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La difficile privatizzazione delle fondazioni liriche:
strumenti pubblici e presenza privata

di Angela Serra

 


Sommario: 1. Premessa. - 2. L'ipotesi del 1996. - 3. La correzione di rotta del 1998. - 4. Considerazioni conclusive.


1. Premessa

Nell'aprile 1998, con il d.lg. 134, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla normativa che disciplina la trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate in fondazioni di diritto privato. L'intervento si è reso necessario poiché, per dodici dei tredici enti, quella collaborazione finanziaria tra pubblico e privato, cercata dal legislatore come soluzione intermedia ed equilibrata fra l'insostenibilità dell'attuale sistema di quasi totale copertura pubblica ed un ridimensionamento dell'impegno statale attraverso la partecipazione dei privati, non si è realizzata [1].

Tante le aspettative suscitate dalla "rivoluzione" prospettata dal d.lg. 29 giugno 1996, n. 367. Ma alla resa dei conti, tolta un'importante e non ripetibile eccezione, il convenuto non si è presentato [2]. Il suo seggio resta vuoto, nei consigli d'amministrazione come nel novero dei finanziatori istituzionali degli enti lirici: assenza capace di bloccare l'iter di trasformazione, originariamente previsto entro luglio 1999 (d. lg. 367/1996, artt. 5, comma 1 e 6, comma 1, lett. c)).

Per tentare una valutazione dell'effetto che il d.lg. 134/1998 sortirà sui meccanismi di ricerca di sostenitori privati da parte delle dodici istituzioni cui si rivolge, nonché sulla risposta di quelli che il legislatore pensava dovessero esserne gli interlocutori finanziari, alternativi a quelli pubblici, occorre considerare non solo la portata delle innovazioni introdotte. Risulta infatti necessario riflettere sulle ragioni che hanno portato il governo a rompere gli indugi disponendo ope legis il cambiamento di veste giuridica degli enti indipendentemente dall'ingresso dei privati. Quale, cioè, la via immaginata dal d.lg. 367/1996; quale, poi, il ruolo che esso intendeva attribuire ai privati e quale, di conseguenza, quello pubblico; quali, infine, i motivi per cui le aspettative del legislatore sono state disattese.

Oggetto di questo lavoro non sarà quindi l'analisi del procedimento di trasformazione, né una valutazione sull'effettiva uscita della fondazione dalla sfera di controllo esercitata dal potere pubblico, centrale e periferico, o sulla natura della privatizzazione in parola, se sostanziale o solo formale, tutte questioni già ampiamente dibattute in seguito all'emanazione del d.lg. 367/1996 [3]. Ciò che preme rilevare è l'aspetto la cui problematicità ha indotto il governo a modificarne le previsioni: la mancata partecipazione del soggetto che alla trasformazione in parola, "privatizzazione", dà il nome, e che finora, Scala di Milano a parte, pare aver dato solo quello.

 

2. L'ipotesi del 1996

2.1. Il ruolo dei privati nel disegno delineato dal d.lg. 367/1996

Ambiziosi erano gli obiettivi che il d.lg. 367/1996 si poneva: privatizzazione della veste giuridica degli enti, semplificazione del regime organizzativo, risoluzione dei problemi inerenti al personale dipendente, maggiore autonomia politico-burocratica rispetto all'apparato pubblico, imprenditorializzazione dei sistemi gestionali e partecipazione finanziaria ed istituzionale di soggetti privati.

Adeguati, in linea teorica, gli strumenti scelti dal legislatore: snellimento degli organi, privatizzazione del rapporto di lavoro con regolamentazione tramite contrattazione collettiva nazionale, agevolazioni fiscali per i soggetti che intendessero partecipare al finanziamento della fondazione contribuendo alla formazione del patrimonio o anche al sostegno della sola attività, gestione attuata secondo i moduli operativi dell'impresa, recisione del laccio che legava la nomina del sovrintendente al volere del consiglio comunale e ingresso in consiglio d'amministrazione di membri designati dai fondatori privati.

Il ruolo che il legislatore del 1996 ha disegnato per questo debuttante della scena economico-culturale italiana è davvero significativo, per nulla secondario rispetto a quello rivestito dallo Stato; ruolo che implica il coinvolgimento stabile dei privati tanto nella gestione come nel sostegno finanziario del nuovo modello di istituzione culturale. Dei due organi preposti all'amministrazione dell'ente, infatti, quello collegiale, il consiglio d'amministrazione, può teoricamente essere composto in maggioranza da membri designati da fondatori privati, con una presenza di quattro su sette (art. 12, commi 1 e 2). L'altro, poi, il sovrintendente, non è che emanazione del primo (art. 13): i consiglieri di designazione privata, quindi, sono coinvolti nella sua nomina e revoca quanto quelli di provenienza pubblica.

Occorre dunque prendere atto della volontà del legislatore del 1996 di allentare il vincolo che legava gli organi di gestione dell'ente all'apparato pubblico. Risponde d'altronde ad una logica comune ad ogni azienda privatistica che "chi contribuisce ad un ente o ad una società in misura considerevole abbia titolo ad essere rappresentato in consiglio d'amministrazione" [4]: così Stato, regione, comune e, nel caso, privati.

Le formule attraverso cui detta presenza si doveva sostanziare, e le cui modalità restano per lo più confermate per il momento del suo avverarsi, sono tre:

a) Innanzitutto la partecipazione alla formazione del patrimonio. Secondo l'articolo 6, comma 1, lett. b), oltre ai soggetti pubblici che sono "tenuti" a concorrervi, cioè Stato, regione e comune in cui la fondazione ha sede, sono previsti "soggetti pubblici o privati che hanno dichiarato di voler concorrere" alla formazione del patrimonio. "La misura dell'apporto" dello Stato "corrisponde alla somma complessivamente conferita dai fondatori privati al patrimonio iniziale della fondazione": ratio della riforma era infatti creare una compartecipazione finanziaria paritaria tra Stato e privati, predisponendo un modello che permettesse allo Stato di divenire fondatore senza l'esborso di ulteriori somme rispetto alla contribuzione ordinaria attribuita agli enti lirici dal Fus (art. 6, comma 2) e che al contempo consentisse di attrarre risorse private con l'incentivo, rivelatosi poi scarso, della posizione paritaria all'interno dell'ente. Rivelatrice delle ottimistiche aspettative che il legislatore del 1996 nutriva verso una massiccia partecipazione finanziaria privata è la disposizione che limita la misura dell'apporto privato al patrimonio della fondazione al quaranta per cento (art. 10, comma 3). Detto limite doveva operare solamente "per il primo quadriennio" di vita dell'ente, termine oltre il quale il governo addirittura prevedeva ci potesse essere una presenza privata maggiore [5]. Il timore che l'improvviso totale mutamento dei punti di riferimento economici ed istituzionali potesse disorientare le nuove fondazioni suggerì di limitare normativamente una partecipazione privata che nei fatti non ha certo avuto bisogno di essere compressa.

b) Oltre che partecipando alla costituzione del patrimonio, divenendo cioè fondatori, i privati possono finanziare anche solo il fondo di gestione dell'ente.

