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I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale

di Giada Marchi


Sommario: 1. Premessa. - 2. Analisi delle leggi regionali. - 3. Conclusioni.



1. Premessa

Prima di affrontare l’analisi delle leggi regionali di attuazione del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, è opportuno accennare brevemente al contesto di cui il legislatore regionale ha dovuto tenere conto. In realtà, delle problematiche che il Titolo IV, Capo V del d.lg. 112/1998 (beni e attività culturali) ha sollevato è già stato detto tanto, ma in questa sede ne è utile il richiamo per ricordare esattamente cosa (e con quali limiti) le regioni erano chiamate a disciplinare e per verificare ciò che, rispetto a questo, è stato fatto.

Il decreto, in relazione ai beni e alle attività culturali, individua e descrive quattro distinte funzioni: tutela, gestione, valorizzazione e promozione. Il fatto è in sé di rilievo, poiché viene senz’altro potenziato l’aspetto fondamentale della fruibilità del bene culturale, rispetto ad un passato in cui la tutela sembrava essere l’unica modalità e necessità di intervento pubblico. I dubbi che tali disposizioni destano, sono, però, più d’uno.

L’art. 149 disciplina le funzioni e i compiti riservati allo Stato, riassumibili nel concetto di tutela, in attuazione dell’art. 1, comma 3 della legge 15 marzo 1997, n. 59, in base al quale dovevano restare escluse dal conferimento alle regioni e agli enti locali le funzioni e i compiti riconducibili alla tutela dei beni culturali e ambientali. Il legislatore delegato ha interpretato la norma in maniera alquanto rigorosa, escludendo qualsiasi coinvolgimento di rilievo di regioni ed enti locali e definendo la tutela in termini estremamente ampi. La cooperazione con le regioni, infatti, viene limitata alla definizione delle metodologie comuni da seguire nelle attività di catalogazione e di restauro [1].

Per ciò che riguarda la gestione dei beni culturali il d.lg. 112/1998 prevede che una commissione paritetica (composta da rappresentanti del ministero per i beni culturali e ambientali e degli enti locali) individui, entro due anni, i musei e gli altri beni culturali statali la cui gestione rimane allo Stato e quelli per i quali essa è trasferita alle regioni, alle province e ai comuni, secondo il principio di sussidiarietà. Ciò che emerge è, innanzi tutto, un cambiamento di non poco conto del criterio che dovrà essere utilizzato per l’individuazione dei beni oggetto di trasferimento.

La dimensione dell’interesse (nazionale o locale) del bene, viene sostituita dal principio di sussidiarietà, in base al quale la gestione del bene spetterebbe all’autorità più vicina al cittadino, a meno che esigenze organizzative non suggeriscano l’allocazione ad altra autorità. Il richiamo al principio di sussidiarietà, senza ulteriori indicazioni in ordine ai criteri che dovranno guidare le scelte della commissione, potrebbe teoricamente favorire il trasferimento della gestione di una parte rilevante dei musei e dei beni culturali di cui attualmente è titolare lo Stato, ma di fatto è forse una delle maggiori cause di rallentamento dei lavori.

La commissione, infatti, pur regolarmente insediata, non ha ad oggi ancora concluso il suo compito, per la difficoltà di individuare i criteri di selezione e le modalità in base ai quali effettuare il trasferimento.

E’ stata, inoltre, costituita un’altra commissione paritetica con il compito di individuare standard di gestione museale che dovranno essere rispettati dallo Stato, per i musei la cui gestione non sarà trasferita, e da tutti gli enti chiamati a gestire musei e beni culturali, al fine di garantire un livello qualitativo omogeneo su tutto il territorio. I risultati del lavoro di questa commissione saranno particolarmente importanti, perché la capacità o l’incapacità degli eventuali nuovi gestori di rispettare gli standard individuati, potrebbe essere un elemento valutabile per effettuare il trasferimento.

