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La Biennale di Venezia, il Centro sperimentale
di cinematografia e l'Istituto nazionale per il dramma antico
nel quadro delle recenti riforme culturali

di Fulvio Cortese


Sommario: 1. Premessa. - 2. I decreti nn. 1, 32 e 33 del 2004: lineamenti essenziali. - 3. In particolare, la Biennale di Venezia. - 4. (Segue) L'istituto nazionale per il dramma antico. - 5. (Segue) Il Centro sperimentale di cinematografia. - 6. Sintomatologia di un ibridismo mai guarito: conclusioni costituzionali.



1. Premessa

E' risaputo che le periodiche ristrutturazioni dell'Amministrazione statale e degli Enti pubblici che ad essa variamente si collegano per ragioni strutturali e/o funzionali procedono da qualche tempo con la consueta tecnica della delegazione legislativa: è naturale, quindi, che l'interprete cerchi nelle ragioni e nei principi previsti dal legislatore delegante il quadro o il progetto generale mediante il quale ricondurre ad unità i singoli interventi di riassetto e le scelte concretamente operate nell'ambito di ciascuno essi.

Questo metodo, tuttavia, si rivela spesso fallibile, e i recenti processi riformatori che hanno nuovamente investito missione, natura e configurazione della Biennale di Venezia, del Centro sperimentale di cinematografia e dell'Istituto nazionale per il dramma antico costituiscono la prova tangibile dell'impossibilità frequente di ricavare una sensazione di coerente continuità tra ciò che nella delega viene teoricamente prefigurato e ciò che, infine e de facto, si è praticamente ottenuto.

Può subito dirsi, in verità, che i decreti legislativi 8 gennaio 2004, n. 1, e 22 gennaio 2004, nn. 32 e 33 (i quali, proprio in quest'ordine, si occupano dei summenzionati Enti) [1] rappresentano di per sé, e formalmente, l'espressione apparentemente coerente di criteri direttivi e di obiettivi disciplinari che già in origine potevano definirsi unitari e completi il profilo propriamente topografico.

Giova ricordare che l'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (rubricato "Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d'autore) [2] non prevedeva soltanto che venissero emanati decreti legislativi per la riorganizzazione dei settori della cinematografia, del teatro, della danza e, in generale, delle altre "forme di spettacolo dal vivo" (comma 1, lett. b, c), e per il perseguimento, in questi ambiti, di risultati di razionalizzazione e snellimento, anche attraverso l'adeguamento dell'assetto organizzativo "degli organismi e degli enti di settore" (comma 2, lett. e); l'art. 10 cit. prevedeva altresì che questa specifica finalità si inscrivesse in una più generale prospettiva di riforme ispirate ad una profonda revisione di tutte le materie che, in quanto tradizionalmente afferenti allo stesso braccio dell'Amministrazione statale, potessero definirsi come lato sensu culturali (e tra queste, ad esempio, figurava la codificazione della disciplina dei "beni culturali e ambientali" e il miglioramento dell'efficacia dei relativi "interventi", sia attraverso la migliore utilizzazione delle risorse, sia attraverso la chiara indicazione delle politiche di settore sia, ancora, mediante l'abbreviazione del procedimenti ed il complessivo adeguamento del sistema alle nuove tecnologie informatiche: comma 1, lett. a, e comma 2, lett. c e d).

E' altrettanto vero, poi, che di una siffatta unitarietà si è dato puntuale riscontro anche sotto il profilo cronologico dell'approvazione, pressoché simultanea, delle relative misure attuative [3]: come è noto, i decreti in esame sono stati adottati quasi contestualmente al "Codice dei beni culturali e del paesaggio", alla normativa generale sulla cinematografia e alla nuova regolamentazione degli appalti pubblici di lavori concernenti beni mobili e immobili sottoposti alle disposizioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici [4], discipline tutte emanate in attuazione della medesima delega (sempre la legge n. 137/2002).

Va rammentato, inoltre, che, se per un verso la delega summenzionata richiamava, sic et simpliciter, la necessità di "adeguare l'assetto organizzativo degli organismi e degli enti di settore", senza con ciò esprimere la direzione concettuale e sistematica dell'opera di semplificazione, snellimento e perfezionamento operativo, per altro verso, il legislatore delegante, almeno per quanto riguarda il caso della Biennale di Venezia e dell'Istituto nazionale per il dramma antico, ha dimostrato di volersi riferire, anche solo potenzialmente, ad una sperimentata bussola orientativa, esercitando il proprio potere disciplinare in particolare attuazione dell'art. 1 della legge n. 137/2002 e recuperando così, almeno nelle formulazioni di principio, un'occasione di ritrovata coerenza assiologica.

Quest'ultima disposizione, difatti, autorizzava il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 23 gennaio 2004), uno o più decreti legislativi, correttivi o modificativi di decreti legislativi già emanati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59, con ciò abilitando l'Esecutivo a riprendere, perfezionare e completare consapevolmente la più vasta e generale stagione di razionalizzazione organizzativa che aveva avuto inizio in concomitanza con le riforme istituzionali avviate dalla legge da ultimo citata e che aveva ufficialmente determinato anche la precedente riforma della Biennale e dell'Istituto nazionale per il dramma antico (avvenuta, rispettivamente, con i decreti legislativi 29 gennaio 1998, nn. 19 e 20, oggi appunto "modificati" ed "integrati" dai decreti nn. 1 e 33 del 2004) [5].

