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Territorio e paesaggio (a proposito della legge regionale
della Toscana 3 gennaio 2005, n. 1) [*]

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Profili generali del rapporto fra il territorio e il paesaggio. - 2. Il piano paesaggistico. - 3. La pianificazione paesaggistica nella legge regionale della Toscana 1/2005.

1. Profili generali del rapporto fra il territorio e il paesaggio

Articolerò il mio intervento in tre parti: nella prima saranno tratteggiati i profili generali del rapporto fra territorio e paesaggio, la seconda toccherà il piano paesaggistico nella sue evoluzione fino alla disciplina contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e succ. mod.), nella terza infine verrà considerata la pianificazione paessaggistica nella legge regionale della Toscana 3 gennaio 2005, n. 1.

Il rapporto in termini giuridici fra il territorio e il paesaggio non è agevole da focalizzare, sia per fattori 'endogeni' (l'incertezza che connota i diversi valori giuridici racchiusi sotto l'etichetta 'paesaggio) sia 'esogeni' (tale rapporto ha subito variazioni nel corso del tempo per effetto dell'evolversi della normazione). Nondimeno come chiave di lettura complessiva propongo la seguente: si tratta di un rapporto di 'alterità', ma al contempo di 'integrazione'. 'Alterità', perché la disciplina del paesaggio presenta aspetti peculiari e specifici rispetto alla disciplina del territorio (ovvero l'urbanistica), 'integrazione', perché a parte la comunanza dell'oggetto considerato da entrambe, la disciplina del paesaggio utilizza anche strumenti giuridici propri dell'urbanistica, che a sua volta può 'occuparsi' (perseguire fini di tutela e di valorizzazione) del paesaggio. Pur nel variare delle combinazioni il rapporto di alterità/integrazione rappresenta una costante, un vero e proprio 'filo rosso', che mi propongo sinteticamente di ripercorrere nei suoi passaggi. Con il che spero che emergano anche due altri elementi importanti per la comprensione della disciplina giuridica del paesaggio: il rapporto fra paesaggio e beni culturali (la disciplina degli uni ha fortemente influenzato quella dell'altro), il variare dei valori giuridici tutelati sotto l'etichetta paesaggio.

A) La disciplina del paesaggio fino alla c.d. legge Galasso

Come è noto il primo intervento normativo in tema di paesaggio risale alla legge 16 luglio 1905, n. 411, sulla conservazione della pineta di Ravenna. Ad essa si deve quella connotazione storico-culturale che ha caratterizzato fin dall'origine la salvaguardia del paesaggio nell'ordinamento italiano. Per i fautori della legge a dover essere tutelato non era soltanto una particolare porzione del litorale adriatico, ma anche il luogo reso celebre da una novella del Decamerone (V 8) - quella di Nastagio degli Onesti - e dalle tavole della scuola del Botticelli. E non è un caso che a promuoverla fosse quel Luigi Rava, ministro dell'agricoltura, che poi come ministro della Pubblica istruzione patrocinò la legge 20 giugno 1909, n. 364 ('Per le antichità e le belle arti'), prima vera legge di tutela dei beni culturali nell'Italia unita. Del resto la successiva più organica legge 11 giugno 1922, n. 778 ('Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico') utilizza quell'espressione di matrice crociana [1] "le bellezze panoramiche considerate come quadri" ancora presente nel Codice all'art. 136, lett. d) [2]. Tale legge si segnala anche per aver introdotto il principio della possibilità di prescrivere distanze e altezze nelle costruzioni in caso di modifica dell'aspetto dei luoghi. Si tratta di misure di carattere urbanistico-edilizio, che vennero però affidate al ministro della Pubblica istruzione e non ai comuni.

La legge 29 giugno 1939, n. 1497 ('Protezione delle bellezze naturali'): individua quattro tipi di bellezze naturali, ricondotti dal regolamento di esecuzione (r.d. 3 giugno 1940, 1357, art. 10) alle due categorie delle 'bellezze individue' (nn. 1-2 dell'art. 1) e delle 'bellezze d'insieme' (nn. 3 e 4 dell'art. 1). Come strumenti operativi si stabiliscono il vincolo e l'autorizzazione - analoghi a quelli contemplati dalla coeva legge 1 giugno 1939, n. 1089, per la 'Tutela delle cose d'interesse artistico e storico' - con gestione affidata al ministero dell'Educazione nazionale (Direzione generale delle antichità e belle arti). Inoltre, in capo a tale apparato si prevede la facoltà di redigere per le vaste località incluse nell'elenco di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 1 (bellezze di insieme) un 'piano territoriale paesistico' che disciplini l'uso delle aree vincolate sì da "impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica" (art. 5 legge; cfr. art. 23 reg.). Trattasi di uno strumento 'urbanistico' già impiegato da legislatore - si ricordino i 'piani regolatori edilizi' e quelli 'di ampliamento' (rispettivamente per i centri abitati e le zone destinate all'espansione) previsti dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359, sull'espropriazione (Titolo II, Cap. VI e VII) affidati ai comuni, sia pure con approvazione (con possibilità di introdurre modifiche) da parte del ministro dei Lavori pubblici -, ma assegnato alla competenza di una struttura amministrativa 'dedicata'.

Con la legge 1497 sorge il problema del coordinamento fra la disciplina paesaggistica e quella urbanistica, che trova soluzioni di carattere organizzativo (coordinamento di apparati). L'art. 12 della legge (che poi verrà fatto salvo dall'art. 45 della legge 17 agosto 1942, n. 1150) prevede che l'approvazione dei piani regolatori e di ampliamento debba "essere impartita, quanto ai fini della presente legge, di concerto con il ministro dell'Educazione nazionale". A sua volta l'art. 24 reg. stabilisce che prima dell'approvazione ministeriale il piano paesistico sia sottoposto al parere di una speciale commissione della quale faccia parte un rappresentante del ministero dei Lavori pubblici.