c) Ma il compito più importante assegnato dalla normativa del 1996 ai privati, legata inscindibilmente alla loro partecipazione finanziaria, è la presenza istituzionale all'interno dell'ente, in uno dei due organi di gestione. Per il d.lg. 367/1996 hanno infatti diritto a "nominare un rappresentante nel consiglio d'amministrazione esclusivamente i fondatori che, come singoli o cumulativamente, assicurano, per i primi tre anni di vita della fondazione, un apporto annuo non inferiore al dodici per cento del totale dei finanziamenti per la gestione dell'attività della fondazione. Per raggiungere tale entità dell'apporto, i fondatori privati dichiarano di voler concorrere collettivamente alla designazione di un amministratore" (art. 10, comma 3). Non solo, quindi, per il privato, un ruolo di sostegno finanziario slegato da ogni potere gestionale, tipico di sponsor e "mecenati", ma una partecipazione istituzionale nell'organo di indirizzo dell'amministrazione della fondazione, organo che tra le proprie competenze ha anche la designazione e la revoca del sovrintendente (art. 12, comma 4). Obiettivo principale della normativa era infatti proprio l'innesto di nuove forze all'interno degli enti disciplinati, più competitive e meno corporative rispetto alla gestione pubblica, nuove risorse che ne rivitalizzassero le modalità di proporsi al consumatore finale, che ne svecchiassero i criteri di gestione e ne deburocratizzassero le modalità operative [6].

2.2. Il ruolo dello Stato

Ma, nel modello predisposto dal d.lg. 367/1996, la presenza privata influisce anche sui meccanismi di ripartizione della quota del Fondo unico dello spettacolo destinata ai tredici enti. L'articolo 24, al secondo comma, lett. e), prevede infatti che uno dei principi da seguire per la ripartizione sia "l'entità della partecipazione dei privati al patrimonio ed al finanziamento della gestione".

La norma non chiarisce il criterio secondo cui l'entità dell'apporto privato debba incidere sulla ripartizione dei fondi statali. Ciò pone un più complesso quesito a proposito del ruolo che lo Stato deve svolgere nel sostegno alle istituzioni non finanziariamente autonome che operino in un settore socialmente utile come quello culturale.

La possibilità di creare "sinergie tra la finanza pubblica e le disponibilità dei privati a sostegno dell'arte" cercata dal d.lg. 367/1996 appariva facile soluzione in grado di garantire agli enti lirici nuove fonti finanziarie, permettendo allo Stato di alleggerire la propria posizione di loro principale sostenitore. Il privato veniva cioè visto come "sostituto progressivo dell'intervento pubblico", orientando lo Stato verso un ruolo integrativo, volto a ripianare le situazioni insufficientemente seguite dai privati [7] .

Durante le discussioni parlamentari che precedettero l'emanazione della legge delega, infatti, si chiarì che il rapporto tra sostegno privato e sostegno pubblico doveva risolversi nella formula: "ogni finanziamento privato aggiuntivo implica una corrispondente riduzione del finanziamento pubblico" [8]. L'intervento finanziario dello Stato, nel sistema disciplinato dalla legge 163 del 30 aprile 1985, istitutiva del Fus, risponde cioè ad una logica assistenzialistica, operante per ripianare le situazioni di squilibrio: risulterebbe pertanto ingiustificabile da un punto di vista politico ed economico che lo Stato sovvenzionasse gli enti in parola con denaro pubblico attraverso criteri diversi.

D'altronde, nel dibattito che ha preceduto l'emanazione del decreto 367, gli operatori del settore musicale sostenevano che la ratio dell'intervento finanziario statale in relazione a quello privato dovesse essere invece di tipo premiativo: le fondazioni, cioè, che avessero reperito fondi dal mondo imprenditoriale avrebbero dovuto ottenere anche consistenti sovvenzioni pubbliche come premio per il proprio dinamismo. L'ipotesi inversa, sostenere con denaro pubblico gli enti meno autonomi finanziariamente, veniva accusata di incentivare l'immobilismo, di non incoraggiare minimamente la ricerca di nuove strade, poiché in ogni caso lo Stato avrebbe sopperito alla mancanza di sovvenzioni private.

Sul piano dell'efficacia occorre dire che di certo il sistema creato nel 1985 e confermato dal d.lg. 367/1996 ha ingenerato nelle amministrazioni dei teatri una mentalità di immobilismo, per nulla incentivandole a reperire fondi privati, incerti, per sostituirli ai finanziamenti statali, certi. La proprietà e la copertura finanziaria pubbliche degli enti lirici hanno infatti dimostrato in più di sessant'anni tutti i difetti derivanti dal funzionamento di tali istituzioni come enti pubblici [9]: eccessiva burocratizzazione nelle procedure di gestione, moduli di contatto con i referenti istituzionali appesantiti dalla rete di collegamenti, dipendenze e responsabilità tra gli organi dell'ente e la pubblica amministrazione, rigidità nell'organizzazione e nel rapporto di lavoro, staticità nelle forme di contatto con i destinatari dell'attività.

Indubbio però ne è anche il merito, irrinunciabile: la garanzia del livello qualitativo del prodotto artistico. Da un lato, infatti, è stata proprio l'istituzionalizzazione del finanziamento pubblico, con la sua certezza e la sua preventività, ad aver generato la "sindrome dei costi" [10], consentendo un livello di produzione che mai i proventi "di botteghino", quelli cioè derivanti dalla vendita del prodotto spettacolo sul mercato, avrebbero permesso [11].

Il sostegno pubblico ha così sostituito con la certezza della preventività una domanda che non ci sarebbe mai stata, creando un disequilibrio economico irresolubile. Ma dall'altro lato, l'istituzione culturale, non dovendo preoccuparsi del found-raising, gode di libertà creativa ed organizzativa, proprio perché svincolata dai criteri di mercato, producendo quindi un'offerta diversificata ed innovativa e garantendo per il consumatore un'estesa gamma di opportunità di scelta e di accesso. Se pertanto il fine della privatizzazione del settore culturale è l'ottimizzazione al contempo dell'efficienza economica e produttiva e degli obiettivi culturali e sociali, il pericolo di perderne la sua primaria funzione socio-educativa e scientifica non è da trascurare [12]. Il rischio connesso all'esigenza di sottoporsi al vaglio del gradimento del pubblico in termini numerici, momento fondamentale di verifica e giustificazione per l'impegno degli investitori privati, inciderebbe quindi sull'offerta, che risulterebbe semplificata e orientata solo verso scelte in grado di convogliare una domanda massiccia; verso, cioè, scelte popolari e commerciali [13]. Il livello culturale della produzione ne risulterebbe diminuito, a fronte di una migliore efficienza gestionale.

