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Le fondazioni di origine bancaria a sostegno di arte e cultura.
Modelli e strumenti operativi

di Giovanna Endrici


Sommario: 1. Premessa. - 2. La genesi della figura. - 3. La "missione" delle fondazioni. - 4. L’assetto organizzativo. - 5. Modelli di fondazione e strumenti di intervento. - 6. A sostegno dell’arte e della cultura.



1. Premessa

Il settore arte e cultura occupa la prima posizione - quanto a importi erogati - tra i settori di intervento delle fondazioni di origine bancaria: si tratta di una costante, in sensibile crescita [1], che vede, rispetto all'ultimo anno censito (1998) il 35,8% delle risorse erogate destinato a questo settore, mentre altri settori si assestano tra il 10 e il 15% (istruzione, assistenza sociale, sanità) o su quote inferiori. Il settore arte e cultura, d'altra parte, è quello in cui le fondazioni sono presenti in maggior numero.

Sulle fondazioni ex bancarie molto è stato detto e scritto, accompagnandone la decennale evoluzione normativa. A prescindere, in questa sede, dalle molte questi tutt'oggi controverse, a partire dalla loro natura giuridica [2], si tratta di coglierne brevemente i profili caratterizzanti, sul piano strutturale e funzionale, per poi cercare di calare l'istituto sullo scenario dei beni culturali.

Con la consapevolezza, peraltro, che il processo di costruzione dell'identità delle fondazioni è tuttora in corso: affidato, a questo punto, alle stesse fondazioni, chiamate a definire il proprio ruolo attraverso il potere statutario e regolamentare, nonché attraverso le concrete scelte di indirizzo e operative.

 

2. La genesi della figura

Le fondazioni sono il portato di un processo, avviato all'inizio degli anni '90, che si snoda lungo tutto il decennio seguendo un percorso ondivago, che ne delinea la figura - non priva di ambiguità - attraverso varie tappe.

Il punto di arrivo è il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, in attuazione della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 (c.d. legge Ciampi); il punto di partenza la legge 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. legge Amato). Questa, insieme al decreto legislativo di attuazione (20 novembre 1990, n. 356) avvia la privatizzazione formale degli istituti di credito di diritto pubblico. L'obiettivo è quello di rendere il sistema più efficiente, consentendo alle banche di fare ricorso al mercato azionario e di operare quelle concentrazioni ritenute necessarie per superare la eccessiva parcellizzazione del sistema e competere sul mercato europeo.

La privatizzazione formale viene realizzata attraverso diverse strade, a seconda che la originaria struttura dell'istituto di credito fosse di carattere associativo o fondazionale; l'esito del percorso consiste in uno sdoppiamento di figure: da un lato l'ente conferente, che rimane depositario delle finalità di carattere pubblicistico, dall'altro la società conferitaria dell'impresa bancaria.

La legge Amato aveva come obiettivo la privatizzazione formale, e disponeva un complesso meccanismo per l'eventuale cessione delle azioni; il vincolo viene eliminato dalla legge 30 luglio 1994 n. 474 sulle dismissioni delle società in mano pubblica, che affida al ministro del Tesoro il compito di definire le procedure; con la c.d. direttiva Dini del 18 novembre 1994 la logica della legge Amato viene ribaltata, prevedendosi una progressiva riduzione delle quote azionarie nelle società partecipate; vengono infatti fissati criteri e procedure che finiscono per rendere obbligatoria la cessione.

La privatizzazione sostanziale è quindi perseguita dal d.lg. 153/1999, che pone l'obbligo di dismissione delle banche entro sei anni; gli enti conferenti diventano persone giuridiche private, con piena autonomia statutaria e gestionale. Segue la fase di rinnovo degli statuti, secondo i principi fissati dal decreto e guidata dall'atto di indirizzo del ministro del Tesoro 5 agosto 1999.

 

3. La "missione" delle fondazioni.

La questione della "missione" delle fondazioni costituisce uno dei fili conduttori della riforma: il tortuoso percorso che ha portato dagli istituti di credito alle fondazioni ex bancarie ha infatti inteso dare una nuova identità agli enti, chiamati dapprima a scorporare le aziende bancarie e poi a rinunciare al controllo su di esse. Stante che l'originaria vocazione alla beneficenza era di fatto superata, e trasformata in attività di erogazione strumentale all'attività bancaria, si trattava di ridefinire ex novo il ruolo degli enti conferenti a servizio della società civile ed economica, una volta dismessa l'attività bancaria.