Nella legge urbanistica il coordinamento diventa anche coordinamento di strumenti operativi. L'art. 5 in tema di piano territoriale di coordinamento, nel prevedere che questo fissi le direttive per le "zone soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge", sembra implicitamente stabilire che il piano inglobi quello paesistico.

Per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, e 11 novembre 1968, n. 1187, il piano regolatore generale deve indicare i "vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico" (art. 7, comma 2, n. 5), mentre in sede di approvazione del piano regolatore generale possono essere introdotte le modifiche "che siano riconosciute indispensabili per assicurare: ... c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici", sentito il ministro della Pubblica istruzione, che "può anche dettare prescrizioni particolari per singoli immobili di interesse storico-artistico" (art. 10, comma 3, lett. c), e comma 4). Norme analoghe sono previste per l'approvazione del piano regolatore particolareggiato (art. 16, commi 3, 4, 6 e 7).

E' appena il caso di ricordare che le previsioni di coordinamento organizzativo vengono superate dal trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative statali in materia urbanistica e in tema di redazione e approvazione dei piani paesistici (art. 1 del d.p.r. 15 gennaio 1972, n. 8), mentre con l'art. 82 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, verranno delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dallo Stato concernenti l'individuazione e la tutela (con le relative a sanzioni) in tema di bellezze naturali.

Il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, conv. dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge Galasso) fa uso degli stessi strumenti della legge 1497, peraltro con quattro differenze:

- i beni sottoposti a vincolo sono individuati indipendentemente dal riferimento al pregio artistico;

- abbracciano vaste aree del territorio nazionale;

- il vincolo è fissato direttamente dalla legge;

- il piano previsto non è solo paesistico, ma può anche essere 'urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali'.

Nel complesso si può affermare che con la legge Galasso si accentuano i profili di integrazione della disciplina del paesaggio rispetto a quella del territorio, in parallelo con l'emersione di valori paesaggistici diversi da quelli espressi dalle 'bellezze naturali' di cui alla legge 1497.

B) La originaria riflessione dottrinaria sull'art. 9 Cost.

Anche la prima riflessione dottrinaria sulla nozione di paesaggio presente nell'art. 9 della Costituzione si presta ad essere considerata secondo la chiave di lettura qui seguita. Il paesaggio, inteso come equivalente semantico delle bellezze naturali [3], postula o giustifica una disciplina (fondamentalmente di salvaguardia) diversa da quella ipotizzabile per il territorio, mentre per il paesaggio considerato come 'la forma del territorio' (o 'la forma del paese') [4] la disciplina "coincide con la pianificazione del territorio o urbanistica nel senso in cui il termine è stato definito dall'art. 80 d.p.r. 616 del 1977" [5].

C) La posizione della giurisprudenza costituzionale

La medesima coppia alterità/integrazione è presente nella lettura operata dalla Corte costituzionale. La nozione di paesaggio è sì "comprensiva di ogni elemento naturale e umano attinente alla forma esteriore del territorio" (sentenza 39/1986) e la tutela del paesaggio deve essere "improntata ad integrità e globalità in quanto implicante una riconsiderazione dell'intero territorio nazionale" (sentenza 417/1995, e in precedenza 359/1985, 151/1986, 67/1992, 269/1993, 46/1995). A sua volta l'urbanistica certamente "comprende tutto ciò che concerne l'uso dell'intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture" (sentenza 239/1982) [6]. Ciò non comporta però per la Corte l'assorbimento della disciplina del paesaggio in quella del territorio (ossia nell'urbanistica).

Il paesaggio riceve tutela in quanto "valore estetico-culturale" (239/1982, 359/1985, 151/1986), il che comporta che il "territorio può ben essere da un lato punto di riferimento della pianificazione territoriale intesa come ordine complessivo, ai fini della reciproca compatibilità degli usi e delle trasformazioni del suolo (...). E dall'altro essere punto di riferimento di una regolazione degli interventi orientata all'attuazione del valore paesaggistico come aspetto del valore estetico-culturale secondo scansioni diverse, perché legate a scelte di civiltà di più ampio respiro" (359/1985; cfr. anche 239/1982).

In forza del diverso interesse pubblico sotteso "urbanistica e paesaggio sono due distinte materie" e non possibile reputare "la disciplina paesaggistica (...) subordinata all'urbanistica o addirittura inclusa in essa" (359/1985; cfr. anche 239/1982, 327/1990, 417/1995, 151 e 153/1986, 378/2000).

D) Dopo la riforma del Titolo V

Il dato della distinzione trova ora, come è noto, un preciso ancoraggio nel nuovo testo dell'art. 117 Cost. introdotto dalla legge cost. 3/2001. L'urbanistica (comprensiva della disciplina dei titoli abilitativi edilizi) rientra nella materia 'governo del territorio' (art. 117, comma 3) (sentenze nn. 303 e 362/2003), mentre la disciplina del paesaggio ricade, per i profili della tutela, nella previsione dell'art. 117, comma 2, lett. s)) ('tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali') e, per i profili della valorizzazione, in quella dell'art. 117, comma 3 (relativa a 'valorizzazione dei beni culturali e ambientali') (sentenza 182/2006) [7]. La Corte ha evidenziato di recente un ulteriore dato di distinzione. Come meglio si dirà più avanti, mentre la disciplina del territorio consente 'scorrimenti' di funzioni amministrative fra regione e enti territoriali minori, il paesaggio "va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali".

