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Dalle riforme amministrative alle riforme costituzionali
(Bologna, 8 febbraio 2001)

 

Il percorso delle riforme: le scelte compiute e le scelte da compiere [*]

di Luca Mezzetti



Condivido anch'io l'opinione del prof. Sciullo: non è facile trarre conclusioni che uniscano alla sinteticità anche la capacità di ricomprendere tutte le riflessioni e suggestioni che sono emerse dalle relazioni che sono state fatte durante il pomeriggio, veramente molto ricche e di grandissimo interesse. Il prof. Sciullo si è già soffermato su quelle che sono le traiettorie prevedibili di evoluzione riconducibili al testo di legge di revisione costituzionale approvato l'8 marzo 2001, per cui non starò a ripercorrere profili che sono già stati con grande perizia trattati. Vorrei dunque semplicemente - chiedendovi scusa per il modo inopinato con cui lo farò - fornire alcuni spunti di dibattito.

Innanzitutto mi sembra che il "modo", che negli ultimi due o tre anni è diventato torrentizio, o comunque sicuramente più impetuoso che in passato, di produzione normativa ed il conseguente dibattito dottrinale che è venuto concretizzandosi in materia di tutela del patrimonio storico-artistico e dei beni ambientali (il fatto stesso, dicevo, che siamo qui oggi a discuterne ed a ascoltare tante relazioni di certo interessanti) mi pare che confermi il fatto che la cultura ed i beni culturali sono il classico oggetto interessato da un fenomeno "carsico" particolarmente grave e pericoloso in Italia; voglio dire che, probabilmente, in questo momento siamo seduti dalla parte del letto del fiume emersa, ma non ci dobbiamo dimenticare che per tanti anni si è depositata sull'articolo 9 della Costituzione una patina che corrisponde allo spessore di polvere che danneggia i beni culturali.

Sotto questo profilo, mi pare che - se mi è premesso tentare alcune prime conclusioni - la predisposizione del decreto legislativo sull'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali e la predisposizione del Testo Unico sui beni culturali e ambientali siano una, forse incompleta, forse perfettibile, però sicuramente una attuazione dell'articolo 9 della Costituzione in linea con i contenuti che lo stesso articolo presenta, cioè non solo profili di tutela, ma anche, non dobbiamo dimenticarlo, profili legati alla promozione della cultura in generale, della ricerca scientifica e tecnologica, e via dicendo.

Mi pare - e passo poi al secondo aspetto - che questo complesso di normative, così come si presentano, tendano, almeno nel loro disegno complessivo, a perseguire l'obiettivo della valorizzazione (se mi è consentito il gioco di parole) ad un "livello costituzionale" del diritto alla cultura, di un diritto non solo a vedere tutelato e protetto il patrimonio culturale, ma anche all'accesso e alla fruizione del patrimonio culturale stesso. Questo, d'altra parte, risulta con particolare chiarezza, anche dal punto di vista letterale, dalla lettura delle normative di cui ci stiamo occupando.

Sinceramente non saprei come qualificarlo, perdonate il dubbio interpretativo, se come diritto fondamentale della persona o come diritto caratterizzato, come altri diritti interpretati dalla Corte costituzionale, da connotati di fondamentalità e di socialità; comunque si tratta sicuramente di un profilo legato ai contenuti dell'articolo 3, comma 2, della Costituzione, cioè si tratta di una forte rimozione di un ostacolo che si frapponeva allo sviluppo della personalità, o almeno all'aspetto "sociale" della stessa.

Altro ordine di osservazioni: mi pare che l'articolo 9 della Costituzione e tutte le problematiche connesse, che da esso derivano, debbano essere inquadrate, anche dal punto di vista sistematico, tenendo ben presente dove tale articolo stia: è un principio fondamentale della Costituzione. Sotto questo profilo, mi pare che sia inevitabile in parte legarlo all'articolo 2 e all'articolo 3, ma, nella prospettiva recentissimamente seguita dal legislatore, legarlo anche all'articolo 6 (tutela delle minoranze etnico-linguistiche) e agli articoli 10 e 11. Vi spiego subito perché.

Anche qui, sotto molti profili piuttosto interessanti, la maggiore e rinnovata attenzione del legislatore alla protezione e alla valorizzazione delle lingue "minoritarie" come lingue protette (musulmano..) e il riferimento, d'altra parte, accanto ai beni "classici", ad altri beni come, ad esempio, i beni appartenenti al patrimonio demo-etno-antropologico - parola difficilissima, che dà conto però dell'attenzione rivolta non solo ai beni classici della cultura ma anche a quelli più innovativi - dicevo, questi profili, a mio avviso, vanno inquadrati nell'ottica di apertura alle "culture" che i principi fondamentali della Costituzione italiana richiedono. Insomma, ci stiamo occupando di problematiche che, vogliamo o no, ci piaccia o no, vanno, da un lato, misurate con la dimensione europea, dall'altro vanno misurate o andranno misurate in tempi brevissimi con contesti culturali non dico completamente nuovi, però profondamente nuovi rispetto al passato: mi riferisco, ad esempio, ai rapporti culturali che saranno necessariamente forti ed intensi con tutte le realtà dell'Est europeo che entreranno fra poco nell'Unione europea.