Ciò che viene precisato attraverso vari passaggi: dall'originaria statuizione del d.lg. 356/1990 (in base alla quale gli enti avrebbero dovuto perseguire scopi di utilità sociale nell'ambito dei settori individuati); alla disposizione della direttiva Dini, che prevede l'adozione di regolamenti volti a disciplinare le procedure di programmazione degli enti fondazione; alla trasformazione in fondazioni di diritto privato - in base alla legge Ciampi - chiamate a definire statutariamente la loro missione [3].

In base all'art. 2 del d.lg. 153/1999 le fondazioni "perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti". Spetta allo statuto individuare i settori verso i quali ciascuna fondazione indirizza la propria attività, comprendendo tra questi almeno uno dei settori rilevanti. Settori rilevanti sono, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera b) della legge delega, quelli della ricerca scientifica, dell'arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell'assistenza alle categorie sociali più deboli. Al di fuori dei settori rilevanti gli statuti possono prevedere altri settori di utilità sociale, individuando grandi aree o settori omogenei di interventi.

Gli statuti, in realtà, tendono a contemplare tra i propri obiettivi l'intera rosa di settori di intervento prevista dal legislatore, rinviando alla fase programmatoria l'eventuale preferenza, di tempo di tempo, per uno o più di essi. Le fondazioni tendono insomma ad essere pluri-vocate e flessibili rispetto agli obiettivi fissati dal legislatore. Sul piano fattuale risulta però forte la propensione delle fondazioni a polarizzare il proprio intervento in un numero ridotto di settori [4].

Resta affidata alle stesse fondazioni la determinazione, nelle forme stabilite dagli statuti, delle modalità e criteri che presiedono allo svolgimento dell'attività istituzionale "con particolare riferimento alle modalità di individuazione e di selezione dei progetti e delle iniziative da finanziare, allo scopo di assicurare la trasparenza dell'attività, la motivazione delle scelte e la più ampia possibilità di tutela degli interessi contemplati dagli statuti, nonché la migliore utilizzazione delle risorse e l'efficacia degli interventi" (art. 3, comma 4). La trasparenza, insomma, viene considerata il principale antidoto ai rischi dell'autoreferenzialità.

L'esigenza di trasparenza delle scelte e dei criteri che presiedono all'attività, come quello dell'efficacia dell'azione, rivestono per le fondazioni un'importanza prioritaria, in ragione della loro particolare natura di organismi che si legittimano nell'ancoraggio al sociale e nel perseguimento di fini di utilità sociali. Ciò che da un lato offre alle fondazioni la protezione costituzionale di cui all'art. 2 (cosicché limiti alla loro attività potranno essere posti solo in ragione di altri valori costituzionali), dall'altro le grava da una speciale responsabilità; la quale, non potendo essere ricondotta alla responsabilità politica, deve tradursi in accorte soluzioni sotto il profilo dell'assetto di governo e in un'assoluta trasparenza delle scelte e della gestione.

 

4. L'assetto organizzativo

Spetta agli statuti definire l'assetto organizzativo delle fondazioni, nel rispetto di alcuni principi fissati dal decreto legislativo, che in particolare prevede distinti organi per le funzioni di indirizzo, amministrazione e controllo. Il modello duale di governo delle fondazioni si iscrive in una linea di sostanziale superamento del monismo, che si è venuta progressivamente affermando in altre esperienze, in corrispondenza dell'evoluzione della figura e del suo ruolo: così in Francia, dove il Consiglio di Stato raccomanda un equilibrio di poteri basato su di un esecutivo duale, e in Germania, dove le fondazioni sono normalmente dotate di due organi di direzione [5].

