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Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008 / Paesaggio

Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali

di Carlo Marzuoli

Sommario: 1. Introduzione. - 2. La prospettiva segnata dal Codice nel testo previgente: 2.1. Il paesaggio. Il genere e le specie. - 2.2. Il piano paesaggistico. - 2.3. Nota di riepilogo. - 3. Le modifiche. I dati testuali e un possibile filo. - 4. Un quadro da riordinare attraverso l'interpretazione: la strada da tenere ferma.

1. Introduzione

Il paesaggio annoda in un unico intreccio [1] numerose questioni: il rapporto fra politica, cultura e democraticità; conflitti fra interessi pubblici e loro gerarchie di valore, più o meno mobili; contiguità funzionali (paesaggio e ambiente, paesaggio e governo del territorio, con i relativi piani) [2] e separazioni soggettive (stato, regioni, province e città metropolitana, comuni); caratteri della funzione di governo e di amministrazione, con l'emersione di situazioni di conflitto di interessi riferibili non più ai titolari di funzioni pubbliche, ma alle istituzioni come tali.

Nei limiti di queste brevi note, l'attenzione è portata su alcune linee generali volte a individuare la direzione e il senso delle modifiche operate con il decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 [3].

2. La prospettiva segnata dal Codice nel testo previgente

2.1. Il paesaggio. Il genere e le specie

Superata la originaria concezione estetico-culturale, la definizione del paesaggio è divenuta un problema i cui protagonisti sono la politica, lo specialismo tecnico o culturale e la democraticità nella sua proiezione culturale, intesa come cultura diffusa, fatta di un sentire comune in ordine ad aspetti non contingenti [4]. In altri termini, viene ad aggiungersi un'altra cultura, una cultura "inclusiva", fatta in qualche misura da tutti e non solo dagli specialisti. Le conseguenze sono numerose, dal punto di vista giuridico, in ordine all'oggetto stesso, all'assetto delle competenze, alle strutture organizzative e ai procedimenti.

Quanto all'oggetto: se il paesaggio è segno della cultura diffusa delle comunità, ogni territorio ed ogni aspetto possono avere rilevanza; al tempo stesso, se tutto può meritare di essere rilevato dal punto di vista paesaggistico, poiché è difficile immaginare un tutto caratterizzato da una sola misura di omogeneità, avremo un'entità rilevante come genere, il paesaggio, e delle entità ulteriormente caratterizzate come specie, e dunque avremo anche strumenti di disciplina in parte diversi, perché da adeguare talora al genere e talora alle specie [5].

Il Codice quale risultante fino al 2006 esprime un sistema chiaramente ispirato a tale schema, anche se non senza qualche incertezza e qualche passo indietro [6]. Il paesaggio è determinato per effetto della combinazione degli elementi definitori posti nell'art. 131, comma 1, che indica l'entità da considerare, il territorio, tutto il territorio, e da quelli posti nel comma 2, che indica l'aspetto rilevante, concentrato su aspetti identitari: il paesaggio è il territorio secondo suddivisioni delineate in base alla presenza di "valori" consistenti in "manifestazioni identitarie percepibili" [7]. La sua ambientazione alla luce della Convenzione europea del paesaggio, poi ratificata con la legge n. 14/2006, induce a interpretare quel "percepibili" come un rinvio alle popolazioni [8]. Molto incisivamente si è notato che la "parola chiave" è la "percezione" [9]. Il paesaggio, infatti, quale che sia il suo tratto sotto altri profili, è certamente una forma e un momento della storia e della realtà: è una "parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano da fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni" (art. 131, comma 1) e perciò rinvia a processi e a sensibilità individuali e collettive avvolte in un groviglio inestricabile di bisogni (di interessi, dunque di "politica") e di cultura, anche di tipo diffuso. Di qui la previsione, all'interno di un paesaggio definito con "un'ampiezza forse persino eccessiva" [10], di un'apposita specie, il "bene paesaggistico" quale definito da apposite norme, cioè i beni paesaggistici della tradizione, assoggettati alla dichiarazione di notevole interesse pubblico, e i beni direttamente individuati con legge, nonché la previsione dello strumento, il piano paesaggistico, identificativo degli altri oggetti costituenti paesaggio e perciò tutelati, i "beni paesaggistici residuali", coincidenti con la forma paesaggistica della restante parte del territorio considerata e apprezzata sotto il profilo identitario.

2.2. Il piano paesaggistico

Il paesaggio come autonoma dimensione del territorio si coglie anche nelle norme sulla pianificazione [11] sia in termini di contenuti del piano che in termini di poteri concernenti la sua formazione [12]. Si coglie altresì nel rapporto fra pianificazione paesaggistica e pianificazione territoriale e urbanistica.