Significativa è poi la previsione che attribuisce alle regioni il compito di provvedere con proprie norme alla organizzazione, al funzionamento e al sostegno dei musei e degli altri beni culturali la cui gestione verrà loro trasferita (art. 150 comma 7). Sotto questo aspetto è dunque offerta alle regioni un’importante possibilità di determinare, in modo del tutto autonomo, le modalità di gestione e i servizi che favoriscano la massima fruibilità dei beni culturali.

Gli artt. 152 e 153, da ultimo, stabiliscono che lo Stato, le regioni e gli enti locali curano, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni e la promozione delle attività culturali, di norma mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali. A questo scopo è istituita in ogni regione a statuto ordinario la commissione per i beni e le attività culturali con il compito, tra gli altri, di proporre un piano pluriennale e annuale di valorizzazione dei beni e promozione delle attività culturali (artt. 154 e 155).

Come da più parti sottolineato, queste disposizioni non prevedono alcun conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, ma si limitano a riorganizzare la materia, inserendo tra l’altro elementi di difficile comprensione [2].

L’ambito proprio dello Stato, delle regioni e degli enti locali, cui gli articoli in questione si riferiscono e che segna il perimetro degli interventi di valorizzazione e promozione dei diversi soggetti, è facilmente individuabile nell’ambito di proprietà o di gestione per ciò che riguarda i beni culturali, più complessa ne è invece l’individuazione quando si tratta di attività culturali, poiché queste sono più difficilmente collocabili in un’area di competenza [3].

Dalla lettura dell’intero capo, emerge dunque una non chiara distinzione dei ruoli dei diversi soggetti istituzionali e il conseguente rischio di interferenze e sovrapposizioni. Questo non solo tradisce in parte il compito di attuare un decentramento improntato ai principi di unicità, omogeneità e responsabilità, affidato al governo dalla legge delega, ma potrebbe favorire una latitanza delle regioni, che sarebbe forse impedita o resa più difficoltosa se il legislatore avesse indicato con più chiarezza le regole del sistema.

 

2. Analisi delle leggi regionali

Affrontando l’analisi delle leggi regionali, bisogna innanzi tutto premettere che, per l’attuazione del d.lg. 112/1998, alcune regioni hanno emanato una legge organica di conferimento agli enti locali, che disciplina tutte le materie indicate nel decreto, altre hanno optato, invece, per l’emanazione di leggi di settore che attuano la ripartizione delle funzioni per ciascuna materia. Alcune di queste ultime, pur avendo già adottato numerose leggi di attuazione del d.lg. 112/1998, non hanno ancora affrontato la materia dei beni e attività culturali (Liguria, Piemonte, Puglia). Vi sono poi alcune regioni che, ad oggi, non hanno provveduto in alcun modo (Calabria, Campania, Veneto).

Per questo l’analisi che segue è necessariamente parziale e si riferisce alle leggi regionali di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Toscana e Umbria. Il numero elevato di provvedimenti normativi già emanati consente, però, di offrire un quadro sufficientemente chiaro della situazione.

Con le leggi in esame ciascuna regione deve indicare quali funzioni, tra quelle conferite dal d.lg. 112/1998, devono essere devolute agli enti locali secondo il principio di sussidiarietà e quelle che invece saranno esercitate dalla regione stessa per esigenze di unitarietà di esercizio. Per quanto riguarda la materia dei beni e delle attività culturali tale distinzione viene in parte operata direttamente dal legislatore delegato. Per questo la individuazione delle funzioni esercitate rispettivamente dagli enti locali e dalla regione non può essere l’unica chiave di lettura nella valutazione dei provvedimenti normativi in oggetto. Il criterio di analisi seguito ha lo scopo di verificare, quindi, oltre alla distribuzione di funzioni, quali sono le disposizioni dettate dalle regioni in materia di organizzazione e funzionamento dei musei e degli altri beni culturali statali, la cui gestione verrà loro trasferita; gli strumenti individuati per un migliore esercizio dei propri compiti ed in ultimo la posizione assunta da ciascuna regione in merito alla commissione regionale prevista dall’art. 154.