Tuttavia, nonostante la lettura dei preamboli dei decreti in commento possa rivelare tutte queste sincronie, va sin d'ora rilevato che, al di là delle coincidenze spazio-temporali, e sul piano concreto dell'interpretazione delle novità effettivamente approvate, non v'è luogo né verosimiglianza alcuna per un'analisi che possa legittimamente sforzarsi di rintracciare nelle discipline riformate una comunanza o sintonia sostanziale di intenti e di metodi, e ciò non solo nell'ipotesi in cui si cerchi di ricostruire il senso globale di una ragionata politica di riforma culturale (tentativo che il presente contributo non si propone), ma anche laddove ci si concentri sull'eventualità che, quanto meno con riferimento al versante organizzativo attinente alla ristrutturazione degli Enti summenzionati, pur diversi e tra di loro potenzialmente concorrenti, il legislatore delegato abbia comunque informato le proprie opzioni a comuni e meditate esigenze organizzative piuttosto che a trasversali e, per così dire, epidemiche suggestioni.

 

2. I decreti nn. 1, 32 e 33 del 2004: lineamenti essenziali

L'evidente discrasia tra il dichiarato e il realizzato è immediatamente rilevabile all'interno dei singoli decreti legislativi qui presi in esame, e ciò soprattutto sotto il profilo di una preliminare osservazione linguistica, che in primo luogo coinvolge il decreto legislativo n. 1/2004 sulla Biennale di Venezia e che in verità tradisce un più ampio e condiviso approccio, in quanto tale estendibile anche alle innovazioni relative all'Istituto nazionale per il dramma antico (d'ora in poi INDA) e al Centro sperimentale per la cinematografia (d'ora in poi CSC).

Con ciò si allude alla sostituzione della denominazione previgente di "Società di cultura" con quella diversa di "Fondazione" (art. 1), mediante un'operazione che per questo solo potrebbe affermarsi programmaticamente decisiva e sostanzialmente risolutiva: in altri termini, sembrerebbe che, sin dal nuovo apparato definitorio, il legislatore abbia voluto optare chiaramente per una conosciuta figura di diritto comune, dato ulteriormente ribadito dalla circostanza che la conferma della personalità giuridica di diritto privato della Biennale si accompagna ad un finale rinvio di residuale e generale disciplina al codice civile e alle disposizioni di attuazione del medesimo (art. 2).

A tale incipit, che peraltro contribuisce di per sé stesso a riallineare le sorti strutturali della Biennale a quelle del tutto omologhe dell'INDA e del CSC, non corrisponde però il seguito della disciplina così come corretta e modificata, dal momento che in essa sono destinati a convivere sia elementi che contribuiscono a connotare il funzionamento e la composizione degli organi interni dell'ente in coerenza con il preannunciato modello fondazionale, sia fattori che con tali elementi sono in aperta contraddizione e che, se da un lato rievocano con qualche ambiguità il precedente ed originale paradigma associativo, dall'altro sanciscono la tradizionale vocazione strumentale dell'istituzione e la persistente attitudine del legislatore culturale a coniugare detta vocazione e il relativo "preminente interesse nazionale" (espressamente e, giustamente, riaffermato: art. 2, comma 1) con la riconoscibile persistenza di un articolato tessuto di legami organici e di controlli tipici dell'amministrazione centralizzata e burocratica.

In atri termini, dev'essere rilevato che le suggestioni nominalistiche cui sembrano accedere talune delle più significative scelte definitorie contenute nei decreti legislativi in commento tradiscono l'unico significato tendenziale che può essere ragionevolmente attribuito alle riforme di cui si tratta, ossia la tradizionale conferma di un ibridismo organizzativo incapace di promuovere nuovi modelli (come poteva essere quello della "Società di cultura") o, quanto meno, di affrancarsi dalle logiche strutturali e relazionali caratteristiche di quelli vecchi.

La scelta della definizione di "Fondazione", quindi, assume un primo valore particolarmente esemplificativo, giacché l'opzione definitoria di cui essa vorrebbe farsi portavoce non sembra aver mutato in alcun modo la natura precedente dell'organismo, sembrando piuttosto rafforzare la direzione di una specialità organizzativa che, pur basandosi su presupposti concettuali di ordine privatistico, non valorizza più il riconoscimento di un'autonomia tecnica in capo all'ente, bensì ne riconduce numerosi momenti funzionali e snodi strutturali all'esclusività dell'intervento ministeriale.

Vero è che con ciò non si vuole né si potrebbe mai sostenere che l'obiettivo del legislatore delegato avrebbe dovuto coincidere con una sostanziale privatizzazione dell'organismo in questione o con la piena acquisizione del principio dell'autonomia privata, ma è altrettanto vero che l'equilibrio raggiunto nel precedente assetto (ossia l'idea dell'adozione, da parte di un'istituzione di preminente interesse pubblicistico, di uno schema organizzativo di impronta privatistica quale "forma ordinatrice della struttura e dell'attività dell'ente", con finalità di ri-articolazione e ri-definizione delle responsabilità dei vari organi e di efficienza gestionale [6]), sembra rimasto del tutto travolto dalla riaffermata necessità di un più stretto legame con le esigenze organizzative dell'amministrazione statale e con gli orientamenti politico-culturali che in quella sede vengono definiti.

E' opportuno segnalare, tuttavia, quali siano, in concreto, gli innesti normativi dai quali è possibile trarre tale conclusione, continuando l'analisi dei menzionati decreti e, in particolare, di quello (n. 1/2004) che si è occupato della Biennale di Venezia, rivedendone la precedente disciplina (contenuta nel decreto legislativo n. 19/1998 cit.).