Pianificazione paesaggistica [13]. Quanto al contenuto, è da segnalare (art. 143): a) considerazione dell'intero territorio (art. 143, comma 1, lett. a; art. 135); b) ripartizione del territorio in ambiti territoriali a ciascuno dei quali è assegnato un determinato valore paesaggistico (comma 1); c) individuazione di immobili o di aree da "sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione" (comma 1, lett. i), immobili ed aree ulteriori sia rispetto ai beni dichiarati o da dichiarare di notevole interesse pubblico in quanto aventi "cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica" o aventi "non comune bellezza" o dotati di un "caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale" o costituenti "bellezze panoramiche considerate come quadri" e i relativi "punti di vista o di belvedere" (art. 136) sia rispetto a quelli direttamente indicati dalla legge (dall'art. 142).

Quanto alla formazione, il ministero individua le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione (art. 145, comma 1). Il piano è atto di competenza regionale (art. 135, comma 1). E' peraltro possibile la redazione in collaborazione con lo Stato (art. 135, comma 1), mediante appositi accordi. Se vi è l'accordo, ma non la successiva approvazione del piano, interviene il potere sostitutivo dello Stato (art. 143). In ogni caso, se non vi è elaborazione congiunta, il piano non può produrre effetti di alleggerimento del regime autorizzatorio [14].

Rapporto con la pianificazione territoriale e urbanistica. L'aspetto di solito richiamato consiste nella primarietà delle misure paesaggistiche e del valore e dell'interesse pubblico paesistico su quello urbanistico territoriale. Ne è puntuale e testuale prova l'art. 145 del Codice, dove è stabilito che i piani paesaggistici "prevedono misure di coordinamento con gli strumenti della pianificazione territoriale e di settore" (comma 2) e in particolare che le "previsioni dei piani paesaggistici" "sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici" (comma 3).

Vi è però un altro capitolo che merita maggiore attenzione di quanto normalmente non avvenga. E' quello per cui la tutela paesaggistica, pur se configurata come valore o interesse pubblico su altri prevalente in quanto "creato" da una certa disciplina di settore (una tutela "parallela"), non si esaurisce però in quella disciplina, come è dimostrato dalla tradizionale ammissione della possibilità di misure di tutela della paesaggio e dell'ambiente sulla base delle norme, dei principi e dei poteri conferiti alle amministrazioni in sede di pianificazione territoriale e di pianificazione urbanistica [15]. Questo dato è niente affatto secondario; sta a significare che il paesaggio, non da ora, è fenomeno costituito da un genere ampio (non solo i beni paesaggistici), composto di specie diverse (i beni paesaggistici e una certa dimensione o aspetto dell'intero territorio), che contribuiscono a costruire un assetto in cui le separatezze dovrebbero tradursi e risolversi in graduazioni di un medesimo valore o interesse o obiettivo. Il riferimento al paesaggio come entità percepita mette in evidenza e conferma questa continuità [16].

2.3. Nota di riepilogo

L'impostazione che emerge è assai netta nella premessa e si dipana in modo complessivamente [17] coerente nelle linee di fondo: il paesaggio è un bene la cui individuazione non è riservata esclusivamente al rapporto fra politica e tecnica; è una dimensione del territorio, sempre presente, seppure con diversità di valore, e si svolge in beni tipizzati e in beni non tipizzati ma rilevanti, che come tali sono individuati a livello decentrato (regionale, il piano paesaggistico); è entità non semplicemente conservativa, ma aperta, volta a coniugare le radici del presente con l'orizzonte intravisto e voluto per il futuro; è valore preminente sulla dimensione "urbanistica" di governo del territorio, si potrebbe dire che rappresenta un livello costitutivo, una sorta di "costituzione" del territorio, ma con esso interagente e dunque assumibile negli strumenti della pianificazione territoriale; nei processi procedurali e sostanziali (i referenti e i parametri per le valutazioni) per l'individuazione del paesaggio è fatto spazio direttamente alle comunità e alle istituzioni che le rappresentano. In una parola, si scopre il valore universale (anche) della dimensione locale [18] e si dà realmente senso e corpo all'art. 9 Cost. che appunto alla Repubblica (costituita da comuni, province e città metropolitane, regioni e stato) intesta la tutela del paesaggio. Si ribadisce che il valore paesaggio non è solo conservazione, o meglio, che l'oggetto di attenzione non può essere l'insieme dei singoli beni paesaggistici, ma deve essere l'intero territorio in una sua forma quale percepita in un certo momento e in funzione di recupero, di riqualificazione e di nuova realizzazione (gli obiettivi di qualità paesaggistica).

Ne derivano: l'inadeguatezza di un modello giuridico costruito in relazione a singole per quanto estese evidenze, che non è in grado né di tutelare il paesaggio, che è cosa più ampia, né, alla fine, un (più limitato ed evidente) insieme di singoli beni paesaggistici; un inevitabile rimescolamento delle separazioni, degli strumenti e delle gerarchie fra gli interessi, che abbandonano poco convincenti fissità (vedi oltre § 4), per manifestare linee necessariamente più elastiche; una visibile responsabilità della società e delle istituzioni: anche il valore paesaggistico non è un'entità predeterminata che possa consentire più o meno automatiche e obbligate applicazioni, ma è un pezzo della realtà, che deve essere governata e che volta a volta mette alla prova la capacità di una comunità e delle sue istituzioni di manifestare ciò che realmente sono. Di qui l'attenzione per gli strumenti del piano, e non più solo per la tecnica dei vincoli su singole entità.