A ridimensionare poi i timori dei garantisti soccorre la considerazione che, la di là dei principi teorici, aver "privatizzato" gli enti lirici davvero non significa aver sottomesso l'aspetto qualitativo-artistico alla logica dell'ottimizzazione dei proventi. In primo luogo, come già rilevato da Dini, perché nelle intenzioni degli ideatori della riforma lo Stato deve rimanere protagonista nella formazione della cultura: il suo sostegno deve alimentare con continuità e lungimiranza la produzione artistica. In secondo luogo, poi, il contributo dei privati è necessario non solo per motivi economici: risponde infatti ad esigenze di pluralismo e di democrazia culturale portare la partecipazione alle istituzioni culturali nell'ambito di cura ed interesse della società civile, che diviene così punto di partenza e di arrivo dell'attività artistica. Inoltre sembra superfluo ricordare che i componenti degli organi della fondazione "non rappresentano coloro che li hanno nominati né ad essi rispondono" (d. lg. 367/1996, art. 10, comma 1) e che i consiglieri ed il sovrintendente sono scelti in base a requisiti di onorabilità, professionalità ed esperienza (d. lg. 367/1996, artt. 12, comma 2, e 13, comma 2). Difficilmente, quindi, la produzione artistica delle fondazioni liriche potrà essere considerata alla stregua di una merce e come tale sottoposta alla "dittatura dell'audience" [14].

2.3. La mancata partecipazione privata: disinteresse o inadeguatezza degli strumenti pubblici predisposti?

Quattro sono i punti da considerare per comprendere le ragioni che hanno reso inattuate le previsioni del d.lg. 367/1996 e causato, in modo assai prevedibile, il disinteresse mostrato dai privati:

a) L'uniformità della soluzione adottata. Enorme era lo sforzo richiesto ai privati. Quel dodici per cento del totale dei finanziamenti per la gestione è stato un traguardo raggiungibile solamente dall'ente lirico che vanta tradizione e fama mondiali: la Scala di Milano. Il teatro diretto da Muti e luogo dei trionfi di Verdi ha scelto, potendolo, la strada più impervia: la totale applicazione del d.lg. 367/1996 con l'ingresso dei privati nei tempi e nella misura richiesta. La deliberazione di trasformazione, adottata dal consiglio d'amministrazione l'11 giugno 1997 è stata approvata dall'Autorità di governo competente per lo spettacolo, di concerto con il Ministro del tesoro, in data 6 novembre 1997. I componenti del consiglio d'amministrazione insediatosi rispecchiano l'ampiezza della rosa di soggetti privati che hanno partecipato alla costituzione del patrimonio nonché assunto l'impegno triennale richiesto dall'articolo 10, terzo comma, del decreto 367 per il finanziamento dell'attività della fondazione. Dei quattro consiglieri che potenzialmente possono essere designati dai privati, tre sono infatti espressione della realtà imprenditoriale e industriale in cui la Scala vive: un membro designato dalla Camera di commercio di Milano, uno indicato collettivamente da Eni, Sea, Pirelli ed Assolombarda, uno dalla Fondazione Cariplo. Per il quarto, lo statuto ha previsto la designazione da parte del consiglio d'amministrazione uscente. Da settembre-ottobre 1998, poi, figurano nel gruppo dei finanziatori del teatro anche la provincia di Milano, l'Azienda elettrica milanese, la Banca popolare di Milano, le aziende Armani e Prada [15].
Evidente il gap che divide questo teatro dai rimanenti dodici enti. Ma non solo perché la realtà economica lombarda sia più fiorente che in molte altre regioni italiane, né perché la Scala sia in qualche modo legata in maniera più forte che altrove al suo potenziale bacino d'utenza. Ben al di là della volontà di concorrere al benessere di un'istituzione culturale di tale importanza per motivazioni ideali, la partecipazione dimostrata dall'imprenditoria lombarda altro non è che una mera operazione economica, giudicata redditizia in termini di ritorno d'immagine.
Ciò che preme notare per sottolineare l'unicità della situazione realizzatasi per la Scala è come avere il proprio nome associato ad un'istituzione come questa abbia un valore commerciale ben diverso da quello traibile dall'abbinamento agli altri enti lirici, ugualmente di livello qualitativo elevato, ma percepiti dalla gente in maniera meno eccelsa e di conseguenza meno meritevoli di investimenti da parte dell'imprenditoria locale e non [16] . E' d'altronde noto che la disciplina del decreto 367 è stata studiata su misura per la Scala, che già da più di tre anni progettava e preparava la propria trasformazione in fondazione [17].
L'errore di fondo commesso dal legislatore è stato dettare una disciplina che implicava un allineamento ed una uniformazione di modi di essere e di funzionare assolutamente diversi fra loro. E' evidente che gli assetti organizzativi e le specificità delle realtà circostanti di teatri che abbisognano di sovvenzioni statali per settanta miliardi oppure di dodici - la Scala di Milano ed il Teatro lirico Pierluigi da Palestrina di Cagliari, nella ripartizione del Fus del 1997 - siano nettamente diversi. Inutile, dunque, tentare di plasmarli su di un unico modello: troppo diversi l'interesse e le possibilità di impegno da parte dei soggetti economici circostanti, i famosi "privati" dati per scontati da un decreto 367 appositamente emanato per permettere ad uno di essi di procedere ad una trasformazione aspettata per anni.

b) Il d.lg. 367/1996 pecca poi di aver troppo semplicisticamente distinto tra soggetti pubblici e soggetti privati. La linea di confine tra essi è infatti del tutto artificiale e fittizia. Anche nel solo consiglio d'amministrazione della Scala, figurano Fondazione Cariplo, Camera di commercio ed Assolombarda, enti di natura pubblica, assieme ad Eni e Sea, aziende di proprietà mista. L'unica azienda autenticamente privata è la Pirelli, eppure tutti i citati "soci" sono considerati, agli effetti del decreto 367, "privati".

c) Ma, l'errore che ha più profondamente influito sulla non partecipazione dei privati è stata la mancanza di vantaggi per le aziende che volessero contribuire finanziariamente alle fondazioni, ovvero, in primis, la scarsità delle agevolazioni fiscali concesse. La natura delle dazioni è quella delle liberalità: così, l'articolo 25 del d.lg. 367/1996 si limita a confermare per esse il regime fiscale agevolativo previsto dal testo unico delle imposte sui redditi, istituito dalla l. 163/1985, per le erogazioni liberali effettuate a favore di istituzioni che producono cultura, regime davvero poco generoso [18] . Esso infatti prevede, per le persone fisiche, le imprese e le società, una detrazione d'imposta o la deducibilità del 19% della somma erogata, ma solo entro il limite del 2% del reddito complessivo dichiarato; una sovvenzione, pertanto, di portata maggiore resta priva della possibilità di usufruire di sgravi di alcun tipo per la parte che eccede detto 2% del reddito dichiarato.
Il secondo comma dell'articolo 25 del d.lg. 367/1996 predispone poi una "disciplina transitoria più favorevole", anche se "limitata alla fase di avvio", in ossequio alle richieste della legge delega [19]. Tale regime speciale vale per le erogazioni destinate al patrimonio al momento della sua costituzione o come "contributo alla gestione della medesima nell'anno in cui è pubblicato il decreto che approva la trasformazione" o ancora "come contributo alla gestione della fondazione per i tre anni successivi alla data di pubblicazione del predetto decreto". L'agevolazione è di notevole portata: resta immutata rispetto al testo unico l'aliquota, il 19% della somma erogata, ma viene considerevolmente innalzato il limite massimo entro cui è consentita la detrazione d'imposta o la deduzione dalla base imponibile, non più il 2% del reddito dichiarato, bensì il 30%.
In ogni caso, dopo i primi tre anni di vita della fondazione, resta il regime ordinario dettato per le liberalità effettuate alle istituzioni di produzione culturale, che, tralasciando ogni considerazione sulla discriminazione operata dal legislatore rispetto alle liberalità a favore dei "beni culturali" [20], di certo non basta ad attrarre risorse dal mondo imprenditoriale. Fondate, quindi, appaiono le accuse mosse al legislatore, di mancanza di coerenza tra l'impegno che traspare dal decreto 367 ad incentivare la partecipazione privata e l'assoluta inadeguatezza del regime agevolativo proposto [21].