 

3. In particolare, la Biennale di Venezia

Oltre all'indizio offerto dalla denominazione di "Fondazione" (sul quale si è già detto) sono astrattamente coerenti con il modello fondazionale di ascendenza privatistica i seguenti caratteri:

a) la formale abrogazione del comma 3 dell'art. 4 del decreto n. 19/1998 cit., con altrettanto formale abolizione del meccanismo ivi previsto di commissariamento ministeriale in ipotesi di mancata adozione dello statuto nei termini stabiliti: l'attributo "formale" è dovuto alla duplice ed assorbente circostanza che l'ipotesi generale di un commissariamento resta comunque plausibile in quanto deducibile dall'espressa menzione dell'art. 6 di quel medesimo decreto, che resta invariato (e che rinvia, genericamente, alle ipotesi di "commissariamento") e che, comunque, l'art. 19 del decreto n. 1/2004 prevede che, nel regime transitorio di prima applicazione delle nuove disposizioni, la neo-ri-nominata Fondazione debba adeguare lo statuto in un termine prestabilito, il cui inutile decorso legittima il Ministero per i beni e le attività culturali a nominare un commissario ad hoc;

b) le precisazioni, invero superflue, circa il regime applicabile all'accettazione, da parte della Fondazione, di lasciti, donazioni ed erogazioni di qualsiasi genere, visto che l'art. 6, comma 1, lett. c) del decreto n. 19 cit., nuova formulazione, stabilisce che trovi applicazione l'art. 473 c.c. (Eredità devolute a persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti).

Sono viceversa coerenti con la previgente struttura della "Società di cultura" le seguenti peculiarità:

a) il rinvio, ora contenuto all'interno dell'art. 5 del decreto 19 cit., rubricato "Partecipazione" e rimasto per la restante parte del tutto invariato, all'art. 24 c.c., il quale riguarda espressamente il tema del recesso o dell'esclusione degli "associati";

b) il riferimento diffuso ai "soci" della "Fondazione" e alle modalità della loro partecipazione, e ciò sia con riferimento alla dotazione patrimoniale dell'ente ("i beni mobili e immobili che possono essere conferiti, eventualmente anche in proprietà, dallo Stato o da atri soci per la costituzione del patrimonio": art. 6, lett. c) del decreto n. 19 cit.), sia con riguardo alle competenze del consiglio di amministrazione ("la delibera in ordine all'ammissione di nuovi soci alla Fondazione": art. 10, lett. i) del decreto n. 19 cit.), sia, ancora, con riferimento alla definizione delle disponibilità finanziarie dell'ente (tra le quali figurano anche "i contributi in conto esercizio degli altri soci della Fondazione": art. 19, lett. c-bis) del decreto n. 19 cit.).

Infine, sono assai numerosi e "profondi" gli indici della ribadita e diretta presenza ministeriale cui si è già accennato:

a) rimane come si è visto, la figura del commissariamento e del conseguente meccanismo sostitutivo che esso attiva, con, se si vuole, l'"aggravante" specifica che tale figura diviene, per così dire, ancor più innominata, poiché, a rigore e, come si è detto, solo formalmente, l'ipotesi più chiara della mancata attuazione dello statuto è stata soppressa e va oggi ricavata dall'applicazione dei principi dettati in tema di vigilanza (art. 24 del decreto n. 19 cit.) e da quelli comunque desumibili dalla menzionata disciplina transitoria;

b) lo statuto dell'ente dev'essere comunque e sempre approvato con decreto ministeriale, in un procedimento che richiede il concerto tra il Ministro di settore e il Ministro dell'economia (i quali, peraltro, nella norma in questione, figurano ancora con la denominazione non più vigente di "Ministro per i beni culturali e ambientali" e "Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica"; cfr. art. 4 del decreto n. 19 cit.; tale peculiarità è del tutto inspiegabile, ma, allo stesso modo in cui sono spesso inspiegabili i difetti di coordinamento linguistico dei testi normativi novellati, essi rivelano ulteriormente il valore soltanto declamatorio delle scelte definitorie utilizzate nel decreto);

c) la nomina del Consiglio di amministrazione risulta formalizzata in un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali (art. 9, comma 1, del decreto n. 19 cit.): vero è che i membri, per così dire, "locali" del Consiglio sono trattati alla stregua di componenti "di diritto" (Sindaco di Venezia, Presidente della Regione Veneto, Presidente della Provincia di Venezia), così come è altrettanto vero che anche i componenti espressione delle altre partecipazioni pubbliche o private debbono essere da queste designati; è indiscutibile, tuttavia, che in tal modo si rafforza l'ufficialità ministeriale dell'istituzione;

d) il Presidente resta nominato dal Ministro per i beni e le attività culturali (art. 8 del decreto n. 19 cit.), anche se attraverso il consueto meccanismo che lo rende espressione di una concertazione maggiormente diffusa (e potenzialmente bypartisan), poiché in esso il momento della nomina ministeriale si colloca dopo l'acquisizione di un parere da parte delle competenti commissioni permanenti della Camera e del Senato;

e) sempre il Ministro per i beni e le attività culturali interviene ad integrare il Consiglio di amministrazione nell'ipotesi in cui non vi sia partecipazione di altri soggetti pubblici o privati (o nel caso in cui tale partecipazione sia inferiore al 5 per cento del patrimonio della Fondazione): in tali frangenti, quindi, ed anche in prima applicazione della presente innovazione e fino a quando non si raggiunga la predetta percentuale, il Ministro provvede ex lege a designare un (solo) componente in sostituzione dei componenti consiliari che avrebbero dovuto essere designati dagli eventuali ulteriori partecipanti;

f) anche la delibera di ammissione di nuovi soggetti partecipanti all'istituzione "è sottoposta all'approvazione del Ministero per i beni e le attività culturali" (essa "si intende approvata trascorsi, senza osservazioni, trenta giorni dalla sua ricezione da parte del Ministero stesso": cfr. art. 10, comma 1, lett. i) del decreto n. 19 cit.);

g) i compensi spettanti al Presidente, ai componenti del Consiglio di amministrazione, ai direttori dei settori di attività culturali, nonché il rapporto di lavoro e il trattamento economico del direttore generale sono stabiliti con deliberazioni del Consiglio di amministrazione soggette ad "approvazione" da parte del Ministero;

h) resta sostanzialmente invariato, a conferma dell'impianto tutorio generale, l'art. 24 del decreto n. 19 cit., dedicato ai poteri di "vigilanza" di cui è titolare l'amministrazione governativa.

