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Alienazione e utilizzazione del demanio storico-artistico
nel d.p.r. 283/2000: una prima lettura
(Lecce, 2 dicembre 2000)

 

Dalla tutela alla valorizzazione del bene:
il "programma" del d.p.r. 283/2000

di Enrico Bellezza



I discorsi che si sono fatti qui sono interessanti, sebbene occorra tornare indietro di un anno quando il dibattito era assai articolato.

Il ministro aveva giustamente chiamato a far parte della Commissione che ha elaborato il testo del regolamento, oltre ad un ristretto gruppo di tecnici, anche i rappresentanti di tutte le associazioni ed organismi che si occupano di tutela e valorizzazione dei beni culturali proprio perché, quali attori del sistema, stessero accanto a rappresentanti delle regioni, dell'Anci ecc.

Il regolamento d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283, quindi, non è emerso dal nulla. Il prof. Cammelli prima l'ha accennato: c'è stato, nel corso dei lavori, un momento di disperazione e preoccupazione da parte di tutti coloro che si occupano di tutela, conservazione e valorizzazione di beni culturali, e precisamente quando è arrivata la notizia, mi ricordo, era un venerdì mattina, di questo emendamento alla finanziaria che prevedeva l'alienabilità dei beni demaniali.

Ero in riunione nella bellissima Rocca di Vignola, vicino Modena, per il convegno annuale del Fai e, seduta stante (eravamo in 500), abbiamo sottoscritto un appello al Presidente del Senato: "per cortesia fate qualcosa, bloccate la previsione, non è possibile che passi una norma di questo tipo".

In realtà, mi piace pensare a questo regolamento come ad un altro tassello che va ad inserirsi in tutta l'opera fin qui compiuta per passare dal concetto di tutela e conservazione del bene culturale al concetto di valorizzazione e cioè aggiungere questo altro concetto accanto alla tutela e conservazione.

Si è accennato al "programma nel regolamento".

Il ruolo centrale, in effetti, è il programma e non l'alienazione in senso stretto, a mio parere. Il problema di cassa dell'ente locale ci può interessare come non ci può interessare. Il discorso vero è questo: abbiamo il patrimonio più ricco del mondo e buona parte di esso sta crollando. I privati possono intervenire? Ci vogliono risorse: lo Stato, dopo Maastricht, non ce la fa più e allora bisogna che questo incontro tra pubblico e privato avvenga.

E' avvenuto più sul piano giuridico perché, come giustamente ha detto il prof. Verde, c'è una intersecazione fra diritto pubblico e diritto privato in questo regolamento; c'è un'intersecazione tra provvedimenti che riguardano il diritto amministrativo e il diritto civile.

Nella valorizzazione, di conseguenza, il programma è stato per noi l'aspetto più importante, accanto ad un altro, a monte: l'individuazione dei beni.

Come hanno detto i relatori che mi hanno preceduto, il problema è che non esiste in Italia un catalogo della individuazione dei beni culturali; non dico di quelli mobili ma neanche degli immobili. Questo fatto che la legge 1 giugno 1939, n. 1089 non abbia previsto il vincolo - quando i beni immobili sono di proprietà degli enti pubblici -, non ha messo in grado neanche la soprintendenza di sapere quali sono esattamente i beni culturali di interesse storico-artistico di proprietà degli enti locali.

E allora ecco il programma: un'autorizzazione che nello stesso tempo serva all'individuazione. Così si spiega come mai alla richiesta di autorizzazione deve essere allegata la documentazione catastale: si può, infatti, con questo "semplice modo" fornire elementi alla soprintendenza per trascrivere il vincolo sul bene e andare in conservatoria a trascriverlo nel momento in cui il bene "uscirà" dalla sfera pubblica.

L'autorizzazione, rilasciata, in base ad un programma viene trascritta, viene trascritta nello stesso tempo la dichiarazione di interesse storico-artistico del bene e quindi rendiamo opponibile ai terzi questa configurazione, questa caratteristica del bene.

Ma torniamo al programma, il programma che ritroviamo in tutto il procedimento del regolamento.