d) Inoltre, già al tempo della sua emanazione, gli stessi ideatori del d.lg. 367/1996 pensavano che fosse "difficile credere che l'amministrazione di una società privata possa legittimamente assumere un impegno oneroso pluriennale per una finalità extraziendale, quale è appunto la contribuzione ad un organismo non-profit" [22]. In effetti, obbligare i privati ad assumere un così rigido impegno non solo ne scoraggia l'intervento, ma ancor più rende minima la possibilità di partecipare alla fondazione anche dal punto di vista gestionale per i soggetti aventi fini di lucro, salvo si tratti di grandi gruppi industriali. Solo essi, infatti, sono nella possibilità di impiegare diversi miliardi in un'unica operazione rispondente ad una logica di aumento del prestigio e della socialità del ruolo aziendale.

La mancanza di vantaggi collegati alla contribuzione alle fondazioni liriche sembra così lasciare libero il campo all'intervento delle sole istituzioni che sono obbligate a prevedere statutariamente la destinazione di parte dei propri ricavi a favore di organizzazioni senza scopo di lucro operanti in settori come ricerca scientifica, istruzione, arte, sanità, assistenza e tutela delle categorie sociale più deboli: le fondazioni bancarie [23]. Anche esse, però, hanno a disposizione diverse modalità di intervento: sponsorizzarne solo alcune attività, impegnarsi semplicemente in isolate e non programmabili operazione erogative o invece intraprendere una via diversa, costruttiva, più orientata a finanziare la spesa "in conto capitale" piuttosto che la spesa corrente e verso interventi strutturali piuttosto che liberalità [24]. Per il funzionamento delle fondazioni liriche, infatti, un tipo di sostegno esterno, meramente finanziario, vanifica la ratio dell'intera riforma ideata nel 1996: una cogestione pubblico-privato che veda sedere in consiglio d'amministrazione i "rappresentanti" [25] dei soggetti, pubblici e privati, che contribuiscono in misura considerevole e duratura al finanziamento dell'ente.

Per fornire un esempio delle diverse formule di intervento, più o meno importanti per le fondazioni liriche, che le fondazioni bancarie possono adottare verso i teatri, si può considerare l'atteggiamento che due di tali istituti hanno assunto nei confronti della Scala di Milano. L'azione di sostegno continuativa e massiccia apportata dalla Cariplo alla Scala, prescindendo dalla veste giuridica dei due enti risale già agli anni venti. Ora, per la Fondazione scaligera, detto istituto bancario ha offerto la propria disponibilità e appoggio attraverso diverse modalità, dalla collaborazione all'attività della commissione che ha esaminato il nuovo statuto, alla deliberazione adottata il 7 aprile 1997 di un contributo di trentasei miliardi, dodici l'anno per i prossimi tre, per il finanziamento dell'attività della neonata fondazione, divenendo così soggetto designante di uno dei sette componenti dell'organo consiliare. Ma ancora, la Fondazione Cariplo intende estendere questo contributo oltre i primi tre anni: "è all'esame la possibilità di conferire alla Fondazione della Scala azioni della Cariplo Spa, così che nel corso del tempo i dividendi di quelle azioni diventino un reddito permanente per il teatro" [26].

Di segno opposto l'atteggiamento di un'altra fondazione bancaria impegnata a sostenere finanziariamente la Scala: la Fondazione dell'Istituto San Paolo di Torino per la cultura, la scienza e l'arte. Il suo sostegno si è espresso nella ristrutturazione della sede della scuola di ballo della Scala e nel parziale finanziamento delle stagioni di balletto.

Mentre cioè nel primo caso vi è un impegno collaborativo anche gestionale ed organizzativo, molto più ampio rispetto al semplice, e peraltro ingente, contributo finanziario, l'Istituto San Paolo si impegna in quegli eventi che possono dare risalto e visibilità all'istituto bancario, intervenendo pertanto solo in manifestazioni specifiche e di grande richiamo, in settori precisi e con una presenza precisa. E' evidente che la partecipazione a spettacoli di grande risonanza è ben diversa dal contribuire alla gestione ordinaria, trovandosi citati in una riga del cartellone. Per entrambe, seppure ispirate a differenti filosofie di intervento, si tratta della medesima operazione commerciale, conveniente dal punto di vista dell'immagine e del ruolo sociale dell'istituto di credito. Eppure molto diverse tra loro come utilità ed importanza.

 

3. La correzione di rotta del 1998

3.1. I problemi toccati dal d.lg. 134/1998

La ratio dell'emanazione del d.lg. 134/1998 si rinviene nelle parole della relazione di accompagnamento allo schema del decreto stesso: a) precostituire il soggetto giuridico per offrire un quadro di riferimento chiaro alla valutazione dei soggetti privati; b) risolvere una serie di problemi inerenti al rapporto di lavoro che la non contestuale trasformazione dei diversi enti poneva; c) rendere più semplice l'accesso alle fondazioni da parte dei privati.

a) Il governo, preso atto che i soggetti operanti nel mondo imprenditoriale, industriale e creditizio, salvo poche eccezioni, hanno disertato l'invito a prendere parte alla sperimentazione della formula mista di gestione proposta dal decreto del 1996, ha ritenuto utile procedere coattivamente, ope legis, alla trasformazione in parola, prescindendo cioè dall'attuale partecipazione dei privati [27]. I rimanenti dieci enti autonomi lirici e le due istituzioni concertistiche assimilate sono così "trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato alla data di entrata in vigore" del d.lg.134/1998 (art. 1, comma 1). La fondazione pertanto "subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi e passivi dell'ente" (art. 1, comma 2): il decreto modifica cioè la forma giuridica dell'ente, conservandone la figura soggettiva originaria, utilizzando lo strumento della trasformazione diretta, che vede non la fine seguita dalla nascita di una nuova persona giuridica, con successione a titolo universale, bensì il permanere dello stesso soggetto di diritto, mutato solo nella veste giuridica, con la conseguente continuità dei rapporti instaurati dall'ente originario [28]. Viene così precostituito il soggetto giuridico: in particolare, la stima del patrimonio - da compiersi ad opera di uno o più esperti la cui nomina al presidente del tribunale deve essere chiesta entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto (art. 2, comma 4) - viene offerta in tempi brevi alle valutazioni dei potenziali investitori.