L'organo di indirizzo detiene sia compiti tipicamente assembleari (quali l'approvazione dei bilanci e i poteri di nomina e revoca dei componenti degli organi di amministrazione e controllo) che un fondamentale ruolo di guida rispetto all'attività della fondazione; è di sua competenza la determinazione dei programmi, delle priorità e degli obiettivi della fondazione, la verifica dei risultati, nonché la decisione in ordine all'istituzione di imprese direttamente strumentali (art. 9, comma 3), consentita esclusivamente nei settori rilevanti.

All'organo di amministrazione spettano i compiti di gestione della fondazione, nonché di proposta e impulso dell'attività, nell'ambito dei programmi e degli obiettivi stabiliti dall'organo di indirizzo.

Riguardo all'organo di indirizzo il decreto 153 fissa alcuni criteri anche per quanto attiene alla composizione: nel senso, in particolare, di prevedere "un'adeguata e qualificata rappresentanza del territorio, con particolare riguardo agli enti locali" e di esperti nei settori cui è rivolta l'attività della fondazione; nonché di garantire un'equilibrata e comunque non maggioritaria rappresentanza di ciascuno dei soggetti che partecipano alla formazione dell'organo. Si precisa, inoltre, che "i componenti dell'organo di indirizzo non rappresentano i soggetti esterni che li hanno nominati, né ad essi rispondono". Territorialità e professionalità sono dunque le due coordinate che il legislatore fissa per la composizione dell'organo (non senza qualche ambiguità [6] e con un'analiticità sospetta, considerando che le fondazioni sono dotate di autonomia di diritto privato).

Spetterà all'autonomia statutaria determinare la consistenza numerica, l'inerenza del potere di designazione e di nomina e la combinazione tra le diverse componenti. La calibratura delle quali, così come la scelta delle professionalità, dovrebbe essere conseguente alla definizione della "missione" della fondazione. In realtà, guardando agli statuti, laddove la fondazione è, come accennato, a vocazione plurima, anche la composizione degli organi tende a riflettere tale carattere generalista.

Per far fronte alle esigenze di supporto professionale gli statuti fanno talora riferimento alla costituzione di commissioni consultive, o propositive, a carattere temporaneo o permanente. La scelta tra la costituzione di uffici interni e permanenti e il ricorso ad esterni, secondo formule diverse, costituisce un delicato punto di snodo, la cui definizione dipenderà da una serie di variabili: quali la missione della fondazione, il modello operativo, la dimensione.

 

5. Modelli di fondazione e strumenti di intervento

Quanto all'attività, si è accennato al fatto che la progressiva costruzione della figura delle fondazioni è andata di pari passo con l'attribuzione ad esse del compito di individuare una missione caratterizzante, all'interno dei settori individuati, e destinata a sostituire ed estromettere l'originaria funzione bancaria.

Il problema che si pone, individuata la missione, è quello di definire il "modello" di fondazione: sono aperte diverse strade, e spetterà all'autonomia statutaria e alle scelte dell'organo di indirizzo decidere quale percorrere, anche in relazione alle caratteristiche e alle disponibilità finanziarie della fondazione. La costellazione delle 88 fondazioni ex bancarie è assolutamente variegata quanto a dimensioni [7], risorse, rapporti con il territorio: e differenziati, verosimilmente, saranno i modelli operativi.

Le principali opzioni sono tra il modello della fondazione operativa e di quella erogativa; ma non si può escludere l'approdo ad un modello misto, ed è altresì probabile che nella prima fase, che vede le fondazioni ancora impegnate nel processo - transitorio ma ancora in atto - di dismissione prevalga il modello erogativo [8]. Il più generale e diverso contesto delle fondazioni di diritto civile vede una netta prevalenza, nell'esperienza italiana, delle fondazioni operative e miste, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, dove le grant-making rappresentano il 90% delle fondazioni [9].

La scelta non influisce, comunque, solo sulla natura dell'attività svolta, ma anche sull'assetto organizzativo: nel caso si optasse per il modello di granting foundation l'assetto organizzativo potrebbe limitarsi al nucleo necessario; nel caso invece si aderisca a quello della operating foundation [10], ne conseguirebbero ricadute sul piano organizzativo: dovendosi la fondazione attrezzare con strutture di controllo e gestione, nonché di ausilio tecnico nei confronti dell'organo di indirizzo nella individuazione dei fini. Il modello misto, se offre da un lato il pregio della libertà e flessibilità d'azione, prospetta però il costo - in termini organizzativi - di richiedere entrambe le competenze, di una fondazione grant-making e di una fondazione operativa [11].