A differenza delle altre prelazioni, la prelazione artistica scatta non sulla base di una richiesta di autorizzazione perché, qui siamo in un campo molto diverso - ecco l'intersecazione tra diritto privato e diritto amministrativo -, io non ho ancora un contratto; io ente locale decido di vendere un bene, ed è chiaro che dovrò venderlo con un'asta e anche di questo abbiamo discusso moltissimo. Non è facile andare a stabilire che succede se un privato offre un miliardo per l'acquisto del bene. Tra i privati, in realtà, il problema non si pone; ma l'ente pubblico deve mettere all'asta il bene; conseguentemente non è dato sapere a quale prezzo verrà venduto e allora dovrò avere una stima di base d'asta. Bene, sulla base di ciò scatta la prelazione: presentazione della richiesta di autorizzazione; dopo sessanta giorni, se non sarà esercitata la prelazione e se sarà stata rilasciata l'autorizzazione, trascritta con tutte le prescrizioni sul bene e con l'approvazione del programma, solo allora si potrà iniziare con l'asta.

Può sembrare complesso ma è l'unico modo di tutelare gli interessi "della cassa" dell'ente locale con l'interesse di tutela e conservazione del patrimonio culturale nazionale. Questo programma deve indicare le misure di conservazione e di tutela e valorizzazione del bene e deve indicare tassativamente la fruizione pubblica.

Non è neanche pensabile, però, che io acquisti un immobile di interesse storico-artistico dell'ente locale e poi lo lasci lì per quarant'anni perché non ho interesse a valorizzarlo: questo approccio non consente l'autorizzazione.

Questo programma è una condizione perché possa venire rilasciata l'autorizzazione: questo, a parere degli amministrativisti, che figura giuridica è? E' un presupposto amministrativo, mi suggerisce il prof. Sticchi Damiani, ma poi, in sede civile, diventa l'obbligazione principale dell'acquirente; in realtà l'obbligazione principale dell'acquirente, mi ha insegnato il codice civile, è pagare il prezzo.

Credo che si possa sostenere che diventi un onere reale perché l'autorizzazione contiene le prescrizioni che assorbono il programma e l'autorizzazione viene trascritta prima ancora del contratto di alienazione, mentre il bene è ancora di proprietà dell'ente locale ed io ho un atto trascritto opponibile a terzi.

Quel programma, in sintesi, potrebbe essere un onere reale oppure una obbligazione dedotta in una clausola risolutiva espressa del contratto di alienazione, perché la preoccupazione della Commissione è stata tale per cui l'alienazione ben venga, ma verrà soltanto se ci sarà un programma di valorizzazione garantito in tempi certi e se questo programma sarà rispettato e se verrà rispettato da tutti gli aventi causa di colui che ha acquistato dalla prima alienazione.

Vero è che i sessanta giorni previsti sono pochi, tenendo conto che quaranta giorni vengono spesi dagli enti locali per la prelazione. La certezza del diritto è fondamentale. Forse, si sarebbe potuto concedere anche qualche giorno in più, consentire dei tempi più idonei tenendo conto quelli previsti sono forti limiti all'autonomia privata.

Vorrei chiudere da ultimo su una cosa che credo sarà veramente la più utilizzata, e cioè la concessione-convenzione. Si è parlato molto di alienazione ma, la concessione-convenzione verrà utilizzata moltissimo e credo ancora di più se dal parlamento verrà approvato il disegno di legge 7042 che, con ultimo emendamento governativo, consente agli enti locali di procedere ad affidamento diretto per la gestione dei servizi culturali a fondazioni e associazioni che garantiscono trasparenza; forse, poi, verrà presentato un nuovo emendamento a mente del quale le associazioni e fondazioni potranno/dovranno essere costituite o partecipate dall'ente locale.

Nel lavorare su questo elemento della concessione e della convenzione abbiamo voluto riportare ancora gli stessi elementi della richiesta di autorizzazione ad alienare, i dati identificativi dell'immobile per consentire la trascrizione sul bene, le destinazioni d'uso, le misure di conservazione, il programma di fruizione e, molto opportunamente, il divieto della subconcessione. Si è voluto scegliere questa filosofia: è importante l'intuitus personae, l'ente locale, l'ente pubblico affida questa porzione del proprio patrimonio storico-artistico ad un soggetto con determinati requisiti e solo a lui; in tema di programmi di conservazione e valorizzazione di beni importanti, un soggetto non equivale all'altro, questo soggetto deve dimostrare che sarà in grado di realizzare un uso del bene compatibile con la monumentalità, di restaurare, di conservare questo bene.

Non solo questione di risorse o smania di privatizzazione, quindi; credo che il regolamento contemperi esigenze anche tra loro diverse.

 



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