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Editoriale

Voci dall'interno - Decentramento amministrativo e patrimonio culturale
(a proposito del saggio di Emanuela Carpani)

di Marco Cammelli

From the inside - Administrative decentralization and cultural heritage (about Emanuela Carpani essay)
As from the current issue, Aedon hosts papers and remarks by Ministry for the Cultural Heritage and Activities officials and executives. "From the inside" is the distinctive of these contributions, thanks which Aedon wants to spotlight daily and concrete experiences of whom works in this field. Information arising from the inside are not easily detectable to scholars, despite Administrations transparency. Acquiring these information, expecially when they come from a glorious Administration, as the Cultural Heritage Ministry is, matters a lot for any analysis scholars want to carry out of it.

Con l'intervento dell'architetto Emanuela Carpani, Una "suprema panacea"? Decentramento amministrativo e patrimonio culturale, la Rivista inaugura un apposito spazio riservato a quanti, tecnici o amministrativi, operano professionalmente all'interno delle amministrazioni pubbliche titolari di funzioni in materia di beni culturali e di paesaggio.

L'abbiamo chiamato "Voci dall'interno", da un lato per indicarne la provenienza e il valore aggiunto in termini di esperienza quotidiana e concreta, e dall'altro per sottolineare lo sforzo della Rivista di bilanciare le opinioni di chi vi scrive, in prevalenza studiosi o giuristi (giudici, avvocati), con l'apporto prezioso e insostituibile di chi vive in diretta, spesso sulla propria "pelle" culturale e professionale, i temi cui dedichiamo la nostra attenzione.

Le ragioni per farlo non hanno bisogno di troppe spiegazioni: ma pur limitandoci ad enunciarle, è giusto richiamarle perché da più d'uno, e su più fronti, in questi anni sono state dimenticate. Intanto, e questo vale per tutta la pubblica amministrazione, la memoria e le esperienze più significative sono conservate da quella che altrove fu definita "documentazione grigia", cioè lo sterminato deposito di dati, saperi, prassi, valutazioni e suggerimenti racchiusi nelle relazioni e nei rapporti stesi dai funzionari amministrativi. Basti ricordare quelli redatti dagli ispettori del lavoro inglesi, a partire dai quali un certo studioso prussiano emigrato a Londra un po' prima della metà dell'800 scrisse un libro destinato ad avere una qualche importanza nei tempi successivi, compreso il nostro...

Purtroppo oggi, malgrado le numerose norme in materia di trasparenza e la straordinaria disponibilità di tecnologie di circolazione e consultazione di dati, questi saperi restano per lo più impigliati all'interno della amministrazione. Ecco allora la particolare importanza di acquisire sui temi più dibattuti anche l'opinione, condivisa o meno nel merito ma sempre preziosa e insostituibile per il terreno da cui nasce e le esperienze considerate, del personale che vi opera.

Se questo vale in generale, è ancor più vero nel caso degli apparati tecnici e in particolare per l'amministrazione delle antichità e delle belle arti che ancor prima della istituzione del Mibac seppe esprimere una delle più solide burocrazie professionali del nostro sistema amministrativo. Che ancor oggi, malgrado le ben note difficoltà, resta nel suo insieme un insostituibile riferimento tecnico-culturale.

Veniamo così all'intervento di Emanuela Carpani, dedicato alle molte e documentate fragilità del decentramento sub-regionale partendo da una esperienza specifica, quella del ruolo e della formazione degli esperti ambientali inseriti nelle commissioni edilizie degli enti locali lombardi.

Non è questa l'occasione per riprendere tematiche cui la Rivista ha dedicato dalla sua nascita, e continuerà a dedicare in futuro, la massima attenzione.

E' utile invece sottolineare gli spunti offerti dall'intervento, specie per la particolare angolazione, l'esperienza personale dell'A., da cui sono motivati. In particolare, va ripreso il punto chiave della problematica esperienza posta in luce, e cioè l'indebolimento del ruolo delle autorizzazioni paesaggistiche dovuto al passaggio da una gestione regionale unitaria alla frammentazione generata dalla sub-delega agli enti locali e alla improvvisazione con cui si è provveduto a "formare" gli esperti ambientali inseriti nelle commissioni edilizie. Perché questo dimostra, ancora una volta, che serve a poco fermarsi alla contrapposizione (spesso ideologica) tra macro modelli di riferimento, "stato" vs. "regioni", "centro" vs. "periferia", "tecnici" vs. "politici", quando il problema è come ci si organizza, come si forma e si attrezza il personale tecnico, come si opera, ecc.