E tuttavia il profilo dell'integrazione è ben presente all'attenzione della Corte. Per un verso, il giudice delle leggi sottolinea che, "attraverso i piani urbanistici il comune può, nella sua autonomia (...), imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali e ambientali" (sentenza 478/2002; cfr. ora anche art. 145, comma 3, del Codice).

Per altro verso, e in termini ancor più significativi, ammette - così come aveva già fatto per i beni culturali (sentenza 232/2005) - che "leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti [quindi ad es. in tema di urbanistica] possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale [in relazione al contesto, leggasi dell'interesse del paesaggio], purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato", e pertanto considera "legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale [in relazione al contesto, di nuovo, dell'interesse del paesaggio]" (sentenza 182/2006).

In sintesi, la Corte finisce implicitamente, ma chiaramente con il configurare la tutela del paesaggio, al pari della tutela dei beni culturali e dell'ambiente (per i profili non paesaggistici), come 'materia-attività', nella quale, come è noto assume rilievo il profilo teleologico della disciplina (sentenze 407 e 536/2002, 62, 232 e 336/2005).

E) Il Codice dei beni culturali e del paesaggio e la Convenzione europea sul paesaggio

Il d.lg. 42/2004, con le integrazioni e correzioni apportate dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, per un verso e in quanto 'deposito' della disciplina dettata dalle leggi del 1939 e del 1985, ribadisce agli artt. 136 e 138 ss. la specialità dei beni paesaggistici, che vengono inoltre ricompresi, insieme ai beni culturali, sotto la categoria del "patrimonio culturale" (art. 2, comma 1); per altro verso, in relazione al regime dettato per il paesaggio e il piano paesaggistico (artt. 131 e 143 ss.), segna, per le regioni che saranno illustrate nel successivo paragrafo, il più avanzato tentativo per la legislazione statale di integrare la disciplina del paesaggio in quella del territorio.

Non altera il quadro normativo fin qui delineato, né tanto meno mette in forse i paradigmi interpretativi dell'art. 117 [8] la recente entrata in vigore (1 settembre 2006) della Convenzione europea sul paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e resa esecutiva per l'ordinamento italiano con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. Tale atto, invece, ma prima della sua vigenza, ha influenzato il Codice per la nozione di paesaggio e soprattutto per la disciplina del piano paesaggistico.

E' agevole, infatti, rilevare che il suo contenuto precettivo si sostanzia nell'affermazione di alcuni principi che lasciano alle parti contraenti (gli Stati) ampi margini di attuazione (sicché fra l'altro il tentativo di fondare sulla Convenzione un 'diritto al paesaggio' per i cittadini degli Stati contraenti risulterebbe alquanto enfatico). Invero, il suo art. 5 impegna a riconoscere giuridicamente il paesaggio, a stabilire ed attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, ad avviare procedure di partecipazione istituzionale e sociale nella definizione e realizzazione di tali politiche, e a integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio e in quelle a carattere culturale o in genere aventi incidenza sul paesaggio.

Nella lettura che ne ha fatto ante litteram il Codice - il paesaggio è stato inteso come 'valore culturale', 'elemento identitario', in sintonia con talune indicazioni della Convenzione (in particolare cfr. art. 5, lett. a), e Preambolo 5° cpv.) [9] - non sembrano ravvisabili distonie fra i contenuti precettivi dei due atti. In particolare, la tradizionale specifica tutela che il Codice mantiene a proposito dei beni paesaggistici non si pone in contrasto con la Convenzione, sia perché questa distinguendo i paesaggi "eccezionali", da quelli "quotidiani" e da quelli "degradati" abilita implicitamente a trattamenti giuridici differenti, sia perché all'art. 12 fa esplicitamente salva "l'applicazione di disposizioni più severe in materia di salvaguardia, gestione o pianificazione dei paesaggi contenute in altri strumenti nazionali".

2. Il piano paesaggistico

Il piano paesaggistico, come sopra ricordato, nasce con la legge 1497/1939, ma subisce una significativa evoluzione nel corso del tempo, che nei punti salienti è opportuno ricapitolare per una migliore comprensione dell'attuale suo assetto.

Nella legge del 1939 esso, come 'piano territoriale paesistico' riguarda le "vaste località incluse nell'elenco di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 1" ('bellezze di insieme'). La sua formazione è facoltativa e la finalità è quella di "impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica" (art. 5), obiettivo questo che l'art. 23 del regolamento del 1940 preciserà nello stabilire le zone di rispetto, il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili, le norme per i diversi tipi di costruzione ecc. In breve una finalità di salvaguardia attraverso la disciplina degli usi del territorio considerato.

Nel d.l. 312 e nella legge 431/1985 il piano si sdoppia nel 'piano paesistico' e nel 'piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali', riguarda i beni e le aree vincolati ex lege (quelli elencati nell'art. 82, comma 5, del d.p.r. 616/1977), la sua formazione rappresenta un obbligo per le regioni e la finalità assegnata è quella di dettare una "specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale" (art. 1-bis).

Nel Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490) - che assorbe abrogandole le previsioni dei due atti normativi (art. 166, comma 1) - si ribadisce nella sostanza quanto previsto dalla disciplina del 1985, esplicitandosi altresì che la pianificazione paesistica "è facoltativa per le vaste località indicate alle lettere c) e d) dell'art. 139 incluse negli elenchi previsti dall'articolo 140 e dall'art. 144" (art. 149) [di nuovo le 'bellezze d'insieme']. Il piano, dunque, nella sua duplice veste mantiene uno stretto legame con il vincolo paesaggistico, nel senso che il suo ambito di riferimento è perimetrato dalle aree e dai beni già assoggettati a detto vincolo [10].