E' chiaro che l'esito di una rapida ponderazione degli elementi organizzativi "sintomatici" così raggruppati propende decisamente per una prevalenza dei caratteri che contraddistinguono l'istituzione quale ente pubblico non solo (e non più soltanto) nazionale, bensì tipicamente statale.

Un ulteriore profilo di ambiguità, e che invero pare moltiplicare l'effetto della conservata strumentalità organica quale risultante dai profili da ultimo enumerati, risiede nella ri-determinazione e ri-classificazione degli organi della Biennale e della loro collocazione all'interno dell'istituzione.

In proposito il caso del Comitato scientifico, oggi ribattezzato "Comitato tecnico-scientifico" (art. 11 del decreto n. 19 cit.), è assai indicativo di una tendenza marcata al rafforzamento degli altri organi, specialmente del Consiglio di amministrazione e del Presidente.

Si noti, innanzitutto, che, per un presumibile ma imperdonabile difetto di coordinamento (forse analogo a quello che nel procedimento per l'elaborazione e l'adozione dello statuto ex art. 4 del decreto n. 19 cit. lo mantiene ancora come "comitato scientifico" tout court), il comitato tecnico-scientifico scompare letteralmente dalla nuova elencazione degli organi di cui la Biennale è normativamente dotata (cfr. art. 7, comma 1, del decreto n. 19 cit.). Il comitato, inoltre, mentre nel regime precedente aveva una composizione definita ed un chiaro ruolo decisorio (e decisivo) circa la definizione dei programmi, degli indirizzi di carattere culturale ed artistico e, in generale, delle principali attività della Biennale, oggi viene espressamente definito quale organo consultivo, chiamato perciò ad esprimere pareri "su tutti i settori di competenza della Fondazione", e destinato ad essere plasmato, quanto ad ulteriori compiti e a composizione, dalla disciplina statutaria.

Quest'ultima caratteristica, se certamente rende il Comitato uno strumento organizzativo flessibile, non si può sottrarre all'impressione che l'innovazione in esame tradisca la chiara volontà del legislatore delegato di lasciare ai soggetti di prevalente espressione politica (e all'organo generale di governo in cui essi trovano espressione, ossia il Consiglio di amministrazione) la decisione ultima in ordine alle linee fondanti dell'azione culturale dell'istituzione: nel nuovo sistema, infatti, è proprio il Consiglio a definire tutti gli indirizzi generali dell'attività gestionale e ad adottare il nuovo "documento programmatico pluriennale che determina le strategie, le priorità e gli obiettivi da perseguire, i relativi programmi di intervento della fondazione stessa, l'organizzazione delle mostre o manifestazioni, nonché le attività stabili di studio, ricerca e sperimentazione" (così l'art. 10, comma 1, lett. b) del decreto n. 19 cit.); in questo caso, il Comitato tecnico-scientifico è chiamato ad esprimere soltanto attraverso i pareri che ordinariamente gli competono per ogni settore di intervento.

Peraltro, all'interno del Consiglio di amministrazione, risulta assai rinforzato il ruolo ed il peso del Presidente, sia sotto il profilo dell'esplicita regola secondo la quale, per ogni delibera, in caso di parità di voti "prevale quello espresso dal presidente", sia per quanto concerne la circostanza che proprio le deliberazioni di indirizzo cui si è accennato e l'adozione dello statuto e delle sue eventuali modificazioni "sono adottate con il voto favorevole del presidente" (cfr. art. 10, comma 2, del decreto n. 19 cit.): il che significa che l'organo monocratico di provenienza statale può condizionare in senso decisivo i momenti più significativi della vita dell'istituzione, singolarità, questa, che di certo contribuisce a connotare di ulteriore specialità (e rigidità e strumentalità) l'organismo culturale in questione.

In questa prospettiva, allora, e rammentando quanto anticipato in merito all'alterazione degli equilibri organizzativi espressi nel precedente assetto disciplinare, non è chi non veda come la razionalità funzionale del previgente riparto delle competenze tra consiglio di amministrazione (cui spettava la gestione amministrativa e finanziaria) e comitato scientifico (cui spettava la gestione tecnicamente culturale) [7] sia stata del tutto superata a favore dell'affermazione della generale competenza decisoria del primo (e del suo Presidente) e del ruolo comprimario e meramente consultivo del secondo, con finale abbandono del metodo diarchico che, mutatis mutandis, poteva garantire anche in questa istituzione un'imprescindibile (e in questo contesto, naturale) esigenza di separazione tra indirizzo politico e amministrazione strettamente tecnica.

Non si capisce, poi, almeno a prima lettura, il significato di alcune precisazioni (o di alcune omissioni), che, nella loro specifica formulazione (o mancanza), o danno luogo a curiose perplessità pratiche o rivelano intendimenti ancora una volta e lato sensu politici.