L'orientamento verso il modello erogativo peraltro non significa la rinuncia ad un momento progettuale e strategico, perché comunque la fondazione è tenuta a definire la propria missione e a progettare i fini della propria attività erogativa. A definire insomma una cornice all'interno della quale valutare i programmi e le proposte di finanziamento che provengono dal contesto in cui la stessa opera. Alle fondazioni spetta infatti stabilire in via generale le modalità e i criteri che presiedono allo svolgimento dell'attività istituzionale, con particolare riferimento alle modalità di individuazione e di selezione dei progetti e delle iniziative da finanziare (art. 3, comma 4).

Se, come accennato, gli statuti delineano per lo più fondazioni pluri-vocate, essi al contempo prevedono che in fase programmatoria si definiscano obiettivi specifici, delle priorità per periodi pluriennali. Si può rilevare, sebbene in maniera impressionistica, sulla base dell'immagine che le fondazioni danno di sé stesse (nei rispettivi siti web, ove allestiti), l'aspirazione delle fondazioni (soprattutto di quelle medio-grandi) a superare il "convenzionale ruolo passivo di supplenza e interpretare una funzione più attiva e propulsiva" [12].

Sul piano fattuale si registra un andamento in crescita delle erogazioni a favore di progetti propri, la cui incidenza è - nell'ultimo anno censito - di poco superiore ad un quarto del totale dei contributi; fenomeno che riguarda soprattutto le erogazioni pluriennali, dove le iniziative basate su progetti propri incidono per il 43,7% [13].

A parte l'alternativa tra i modelli di granting e operating foundation - che potrà peraltro trovare composizione, come accennato, in modelli misti - con specifico riferimento al rapporto con il territorio viene altresì evocato la formula della community foundation: di soggetti, cioè, che si pongono come "intermediari attivi tra i potenziali donatori privati e le esigenze del territorio" [14].

Sembra andare in questa direzione la scelta operata dalla Cariplo - che si autoqualifica come fondazione di erogazione - di promuovere una serie di fondazioni locali, caratterizzate appunto non da un obiettivo tematico, ma dal rapporto con il territorio. La dimensione locale risulta in tale prospettiva essere la più adatta a catalizzare risorse per il finanziamento di iniziative [15].

In effetti, le fondazioni si pongono come soggetto originariamente e peculiarmente legato al territorio, che proprio in tale legame trova uno degli elementi caratterizzanti. Ne derivano riflessi sul piano organizzativo, funzionale, e nel ruolo complessivo, che potrebbe appunto qualificarsi - oltre che sul piano erogativo e operativo - nella capacità di attivare risorse e iniziative. La territorialità delle fondazioni si allinea, d'altra parte, alla tendenza, propria degli attuali sviluppi istituzionali che svolgono il principio di sussidiarietà, al radicamento a livello decentrato di competenze, poteri e responsabilità. Ciò che dovrebbe agevolare il rapporto e le sinergie tra i vari protagonisti, pubblici e privati.

Chiaramente, la scelta tra i vari modelli rimanda all'autonomia di ciascuna fondazione ma soprattutto, a monte, ai diversi originari caratteri delle stesse, in termini di disponibilità economica, di tradizione e di localizzazione territoriale.

Quanto agli strumenti operativi, le fondazioni possono perseguire i propri scopi con tutte le modalità consentite dalla loro natura giuridica, ma possono esercitare imprese solo se direttamente strumentali ai fini statutari ed esclusivamente nei settori rilevanti (art. 3, comma 1).