Questo tipo di rappresentazione è condivisa e sviluppata anche a livello regionale. Ad esempio, l'idea che il rapporto fra potere pubblico e territorio investa in primo luogo un aspetto "costituzionale", da dotare in qualche misura di maggior valore, affiora - già da tempo - nella legge regionale toscana n. 5/1995 e si esplicita e si consolida definitivamente nell'attuale legge n. 1/2005: è la prescrizione secondo cui lo "statuto del territorio" è componente essenziale di ogni piano territoriale e di maggior valore (giuridico) [19]. Il paesaggio (con l'ambiente) è a sua volta elemento essenziale dello statuto. Un medesimo pensiero è fondamento e ispirazione di una linea che cerca di superare "alterità" e "integrazione" [20], di relativizzare la separatezza e di inserire in un'unica trama paesaggio e governo del territorio. Si tratta delle disposizioni che conferiscono significativi spazi a province e comuni nell'ambito della pianificazione concernente l'aspetto paesaggistico [21].

Ma si è fatta troppa strada, secondo la Corte, sent. n. 182/2006. Il piano paesaggistico deve "essere unitario, globale e quindi regionale"; ad esso "deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori". Il Codice, all'art. 135, è "tassativo": solo alla regione compete la formazione del piano [22]; invece, la legge regionale fa "scorrere" il piano dal livello regionale ai livelli provinciale e comunale e tende - appunto - al "superamento della separatezza" fra paesaggio e territorio; con ciò entra in conflitto con il sistema quale organizzato dal Codice che "costituisce un livello uniforme", per "l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile" [23].

Tali considerazioni non sono certo prive di solidi argomenti e né isolate, in riferimento alla giurisprudenza della Corte stessa [24]. Al tempo stesso, però, hanno la caratteristica di essere coerenti con una premessa più corrispondente all'immagine tradizionale del paesaggio che non a quella desumibile dal Codice, almeno nella parte in cui il Codice definisce il paesaggio nel contesto di quanto indicato dalla Convenzione europea e ne affida la pianificazione alla regione. Sotto questo profilo, dunque, appare un difetto di non poca rilevanza: come è stato notato, "gli spazi di integrazione/correzione del modello statale, che si potevano fondare sulla competenza propria della regione in materia di pianificazione paesaggistica e sulla necessaria integrazione tra le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica con quella del governo del territorio, sono praticamente annullati" [25].

Peraltro, quel certo modo di pensare il paesaggio di cui si è detto (il paesaggio come "percepito") è un dato dalla Corte stessa condiviso. E' detto giudice a confermare, con poche ma chiare parole, che: il paesaggio "indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo"; "è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale"; "l'oggetto tutelato non è il concetto astratto di 'bellezze naturali', ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico"; la "la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle regioni" [26].

A questo punto, di conseguenza, si riapre un problema di fondo. All'ordine del giorno non sono questioni dovute a regole di convivenza fra il genere (paesaggio) e le specie (del paesaggio) non sempre chiarissime [27] o a difficoltà applicative indotte dall'intersecarsi sempre più profondo di paesaggio e di territorio; torna in discussione la stessa prospettiva generale in cui collocare e affrontare qualsiasi interrogativo.

3. Le modifiche. I dati testuali e un possibile filo

Le modifiche introdotte con il d.lg. 63/2008 cadono nel contesto indicato. Ad esse dovrebbe spettare il compito di ordinare il quadro e di contribuire a sciogliere (nei limiti, ovviamente, in cui può incidere il legislatore ordinario) quei dubbi che sono interni alla stesa giurisprudenza della Corte, che - d'altra parte - può essere ritenuta pienamente coerente solo a patto di privilegiare certi passi anziché altri, come già notato. Vediamo dunque i dati più importanti.

L'oggetto considerato. Il nuovo art. 131 è molto diverso dal precedente. E' assai più ricco di commi (sei a fronte di due) e di parole, ma si caratterizza innanzitutto per una parola che viene meno: percepibili.

La norma si limita a indicare il parametro dell'identità [28]. Naturalmente, ciò non può significare che siano rilevanti identità non percepibili. Dunque, la novità - sul piano testuale - riguarda il soggetto che percepisce, la comunità; la soppressione dell'espressa indicazione della percezione parrebbe essere la soppressione del riferimento alla comunità.

Questa ipotesi interpretativa è intrinsecamente contrastante con un sistema che cominciava a manifestarsi in modo abbastanza chiaro (sul punto).

Prima di tutto si pone un dubbio di costituzionalità. La Convenzione europea rinvia espressamente alla percezione delle comunità [29] e l'attuale art. 117 Cost. prescrive che le leggi interne (nazionali o regionali) debbono rispettare gli obblighi internazionali [30].