In particolare, non sembra logica, se non in un'ottica di espresso riconoscimento (che risulta però puramente formale) di specifica importanza della venezianità della Biennale e della necessaria e personale presenza di chi è rappresentante in carica della comunità cittadina, la previsione secondo la quale in Consiglio d'amministrazione debba comunque figurare, tra i componenti ex lege, il Sindaco di Venezia e non più anche un suo delegato particolarmente qualificato e dotato dei necessari requisiti di professionalità. La soluzione non sembra logica, ovviamente, perché è difficile che il sindaco di una città così complessa e problematica possa attendere con efficacia e costanza ad un compito così significativo. Sicuramente la disposizione va coordinata con quelle successive, nelle quali non si prevede più che i componenti di estrazione regionale o provinciale siano designati dai consigli dei relativi enti territoriali, bensì che quegli stessi componenti siano direttamente il Presidente della Regione ed il Presidente della Provincia (o, almeno questa volta, soggetti da loro delegati): in buona sostanza, tali modifiche prenderebbero in un certo qual modo atto sia del fatto che il disegno attuale della cd. "costituzione materiale" (ed elettorale) dei governi territoriali locali e regionali individua nell'organo monocratico di direzione e rappresentanza il soggetto cui imputare tutta la responsabilità delle scelte del rispettivo ente e cui demandare non solo l'espressione ma anche l'iniziativa delle principali determinazioni politiche della comunità, sia della circostanza che, in pratica, quel soggetto dovrebbe essere espressione degli orientamenti maggioritari dei cittadini. Tali circostanze, tuttavia, non escludono di per sé l'illogicità dell'impossibilità, per il Sindaco di Venezia, di nominare un proprio delegato.

Dall'assetto riformato, poi, emergono anche ulteriori innovazioni, in parte positive, in parte negative e, come tali, pur sempre significative perché caratterizzanti l'ambiguità organizzativa già più volte segnalata:

a) la descrizione maggiormente dettagliata delle materie di afferenza statutaria (art. 4 del decreto n. 19 cit.);

b) la duplice circostanza, forse non del tutto favorevole, che non sia più prevista, tra gli organi dell'ente, l'"assemblea dei privati", i cui compiti e la cui costituzione erano rimessi allo statuto, e che i privati partecipanti all'istituzione siano quindi rappresentati solo all'interno del Consiglio di amministrazione e con la composizione e le modalità previste dalla relativa disciplina; tale circostanza non sembra di per sé favorevole perché se è vero che con ciò si elimina un organismo di incerta natura e di ancor più incerta funzione e competenza (poiché la loro determinazione era rimessa allo statuto) è altrettanto vero che simile opzione sancisce un certo ridimensionamento nell'apertura della Biennale a partecipanti che siano diversi da quelli normativamente previsti come necessari, e ciò perché, ormai, detta apertura è chiaramente condizionata al solo peso della partecipazione finanziaria; difatti, se da un lato resta invariato, per tale partecipazione, il limite del 40 per cento del patrimonio dell'ente, dall'altro si prevede: 1) che i relativi rappresentanti non possano essere più di tre, e che non sia più vigente il meccanismo che poteva condurre ad una rappresentanza potenzialmente paritaria; 2) che quei medesimi rappresentanti possono essere nominati in Consiglio di amministrazione soltanto dai soggetti "che conferiscono inizialmente, come singoli o cumulativamente, almeno il 20 per cento del patrimonio della Fondazione e che assicurano un apporto annuo ordinario per la gestione dell'attività della Fondazione non inferiore al 7 per cento del totale dei finanziamenti statali" (art. 9 del decreto n. 19 cit.); 3) che sono ammessi al Collegio dei revisori dei conti, con la nomina di un membro effettivo del medesimo, soltanto qualora partecipino al patrimonio della Fondazione in misura non inferiore al 20 per cento (art. 12 del decreto n. 19 cit.);

c) la nuova norma di cui all'art. 3, comma 3-bis, del decreto n. 19 cit., la quale prevede che la Fondazione, "previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, può altresì partecipare, con capitale non inferiore al 51%, a società di capitali, o promuoverne la costituzione in conformità agli scopi istituzionali": sembra che tale possibilità, che viene ovviamente limitata in quanto strumentale al perseguimento degli obiettivi culturali dell'organismo in questione, rappresenti il modello preferenziale attraverso il quale soggetti privati possono contribuire alla realizzazione di quegli stessi obiettivi, e cioè mediante un loro coinvolgimento finalizzato ed esterno rispetto a quello (come si è visto un po' disincentivato) della contribuzione diretta e dell'acquisto conseguente della qualità di "socio";

d) la nuova titolarità della capacità di sottoscrivere contratti o altri atti fonte di obbligazioni: se prima tali poteri erano chiaramente riservati al Presidente, oggi essi sono scomparsi dalla nuova formulazione dell'art. 8, comma 2, con il risultato che detto potere è transitato apertis verbis nelle competenze del direttore generale (art. 17 del decreto n. 19 cit.), residuando in capo al Presidente la legale rappresentanza in genere; il dato è positivo, poiché in tal modo si demanda all'organo gestionale ed operativo per eccellenza una funzione che gli compete naturalmente;

e) la disciplina relativa ai direttori responsabili dei diversi settori di attività culturali (art. 14 del decreto n. 19 cit.): le modificazioni apportate sul punto prevedono che i direttori possano essere anche sostituiti, per programmi caratterizzati da particolare complessità o per specifici interventi, da un collegio di esperti formato da non più di tre membri;

f) l'esclusione dal termine massimo di durata quadriennale degli organi della Fondazione dei soggetti che nel Consiglio di amministrazione rivestono il ruolo di componenti di diritto (cfr. art. 7, ultimo comma, del decreto n. 19 cit.).

 

4. (Segue) L'istituto nazionale per il dramma antico

Se la situazione della Biennale è quella finora descritta, non può dirsi sostanzialmente differente neppure quella dell'INDA, sebbene la struttura organizzativa e le finalità di quest'ultimo organismo siano del tutto differenti.

La lunga analisi delle modifiche e delle integrazioni apportate dal decreto n. 1/2004 permette infatti di intraprendere la lettura del decreto n. 33/2004 (dedicato, appunto, all'INDA), con una maggiore consapevolezza critica: va cioè ribadita, anche in tale contesto, la medesima impressione che si era già preannunciata all'inizio circa le contraddizioni interne di tutte le riforme in commento, le quali, se per un verso si propongono di valorizzare l'efficienza operativa, la flessibilità e la vocazionale apertura di modelli di origine privatistica, per altro verso sembrano annullare e risolvere i vantaggi di una siffatta opzione e delle conseguenze (non solo definitorie) che dovrebbero derivarne nella riaffermazione decisa dei tipici raccordi organici dell'amministrazione statale di connotazione strumentale.