b) Altro importante effetto della contestuale trasformazione degli enti è il superamento delle difficoltà relative alla configurazione e gestione del rapporto di lavoro con i dipendenti che l'appartenenza degli enti a due categorie giuridiche diverse - dodici enti pubblici ed una fondazione - poneva. Unificandone la veste giuridica è così possibile addivenire alla comune definizione del rapporto di lavoro per tutti i soggetti ed alla stipulazione di un unico contratto collettivo nazionale per tutto il settore.

c) Ma, si diceva, l'obiettivo fondamentale del d.lg. 134/1998 è porre rimedio alla generalizzata carenza di sovventori privati, tentando di semplificarne l'accesso, pur lasciando intatta la trama disciplinare del decreto 367. Due sono gli strumenti utilizzati.

i) Innanzitutto la nuova normativa riduce il quantum richiesto ai fondatori privati per poter designare un membro nel consiglio d'amministrazione (art. 4, comma 4). A fronte di un dodici per cento annuo degli interi finanziamenti per la gestione pretesi dal decreto 367 (art. 10, comma 3), i privati dovranno ora impegnarsi a versare il dodici per cento dei soli finanziamenti statali. Per avere un'idea della differenza, ove per nominare un consigliere dell'Opera di Roma occorrevano 16 miliardi, ora ne bastano meno di 11,5 [29 ]. Il d.lg. 134/1998 inoltre chiarisce in termini più espliciti rispetto al d.lg. 367/1996 che hanno diritto a compiere tale nomina i soggetti privati che, sempre come singoli o cumulativamente, divengono in primo luogo fondatori - "assicurano un apporto al patrimonio" - ed inoltre "assicurano" "per i tre anni successivi al loro ingresso nella fondazione un apporto annuo non inferiore al dodici per cento dei finanziamenti statali per la gestione dell'attività della fondazione, verificato con riferimento all'anno in cui avviene il loro ingresso nella fondazione". La nuova disciplina risolve così anche una difficoltà nascosta tra le righe del d.lg. 367/1996. L'articolo 10, comma 3, secondo periodo, di detto decreto prevedeva infatti tale potere solo per i privati, fondatori e sovventori nella misura detta, che partecipassero alla fondazione fin dal momento della sua trasformazione, "per i primi tre anni di vita della fondazione". Ora il potere di designare i membri del consiglio da parte dei privati viene esteso oltre, "per i tre anni successivi al loro ingresso nella fondazione". Ciò permette agli enti di accogliere i fondatori privati ed i consiglieri da loro designati in qualsiasi momento della vita della fondazione ed in periodi diversi tra loro. Inoltre l'articolo 10, comma 3, del d.lg. 367/1996 era viziato da una grave inesattezza: poiché i soggetti privati designanti i membri del consiglio venivano definiti "esclusivamente" entro i "primi tre anni di vita della fondazione", quale sarebbe stata la conseguenza del venir meno della partecipazione di uno di essi dopo i primi tre anni? La norma non lasciava spazio all'integrazione del consiglio ad opera di sovventori presentatisi successivamente. La modifica apportata dal d.lg.134/1998, invece, rende possibile una presenza privata nell'organo consiliare che si completi progressivamente, facilitando alle fondazioni l'approdo, nel tempo, ad una reale cogestione pubblico-privato.
La nuova normativa, inoltre, sposta l'inizio dell'efficacia temporale dell'agevolazione fiscale per chi investe nel patrimonio dell'ente dal momento della sua costituzione - cioè alla nascita della fondazione - al "momento della partecipazione" dei privati, in qualsiasi momento essa avvenga. La nuova disciplina, così, prende atto che il patrimonio delle fondazioni liriche difficilmente verrà costituito istantaneamente dopo la trasformazione, quanto piuttosto attraverso una sorta di costituzione progressiva, e rende possibile usufruire dei maggiori sgravi per il privato che in ogni momento di vita della fondazione voglia partecipare al suo patrimonio.

ii) Il secondo strumento che il d.lg. 134/1998 utilizza per incentivare le fondazioni liriche a reperire fondi privati è contenuto nel secondo comma dell'articolo 4. Resta confermata l'esigenza per esse di conseguire la partecipazione di sostenitori privati: invece però che bloccarne le possibilità di sviluppo esigendo una condizione irrealizzabile, la nuova disciplina crea piuttosto un incentivo per esse a rivolgersi all'esterno. "Le fondazioni risultanti dalla trasformazione operata con il presente decreto devono in ogni caso conseguire la partecipazione di soggetti privati, secondo le modalità ed i limiti previsti dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, entro il 31 luglio 1999" (art. 4, comma 1). Tale "partecipazione" viene definita nel suo minimum nel "12% dei finanziamenti statali per la gestione dell'attività" (art. 4, comma 2). Il d.lg. 367/1996, viceversa, non richiedeva una quantità minima per la partecipazione privata - la quota del 12% del finanziamento complessivo per la gestione riguardava solo il diritto di nominare un consigliere (art. 10, comma 3). Il d.lg. 367/1996 si illudeva forse di attrarre capitali privati verso le fondazioni, oltre che con gli sgravi fiscali di cui all'articolo 25, per il semplice loro proporsi come enti privati di produzione culturale cogestiti da apparato pubblico e privati ed aventi come traguardo il funzionamento come aziende di cultura. Il d.lg. 134/1998, più realisticamente, propone alle fondazioni una condizione-incentivo: "Qualora, alla scadenza del termine di cui al comma 1, le fondazioni non presentano partecipazione di privati, ovvero la medesima è inferiore al 12 per cento dei finanziamenti statali per la gestione dell'attività della fondazione, il contributo erogato dallo Stato non può subire variazioni in aumento fino all'esercizio successivo a quello durante il quale le condizioni predette si realizzano" (art. 4, comma 2). Il 12% dei finanziamenti statali per la gestione altro non è che il 12% del Fus. Per averne un'idea, facendo i calcoli sul Fus del 1998 (444 miliardi e 643 milioni assegnati agli enti lirici), occorrerebbero 4 miliardi e 104 milioni in media per ciascuna fondazione, cui la contribuzione statale attribuita, sempre in media, sarebbe di 34 miliardi e 203 milioni. La sanzione prevista nel caso di mancato raggiungimento di tale partecipazione è il congelamento della quota Fus. Il legislatore, preso atto dei problemi legati al reperimento di sovvenzionatori privati, sembra così voler evitare di porre nuovamente agli enti condizioni difficili da realizzare e demanda ad un semplice blocco del quantum della contribuzione statale la sanzione per la mancata partecipazione privata. Detta eventualità comunque rappresenta per gli amministratori delle fondazioni, grosse strutture con costi costantemente crescenti [30], un sicuro incentivo al reperimento di finanziatori privati: essi saranno spinti a cercare la collaborazione finanziaria dall'incentivo dell'afflusso di nuove entrate private e pertanto anche statali [31].Possono d'altronde, rinunciando all'incremento del sostegno statale, prescinderne ancora una volta.