Poi, nascono problemi di coerenza, di tenuta e di funzionamento del sistema. Si dovrebbe infatti ammettere che il carattere identitario sia rimesso per intero all'opera dei soli politici o dei soli tecnici (i colti del settore) o di entrambi, e non più anche al sentire consolidato di una popolazione come parametro fondamentale. Peraltro, se dovesse prevalere il protagonista politico, l'entità considerata dalla legge sarebbe in larga misura esposta alle contingenze dei bisogni politici. Se invece dovesse prevalere il fatto di cultura inteso in senso solo specialistico, il paesaggio diverrebbe un fatto puramente tecnico. Ciò non può essere. A parte ogni altra notazione, gli specialismi a cui occorre riferirsi per individuare il paesaggio sono largamente condizionati da tecniche intensamente opinabili e intensamente condizionate da sensibilità individuali, cosicché non possono giustificare alcun monopolio quanto alla definizione del paesaggio.

Peraltro, il tema si complica ancor più. Il testo precedente parla di identità, senza aggiunte; il nuovo art. 131, al comma 2, " tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali".

Questa prescrizione sembra potersi interpretare in più modi, fra cui: a) il paesaggio, dove esprime valori culturali, è rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale e perciò merita tutela; b) oppure: il paesaggio è solo quello che rende materiale e visibile l'identità nazionale, nella sua dimensione culturale. La differenza, dal punto di vista delle implicazioni, non è da poco. Nella prima ipotesi il riferimento di base è il valore culturale che è dalla legge assunto quale elemento di per sé (in quanto culturale) espressivo di identità nazionale e dunque la tutela riguarda ogni aspetto del paesaggio sol che sia manifestazione di un valore culturale. Nella seconda, il riferimento di base è l'identità nazionale, che opera come fattore di distinzione fra valori culturali espressivi e non espressivi dell'identità nazionale e di limitazione della tutela solo ai primi. Inoltre, siccome la tutela appartiene alla potestà legislativa statale esclusiva, una parte del territorio che racchiuda valori culturali non significativi ai fini dell'identità nazionale sarebbe priva di tutela. Più precisamente: poiché la tutela, secondo l'art. 3, comma 1, del Codice consiste nella funzione di "individuare i beni costituenti il patrimonio culturale", si avrebbe un paesaggio "inesistente". Un nuovo problema, di cui non vi era bisogno, che infatti non era posto dal testo precedente.

Aspetti concernenti la pianificazione [31]. Almeno in termini espliciti, il nuovo testo dell'art. 143, comma 1, lett. a), più non parla di considerazione dell'intero territorio, ma di "territorio oggetto di pianificazione". Si precisa che la determinazione delle linee nazionali costituisce "compito di rilievo nazionale" (art. 145); la responsabilità complessiva è affidata allo Stato e alle regioni (art. 135); il piano paesaggistico è elaborato "congiuntamente" con il ministero per quanto riguarda i beni paesaggistici indicati dall'art. 143, comma 1, lett. b), c) e d) (art. 135, comma 1) e può essere elaborato di intesa per gli altri aspetti (art. 143, comma 2). Il potere sostitutivo rimane, ed è espressamente limitato ai beni paesaggistici di cui alle citate lettere b), c) e d) del comma 1 dell'art. 143.

Pur con tutti i problemi lasciati irrisolti, pare intravedersi un filo che delinea un arretramento dell'intero sistema nella direzione di un recupero di centralità da parte della politica e della tecnica e da parte dello Stato, il che del resto appare trasparente nell'inserimento della qualificazione dell'identità come "nazionale". La nozione di paesaggio come genere si stempera e si sottrae al riferimento comunitario, anche se di "paesaggio" e non più di "beni paesaggistici"si parla a proposito della valorizzazione nel nuovo testo dell'art. 6, comma 1; il nuovo piano sembra essere orientato più su una considerazione del paesaggio come entità parziale (rispetto al territorio) che come entità costituente una qualità del territorio, in ogni sua parte; sono rimarcati i beni paesaggistici in una con l'attribuzione di maggiori funzioni allo Stato, e con la espressa indicazione per cui le funzioni di tutela sono esercitate "in modo che sia sempre assicurato un livello di governo unitario e adeguato alle diverse finalità perseguite" (nuovo testo art. 5, comma 6); il ruolo dello Stato nel processo di pianificazione paesaggistico risulta rafforzato (e altri profili sarebbero da ricordare) [32].

La sensazione è che si cerchi di completare un processo di revisione già avviato con le modifiche di cui al d.lg. 157/2006. Ragioni in fatto certo non mancano [33], ma ciò che appare determinante è il peso di una tradizione interpretativa nata alla luce del paesaggio come valore di cultura specialistica e non di cultura diffusa, di un paesaggio come oggetto semplicemente riconosciuto o accertato (idea ampiamente praticata in punto di non indennizzabilità del vincolo paesaggistico, fra l'altro) e non come oggetto percepito e "voluto", di una permanente (permanente oltre il dato di diritto positivo) diffidenza verso la decentralizzazione delle funzioni. Insomma, il nuovo intervento non risolve ma ulteriormente ripropone la domanda intorno a ciò che costituisce il baricentro del sistema: se esso torni ad essere definito come da tradizione, seppure con ritocchi e aggiornamenti, o se continui a corrispondere all'evoluzione normativa interna (di legislazione ordinaria e di legislazione costituzionale: il nuovo Titolo V), e internazionale.