D'altra parte, anche con riferimento all'INDA e al suo rinnovato assetto organizzativo, si manifestano, nel decreto n. 33/2004, indici precisi che confermano questa conclusione e che possono essere compendiati in tal modo:

a) in primo luogo si ripete la già denunciata ed apparentemente risolutiva attitudine declamatoria delle soluzioni nominalistiche, di fatto tradite dalla configurazione concreta della struttura riformata: ad esempio, lo spostamento a Siracusa della sede amministrativa dell'ente (cfr. art. 1 del decreto n. 33 cit.), simbolicamente voluto a riaffermazione precisa delle precise origini storiche dell'istituzione e a formalistica conclusione di una polemica nota e risalente [8], viene subito temperata dal mantenimento a Roma della sede legale e dalla vistosa accentuazione della presenza ministeriale nei meccanismi organizzativi e gestionali più significativi;

b) sotto quest'ultimo profilo, infatti, non può non rilevarsi la diffusa riproposizione di sintomi rilevanti di una vigilanza statale decisamente marcata, ed è singolare notare che essi si manifestano quasi negli stessi modi, con gli stessi meccanismi operativi e negli stessi contesti che si sono già incontrati nella disciplina della Biennale: v., in proposito, artt. 2, comma 1 del decreto n. 33 cit. (approvazione ministeriale dello statuto ed eventuale commissariamento), 4, comma 4 (nomina ministeriale del collegio dei revisori), 5 (nomina ministeriale di tutto il consiglio di amministrazione, che, oltre al Sindaco di Siracusa e ai consiglieri designati dalla Regione Sicilia, dalla Provincia di Siracusa e dalla Conferenza unificata ex lege 28 agosto 1997, n. 281, è composto di un consigliere delegato, con funzioni di direzione dell'ente, e di altri due consiglieri, tutti parimenti di nomina ministeriale, unitamente al consigliere da individuare in rappresentanza dei partecipanti privati allorché questi, come per il caso della Biennale, non raggiungano i limiti previsti affinché la loro partecipazione sia a questi fini rilevante), 9 (vigilanza dell'autorità governativa e poteri di scioglimento del consiglio di amministrazione);

c) la forte presenza ministeriale è ancor più accentuata dalla sostituzione del comitato scientifico (originariamente nominato dal Consiglio di amministrazione e sottoposto all'approvazione ministeriale) con un "Sovrintendente" (art. 6 del decreto n. 33 cit.), oggi di estrazione puramente e direttamente governativa, e destinato non solo ad elaborare tutti i programmi da sottoporre al Consiglio di amministrazione per la futura attività dell'INDA ma anche a dirigere e coordinare "in autonomia" (sic) quell'attività: anche qui, allora, come per la Biennale, viene sancito l'abbandono di un modello di amministrazione diarchica basata sulla divisione tra competenze amministrative e programmazione stricto sensu culturale, con finale opzione per un sistema in cui i ruoli appaiono maggiormente confusi a vantaggio del Consiglio di amministrazione, o, meglio, delle sue espressioni ministeriali (in primis, proprio il "Sovrintendente", organo che, solo nel nomen, mutua una chiara ispirazione burocratica, di tradizionale e risalente acquisizione);

d) anche la partecipazione dei privati sembra nuovamente incentivata soltanto attraverso le modalità, per così dire "esterne", della partecipazione dell'INDA stesso a società di capitali o dello svolgimento da parte del medesimo di attività commerciali e di altre attività accessorie "in conformità agli scopi istituzionali" (art. 3 del decreto n. 33 cit.).

 

5. (Segue) Il Centro sperimentale di cinematografia

Se la situazione dell'INDA e della Biennale sembrano sostanzialmente convergenti su tendenze organizzative comuni (con le dovute differenze organiche, legate, tra l'altro, alla presenza di un vero e proprio "Sovrintendente" nella struttura del primo dei due enti), giova precisare che anche l'evoluzione della disciplina relativa al CSC, modificata ed integrata dal decreto n. 32/2004 cit., tradisce nell'interprete le medesime impressioni che si sono finora espresse, con l'aggiunta, tuttavia, di un ulteriore grado di perplessità.

Ad essere oggetto di trasformazione in "Fondazione" (denominata, appunto, "Centro sperimentale di cinematografia") è in questo caso la "Scuola nazionale di cinema", prima disciplinata dal decreto legislativo 18 novembre 1997, n. 426, il quale, a sua volta, era stato comunque adottato anche in specifica attuazione della delega con riferimento alla quale erano stati emanati i decreti legislativi nn. 19 e 20, del 1998, relativi alla Biennale e all'INDA: la disposizione che è d'obbligo citare è sempre l'art. 11, comma 1, lett. b) della legge 11 marzo 1997, n. 59, ed in proposito valgano le medesime osservazioni che si sono esposte nella premessa di questo commento, con l'avvertenza però che il decreto n. 32/2004 non riprende nel preambolo né quest'ultima norma né l'art. 1 della legge n. 137/2002, bensì l'art. 10, comma 1, lettera b) di quest'ultima legge.

La circostanza non è invero trascurabile, poiché la consapevolezza, da parte del legislatore delegato, di non muoversi più all'interno delle scelte e dei principi delineati dalla riforma istituzionale del 1997, si fa ancor più consapevole, proiettandosi, peraltro, in scelte organizzative che non coinvolgono più (o, meglio, non coinvolgono solo) il semplice riassetto di enti pubblici di interesse nazionale, ma si spingono a definire strutture che, almeno in parte, se non sembrano di per sé irriducibili a quella stessa categoria, in quanto ne ripetono tutti i caratteri, sembrano ugualmente allontanarsene, per dirigersi verso spazi di autonomia costituzionalmente garantita.