Il d.lg. 42/2004 e succ. mod. segna una nuova stagione per il piano paesaggistico [11].

In termini generali, e in rapporto a quanto osservato a proposito delle precedenti discipline, si rilevano i seguenti caratteri:

- permane la doppia veste del 'piano paesaggistico' e del 'piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici' (art. 135, comma 1), ma i due piani hanno il medesimo ambito di riferimento e sono assoggettati dagli artt. 143-145 alla medesima disciplina quanto a caratteri essenziali, contenuti, procedimento formativo, efficacia. Essi differiscono ormai solo nel senso che l'uno (quello paesaggistico) si presenta come piano tematico, l'altro (quello urbanistico-territoriale) come piano generale di assetto del territorio;

- resta il vincolo per le regioni della loro formazione (o adeguamento) (artt. 135, comma 1, 156, comma 1), sanzionato con la previsione dell'intervento sostitutivo statale (artt. 5, comma 7, e 156, comma 1), ma è prevista e incentivata la pianificazione per accordi, ossia la elaborazione congiunta, tramite accordo preliminare ex artt. 15 e 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e succ. mod., da parte dello Stato (Mibac e ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio) e della regione (art. 143, commi 3-5);

- l'ambito di riferimento è ora "l'intero territorio regionale" (art. 135, comma 1). Si rompe così il collegamento fra piano e beni paesaggistici previamente sottoposti a vincolo (ex provvedimento amministrativo o ex lege). Anzi il piano è abilitato ad individuare e sottoporre a tutela beni paesaggistici nuovi rispetto a quelli considerati originariamente dalle leggi del 1939 e del 1985 (art. 134, comma 1, lett. c));

- muta di conseguenza anche la funzione, che ormai trascende la tradizionale tutela e valorizzazione di beni paesaggistici. Il piano è chiamato ad operare secondo la tecnica (tipicamente urbanistica) dello zoning, ossia per 'ambiti paesaggistici', definiti "in relazione alla tipologia, rilevanza e integrità dei valori [appunto] paesaggistici" (art. 135, comma 2, e 143, comma 1, lett. d)), e si vede assegnato il "fine di tutelare e migliorare la qualità del paesaggio" del complessivo territorio regionale, ovvero i valori identitari delle parti che lo compongono (cfr. art. 131), fine questo da conseguire anche attraverso la previsione di "interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate" (art. 143, comma 1, lett. g)) e l'indicazione di "misure incentivanti" (art. 143, comma 9), fino alla prefigurazione di "nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati" (art. 6, comma 1); con il che mi pare che si delinei, nell'ambito della legislazione statale, il più elevato livello di integrazione fra la disciplina del paesaggio e quella del territorio;

- in ragione dell'ambito di riferimento, della funzione e dei contenuti del piano si staglia ormai la distinzione fra paesaggio e beni paesaggistici (verrebbe da dire, emerge "il paesaggio in modo dilatato" [12]). Il paesaggio oggetto del piano, di cui l'art. 131 fornisce la nozione sulla scorta di quella contenuta nella Convenzione di Firenze (art 1, lett. a)) [13], non coincide con l'insieme dei beni paesaggistici di cui all'art. 134, individuati dall'atto amministrativo puntuale, dalla legge o dallo stesso piano [14]. Certamente il paesaggio non prescinde dai beni paesaggistici e li ricomprende, ma non si esaurisce in essi, presentandosi piuttosto, per riprendere la nota formula del Predieri, come la forma del territorio considerato nei valori identitari che esso esprime [15].

Tutto ciò in termini generali. In termini più specifici il piano si presta ad essere considerato sotto vari profili. Mi soffermo su due aspetti di particolare importanza per l'analisi giuridica: il rapporto del piano con i vincoli paesaggistici e l'autorizzazione, e il rapporto del piano con gli altri strumenti di pianificazione.

Sul primo tema, fatto oggetto in passato di significativi approfondimenti [16]), le norme del Codice offrono elementi di chiarezza, ma anche elementi di incertezza. Distinguendo in ragione della tipologia dei vincoli, si può osservare quanto segue:

- Beni paesaggistici individuati tutelati ex lege (art. 142)

Il piano oltre a procedere alla loro individuazione, deve provvedere alla "determinazione della specifica disciplina ordinata alla loro tutela e valorizzazione", in particolare alla "determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi" (art. 143, comma 1, lett. b) e f)). In altre parole il piano deve fornire ai vincoli, in origine meramente di 'arresto', uno contenuto precettivo specifico. Il che suppone implicitamente, ma con tutta evidenza, che il piano non possa né incidere sulla loro consistenza né trascurarne l'esistenza. Oltretutto nel nuovo art. 142 è stata soppressa la previsione della durata di detti vincoli fino all'approvazione del piano, che aveva dato adito ad incertezze. Per tali beni (e sempre che essi non siano stati fatto oggetto di apposizione di vincolo in via amministrativa (cfr. art. 143, comma 5, lett. a)), il piano può prevedere una modulazione del regime autorizzatorio di cui all'art. 143, commi 5-8.

- Beni paesaggistici individuati sulla base di provvedimento amministrativo (artt 136, 138-141)

Per essi il piano deve procedere alla "determinazione ..., ove necessario, dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica" (art. 143, comma 1, lett. f)). La disposizione si spiega in ragione della circostanza che la proposta e il provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico di tali beni devono contenere "una specifica disciplina di tutela, nonché l'eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili e delle aree cui si riferiscono" (art. 138, comma 2, e art 140, comma 2), disciplina e indicazioni che "vanno a costituire parte integrante del piano paesaggistico da approvare o modificare" (art. 140, comma 2).