Lo spauracchio del congelamento della contribuzione del Fus è infatti una variabile cui gli enti lirici sono abituati. Basti pensare che dall'anno della sua istituzione, il 1985, fino al 1997, in dodici anni lo stanziamento del fondo è stato ritoccato per ben sei volte in negativo rispetto all'anno precedente [32]: la sua consistenza è infatti sempre andata soggetta a subire le ripercussioni delle difficoltà della finanza pubblica. Per gli enti lirici, dunque, vedersi congelati i fondi per la gestione rappresenta senz'altro un grave problema, specie a causa dell'erosione inflattiva, ma viene da chiedersi come la disciplina di questo decreto possa garantire ad essi una copertura finanziaria crescente o anche solo costante, pretendendo dalle future leggi finanziarie ciò che il mutamento delle politiche di spesa pubblica potrebbe non consentire [33]. Più coerente, ed altrettanto efficace, sarebbe stato utilizzare l'arma della modificazione delle quote di ripartizione fra i tredici enti all'interno dell'intera quota Fus assegnata alle fondazioni liriche.

Questa logica di incentivazione di tipo premiale pone poi la questione di come il legislatore intenda il rapporto tra i due soggetti che chiama a sostenere le fondazioni liriche, nonché in che posizione esso si collochi in merito alle teorie della sussidiarietà dell'azione pubblica rispetto a quella privata.

3.2. Il problema non risolto dal d.lg. 134/1998

La portata innovativa del decreto 134 contiene un grande limite: non aver modificato la disciplina delle agevolazione fiscali per le dazioni dei "privati". Come visto, infatti, la causa principale del fallimento della "corsa alle fondazioni" è stata proprio la mancanza di vantaggi collegati a tale partecipazione. Restando la normativa immutata, non può che persistere un certo scetticismo verso un futuro significativo impegno privato in ognuna di esse.

3.3. Il regime transitorio

"In attesa della partecipazione di soggetti privati" "ai sensi e nei limiti del decreto 367" (art. 3, comma 1), il d.lg. 134/1998 predispone per le neo-nate fondazioni una struttura snella e saldamente ancorata all'apparato pubblico, in particolare comunale.

a) Il consiglio d'amministrazione. Medio tempore, il nuovo consiglio d'amministrazione, nominato con decreto dell'Autorità di governo competente per lo spettacolo entro trenta giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto 134, è composto dal presidente-sindaco e da altri quattro membri: uno designato dalla predetta Autorità di governo, uno dalla regione e due dallo stesso sindaco. Un consiglio d'amministrazione più ristretto, dunque, conseguente alla mancanza di rappresentanti privati. Molto forte è il peso dell'ente comunale, anzi proprio del sindaco, che presiede il consiglio e ne nomina due componenti. D'altronde tale scelta è stata dettata dalla considerazione che, fino all'ingresso dei privati, la fondazione ha in effetti solo "soci" pubblici. Con l'ingresso dei privati, però, i due componenti nominati dal sindaco decadono ed il consiglio riprende le dimensioni previste dal decreto 367: esso, così, riespande la propria potenzialità di essere composto per quattro membri su sette da rappresentanti di fondatori-finanziatori privati (d. lg. 367/1996, art. 12).
Dalla lettera della norma nasce poi una difficoltà interpretativa. La durata in carica del consiglio d'amministrazione è di quattro anni (d.lg. 367/1996, art. 12, comma 5), ma i due componenti designati dal sindaco possono decadere anzitempo a causa dell'ingresso dei privati. Il nuovo consiglio, costituito anche con la presenza di questi ultimi, vedrà al suo interno la scadenza sfalsata dei propri membri - quelli designati da governo e regione dopo quattro anni dalla trasformazione in fondazione e quelli nuovi dopo quattro anni dall'ingresso dei privati - oppure i due consiglieri che permangono in carica beneficeranno di una proroga implicita che consenta loro di decadere contemporaneamente agli ultimi nominati [34]? O ancora, i quattro anni si intendono decorrere dalla costituzione del primo consiglio d'amministrazione, a prescindere dall'avvicendamento dei membri al suo interno?

b) Lo statuto. La stesura e l'approvazione governativa dello statuto vengono rimandati ad un momento successivo alla trasformazione. Esso "è adottato a maggioranza assoluta dei componenti del consiglio d'amministrazione, entro novanta giorni dal suo insediamento, ed è approvato, entro trenta giorni dalla sua ricezione, con decreto dell'Autorità di governo competente in materia di spettacolo, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica".
Interessante, quindi, il passo in avanti compiuto dal d.lg. 134/1998 rispetto alla previsione del 1996: poiché lo statuto doveva essere contenuto nella deliberazione di trasformazione (d. lg. 367/96, art. 6, comma 1), l'atto più importante di autonomia della persona giuridica privata veniva adottato da un organo, il consiglio d'amministrazione dell'ente autonomo lirico - pubblico -, che seguiva e rispondeva a logiche ed esigenze diverse rispetto a quelle, imprenditorialistiche, della fondazione. Il mutamento non è invero sostanziale, poiché nel sistema elaborato dal decreto 134 il nuovo consiglio d'amministrazione è ugualmente espressione dell'apparato pubblico, in particolare comunale. La proiezione della volontà di tale consiglio, tutto pubblico, nell'atto fondamentale di organizzazione ed autonomia dell'ente non è d'altronde determinante poiché è sì il nuovo consiglio ad adottare lo statuto, ma "in conseguenza della partecipazione di soggetti privati alla fondazione" "lo statuto è eventualmente modificato" (art. 4, comma 3).
Lo statuto e le sue eventuali modifiche sono, naturalmente, sottoposti all'approvazione governativa sfociante nel decreto di approvazione che il d.lg. 367/1996 aveva previsto per la deliberazione di trasformazione contenente lo statuto. Anche la conseguita partecipazione dei privati, "unitamente ai diritti, obblighi ed impegni dei soggetti privati che intendono partecipare alla fondazione", deliberata dal consiglio, è sottoposta all'approvazione governativa. La nuova normativa, così, frammenta l'approvazione dei contenuti di quella che sarebbe stata la deliberazione di trasformazione in più procedimenti di approvazione e relativi decreti: statuto, partecipazione dei privati, conseguenti modifiche statutarie.

c) Il sovrintendente. Alla trasformazione ed al conseguente nuovo costituirsi dell'organo consiliare non deriva la cessazione dalla carica del sovrintendente (art. 8, comma 1). Resta pertanto in carica l'arbitro della gestione dell'attività artistica, competente ad attuare i programmi approvati dal consiglio e da lui stesso predisposti. Molto positiva appare l'opportunità data alle fondazioni di proseguire la gestione in itinere con continuità, anche per la considerazione che il sovrintendente in carica è stato designato dal consiglio comunale, organo dell'ente territoriale che più di tutti incide nella nomina del nuovo consiglio d'amministrazione della fondazione; sarebbe quindi pressoché equivalente una nomina del sovrintendente ad opera di questo consiglio d'amministrazione rispetto a quella operata dal consiglio comunale. Inoltre il suo non essere espressione del nuovo ente non inquina la sua attitudine ad attuare programmi già determinati, ma piuttosto rafforza la stabilità dell'ente nel momento di maggiore incertezza. Al mutare, invece, dei punti di riferimento economici rappresentato dall'ingresso dei privati, corrisponderà la nuova nomina del sovrintendente, da effettuarsi ad opera del "consiglio d'amministrazione, costituito a seguito dell'ingresso dei soggetti privati" " nella prima seduta" (art. 8, comma 3).

d) Quando la partecipazione dei privati verrà a concretizzarsi, così, decadranno contemporaneamente il sovrintendente ed i due membri designati dal sindaco. La fondazione procederà quindi alla costituzione e nomina dei suoi due organi di gestione ed eventualmente alla modifica delle previsioni statutarie: un ente privato, dunque, amministrato dai membri designati dai propri fondatori, privati e pubblici, con potere di autonormazione statutaria.