Non sarebbe difficile infatti osservare che cedevolezze "alla politica" si manifestano, eccome, anche al centro. Che la frammentazione delle funzioni tra soggetti istituzionali (in questo caso, gli enti locali) ha talvolta poco da invidiare alla frammentazione delle sedi decentrate del Mibac, tetragone al coordinamento reciproco (tentato dalle direzioni regionali) e spesso discontinue al proprio stesso interno, con il sopravvenire del nuovo titolare, in termini di aree di interesse per nuove iniziative, o di criteri di valutazione e di prassi seguite. Che anche gli apparati più consolidati versano in condizioni di fragilità organizzativa impensabili. E, infine, che senza soluzioni soddisfacenti su questi punti anche il recente ritorno allo Stato di competenze in materia di autorizzazioni paesaggistiche rischia di riprodurre, nella sostanza se non nella forma, buona parte dei problemi che si intendevano risolvere.

Dunque, non è così che possiamo sperare di migliorare le cose.

Se abbandoniamo la logica delle macro generalizzazioni, fondata sulla contrapposizione ontologica tra sistemi, appare subito evidente che il punto è quello di ricostruire principi generali che debbono diventare comuni indipendentemente dai soggetti che in concreto operano in materia.

Prendiamo i profili più critici che l'intervento sottolinea.

La necessaria "densità organizzativa" degli apparati tecnici preposti a funzioni delicate, è un principio fondante dell'intera organizzazione pubblica, ed è esattamente il contenuto di quella "sussidiarietà verticale" solennemente affermata dall'art. 118, comma 1, Cost. nel 2001. Con la conseguenza già per queste ragioni che la legge lombarda del 1997, gravemente deficitaria nella propria sub-delega agli enti locali proprio in termini di adeguatezza (sia per solidità organizzativa che per terzietà degli interessi accuditi), andava rivista. Riportando il rilascio delle autorizzazioni alla regione, in questo caso, o addirittura legittimando il ritorno agli apparati statali, in altri contesti assai più disastrati. Il che ripropone il principio chiave della "differenziazione", necessaria perché assai diverse sono le condizioni di un Paese "troppo lungo" (direbbe Ruffolo). A un principio, cioè, irriducibilmente incompatibile con l'insistita e sterile contrapposizione tra stato e sistemi locali presi in quanto tali, a blocchi indifferenziati.

La formazione del personale, poi, costituisce uno degli esempi classici delle c.d. "piccole virtù" dalla cui omissione nascono però grandi pasticci. E' un tema su cui questa Rivista è intervenuta più volte, dal caso dei restauratori a quello del personale tecnico e amministrativo degli apparati, e sul quale c'è ben poco da aggiungere. C'è solo da mettere in pratica, nella consapevolezza che disfunzioni, autoreferenzialità e la stessa frammentazione tra apparati o tra livelli istituzionali sono affrontabili e possono risolversi molto più in questo modo (nel caso, con occasioni comuni di preparazione e di aggiornamento di base), e dunque appunto con piccole virtù, che con grandi riforme. Che, quando ci sono, rischiano di passare sugli apparati senza lasciar traccia, come nuvole sopra i monti.

Naturalmente oltre i principi, e le questioni di metodo, restano i fatti che emergono nella loro crudezza. Ed è giusto porsi più di una domanda sui dati che l'esperienza propostaci da Emanuela Carpani sottolinea incisivamente.