Dunque, come è stato rilevato [17], per effetto della normativa del Codice, i vincoli non possono più essere, come in passato, solo 'di arresto' o 'nudi', ma devono presentare un contenuto precettivo specifico, essere cioè 'vestiti'.

La precisazione di tale contenuto può però essere incompleta, in particolare per gli interventi di valorizzazione ('eventuale indicazione') o comunque suscettibile di integrazioni, che spetta al piano in questo caso (appunto 'ove necessario') operare. Quello che più conta è che la disciplina specifica di tutela e l'eventuale indicazione di interventi di valorizzazione contenuta nell'atto di vincolo (e prima ancora il vincolo in sé) "vanno a costituire parte integrante del piano paesaggistico da approvare o modificare".

Dunque il rapporto fra vincolo e piano si delinea nel senso che sussistono per il piano un dovere di recepimento del vincolo (e dei suoi contenuti) e un potere di integrazione [18].

Supportano questa ricostruzione due ulteriori elementi:

a) non compare più nei nuovi artt. 143, 144 e 156 la previsione contenuta negli originari artt. 143, comma 6, 144, comma 2, e 156, comma 4, dalla quale risultava la possibilità che dal piano paesaggistico derivasse una modifica degli effetti prodotti dai provvedimenti di cui agli artt. 140, 141 e 157 (ossia di apposizione di vincolo);

b) in sede di esame delle domande di autorizzazione paesaggistica l'amministrazione deve verificare "la conformità dell'intervento alle prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici" (art. 146, comma 6, alinea), in particolare accertandone la "compatibilità rispetto (...) alle finalità di tutela e miglioramento della qualità del paesaggio", nonché la "congruità con i criteri di gestione", fissati dai due atti.

Per esplicita indicazione dell'art. 143, comma 5, lett. a), i beni sottoposti a vincolo di fonte provvedimentale sono sottratti alla possibilità di modulazione del regime autorizzatorio.

- Beni paesaggistici individuati dal piano (art. 143, comma 1, lett. i))

Per tali beni si pongono tre questioni che il Codice non affronta e che mi limito ad enunciare:

a) se la loro sottoposizione a vincolo richieda, oltre alla previsione del piano, l'espletamento della procedura (con le relative garanzie partecipative) prevista dagli artt. 138 ss., ossia quella concernente i vincoli di fonte provvedimentale [19];

b) se tale sottoposizione ricada sotto la disciplina del comma 2 oppure del comma 3 dell'art. 42 Cost., in questo secondo caso comportando un obbligo di indennizzo;

c) prima ancora se, tenuto conto dei disposti dell'art. 42, commi 2 e 3, Cost., un piano paesaggistico non emanato con legge possa procedere alla "tipizzazione" di detti beni.

Anche per tali beni - e questo rappresenta un ulteriore novità rispetto all'assetto ante Codice - è prevista l'autorizzazione paesaggistica (art. 146, comma 1), pur essa sottratta alla modulazione di regime viceversa possibile per i beni vincolati ex lege (cfr. art. 143, comma 5, lett. a)).

Relativamente al rapporto fra il piano paesaggistico e gli altri strumenti di pianificazione dispone l'art. 145, con una formulazione non tra le più felici. A parte il richiamo al potere statale di fissare le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale (comma 1) - potere previsto dall'art. 52 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e in precedenza dall'art. 81, comma 1, del d.p.r. 616/1977, e mai esercitato in questi anni - la disposizione stabilisce un autocoordinamento (comma 2) e un eterocoordinamento (comma 3) del piano: nel primo caso con piani e programmi statali e regionali, nel secondo con la programmazione locale, in particolare provinciale e comunale. L'autocoordinamento è demandato allo stesso piano, che dovrebbe disporre misure appunto di coordinamento con altri piani, il che appare singolare, spettando propriamente alla legge (statale o regionale) stabilire i raccordi fra detti strumenti.

L'eterocoordinamento è delineato in termini di sovraordinazione del piano paesaggistico sui piani locali. Ma non è chiaro in quali termini questa esattamente si traduca, parlando la disposizione di "immedia[ta] prevalen[za]" sulle disposizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici, ma anche di "norme di salvaguardia applicabili in attesa di adeguamento degli strumenti urbanistici", ossia di due meccanismi logicamente alternativi [20]. Tenendo conto di quanto previsto nel successivo comma (comma 4) -fissazione di un termine perché gli enti locali adeguino i loro piani al piano paesaggistico- sarei orientato a pensare che dal piano derivi solo un vincolo di conformazione per la pianificazione locale, vincolo assistito dalla possibilità che il piano con misure di salvaguardia paralizzi gli effetti di altri piani contrastanti con le sue previsioni (in ciò si risolverebbe l'accennata 'immediata prevalenza').

La disposizione del comma 4 sembra sciogliere anche l'altro quesito che la disciplina pone, ossia se il piano possa essere anche immediatamente conformativo del regime dei suoli oltre a costituire paradigma per la pianificazione sottordinata. Nell'affermare che "i limiti alla proprietà ... non possono essere oggetto di indennizzo", la disposizione fa riferimento alle (sole) previsioni contenute nei piani locali emanati in adeguamento al piano paesaggistico. Il che induce a pensare che essa consideri il piano come privo di capacità conformativa della proprietà dei suoli. La disciplina dettata dall'art. 145 si riferisce al piano paesaggistico di ambedue i tipi. Nel caso di piano paesaggistico 'puro', essa varrà integralmente, nel caso di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, essa varrà per i soli profili paesaggistici previsti dal piano. Soprattutto in questo secondo caso il legislatore regionale ha di fronte a sé ampi margini per articolare e precisare le previsioni del Codice.