Tralasciando i rilievi linguistici e definitori che si sono già avanzati con riferimento alla Biennale e all'INDA, e che sono comunque validi anche per comprendere alcuni sviluppi della disciplina posta dal decreto n. 32/2004, si può constatare senza difficoltà che la più importante cesura tra la nuova "Fondazione" e il vecchio modello organizzativo della "Scuola nazionale di cinema" sia la chiara ri-articolazione dei settori di cui quell'istituzione si occupava, con ciò alludendo immediatamente al fatto che il nuovo CSC è sostanzialmente diviso in due strutture (ora) separate, denominate rispettivamente "Scuola nazionale di cinema" e "Cineteca nazionale", e dirette, nell'ordine, da un "Preside" e da un "Conservatore" (cfr. art. 4, comma 1, del decreto n. 32 cit.).

Così, mentre la "Scuola" è chiamata a realizzare gli obiettivi che il CSC si pone nell'ambito dello "sviluppo dell'arte e della tecnica cinematografica ed audiovisiva a livello di eccellenza" (cfr. l'art. 4, comma 1, del decreto n. 32 cit., ma v. anche l'art. 3, comma 1), la "Cineteca" provvede "alla raccolta delle opere della cinematografia nazionale, alla loro conservazione e, ove occorre, al loro restauro, anche con la ricerca di tecnologie più avanzate", alla "conservazione dei negativi delle opere filmiche nei casi previsti dalla legge", alla "raccolta" e "conservazione" di opere della "cinematografia internazionale", al "coordinamento sul territorio nazionale con le cineteche che ricevono sostegni e contributi pubblici" etc. (v. sempre all'art. 4, comma 1, del decreto n. 32 cit.).

Il problema, in questo contesto ulteriormente visibile, se non maggiormente delicato, è che, mentre con riferimento alla "Cineteca" ed al relativo settore organizzativo si possono giustificare (ma anche criticare, come si è visto supra) determinate scelte strutturali, tese a ricondurre lo spazio del governo dell'istituzione alle prerogative pressoché generali di un Consiglio di amministrazione posto in buona parte, sia organicamente che funzionalmente, sotto diretta tutela ministeriale, viceversa, per quanto concerne la "Scuola", tale assetto risulta tanto più discutibile, giacché esso implica una sorta di trasformazione in via regressiva di un ente che si andava via via aprendo ad una condizione di autonomia avvicinabile a quella che la Repubblica deve garantire, seppur nei limiti di una legge che ne disciplini le forme, alle "istituzioni di alta cultura" di cui all'art. 33, ultimo comma, Cost. [9].

Vero è che un simile ragionamento può essere sviluppato anche con riferimento alla Biennale e all'INDA, ma è altrettanto vero che la particolare vocazione alla ricerca e alla formazione d'eccellenza di cui (tanto più oggi) dispone la Scuola nazionale di cinema del CSC sembra prefigurare con chiarezza la ristrettezza del modello verticale e burocratico rispetto alle esigenze istituzionali di un soggetto che acquista una precisa (ed organizzativamente distinta) finalità tecnica e funzionale.

Non si può dimenticare, ad esempio, che, anche per quanto attiene al CSC, e così come è avvenuto anche per la Biennale e l'INDA, il ruolo del "vecchio" Comitato scientifico è stato ridotto in chiave meramente consultiva, e che pertanto l'ordinamento degli studi della Scuola è integralmente definito ("determinato") con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (cfr. art. 4 cit.): al comitato scientifico, in sostanza, spetterà farsi carico della relativa "proposta" che viene rimessa alla "Scuola".

Altro indice del fatto che la Scuola è stata inserita nell'ambito della rete della formazione specialistica ed avanzata, e che pertanto a tale sviluppo dovrebbe seguire una coerente promozione sul piano dell'organizzazione e dell'autonomia, è rappresentato dalla circostanza che l'ordinamento degli studi di cui si è detto dev'essere elaborato "in conformità alle disposizioni che disciplinano l'alta formazione artistica" (cfr. sempre art. 4 cit.), ossia ai criteri che dovrebbero essere posti con legge e che dovrebbero altresì costituire sia il parametro minimo ed inderogabile (e via via perfettibile) degli obiettivi che la Repubblica si pone per questo particolare tipo di attività formativa sia il limite oltre il quale è la proiezione organizzativa della libertà della scienza e dell'insegnamento costituzionalmente tutelata ad esigere coerenti e proporzionali spazi di autonomia.

Si noti, peraltro, che questo particolare inciso potrebbe aiutare l'interprete a reperire, sul piano del diritto positivo, e, in maniera specifica, di quello approvato dopo la ben nota riforma del Titolo V della Costituzione, un possibile (ed alternativo) livello di classificazione e di lettura costituzionale per la condizione di tutti gli enti che, a vario titolo e secondo i più differenti statuti, si occupino di fornire istruzione e/o formazione (anche elevata e specialistica) con lo strumento della "scuola": in altri termini, anche a non voler ritenere applicabile l'art. 33, ultimo comma, Cost., si dovrebbe prendere atto della circostanza che la formulazione di cui al comma 3 dell'art. 117 Cost. sulla salvezza dell'autonomia delle "istituzioni scolastiche" può, a rigore e come di regola è naturale, essere riferita anche a quegli enti che, pur dipendendo in tutto e per tutto dallo Stato e da una sua specifica branca amministrativa, siano una forma di realizzazione dell'obbligo di cui all'art. 33, comma 2, Cost. (i.e., dell'obbligo di istituire "scuole statali per tutti gli ordini e gradi").