A ben vedere e nel complesso, se è pur vero che il nuovo testo risolve alcuni problemi di rapporto fra Stato e regioni, è difficile che esso accresca il tasso di certezza del sistema e del diritto. Pertanto, è anche da chiedersi se un sistema che rischia di smarrire le sue premesse di fondo possa funzionare.

4. Un quadro da riordinare attraverso l' interpretazione: la strada da tenere ferma

Pur in un contesto di un diritto positivo di segno ancor più variegato, con i materiali complessivamente da utilizzare, giurisprudenza della Corte compresa, e non senza ricordare che compito dei commentatori non è quello di adagiarsi sul fatto compiuto [34], non sembra possibile assumere una premessa diversa da quella (certo più evidente) della versione immediatamente precedente del Codice e ancor più in quella originaria.

Il paesaggio è una qualità dell'intero territorio, una dimensione che sempre e a pieno titolo entra nei conflitti fra interessi pubblici e privati che debbono essere affrontati e risolti dalle istituzioni e dalle comunità. Il collegamento fra la disciplina parallela (il paesaggio) e la disciplina generale (oggi governo del territorio) è destinato a riproporsi continuamente con le implicazioni che ne seguono in punto di distribuzione delle funzioni, degli strumenti (i piani e le discipline di piano), degli apparati coinvolti, delle risorse disponibili, dei procedimenti e delle aperture a fatti di partecipazione. Problemi gravi e seri, che esigono di tenere fermo il timone. L'unico timone, se si soppesano i dati, per quanto corrispondenti ora a sviluppi ora inversioni di marcia [35], è il paesaggio come entità anche percepita. Dunque, le novità sono da costringere entro questa premessa e da rendere coerenti con questo dato e non viceversa, per le ragioni già indicate e per altre che ora si accennano.

Il paesaggio come compito che attrae inevitabilmente la responsabilità delle comunità non significa affatto delineare una prospettiva meno efficace per la sua tutela [36]. Non è scritto da alcuna parte, e non in Costituzione, che lo Stato tutela più e meglio il territorio, dimensione paesaggistica compresa.

A fronte di chi ricorda fatti e vicende lesive del valore paesistico in una con la decentralizzazione di certe funzioni a livello istituzionale di base, cioè a quel livello in cui si colloca - ordinariamente - la funzione permissiva degli interventi concernenti l'uso del territorio (ma non senza ricordare che il consumo e l'alterazione del territorio e del paesaggio si realizzano anche con le grandi infrastrutture), e che perciò presuppone un intrinseco contrasto fra tutela e ingresso della comunità nella definizione del paesaggio, si può osservare che si sovrappongono piani distinti. Una cosa è quella in cui si provvede all'individuazione del valore protetto e si fa riferimento alla comunità quale si manifesta in comportamenti e convincimenti diffusi e in fatti individuali e collettivi di partecipazione; altra cosa è il problema concernente la gestione del valore protetto, che sarà da collocare a un livello e in strutture istituzionali adeguate rispetto a tale specifico compito [37]. Anzi, proprio il paesaggio come dimensione di tutto il territorio, dal momento che è difficile immaginare un valore paesistico realmente apprezzabile entro i confini dell'istituzione comunale, contribuisce a riportare alla ribalta la necessità di dare soluzione in via interpretativa alla circostanza che vi sono interessi di tutela e di gestione del territorio (nella dimensione paesaggistica e non) che oltrepassano l'ambito comunale e che dunque debbono essere comunque sottratti (per la parte corrispondente) alle attribuzioni comunali.

Con questo, ci si inoltra in un ulteriore profilo. Se il paesaggio è forma del territorio non si può sciogliere il valore paesistico nel valore urbanistico, ma ogni tesi che proponga separazioni al posto di continuità è da accantonare. Anche ammesso, in ogni caso, che con il modello della separazione si possano garantire alcune evidenze, il punto è che la Repubblica vuol garantire la qualità del territorio intero, il paesaggio, come misura di eguaglianza per tutti i cittadini e per tutte le persone che con la Repubblica vengono in contatto. Ecco l'autentica connotazione "nazionale": nazionale è il compito di apprestare un sistema che, articolato secondo il valore degli interessi da soddisfare e secondo il principio di autonomia (artt. 5 e 114), sia in grado di assicurare un determinato risultato.