Gli strumenti operativi sono dunque di diversa natura, e si compongono, nelle varie esperienze, in un mix variabile. Si tratta, essenzialmente, di:

- interventi diretti, mediante istituzione di imprese strumentali, e assunzione di partecipazioni (anche di controllo) in società operanti nei settori rilevanti

- costituzione di proprie fondazioni e partecipazione a fondazioni con finalità specifiche

- convenzioni e accordi con enti pubblici e privati

- finanziamenti (sia secondo formule operative bottom up che secondo formule top down)

- attività di formazione

 

6. A servizio dell'arte e della cultura

Le fondazioni ex bancarie vengono a collocarsi, sia pure con una veste peculiare, nel più ampio territorio delle fondazioni: nell'esperienza italiana sino ad ora poco popolato, ma che si va negli ultimi anni animando. Anche nell'ambito dei beni culturali si ricorre alla figura fondazione in maniera crescente, per i vantaggi che la stessa offre rispetto alle esigenze del settore. Viene utilizzata nella riforma degli enti lirici [16]; sul piano operativo, si fa ricorso alla fondazione di partecipazione [17]; in attuazione dell'art. 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 [18] si è prospettata una regolazione di carattere generale, poi peraltro arenatasi in sede di controllo.

Rispetto ai beni culturali, quella delle fondazioni ex bancarie è una presenza a-specifica (nel senso che le stesse operano in una pluralità di settori), ma caratterizzata da una forza patrimoniale di tutto rilievo, e da una duttilità di azione che può qualificarle come presenza significativa del settore, posto che, come si è detto, ad esso viene destinato più di un terzo degli importi erogati dalle fondazioni bancarie. Il settore occupa una posizione più consistente soprattutto tra le fondazioni piccole (50,2%) e quelle medie (43,7%) [19].

La vocazione culturale delle fondazioni ex bancarie è assai più spiccata di quanto non sia quella delle fondazioni di diritto civile, posto che solo il 9,1% di queste ultime è attiva nel settore dei beni culturali [20]. A giustificare lo scarto si possono ipotizzare varie ragioni, a parte la maggiore disponibilità di risorse delle fondazioni bancarie, la relativa facilità di individuazione di obiettivi meritevoli, il sicuro ritorno di immagine di questo tipo di interventi. In particolare, la tendenza naturale a intervenire a favore dei beni culturali e artistici può ricondursi al fatto che gli stessi rappresentano una "fondamentale componente della stessa memoria storica delle comunità locali" [21], e sono quindi fortemente corrispondenti alla dimensione territoriale dell'azione delle fondazioni. La finalizzazione degli interventi nel settore, inoltre, integra gli scopi di utilità sociale con quelli di sviluppo economico, stante che la valorizzazione dei beni culturali costituisce un importante e sicuro motore dell'economia turistica. Arte e cultura rappresentano dunque un campo di intervento che per vari motivi si rivela particolarmente adatto al ruolo, pur flessibile, che è stato affidato alle fondazioni di origine bancaria.

Il fatto che il settore dei beni culturali sia quello privilegiato, e dunque destinatario di risorse cospicue, suggerisce di guardare - conclusivamente - le fondazioni "dal lato" dei beni culturali. Di chiedersi, in particolare, come la vocazione culturale possa ricadere sulla disciplina statutaria, ed eventualmente regolamentare, dell'attività e nella configurazione degli organi. Di chiedersi, ancora, come le fondazioni - dato il loro radicamento territoriale - interagiscono con i soggetti che a vario titolo istituzionalmente si occupano di beni culturali.

A quest'ultimo proposito, si è suggerito che venga aperta alle fondazioni ex bancarie la partecipazione alle commissioni per i beni e le attività culturali previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112: in tale sede potrebbe in prospettiva realizzarsi l'integrazione programmatica con i soggetti pubblici e privati che operano sul territorio [22]. Sebbene non ancora decollate, le commissioni dovrebbero costituire il luogo del coordinamento, su scala regionale, delle iniziative e attività in materia, stante il loro compito di "armonizzazione e coordinamento, nell'ambito regionale, delle iniziative dello Stato, della regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici e privati" (art. 154).

E' possibile che non in tutte le realtà la dimensione regionale sia quella ideale per dialogare con le istituzioni della cultura, anche considerando che la vocazione localistica delle fondazioni comporta che venga decisamente privilegiata, quale area di intervento, la dimensione provinciale, che attrae più di tre quarti degli importi complessivi erogati dalle fondazioni [23]. Quella regionale, dunque, può essere una delle sedi di confronto, non necessariamente l'unica.