Ad ogni modo, e concludendo la presente analisi, può evidenziarsi ancora una volta che, più in generale, le scelte del legislatore delegato sono analoghe se non sovrapponibili a quelle già operate con riferimento alla Biennale, e non solo per ciò che si è detto in relazione al ruolo del Consiglio di amministrazione, ma anche per quanto attiene, ad esempio, alle modalità con le quali possono partecipare all'istituzione soggetti privati: anche in questo frangente, infatti, l'eventualità di avere un proprio rappresentante nel Consiglio è limitata ai partecipanti che garantiscano un certo contributo (un milione di euro all'anno) e per il solo periodo (sempre annuale) cui il contributo si riferisce; non è escluso, invece, che il CSC possa partecipare a società di capitali o ad altre iniziative commerciali.

 

6. Sintomatologia di un ibridismo mai guarito: conclusioni costituzionali

Al termine di questa rapida, e per molti versi approssimativa, rassegna del nuovo status organizzativo della Biennale di Venezia, dell'Istituto nazionale per il dramma antico e del Centro sperimentale di cinematografia, possono avanzarsi alcune riflessioni finali che in parte sanciscono ulteriormente la lontananza del legislatore delegato dalle nuove esigenze dell'ordinamento repubblicano della cultura, ed in parte, tuttavia, contribuiscono a distinguere situazioni che sinora si sono presentate come comuni ai soli fini, dimostrativi, dell'illustrazione di ciò che si dovrebbe definire indirizzo politico-legislativo attuale.

Innanzitutto si deve precisare che la conquistata centralità, in genere, dell'organo consiliare e, nel suo contesto, degli organi di nomina politica, non spiega necessariamente effetti negativi, a condizione, tuttavia, che negli statuti si recuperino spazi di efficiente distribuzione del lavoro e di altrettanto efficiente valorizzazione dell'expertise tecnico di cui simili enti debbono essere dotati.

Quindi, il repentino abbandono del modello della "Società di cultura", che avrebbe potuto costituire un valido esempio di nuovo modello organizzativo, elastico ed aperto sin dalla denominazione ad apporti "interni" anche di eterogenea natura e non solo finanziari, può costituire un segnale di per sé poco positivo, non tanto per la scelta generalizzata dello strumento fondazionale, quanto per la perpetuazione di un ibridismo, invero mai guarito, e tipico di molta parte del settore culturale: come si è visto, non è un problema di nomi, quanto di equilibri, e pare pertanto preoccupante, se non paradossale, che in un generale contesto nel quale si cerca di assecondare e di stimolare l'operatività del principio di sussidiarietà e del principio di autonomia (non solo territoriale) istituzioni potenzialmente tutelate dall'art. 33, ultimo comma, Cost. ritornino ad essere geneticamente (ed organicamente) condizionate dagli indirizzi politico-culturali dell'amministrazione statale e dai congegni burocratici più tradizionali e risalenti che essa usualmente conosce.

In quest'ottica, allora, non è da escludere che, nonostante il prestigio indiscusso degli organismi in esame, la scienza e l'arte (ed il relativo insegnamento) preferiscano ritrovare nuove formule organizzative e conseguenti e proporzionali metodi operativi, sia attraverso la diretta valorizzazione delle potenzialità congiunte di cui agli artt. 33 e 118, comma 4, Cost., sia mediante lo stimolo delle ulteriori autonomie, quelle territoriali, il cui potenziato regime permette la sperimentazione di forme partecipative e collaborative finalmente conformi alle esigenze più profondamente culturali.

 



Note
[1] Si tratta dei seguenti decreti legislativi: 8 gennaio 2004, n. 1 ("Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19, concernente "La Biennale di Venezia", ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137", in G.U. 14 gennaio 2004, n. 10); 22 gennaio 2004, n. 32 ("Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 18 novembre 1997, n. 426, concernenti i compiti e l'organizzazione della Fondazione "Centro sperimentale di cinematografia"", in G.U. 9 febbraio 2004, n. 32); 22 gennaio 2004, n. 33 ("Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 20, concernenti i compiti e l'organizzazione della fondazione "Istituto nazionale per il dramma antico"", in G.U. 9 febbraio 2004, n. 32).

[2] La legge in questione (recante "Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici") era stata pubblicata nella G.U. 8 luglio 2002, n. 158.

[3] A parziale riprova della contestualità suddetta cfr. il comunicato del Consiglio dei Ministri n. 141 del 16 gennaio 2004 (agevolmente reperibile al sito www.governo.it).

[4] Cfr., rispettivamente, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ("Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137", in G.U. 24 febbraio 2004, n. 45), decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 ("Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137", in G.U. 5 febbraio 2004, n. 29), decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30 ("Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali", in G.U. 7 febbraio 2004, n. 31). Per un primo commento ad alcune delle più significative disposizioni del "Codice dei beni culturali e del paesaggio" cfr. i contributi raccolti in questa Rivista, n. 1/2004.

[5] Per un commento a quella riforma cfr. G. Sciullo, La Biennale di Venezia come società di cultura, in Aedon, n. 1/1998; v., altresì, Id., La Biennale di Venezia resta "nazionale", ibid., n. 2/2000.

[6] V., in questi termini, G. Sciullo, op. cit.

[7] Cfr., su questa distinzione organizzativa, G. Sciullo, op. cit.

[8] In proposito è sufficiente richiamare la relazione illustrativa, datata 4 giugno 2001, alla Proposta di legge C. 467 sulla "Riforma dell'Istituto nazionale per il dramma antico" (On. Prestigiacomo), agevolmente reperibile al sito www.camera.it.

[9] In argomento cfr. le riflessioni di G. Franchi Scarselli, Prende avvio la riforma dell'istruzione artistica: le accademie di belle arti e i conservatori sono diventati autonomi, in Aedon, n. 3/2003.



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