Ancora. Il valore e l'interesse paesistico sono configurati come valori "primari" e "assoluti": (sent. n. 367/2007) [38]. Ma i valori assoluti, cioè sottratti a bilanciamento, sono pochi: quelli indicati in termini di puntuale divieto, come ad esempio l'inammissibilità della morte a titolo di pena (art. 27 Cost. come modificato dalla legge cost. n. 1/2007), e l'intangibilità dei principi fondamentali della Costituzione medesima. Il paesaggio non rientra né fra gli uni né fra gli altri. Se il paesaggio, come pure afferma la stessa Corte cost. n. 367/2007, è "morfologia del territorio", "l'ambiente nel suo aspetto visivo", "non il concetto astratto delle 'bellezze naturali', ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico", e per di più come percepito dalle comunità, è inimmaginabile che esso non rappresenti contiguità e sovrapposizioni con altre dimensioni e interessi e che non delinei una graduata rilevanza da confrontare e correlare ad altri aspetti e interessi. L'assolutezza produrrebbe fatalmente una restrizione del significato di paesaggio e costringerebbe a escludere la rilevanza paesistica di molti aspetti, in conseguenza dell'impossibilità di tutelare ogni profilo. Si potrebbe predicare l'assolutezza per singole evidenze, in ogni caso a livello di legislazione ordinaria e non a livello costituzionale (salvo forse qualche ipotesi che non si può pregiudizialmente escludere, date le possibilità dei processi interpretativi). Sarebbe tuttavia un esito non soddisfacente in fatto e certo non corrispondente al paesaggio di cui parla l'art. 9 Cost. Occorre dunque interpretare con prudenza la giurisprudenza della Corte, per evitare un'insanabile contraddizione, e convertire l'assolutezza in una più accentuata primarietà [39]. Di questo occorre avere profonda consapevolezza, altrimenti non si potrà dare un assetto adeguato all'insieme degli interessi che il territorio esige che siano tutelati [40].

Infine, la tutela del paesaggio non può consistere in un regime solo vincolistico e impediente; la tutela del paesaggio come qualità del territorio impone prescrizioni e azioni positive. Ci vogliono risorse. Proprio perché il compito comprende profili di politicità o di cultura come politica, è a maggior ragione necessario un apparato tecnicamente attrezzato e diffuso in grado di indicare i dati e gli elementi che debbono essere considerati. Il nuovo decreto se ne occupa all'art. 146, ma la disposizione, per quanto importante, ha una portata limitata [41]. Solo un apposito apparato tecnico-burocratico, autonomo (nella misura appropriata e con precisi limiti) dall'autorità politica può essere elemento idoneo ad assicurare che ciascuno (la politica, la tecnica, la cultura diffusa) sia mantenuto nel proprio ruolo. E occorre un apparato complessivo, la cui autonomia operi sia nei confronti dell'autorità politica statale, regionale o altro. Di conseguenza, non può essere la componente tecnica del problema a giustificare misure di un ricorrente accentramento. Di più. Se quanto detto è plausibile, e se si aggiunge che un apparato che rimane in gran parte centralizzato non è adeguato (per definizione) a cogliere quella fascia di evenienze e di situazioni in cui si ha la creazione del valore culturale come fatto individuale e collettivo situato in una parte del territorio, e dunque in questo senso "locale", con l'ulteriore conseguenza che il sistema potrebbe essere efficace soprattutto o solo in funzione conservativa, si dovrebbero avere dubbi evidenti quanto alla rispondenza al principio di imparzialità (che vuole l'acquisizione di tutti gli interessi rilevanti) e al principio di buon andamento sia di per sé (art. 97 Cost.) sia nella specificazione di cui all'art. 118 Cost.

In conclusione, le novità sono tali da imporre di attardarsi su questioni che sembravano superate e a lavorare per mantenere una direzione già in precedenza acquisita. Ciò è un male. Ancor più lo è quando si pensa che le risorse ivi impiegate sono sottratte ad altri impegni, su cui ci si potrebbe più proficuamente misurare per la tutela del territorio, anche nella sua dimensione paesaggistica, che sono, ad esempio: standard paesaggistici di tipo sostanziale sempre più numerosi e significativi; svolte interpretative che diano netta e chiara evidenza agli interessi di area vasta e dunque alla loro necessaria riconduzione a livello sovra comunale e, per intanto, ai piani territoriali di coordinamento provinciale; perequazione istituzionale [42]; utilizzazione, in sede interpretativa, del nesso fra beni culturali e paesaggio non per contenere l'ingresso della dimensione ordinamentale pluralista (art. 114 Cost.) nell'ambito del paesaggio, come normalmente avviene [43], ma - a rovescio - per attrarre in un assetto maggiormente pluralista anche i beni culturali, in modo da completare un'integrazione senza la quale non sembra possibile governare in modo migliore né il territorio né il paesaggio né altro.

 

 

Note

[1] Per una rappresentazione sintetica ed efficace si rinvia a C. Barbati, Il paesaggio come realtà etico-culturale, in Aedon, 2/2007. Per ulteriori indicazioni vedi T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pag. 77 e segg.

[2] Vedi S. Civitarese Matteucci, Governo del territorio e ambiente, in G. Rossi (a cura) Diritto dell'ambiente, Torino, 2008, pag. 199 e segg.; L. Casini, L'equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, 2005; G. Sciullo, Pianificazioni ambientali e pianificazioni territoriali nello Stato delle autonomie, in AA. VV., Pianificazioni territoriali e tutela dell'ambiente, Torino, 2000, pag. 1 e segg. e vedi anche (fra altre) Corte cost. n. 359/1985, Considerato in diritto, §§ 4 e 6.