Qui, a mio avviso, si pone necessariamente un problema che presenta due facce, l'una non meno problematica dell'altra e solo apparentemente contrapposte, cioè un primo profilo, relativo all'esigenza di conservare una certa identità al nostro patrimonio culturale; dall'altro, la necessità di aprire comunque il nostro patrimonio culturale e di creare le opportune sinergie con realtà con le quali saremo inevitabilmente destinati a convivere per il futuro.

L'altro aspetto, sempre sotto il profilo costituzionale, che devo toccare: le relazioni tra l'articolo 9 e l'articolo 33, cioè le problematiche connesse all'indirizzo e al "pilotaggio", diciamo, delle politiche culturali rispetto alla libertà della scienza e della cultura. Questi, a mio avviso, sono temi che si legano alle problematiche a cui accennava prima il prof. Cammelli e che ricordava nella sua relazione il dott. Franchi, cioè la necessità di tenere sganciata per quanto possibile la cultura da una dinamica che sarà sempre più inevitabilmente bipolare, probabilmente conflittuale anche con code possibili di consociativismo, però un conflittuale sempre più bipolare, sempre più dinamico; allora effettivamente, pensare a una tutela, gestione, valorizzazione, promozione (nessun aspetto escluso, ma chiaramente il pensiero va soprattutto agli ultimi tre segmenti) affidata a soggetti che siano sganciati a loro volta dalle dinamiche politiche e quindi da tutte le turbative e tutte le pulsioni che possono derivare da tutti i livelli dell'ordinamento, effettivamente questa sarà una problematica che dovrà trovare una soluzione originale.

Io non credo che sia eccessivamente audace pensare, anche in questo settore, quanto meno sotto i profili della gestione, valorizzazione, promozione, a una autorità sul modello delle autorità indipendenti che, sia a livello centrale che a livello locale - ovviamente pensando alle dovute sinergie tra i due livelli - svolga compiti in un regime non dico di piena libertà, ma sicuramente di maggiore libertà rispetto a istituti che sono comunque una emanazione dei limiti di riferimento rispetto alla situazione attuale. Sto pensando, cioè, a una agenzia statale eventualmente correlata all'esistenza di agenzie regionali.

Due osservazioni per concludere. Mi pare che, per quanto riguarda in particolare il profilo della tutela, a monte vi sia un problema veramente enorme, che è quello che, se non ricordo male, è stato prima menzionato dalla dott.ssa Sessa nella sua relazione, e cioè quello della catalogazione. Noi stiamo utilmente discutendo sul "chi deve fare che cosa", però l'oggetto degli interventi rimane, purtroppo, in larga misura sconosciuto. A monte, infatti - certo, so bene che esistono progetti, tutta una serie di attività rivolte al raggiungimento di questo obiettivo -, manca una concreta e sufficientemente conoscibile definizione dell'oggetto su cui operare. Questo a mio avviso è un presupposto imprescindibile per la ragione molto semplice che, veramente, mutando la natura quantitativa e qualitativa del bene, si può diversamente direzionare l'attività di tutela, valorizzazione, gestione e promozione.

Una ultimissima osservazione, che prende in considerazione i risultati raggiunti in sede di razionalizzazione amministrativa. Io ho l'impressione che queste riforme sulle quali ci stiamo confrontando e con le quali ci stiamo misurando - e cioè, a monte, la legge 15 marzo 1997, n. 59, poi il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e il Testo Unico dei beni culturali e ambientali, lo stesso Testo Unico degli enti locali che contiene alcuni significativi cenni al nostro riguardo, e cioè, dicevo, le stesse perplessità e difficoltà interpretative a cui faceva prima riferimento il prof. Sciullo - siano in larga misura derivate dal fatto che si è avuto un balzo in avanti, una pulsione fortissima del moto delle riforme con la l. 59/1997, che a mio avviso doveva essere una legge costituzionale da subito e non lo è mai stata.

Adesso ci troviamo di fronte ad una legge di revisione costituzionale che dice una cosa diversa dalla l. 59/1997 sulla base della quale però, sono stati concepiti il Testo Unico dei beni culturali e ambientali e la riforma dei ministeri; una legge che impone una riflessione profonda su contenuti normativi di recentissima approvazione.

Insomma, la razionalizzazione, e dal punto di vista costituzionale delle competenze (che è chiara da decenni in Costituzioni come quella tedesca, spagnola, portoghese, ecc.) e la stessa sintonia che può e deve essere raggiunta tra sede costituzionale di determinazione delle competenze e sede legislativa primaria di svolgimento di queste competenze (si tratta di una filiera che non consente sbavature), mi pare che sia un obiettivo non ancora perseguito e di difficile perseguimento.



Note

[*] Intervento non rivisto dall'autore.

 



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