 

4. Considerazioni conclusive

La normativa del 1996 prima e del 1998 poi contiene diversi limiti. Una rigida scansione dualistica tra pubblico e privato ove sarebbe stata più opportuna e meno equivoca una maggiore articolazione. L'imposizione di una uniformazione tra realtà irresolubilmente differenti ove sarebbe stata più efficace l'offerta di diverse tipologie e modelli o alternativamente il decentramento del potere di riforma legislativa. Ancora, la mancanza di vantaggi o ricadute per i potenziali sovventori "privati".

Dall'altro lato, gli stessi soggetti cui la disciplina si rivolge non sono stati finora capaci di cambiare le proprie modalità di proporsi per incontrare il privato. Ancora troppo lontane da una logica conservatrice difficile da superare appaiono operazioni come la ricerca di sponsorship su grandi progetti collaborativi fra teatri o il reperimento di investitori attraverso lo sfruttamento dei circuiti internazionali della lirica - l'opera italiana è un bene culturale che viaggia nel mondo da sempre - o ancora attraverso il mercato delle telecomunicazioni.

La soluzione scelta dal legislatore per uscire dall'impasse della mancanza di forme continuative di sostegno agli enti lirici da parte dei privati appare, per certi versi, comunque utile. Utile perché svincola gli enti dalla necessità di tale partecipazione permettendo loro di intraprendere il cammino di una nuova impostazione imprenditorialistica della gestione, di predisporre una struttura efficiente amministrata da organi semplificati, di risolvere il nodo della complicata natura del rapporto di lavoro con i dipendenti. Utile perché propone una soluzione graduale per il passaggio dalla gestione pubblicistica ad una mista, mantenendo sulla fondazione una "tutela" pubblica -; consiglio d'amministrazione interamente designato dall'apparato pubblico e conservazione del sovrintendente in carica - che non era possibile alleggerire nell'immediato, data la carenza di sostenitori alternativi, e rimandando la piena operatività della "privatizzazione" sostanziale concepita dal decreto 367 al momento dell'ingresso effettivo dei privati.

Non sufficiente, però, poiché non suggerisce una via realmente nuova alle fondazioni nella ricerca del "grande assente". Il meccanismo premiale introdotto potrebbe infatti rappresentare un efficace incentivo verso il cammino dell'affrancamento egli ex enti lirici da un sostegno statale che li vede attualmente dipendere da esso per quasi il settanta per cento delle entrate. La disciplina però, incoerentemente, non mantiene ciò che promette: lasciando inalterati gli strumenti nelle mani delle fondazioni - l'inadeguato regime fiscale agevolativo -, come potranno esse proporsi con un approccio diverso, che le renda più appetibili partner, ai propri potenziali interlocutori finanziari?

Fin qui la norma. La realtà poi dirà se i privati sono pronti a svolgere il ruolo da protagonisti che il legislatore aveva disegnato per essi e se sapranno dare alla cultura quella risposta continuativa e concreta che essa attende e merita [35].



Note

[1] Lo Stato contribuisce infatti per il 69,60%; regione e comune rispettivamente per il 5,82% e 4,95%: G. Albenzio, La natura degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate secondo la legge 800/67, nota a Cass., sez. unica, 23/3/1987, in Foro it., 1987, I, 160.

[2] L'ente autonomo La Scala è divenuto fondazione il 6 novembre 1997.

[3] E. Freni, Commento al decreto 367 del 1996, in Giornale di diritto amministrativo, dicembre 1996, 1120; G. Marasà, Fondazioni, privatizzazioni e impresa: la trasformazione degli enti musicali in fondazioni di diritto privato, in Studium Iuris, sett.-dic. 1996, 1096 ss.; A. Di Majo, Le neofondazioni della lirica: un passo avanti e due indietro, in Corr. Giur., 1997, I, 117.

[4] O. Forlenza, Con le fondazioni un cambio di pelle in equilibrio tra pubblico e privato, in Sole 24 ore, 9 luglio 1996, 21.

[5] W. Veltroni, Le fondazioni alzano il sipario, in Sole 24 ore, 11 luglio 1996, 7.

[6] L. Dini, Agli enti lirici più libertà di scelta, in Sole 24 ore, 19 giugno 1996, 1 e 2.

[7] R. Ruozi, Negli enti lirici i privati solo comprimari, in Sole 24 ore, 11 luglio 1996, 7.

[8] Resoconti del Senato nn. 254 e 255, seduta pubblica del 16/11/1995.

[9] Il primo ente autonomo lirico, la Scala di Milano, fu costituito nel 1920, poi nel 1929 l'Opera di Roma, nel 1932 l'Ente autonomo di Firenze e nel 1936 assunsero tale veste giuridica i teatri di Bologna, Genova, Napoli, Palermo, Torino, Trieste, Venezia e Verona.

[10] W. J. Baumol - W. G. Bowen, Performing arts: the economic dilemma, Massachussetts Institute of Technology Press, Cambridge (Mass.), 1966.

[11] F. Leroy, Economie des artsdu spectacle vivant, Economica, Parigi 1980, 211.

[12] C. Bodo, Finanziamenti pubblici o privati? Considerazioni sulle strategie di privatizzazione, in Economia della cultura, 1997, 181-184.

[13] M. Linklater, Privatizzazione della cultura: la Gran Bretagna e il patrimonio culturale, in Economia della cultura, 1997, 189. Basti pensare poi alla differenza di costi e di richiamo su un pubblico meno esperto ma più vasto che vi è nel passaggio dal teatro di repertorio alla rappresentazione di spettacoli-prototipo, ormai ritenuto punto di arrivo imprescindibile nei teatri di alto livello (vedere X. Dupius, Il teatro lirico: storia di un infernale percorso economico, in Economia della cultura, 1992, 40.)

[14] X. Dupius, Spettacolo dal vivo, cultura e neoliberalismo, in Economia della cultura, 1991, 49.

[15] La Scala: tutto come un ente privato, ma con 70 miliardi dello Stato, in Liberazione, 14 ottobre 1998, 21 e P. Madron, Scala Spa, in Panorama, 5 novembre 1998, 177.