Un altro terreno di confronto potrà essere quello della programmazione negoziata, per sua natura flessibile e dunque adattabile alle diverse realtà e livelli territoriali. L'esperienza sin qui realizzata, e declinata in modo peculiare nel settore dei beni culturali, non sembra abbia visto la partecipazione delle fondazioni nelle fasi specificamente programmatorie, concentrate, per quanto riguarda gli accordi-quadro, sull'asse Stato-regioni, escludendo la partecipazione di privati (pur previsti dal modello astratto) [24].

Una misura utilizzata da alcuni statuti è la previsione della presenza dei sovrintendenti dei settori interessati, o di esperti da loro nominati, nell'organo di indirizzo. Altri prevedono la partecipazione dei sovrintendenti in via consultiva, nel procedimento di scelta degli esperti.

Quanto alle modalità di intervento, le esperienze sin qui realizzate sono prevalentemente a carattere erogativo, o miste, con qualche esperienza esclusivamente operativa [25]. Dai dati censiti, i rapporti partecipativi in imprese strumentali interessano 11 imprese nel settore istruzione e cultura e 4 nella conservazione beni culturali e ambientali [26]. Interessante l'esperienza dell'Ente Cassa di risparmio di Firenze, che attraverso la Fondazione parco monumentale Bardini ha creato un braccio operativo della fondazione per la ristrutturazione e la successiva valorizzazione del complesso [27].

La modalità erogativa si presta a molteplici misure (dai micro contributi agli impegni gravosi) e molteplici finalizzazioni: dagli interventi di conservazione e restauro (che rappresentano l'11% delle finalizzazioni globali delle fondazioni) ai finanziamenti di eventi e manifestazioni d'arte cultura. Le cospicue risorse destinate alla conservazione e restauro rivelano un "approccio conservatore" (non solo in senso letterale) dell'azione delle fondazioni, che se consente di colmare lacune dell'intervento pubblico, rispondendo a domande reali, testimonia però nel senso di una visione tradizionale e poco innovativa al grant-making [28]. Non va tuttavia sottovalutato l'effetto di traino, sul terreno dello sviluppo economico, che la valorizzazione dei beni culturali di per sé produce, così come non mancano i segni di una "crescita di soggettività" delle fondazioni [29], attraverso una autonoma capacità progettuale e di aggregazione delle risorse [30].

Nel settore dei beni culturali quella delle fondazioni è dunque sicuramente destinata a figurare come presenza significativa. Dato che esse interessano principalmente il centro nord, non si possono prospettare sviluppi e scenari uniformi. Al sud, infatti, le fondazioni contano numericamente per l'11% e incidono per il solo 4% sia quanto a importi che a numero di interventi [31]. La positività del rapporto con il territorio si traduce, inevitabilmente, in limite laddove la presenza di fondazioni è estremamente rarefatta: se è vero che si profila, a breve termine, un ruolo almeno in parte compensativo dei fondi strutturali europei, resta, in prospettiva, il problema di trovare dei correttivi, delle misure di riequilibrio.

Il rapporto con le istituzioni e con i privati, a sua volta, non può inquadrasi secondo un unico schema: l'iniziativa può venire dall'esterno o dall'interno, o precisarsi nella collaborazione tra le diverse componenti; sotto questo profilo potranno maturare esperienze diverse, a seconda della capacità progettuale, di aggregare risorse, della risposta, e dalle sollecitazioni, provenienti dal contesto esterno.

La novità delle fondazioni non sta solo o tanto nella peculiarità di figura giuridica, qualificata in termini privatistici, ma fortemente funzionalizzata dalla normativa regolatrice, quanto nell'inedito ruolo di protagonista sul territorio, in posizione, per così dire, equidistante tra pubblico e privato; recettiva ma anche propositiva; erogativa ma anche di possibile catalizzatore di risorse. Ed è proprio la possibilità di giocare su piani diversi la ricchezza - questa volta non economica - delle fondazioni di origine bancaria.

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Note

[1] A partire dal 27,5% del 1993 sino al 35,8 nel 1998 (cfr. Acri, Quinto rapporto sulle fondazioni bancarie, Roma, 2000). Per una sintesi dei vari rapporti, v. sito web.