[3] Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio. Questo intervento segue quello operato con il d.lg. 24 marzo 2006, n. 157. Per indicazioni si vedano G. Severini, Le nuove misure correttive e integrative, in Giorn. dir. amm. 2008, pag. 1 e segg. (ove anche alcuni richiami al processo di formazione del decreto e al testo predisposto dalla Commissione Settis, pagg. 3-4); V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lg. 63/2008, in Giorn. dir. amm. 2008, pag. 12 e segg. Sui beni culturali è intervenuto il d.lg. 62/2008.

[4] Ovvero rivelatrici di "scelte di civiltà di più ampio respiro", Corte cost. n. 359/1985, Considerato in diritto, § 6.

[5] Si vedano le conclusioni e le indicazioni di C. Barbati, Il paesaggio cit., pag. 5. E' il percorso, del resto, imboccato da tempo con il sopravvenire, rispetto a beni tipizzati, del "paesaggio", vedi anche V. Mazzarelli, La disciplina cit., pag. 16. Vedi inoltre, in punto di caratteri e ruolo dei piani territoriali paesistici regionali, Corte cost. n. 378/2000, Considerato in diritto, § 1.

[6] Frutto delle modifiche apportate con il d.lg. 157/2006, vedi M. Immordino, La dimensione "forte" della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon, 1/2008.

[7] "La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili".

[8] Convenzione, art. 1, lett. a: " 'Paesaggio' designa una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni"; lett. c, " 'Obiettivo di qualità paesaggistica': designa la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita".

[9] Vedi S. Civitarese Matteucci, Commento all'art. 131, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, pag. 522. Per ampi riferimenti vedi G.F. Cartei, (a cura), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007.

[10] Vedi S. Civitarese Matteucci, Commento cit., pag. 525.

[11] Cioè sul "piano paesaggistico" che comprende sia i "i piani" - appunto definiti - "paesaggistici" sia i "piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici" (art. 135, comma 1).

[12] Vedi G. Sciullo, Territorio cit., pag. 5 e segg.

[13] Per riferimenti vedi P. Urbani, Commento all'art. 135, in Cammelli (a cura), Il Codice cit., pag. 533 e segg.

[14] Vedi art. 143, comma 5.

[15] Come ricorda G. Sciullo, Territorio cit., pag. 4. e cfr. anche Corte cost. n. 378/2000 cit.

[16] Cosicché la "linea di distinzione" tra paesaggio e governo del territorio, "pure riconosciuta e tracciata, nel passato, dal giudice costituzionale ed anche dal giudice amministrativo, è ancor più sottile, spesso invisibile, ossia è una di quelle linee che evocano non già separazione né contrapposizione di ambiti, ma semmai, reciproca integrazione, a fronte di quello che ... rappresenta un 'inestricabile intreccio di interessi'", C. Barbati, Il paesaggio cit., pag. 4.

[17] "Complessivamente", perché non mancano incongruenze, rispetto alla premessa (se rigorosamente assunta), specie in relazione alla distribuzione delle funzioni e ai rapporti fra pianificazione generale e di settore, dove si non si supera appieno quella "schizofrenia" del legislatore statale denunciata (a proposito dell'art. 57 d.lg. 112/1998) da F. Merloni, L'impossibile equilibrio tra governo del territorio e pianificazioni di tutela di settore, in Regioni 2007, pag. 1194.

[18] Che pare confermato dagli studi raccolti in M. Cammelli (a cura), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, 2007.

[19] Vedi l'art. 5: "gli strumenti della pianificazione territoriale" delineano obiettivi, indirizzi e "azioni progettuali strategiche", "tenendo conto dello statuto del territorio" (comma 2), dove il punto più importante non è nel dovere di tener conto ma nell'imposizione di un processo che deve affrontare preliminarmente e autonomamente l'interrogativo, rispetto agli altri, di quale sia lo statuto del territorio, cioè un processo decisionale suddiviso in almeno due fasi da affrontare ciascuna al suo proprio livello: i fondamenti, i capisaldi, e, poi, i progetti e le azioni. Sulla legge in esame vedi G. Sciullo, Territorio cit., pag. 8 e segg.

[20] Che sono i poli entro cui si dibatte il rapporto fra paesaggio e urbanistica, vedi G. Sciullo, Territorio e paesaggio (a proposito della legge regionale della Toscana 3 gennaio 2005, n. 1), in Aedon, 2/2007, pag. 1. Per ulteriori riferimenti vedi G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari (a cura), Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006, e, ivi, A. Crosetti, La tutela naturalistica dei beni culturali ovvero il paesaggio culturale (pag. 101 e segg.), S. Foà, Paesaggio e discipline di settore (pag. 125 e segg.), P. Urbani, La costruzione del piano paesaggistico (pag. 205 e segg.).