3. La pianificazione paesaggistica nella legge regionale della Toscana 1/2005

La l.r. Toscana 1/2005 rappresenta un ulteriore e più avanzato tentativo di inserire la disciplina del paesaggio in quella del territorio. Chiamando a concorrere 'tutti' gli strumenti della pianificazione territoriale alla definizione delle "trasformazioni [del territorio] compatibili con i valori paesaggistici [, del] le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili sottoposti a tutela" nonché "[de]gli interventi di valorizzazione del paesaggio" (art. 31), essa ha inteso perseguire l'obiettivo di realizzare un continuum tra assetti giuridici del paesaggio e del territorio.

La disciplina paesaggistica viene pertanto articolata al livello degli strumenti di pianificazione nella progressione senza soluzione di continuità fra 'piano regionale di indirizzo territoriale', che assume la "valenza di piano paesaggistico", 'piano territoriale di coordinamento' delle province e 'piano strutturale' dei comuni, secondo la disciplina dettata dagli artt. 33 e 34.

Per punti salienti i ruoli dei tre tipi di piani risultano come segue:

a) il piano regionale contiene:

- la ricognizione generale dell'intero territorio nelle sue caratteristiche storiche, naturali ed estetiche, l'analisi delle dinamiche di trasformazione, la definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare;

- la determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge nonché delle prescrizioni per la tutela e, ove necessario, dei criteri di gestione e degli interventi per la valorizzazione dei beni paesaggistici di fonte provvedimentale;

- l'individuazione generale delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico;

- l'individuazione generale di eventuali categorie di beni paessaggistici, diversi da quelli tutelati ex lege e ex provvedimento amministrativo, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e uso (art. 33, comma 3);

- le prescrizioni per le aree in relazioni alle quali siano definiti parametri vincolanti per le specifiche previsioni da introdurre nei piani provinciali e comunali (art. 33, comma 5);

- l'individuazione (nel senso di inserimento nel piano) dei beni paesaggistici vincolati ex provvedimento amministrativo, aventi rilievo sovraprovinciale e la fissazione delle prescrizioni per la loro tutela (art. 32, commi 2 e 1).

Il piano provinciale e quello comunale a loro volta integrano lo statuto del piano regionale, recependo i vincoli di tutela da questo fissati e definendo le azioni e strategie per la valorizzazione del paesaggio in coerenza con le sue previsioni (art. 34, comma 1). In particolare:

b) il piano provinciale contiene:

- l'indicazione specifica degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità;

- la fissazione dei criteri per la modulazione del regime autorizzatorio (art. 34, comma 2);

- l'individuazione dei beni paesaggistici di fonte provvedimentale di rilievo sovracomunale (art. 31, comma 2);

c) il piano comunale contiene:

- l'individuazione delle aree ai fini della modulazione della disciplina autorizzatoria (art. 34, comma 3);

- l'individuazione dei beni paesaggistici di fonte provvedimentale di rilievo comunale (art. 31, comma 2).

Nell'assetto previsto dalla legge la disciplina dei beni paesaggistici risulta pertanto nei seguenti termini:

- Beni paesaggistici di fonte provvedimentale

- l'art. 32, comma 1, rinvia alla disciplina contenuta nel Codice;

- come si è detto, vanno "compresi" nel piano regionale, provinciale o comunale in ragione del rilevo da essi presentato (art. 32, comma 2);

- il piano regionale determina le prescrizioni per la tutela e, ove necessario, i criteri di gestione e gli interventi di valorizzazione (art. 33, commi 1 e 3);

- Beni paesaggistici ex lege

- il piano regionale determina le "misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge" (art. 33, comma 3, lett. c));

- la loro prima individuazione parrebbe affidata al piano provinciale in sede di "indicazione degli ambiti paesaggistici" da effettuarsi sulla base dei criteri fissati dal piano regionale (art. 34, comma 2, e art. 33, comma 1);

- mentre la suddivisione delle aree, ai fini della modulazione del regime autorizzatorio, spetta al piano comunale (art. 34, comma 3).

- Beni paesaggistici da individuarsi in sede di pianificazione

- la loro "individuazione generale" (per categorie) è affidata al piano regionale (art. 33, comma 3, lett. f));

- per la loro individuazione puntuale non si rinviene una espressa indicazione. Per analogia dovrebbe valere il regime previsto per i beni di fonte provvedimentale, ossia in ragione del rilievo da essi presentato, dovrebbe provvedere il piano regionale, provinciale o comunale.

Sullo specifico declinarsi dell'impostazione seguita dalla legge si è pronunciata la Corte costituzionale nella già menzionata sentenza n. 182/2006, resa in un giudizio promosso dal governo. La Corte ha ravvisato l'illegittimità costituzionale di tre disposizioni della legge regionale, due delle quali dettate in tema di disciplina paesaggistica.

La prima disposizione, l'art. 32, comma 3, subordinava al solo espletamento delle forme di pubblicità stabilite dalla stessa legge le modifiche derivanti agli effetti degli atti appositivi di vincolo paesaggistico in conseguenza delle previsioni del piano regionale, provinciale o comunale, senza richiedere - come invece previsto dall'art. 143, commi 6 e 12 (stesura originaria), del Codice - anche l'elaborazione congiunta, da parte della regione e dello Stato, del piano paesaggistico regionale.