[2] Nonostante la qualificazione in termini privatistici, la disciplina positiva consente di dubitare che le fondazioni costituiscano effettivamente organismi di diritto privato: così F. Merusi, La nuova disciplina delle fondazioni bancarie, in Giorn. dir. amm., 1999, n. 8.

[3] Sulla "missione" delle fondazioni bancarie, v. F. Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata. Cronache di una riforma decennale, Torino, 2000, 151 ss.

[4] Quinto rapporto sulle fondazioni bancarie, Acri, Roma, 2000, 85.

[5] S. Ristuccia, Il capitale altruistico. Fondazioni di origine bancaria e cultura delle fondazioni, Venezia, 2000, 1178.

[6] A. Gentili, La riforma delle fondazioni bancarie: gli organi, in Le "fondazioni" bancarie. Dalla legge n. 218/90 al d.lg. n. 153/99, a cura di S. Amorosino e F. Capriglione, Padova, 1999, 63 ss.

[7] Le 16 fondazioni appartenenti al gruppo di dimensione grande (soli il 20% del totale) detiene quasi il 72% del patrimonio complessivo (Quinto rapporto, cit., 36); le tre principali detengono, da sole, il 45% del patrimonio totale (G.P. Barbetta, Il settore nonprofit italiano, Bologna, 2000, 144).

[8] M. Tieghi, Aspetti economico-aziendali delle fondazioni bancarie: rete concettuale, circuiti operativi e schemi gestionali, in Le fondazioni casse di risparmio, a cura di F. Roversi Monaco, Rimini, 1998, 294 ss.

[9] G.P. Barbetta, Il settore nonprofit, cit., 125.

[10] Sulle due ipotesi, v. G. Ghetti, La partecipazione delle imprese bancarie ad altri soggetti, in Le "fondazioni" bancarie, cit., 155 ss.

[11] G.P. Barbetta, Ruolo delle fondazioni bancarie nell'ambito del settore non-profit, in Le fondazioni casse di risparmio, cit., 241.

[12] Così nella presentazione della fondazione Cassa di risparmio Genova e Imperia.

[13] Quinto rapporto, cit., 82.

[14] S. Ristuccia, Il capitale altruistico, cit., 179.

[15] Cfr. sito web della fondazione Cariplo.

[16] Cfr. A. Serra, La difficile privatizzazione delle fondazioni liriche: strumenti pubblici e presenza privata, in Aedon, 2/1998.

[17] E. Bellezza, F. Florian, Le fondazioni del terzo millennio. Pubblico e privato per il non profit, Firenze, 1988.

[18] Cfr. il testo della bozza di regolamento, con il commento di A. Canuti, in Aedon, 2/2000.

[19] Quinto rapporto, cit., 92.

[20] G.P. Barbetta, Il settore non profit, cit., 126.

[21] S. Ristuccia, Il capitale altruistico, cit., 98.

[22] P. Petraroia, Sbancati ma acculturati, in Il Sole 24 ore, 5 novembre 2000, 39.

[23] Nell'area provinciale si concentra infatti il 77,6% degli importi complessivi; incidenza che sale fino al 90,4% per le iniziative pluriennali: cfr. Quinto rapporto, cit., 88.

[24] V., sull'esperienza della programmazione negoziata nel settore, L. Zanetti, Gli accordi di programma quadro in materia di beni e attività culturali, in Aedon, 3/2000.

[25] La fondazione del Banco di Sicilia gestisce il museo Ignazio Mormino, e non svolge alcuna attività erogativa. La Carisbo oltre agli interventi a carattere erogativo gestisce la biblioteca, fototeca e pinacoteca di S. Giorgio in Poggiale. L'Ente Cassa di Roma ha dato vita al Museo del corso... Cfr. Il patrimonio delle fondazioni, in Il sole 24 ore, 1 dicembre 2000, inserto, pp. VI-VII.

[26] Quinto rapporto, cit., 39.

[27] V. sito web.

[28] G.P. Barbetta, Il settore non profit, cit., 159.

[29] G. De Rita, Quinto rapporto, cit.

[30] Per un significativo quadro delle iniziative nel settore artistico, v. il Primo rapporto sull'attività delle fondazioni culturali e artistiche, in Il giornale dell'arte, marzo 2001, 14 ss.

[31] Quinto rapporto, cit., 90.



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