[21] Vedi l'art. 34, ove è affermato che "gli statuti del piano territoriale di coordinamento delle province e del piano strutturale dei comuni integrano lo statuto del piano di indirizzo territoriale"; vedi anche F. Merloni, L'impossibile cit. in Regioni 2007, pag. 1195, e G. Sciullo, Territorio cit., pag. 8 e segg.

[22] "Secondo un modello rigidamente gerarchico", Corte cost. n. 182/2006, Considerato in diritto, § 2.2; Corte cost. n. 367/2007, Considerato in diritto, § 7.1 ("La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali").

[23] Corte cost. n. 182/2006, Considerato in diritto, § 2.2 cit.

[24] Già Corte cost. n. 359/1985 cit., Considerato in diritto, §§ 4 e 6.

[25] F. Merloni, L'impossibile cit., in Regioni 2007, pag. 1196, ove ancora: la "pianificazione urbanistico-territoriale, il 'governo del territorio', non riesce a diventare la sede per la composizione integrata degli interessi (dando a quelli 'primari' la giusta considerazione, ma all'interno dei piani generali), ma resta la sede di registrazione subordinata delle scelte, pianificatori ere o puntuali, compiute dalle amministrazioni (statali) di settore".

[26] Sentenza n. 367/2007, Considerato in diritto, § 7.1.

[27] Come mette in luce S. Civitarese Matteucci, Commento cit., pag. 523.

[28] Art. 131, comma 1: "Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni."

[29] Vedi citazioni precedente nota n. 8.

[30] Con la conseguenza che la violazione di una norma internazionale obbligatoria che risulti non costituzionalmente illegittima determina l'illegittimità costituzionale della norma nazionale o regionale (Corte cost. n. 348/2007 e n. 349/2007).

[31] Ulteriori indicazioni in V. Mazzarelli, La disciplina cit., pag. 14 e segg.

[32] Soprattutto per quanto riguarda la disciplina dell'autorizzazione (art. 146) e il ruolo degli apparati tecnici (su cui, peraltro, oltre § 4).

[33] Significativo il riferimento alla vicenda di Monticchiello in M. Immordino, La dimensione cit., p. 1.

[34] Anche si tratta di giurisprudenza della Corte. Il diritto è quello che risulta dall'interpretazione. Gli interpreti sono tanti: il giudice, gli altri giuristi (avvocati, consulenti, operatori), i tecnici e gli esperti dei fatti per i quali il diritto è prodotto (nel caso: urbanisti, studiosi del paesaggio, uomini di cultura), le amministrazioni (sui pensi alle prassi), il chiunque (attraverso fatti di partecipazione). Fra tutti è il giudice quello che ha il potere (di autorità, non di scienza) di imporre l'interpretazione volta a volta vincolante, ma l'ambito dell'interpretazione giudiziale copre solo un piccolo spazio del diritto applicato e anch'esso è influenzato da ciò che esprimono gli altri protagonisti. La campana, al solito, suona per tutti.

[35] D.lg. 157/2006 e il d.lg. 63/2008 in esame.

[36] Basta non avere pregiudiziali. Nota (giustamente) F. Merloni, L'impossibilità cit., pag. 1196, che la sent. n. 182/2006 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale senza "valutare se l'effetto ultimo della disciplina regionale "potesse essere "quello di assicurare una tutela paesaggistica addirittura più penetrante di quella" statale.

[37] E perciò assumere disposizioni ancor più restrittive dell'attuale art. 146 quanto alle competenze comunali in materia di autorizzazione.

[38] Con formula ricorrente specie in materia di ambiente, vedi di recente Corte cost. n. 378/2007, Considerato in diritto, § 4.

[39] Un medesimo ordine di idee (sul punto) in M. Immordino, La dimensione cit., pagg. 5-6: "l'affermazione del carattere assoluto del valore paesaggistico, non corredata da alcuna illustrazione, sembra assumere soltanto il significato dei un rafforzamento della primarietà come è stata tradizionalmente intesa nella giurisprudenza della Corte, e in questo senso ribadire e con più forza la superiorità del valore paesaggistico ... su interessi, come quelli economici, che non rientrano nel catalogo dei valori costituzionali primari".

[40] E dunque parrebbe necessario prendere in qualche misura le distanze dalla giurisprudenza della Corte o da un'interpretazione testuale e frazionata delle sue decisioni; per una diversa direzione v. G. Severini, Le nuove misure cit., pag. 4.

[41] "La regione esercita la funzione autorizzatoria ... avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche"; può "delegarne l'esercizio" agli enti locali, "purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia" (comma 6).

[42] Ovvero parametri e tecniche capaci di evitare che la tutela di interessi sovra comunali, in quanto localizzata in un determinato territorio, possa comportare iniqui squilibrii a carico delle rispettive comunità, il che costituisce uno dei motivi che spesso distorcono i processi di pianificazione e determinano un esercizio non solidale delle competenze attribuite.

[43] Cfr. V. Mazzarelli, La disciplina cit., pag. 12.

 

 

 



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