Al riguardo la Corte rileva che la ratio della disciplina codicistica è nel senso che "in quello che è effetto saliente" della pianificazione paesaggistica, ossia "la modifica di regime dei beni che essa recepisce", lo "Stato deve poter interloquire attraverso forme di concertazione", in assenza delle quali tale effetto non si produce (punto 2 in diritto).

Si è già osservato che la possibilità di introdurre modifiche agli effetti dei vincoli di fonte provvedimentale non compare più nell'art. 142 dopo la riscrittura operata dall'art. 13 del d.lg. 157/2006. Ma il principio affermato dalla Corte conserva tuttora validità a proposito della modulazione del regime autorizzatorio.

Piò rilevante, sul piano dell'impostazione seguita dalla legge, è stata la dichiarazione d'illegittimità dell'art. 34, comma 3. Tale disposizione rimetteva al piano strutturale del comune, sia pure sulla base delle indicazioni del piano regionale e di quello provinciale, l'articolazione del regime dell'autorizzazione paesaggistica, anziché affidarla, come previsto dall'art. 143, comma 5, del Codice, al piano paesaggistico regionale.

La Corte ha ravvisato nella norma una contraddizione "con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio", sistema considerato non derogabile dal legislatore regionale, perché costituente "un livello uniforme di tutela ... nell'ambito di una materia a competenza esclusiva statale ..., ma anche [nel quadro] della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali". In altri termini, il legislatore regionale, nell'obiettivo di far "rientrare la tutela del paesaggio nell'ambito del sistema della pianificazione del territorio", ha reso partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo alla disciplina di tutela del paesaggio, utilizzando "la logica tradizionale della pianificazione urbanistica, di demandare agli strumenti inferiori la disciplina sempre più specifica".

Il principio di fondo di tale sistema, ad avviso della Corte, risulta "condivisibile" nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a concorrere alla pianificazione regionale (art. 144, comma 1) e in cui gli strumenti pianificatori sub regionali perseguano obiettivi di tutela e valorizzazione del paesaggio (art. 145, comma 4). Tuttavia in tale sistema viene ravvisato, come "elemento critico", la lesione dell'"impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale". Il "paesaggio - conclude la Corte - va ... rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali" (punto 2.2 in diritto).

Volendo chiudere secondo la chiave di lettura proposta in questo intervento si potrebbe dire che, rispetto alla legislazione statale, la legge toscana aveva mosso un ulteriore passo verso l'integrazione fra disciplina del paesaggio e quella del territorio, mentre la pronuncia della Corte ha richiamato all'attenzione un dato di irriducibilità dell'una disciplina all'altra.

Agli inizi del 2007 il Mibac e la regione Toscana hanno firmato un protocollo d'intesa in cui si manifesta la volontà di procedere alla elaborazione congiunta del piano di indirizzo territoriale regionale avente valore di piano paesaggistico agli effetti del Codice.

I punti salienti del protocollo risultano dagli artt. 5 e 6. Per piano paesaggistico elaborato congiuntamente a termini dell'art. 143, comma 3, del Codice si intende la disciplina paesaggistica complessiva risultante dal piano regionale nonché dagli strumenti di pianificazione provinciali e comunali. Tale complessiva disciplina costituisce oggetto di accordi tra Stato, regione e enti locali.

In sostanza nel protocollo vengono affermati il principio di copianificazione, che vede coinvolti non solo lo Stato e la regione, ma anche gli enti locali, e il principio di coerenza o meglio di unicità della pianificazione paesaggistica, che, pur scandita in tre livelli (regionale, provinciale e comunale) viene a comporre un unicum, come tale da richiedere la condivisione da parte di tutti gli enti territoriali.

Il quesito che si presenta è se detto protocollo dia una risposta adeguata ai rilievi contenuti nella pronuncia della Corte sopra esaminata. Sul piano formale - e anche a prescindere dalla natura dell'atto, la risposta è in parte negativa. Viene sì affermato quel principio di copianificazione che la Corte aveva considerato pretermesso a proposito del piano regionale - anzi lo si estende anche ai piani provinciali e comunali -, ma resta la circostanza che è il piano comunale, anziché quello regionale, a indicare le aree in cui la realizzazione degli interventi non è soggetta ad autorizzazione paesaggistica.

Su un piano sostanziale la valutazione può essere diversa perché, risultando il piano comunale oggetto di accordo fra il comune, lo Stato e la regione, l'indirizzo unitario, invocato dalla Corte in materia paesaggistica per superare la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali, pur sempre viene realizzato.

Piuttosto i dubbi investono la fattibilità (intesa come praticabilità) del meccanismo complessivo delineato dal protocollo, meccanismo che si avvale delle opportunità, ma al tempo stesso sconta i rischi dei processi di condivisione. Essi esaltano il momento della partecipazione-coinvolgimento degli interessati, ma soffrono delle difficoltà e dei limiti insiti nella ricerca dell'accordo: allungamento dei tempi di decisione, decisioni 'al ribasso'. Insomma da un protocollo d'intesa di indubbia importanza resta come 'retrogusto' il timore che proprio l'interesse dei valori paesaggistici nel percorso delineato possa non essere perseguito al meglio.

Note

[*] Relazione svolta nell'incontro di studio "Il territorio: forme, utilizzazioni, garanzie", organizzato dalle Facoltà di Architettura e di Giurisprudenza dell'Università di Firenze (Firenze, 15 giugno 2007). E' prevista la sua pubblicazione anche in Riv. giur. urb. n. 4/2007.

[1] La legge fu promossa dal Croce, allora ministro della Pubblica istruzione nell'ultimo governo Giolitti.