[16] Dichiarazioni di sovrintendenti delle fondazioni, pubblicate su diversi giornali, sullo stato delle trattative con i soggetti privati: M. Messinis (sovr. Fenice di Venezia), L'imprenditoria è poco generosa con la Fenice, il Manifesto, 31 marzo 1998, 24; F. Ernani (sovr. Comunale di Firenze), S. Escobar (sovr. Opera di Roma) e G. Balmas (sovr. Regio di Torino), Lirica, il mercato della paura, la Repubblica, 3 gennaio 1998, 38; ancora su Venezia, Roma e Firenze, poi su Bologna e Napoli: S. Miliani, Fondazione che passione. Ma i privati dove sono?, in l'Unità, 21 aprile 1998, 21. Singolare il caso di Firenze, dove i quattrocento dipendenti, artisti e non, hanno deciso di costituirsi in associazione per diventare fondatori con duecento milioni (cfr. Il giornale della musica, marzo 1998, 3 e S. Miliani, Fondazioni che passione… cit., 21).

[17] F. Canessa (sovr. San Carlo d Napoli), Fondazioni urgenti per non affondare, Giornale della musica, marzo 1998, 3 e M. Messinis, Un errore che ci affossa, la Repubblica, 3 gennaio 1998, 38. A maggior ragione, inoltre, si condividono le critiche mosse all'estensione del regime dettato dal decreto 367 agli "altri enti operanti nel settore musicale" di cui al titolo III della l. 800/67 (d. lg. 367/96, artt. 1 e 2, comma 1, lett. b) e d.lg. 134/98, art. 8, comma 6).

[18] D.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917. L'art. 13 bis, comma 1, lett. i), stabilisce che le persone fisiche possono detrarre dall'imposta lorda il 19% delle somme versate agli enti che producono cultura, ma solo per somme che non superino il 2% del reddito complessivo dichiarato. Altrettanto l'art. 65, comma 1, lett. c-quinquies, dispone che le imprese e le società - per il richiamo effettuato dall'art. 95, comma 1 - possano dedurre dalla base imponibile la somma erogata sempre nel limite del 2% del reddito complessivo dichiarato. Diversa la situazione per gli enti non commerciali e le società non residenti sul territorio nazionale, che usufruiscono della detrazione dall'imposta lorda del 19% dell'intera somma versata (art. 110 bis). - L'aliquota applicata fino al 31/12/1997 era del 22%, modificata poi dal d.lg. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 49, comma 1.

[19] Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 58, lett. e).

[20] Infatti, per le erogazioni liberali a favore di istituzioni senza scopo di lucro destinate all'acquisto, manutenzione, protezione o restauro delle cose indicate dall'art. 1 della legge 1089/39, gli artt. 13 bis, comma 1, lett. h), e 65, comma 2, lett. c-quate)r, del testo unico delle imposte sui redditi, non stabiliscono alcun limite massimo di spesa entro cui usufruire delle detrazioni o deduzioni fiscali. Solo per gli enti non commerciali, dunque, i versamenti indirizzati a spettacolo o beni culturali sono sottoposti allo stesso regime, ovvero la detrazione del 19% dell'intera somma erogata (art. 110 bis).

[21] L'agevolazione fiscale viene d'altronde considerata spesa pubblica indiretta: G. Brosio, Spesa pubblica e agevolazioni fiscali nel settore dell'arte e della cultura italiana, in Tutela, promozione e libertà dell'arte, a cura di G. Clemente di San Luca, Milano 1990, 126 ss. Privo di giustificazione sarebbe quindi far rientrare sotto forma di spesa pubblica indiretta proprio ciò che con la privatizzazione degli enti lirici si voleva ridurre.

[22] L. Dini, Agli enti lirici più libertà di scelta, cit. 2. Addirittura, nella prima bozza del decreto, del governo Dini, i privati dovevano impegnarsi per sei anni per poter usufruire delle agevolazioni o nominare un membro del consiglio d'amministrazione.

[23] S. Passigli, Enti lirici: il decreto non fa ancora riforma, in Sole 24 ore, 23 giugno 1996, 2. Tali sono i settori indicati dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, art. 12, comma 1.

[24] G. Segre, Non più liberalità ma interventi strutturali, in Il Giornale dell'arte, dicembre 1997, n. 161, 10.

[25] Termine usato in senso atecnico: l'art. 10, comma 1, del d. lg. 367/96 infatti specifica che i componenti degli organi della fondazione "non rappresentano coloro che li hanno nominati né ad essi rispondono".

[26] S. Franchi, Le banche in scena, in Giornale della musica, maggio 1997, n. 127, 1 e 3: interviste a G.R. Fossati, segretario generale della Fondazione San Paolo di Torino e G. Vimercati, vicepresidente della Fondazione Cariplo di Milano.

[27] Il governo ha utilizzato la delega contenuta nell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 volta a "riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dall'assistenza e previdenza". Il successivo art. 14, stabilendo i criteri da seguire per tale riordino, prevedeva la trasformazione in "persone giuridiche di diritto privato degli enti" "per il cui funzionamento non è necessaria la personalità di diritto pubblico".

[28] Consiglio di Stato, sez. II, 12/2/1963, in Cons. St., 1963, I, 1516.

[29] M. Mele, Prove di riforma per lo spettacolo, in Sole 24 ore, 11/5/1998, n. 127, 3.

[30] Bibliografia di riferimento: W. J. Baumol - W. G. Bowen, Performing arts: the economic dilemma, cit.; C. Bodo, Rapporto sull'economia della cultura in Italia, 1980-1990, Roma, 1997; C. Bodo, Spettacolo dal vivo: l'offerta, la domanda, le risorse, in C. Bodo - L. Trezzini - C. Turci, L'impatto economico dei finanziamenti pubblici alla cultura - Spettacolo dal vivo e festival, Milano, 1993.

[31] M. Mazzarolli, Immediati i tagli sul fronte fiscale, in Sole 24 ore, 11 maggio 1998, 3.

[32] Questa la consistenza del Fus dal 1985 al 1997: nell'85 furono 717 miliardi, nell'86: 817, nell'87: 856; per il secondo triennio le cifre stabilite all'inizio furono ritoccate di 100 miliardi annui; nel triennio '91-'93 si superarono i 900 miliardi, con 931 nel '92 e 900 nel '93; nel '94 furono 931, poi 911 nel '95 e 948 nel '96; nel '97 la consistenza del fondo è stata di 914 miliardi. Per il triennio in corso sono previsti 931 miliardi nel '98, 941 nel '99 e 951 nel 2000.

[33] La consistenza del fondo è predeterminata triennalmente: per il primo triennio provvide la stessa legge 163/85; dopo allora essa viene stabilita di re anni in tre anni e poi concretamente finanziata in sede di legge finanziaria.

[34] A. Baldanza, La nuova disciplina degli enti lirici di cui al decreto 134 del 1998, in Lo spettacolo, 1/1998, 49 ss.

[35] Sulla teorie dei "beni meritori": R. A. Musgrave, The theory of public finance, New York, Mc Graw Hill, 1959, trad. it. Finanza pubblica, equità, democrazia, Bologna 1995, 175 ss. e J. G. Head, On merit goods, in Finanzarchiv, vol. 25, n. 1, 1966.

 


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