La sub-delega era già in sé un errore concettuale, e lo si è detto anche in sede di commento al Codice dei beni culturali, per il cortocircuito di interessi innescato. Ma che proprio da questo sia derivato l'incremento quantitativo di autorizzazioni paesaggistiche denunciato, più 30% dal 1996 al 2004, è tutto da verificare. Sopratutto considerando che il decennio 1994-2003 ha visto una enorme espansione in tutta Italia dell'uso del territorio al punto che in alcune province (v. Bologna) la quota dell'edificato è addirittura raddoppiata [1], il che va dunque riferito principalmente all'azione congiunta di mega-trends economico-sociali (non solo italiani) che hanno spostato investimenti e valore aggiunto dalle aree produttive tradizionali alla rendita immobiliare.

Un motivo in più, certo, per esigere un filtro ancora più accurato delle richieste di autorizzazione e per aggravare, di conseguenza, le valutazioni negative derivanti in ordine alla impropria soluzione decentrata adottata in sede locale.

Certo, sullo sfondo emergono anche in questo caso le insistenti e serie difficoltà incontrate dalle regioni, anche quelle cosiddette di punta, a svolgere in modo accettabile le funzioni loro spettanti. E' un tema serio e generale, che non può qui essere affrontato, ma resta il fatto che anche per i più convinti sostenitori dell'ordinamento regionale è ormai tempo di fare bilanci e che questi, per molti aspetti e anche senza rifarsi alle attese palingenetiche che quarant'anni fa ne accompagnarono per molti l'attuazione, sono fortemente problematici sia sul piano tecnico-amministrativo sia (la sub-delega ne è un esempio evidente) su quello più strettamente politico-istituzionale. Ed è preoccupante anzi constatare che a pochi giorni dalle elezioni regionali del marzo 2010, di tutto ciò non sia emersa neppure una parola...

Un rapido accenno al tema del conflitto di ruoli. Proprio per quanto appena osservato, è dunque ovvio ribadire ancora una volta la necessità che parti in commedia nettamente distinte siano assegnate a soggetti altrettanto distinti, o almeno separati. Il che però inviterebbe ad esempio a valutare con più favore, o almeno con meno pregiudiziale contrarietà, l'esperimento avviato dal ministro Bondi con la istituzione di una direzione generale appositamente dedicata alla valorizzazione. E' uno dei temi ben sottolineati dal saggio di Girolamo Sciullo, ed è importante perché la fisiologica dialettica tra differenti funzioni (e interessi pubblici) affidati va protetta non solo, come nel caso della sub-delega, nelle relazioni tra livelli istituzionali ma anche tra apparati distinti all'interno dello stesso macro soggetto di riferimento.

Emanuela Carpani si e ci chiede che cosa l'esperienza insegna.

Direi che insegna tutto quanto fin qui si è detto. E cioè che nelle condizioni attuali non disponiamo né di ritorni centralizzati impraticabili né di veri decentramenti credibili, e che la faticosa ma probabilmente unica via di uscita sta nell'inserire in un sistema irrimediabilmente plurimo principi comuni e irrinunciabili attinenti alla regolazione, ai criteri di efficienza ed efficacia, ai sistemi di finanziamento, al reclutamento e alla formazione del personale, all'autonomia degli apparati tecnici, ai controlli: con il corollario, aggiungerei, che quando vi si contravviene e non si è in regola si cedono i compiti assegnati alle sedi, statali o regionali che siano, più prossime per territorio e materia in grado di farvi correttamente fronte.

Questo condiviso terreno di base è, a mio parere, l'unico su cui può poggiare davvero la cooperazione tra livelli istituzionali e sistemi amministrativi e alcune esperienze di punta, come il recentissimo accordo triangolare Mibac, regioni, Fondazioni di origine bancaria (20 gennaio 2010), aprono più di una semplice prospettiva in questa direzione.

Un sistema misto dunque, né centralizzato né abbandonato all'autogoverno dei sistemi locali, in cui Stato ed enti territoriali abbiano ruoli distinti ma principi, regole e...piccole virtù condivise.

L'esperienza, si direbbe, continua a richiedere proprio questo.

 

Note

[1] Il che significa che il decennio considerato ha consumato tanto territorio quanto tutti i periodi precedenti, a partire dalla preistoria. Cfr l'articolo, e relative tabelle, dedicato alla città diffusa e i dati raccolti in tre regioni italiane dall'osservatorio nazionale sui consumi del suolo, in Il Sole-24 Ore, 4 gennaio 2010, p. 2.

 

 



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