[2] Su questi aspetti cfr. C. Tosco, Il paesaggio come storia, Il Mulino, Bologna 2007, 12 ss. Sulla legge 411/1905 sul clima culturale del periodo cfr. anche R. Balzani, Per le antichità e le belle arti. La legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l'età giolittiana. Il Mulino, Bologna 2003, 19 ss.

[3] A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. ed., 1967, 69 ss.

[4] A. Predieri, rispettivamente, voce Paesaggio, in Enc. dir., vol. XXXI, Giuffrè, Milano 1981, 506 e Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Giuffrè, Milano 1969, 11.

[5] A. Predieri, voce Paesaggio, cit., 514.

[6] Può essere di un qualche interesse rilevare che già nel 1955 F. Benvenuti, Gli elementi giuridici della pianificazione territoriale in Italia, ora in Scritti giuridici, vol. III, Vita e Pensiero, Milano 2006, 1456, faceva riferimento alla "disciplina urbanistica" come alla "disciplina della localizzazione e coordinazione ambientale delle convivenze umane".

[7] Sulla disciplina del paesaggio nel nuovo art. 117 Cost., cfr., in senso vario, P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 413, G.F. Cartei, voce Paesaggio, in Diz. dir. pubbl., diretto da S. Cassese, vol. V, Giuffrè, Milano 2006,4066, S. Civitarese Matteucci, governo del territorio e paesaggio, in Il governo del territorio, a cura di S. Civitarese Matteucci, E. Ferrari e P. Urbani, Giuffrè, Milano 2003, 486 ss, P. Urbani, Art. 132, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Il Mulino, Bologna 2007, 526.

[8] In questo senso invece G.F. Cartei, Art. 133, in Il Codice, cit., 530.

[9] La Convenzione peraltro consentiva anche un'altra lettura, ossia quella del paesaggio come 'ambiente gradevole', 'a misura d'uomo', 'friendly' (cfr. art. 1, lett. c), e Preambolo 6° e 8° cpv.), in una prospettiva si potrebbe dire di 'governo del territorio'.

[10] A. Ferramosca, La tutela del paesaggio fra Stato e regioni. La pianificazione paesaggistica nella legislazione statale e regionale, in Riv. giur. urb., 2000, 440.

[11] Sul piano paesaggistico secondo la disciplina del Codice risultante dalle modifiche introdotte dal d.p.r. 157/2006 cfr. S. Amorosino, Artt. 135, 143, 144, 145, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Giuffrè, Milano 2006, 977 ss., Id., Art. 143, in Il Codice, cit., 577 ss., V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. 157/2006, in Giorn. dir. amm., 2006, 1081 s., P. Urbani, Art. 135, in Il Codice, cit., 533 ss.

[12] C. Tosco, Il paesaggio, cit., 8-9.

[13] Secondo il Codice,"per paesaggio si intendono parti del territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni". Secondo la Convenzione, "il termine paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni [people], il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Cfr. G.F. Cartei, Art. 133, cit., 528 s. sui rapporti fra le due definizioni.

[14] P. Baldeschi, Territorio e paesaggio nella disciplina paesaggistica della regione Toscana e nel Pit. Considerazioni e proposte (Firenze, 15 giugno 2007) correttamente nota come nel Codice siano presenti sia la nozione di paesaggio inteso "come territorio di particolare valore, nella normativa riguardante i beni paesaggistici" sia quella di "paesaggio/territorio che si manifesta in tutte le possibili forme (dall'eccezionalità al degrado) negli articoli che riguardano la pianificazione paesaggistica", p. 3 del dattiloscritto.

[15] P. Baldeschi, Territorio, cit., esprime nei seguenti termini il rapporto paesaggio/territorio: "Il punto di vista ambientale legge il territorio come insieme di ecosistemi. Il punto di vista funzionale come complesso di risorse con le loro performances; il punto di vista del paesaggio legge il territorio - per ripetere le parole con cui Gian Franco di Pietro introduce il Piano territoriale di coordinamento di Arezzo - come "l'unica impalcatura (territoriale) che sussiste (...) il luogo riconoscibile, la dimora, la grande casa comune, là dove si torna e si riconosce, la fonte del senso di appartenenza" (p. 8 del dattiloscritto). In quanto espressione di valori identitari il paesaggio va concettualizzato come "un sistema costituito da strutture di lunga durata e dalle regole inerenti la loro conservazione e trasformazione", in altri termini "la relazione fra paesaggio e popolazioni non può avere una natura meramente fenomenologia e riferita al presente" (così ancora lo stesso A. pp. 8 e 7).

[16] Cfr. V. Mazzarelli, Da vincolo al piano e ritorno, Livelli e contenuti della pianificazione territoriale, a cura di E. Ferrari, N. Saitta e a Tigano, Giuffrè, Milano 2001, 215 ss. e G. Severini, La pianificazione paesistica: estensione e contenuti, in Pianificazioni territoriali e tutela dell'ambiente, a cura di F. Bassi, L. Mazzarolli e N. Aicardi, Giappichelli, Torino 2000, 105 ss.

[17] Cfr. S. Amorosino, Art. 135, 143, 144, 145, cit., 952, che riprende l'espressione di P.F. Ungari, Spunti per un intervento su "Quadro conoscitivo critico della legislazione italiana sul paesaggio", in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[18] In senso in parte diverso S. Amorosino, Art. 135, 143, 144, 145, 953 s. e 955.

[19] Cfr. V. Mazzarelli, La disciplina, cit., 1082 s.

[20] Sul punto S. Civitarese Matteucci, La pianificazione paesaggistica: il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione, in Aedon, n. 3/2005, par. 2-4.



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