso, in www.giustamm.it, pur sottolineando il fatto che la definizione di "beni comuni" è sotto diversi profili "inafferrabile", ritengono che essa possa riguardare anche la porzione di spazio fisico in cui le collettività sono insediate e vivono, in particolare il territorio (lo spazio urbano, il paesaggio e l'ambiente). Quello dei "beni comuni" è - com'è noto - un tema di grande complessità che ha suscitato un notevole interesse della dottrina soprattutto negli ultimi anni. Tra le trattazioni di taglio più generale, oltre ai contributi già citati si rinvia a U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, Laterza, 2011; G. Arena, C. Iaione (a cura di), L'Italia dei beni comuni, Roma, Carocci, 2012.; S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, Laterza, 2012.

[40] L'espressioni sono di D. Vaiano, Commento all'art. 111, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 1441. Secondo l'Autore in tal modo viene superata l'idea di riserva della competenza pubblica sugli interventi in grado di migliorare il godimento e la fruizione pubblica dei beni culturali.

[41] Come osserva C. Barbati, Commento all'art. 111, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2007, pag. 234, tale disposizione rende chiaro che la valorizzazione ad iniziativa privata - pur presentando caratteri differenti rispetto a quella pubblica - non può essere più intesa come un compito riservato alla pubblica amministrazione.

[42] Si tratta - in fondo - di un aspetto della nota teoria delle "Broken Windows" (su cui si veda G.L. Kelling - J.Q. Wilson, Broken Windows.The police and the neighborhood safety, in Atlantic Magazine, 3, 1982, pag. 29 ss) secondo cui il degrado finisce per portare ancora più degrado.

[43] In tal senso la comunicazione potrebbe costituire una sorta di azione di carattere "incentivante" di comportamenti attivi virtuosi. Sul tema si rinvia al noto saggio di R.H. Thaler, C.R. Sunstain, Nudge, Improving Decision About Health, Wealth, and Happiness, Pengiun Books, New York, 2008.

[44] Sul punto si veda la precedente nota n. 31.

[45] Sul punto si veda C. Iaione, La città come bene comune, cit.

[46] Come avvenuto recentemente per altri piani di gestione, come ad esempio quello relativo al centro storico di Vicenza; sul punto si veda A. Cassatella, Tutela e valorizzazione dei beni culturali nei piani di gestione Unesco: i piani di Vicenza e Verona, cit.

 



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