Per ciò che riguarda la distribuzione delle funzioni è opportuno innanzi tutto notare che le leggi regionali hanno utilizzato approcci molto diversi tra loro. Alcune non hanno affrontato l’argomento, già definito per sommi capi dal decreto stesso, e hanno rinviato ad una legge successiva che dovrebbe riorganizzare compiutamente la materia, altre hanno invece compiuto un’elencazione completa delle varie funzioni e compiti, coordinando le disposizioni del decreto con la normativa precedente o rinviando semplicemente a questa [4].

Tra le prime sono da annoverare le leggi dell’Emilia-Romagna, dell’Abruzzo, delle Marche e dell’Umbria. Con la l.r. Emilia-Romagna 21 aprile 1999, n. 3, di riforma del sistema regionale e locale, la regione si limita a riaffermare i propri compiti, già previsti dall’art. 149 (comma 4 lett. e) e f) e comma 5) del d.lg. 112/1998, rinviando ad un futuro intervento di riordino della normativa in materia di biblioteche, musei e altri beni culturali che dovrà ispirarsi a criteri definiti dalla legge stessa, tra i quali quello di favorire l’ottimale esercizio dell’attività di gestione dei beni culturali attraverso forme di collaborazione tra lo Stato, la regione e gli enti locali ed altri enti pubblici e privati (art. 208 comma 3).

Tale disciplina è stata adottata con l.r. Emilia-Romagna 24 marzo 2000, n. 18, la quale elenca le funzioni e i compiti trattenuti dalla regione e quelli esercitati dalle province e dai comuni, attuando un riordino della materia (e ricomprendendo quindi oltre alle funzioni attribuite alla regione dal d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3 e dal d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 anche la funzione di gestione dei beni culturali che saranno trasferiti dallo Stato agli enti locali). La regione esercita le funzioni di indirizzo e programmazione in materia di beni e istituti culturali degli enti locali o ad essi affidati, con particolare attenzione agli strumenti di collaborazione con altri soggetti pubblici e privati, mentre sono affidate alle province le funzioni di valorizzazione. I comuni concorrono alle finalità della legge attraverso l’organizzazione e l’apertura al pubblico di servizi culturali e informativi integrati.

Per quanto riguarda invece la regione Abruzzo, la legge di attuazione del d.lg. 112/1998, l.r. Abruzzo 3 marzo 1999, n. 11, in materia di beni e attività culturali, contiene due soli articoli (artt. 81 e 82) riguardanti rispettivamente la valorizzazione e la promozione dei beni culturali, che sono la esatta riproduzione degli artt. 152 e 153 del decreto. Una legge di poco successiva (l.r. Abruzzo 9 agosto 1999, n. 61), però, disciplina l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di musei e raccolte degli Enti locali e di interesse locale e comunque di ogni altro bene di qualsivoglia proprietà per il quale siano affidati alle Regioni e agli Enti locali compiti di gestione, valorizzazione e promozione. La legge attribuisce ai comuni l’esercizio di tutte le funzioni e la gestione di tutti i servizi ad eccezione di quelli espressamente riservati dalla legge stessa alle province e alla Regione, utilizzando come criterio di differenziazione tra comuni e province, la proprietà o l’affidamento in consegna del bene, mentre alla regione sono attribuite funzioni di indirizzo, di coordinamento, di controllo e di programmazione.

Marche e Umbria, infine, affrontano il problema delle distribuzione delle funzioni agli enti locali solo marginalmente, nel primo caso infatti l’unico articolo della l.r. Marche 17 maggio 1999, n. 10, che affronta la materia dei beni e delle attività culturali, dispone che sono attribuite alle province le funzioni amministrative concernenti la concessione di contributi regionali, a titolo di concorso nelle spese, alle università per la terza età istituite o gestite da istituzioni pubbliche o private e il finanziamento di corsi di orientamento musicale e di centri di educazione permanente (art. 72). Solo questo e null’altro.

Nel secondo caso, invece, il Titolo IV, Capo V, della l.r. Umbria 2 marzo 1999, n. 3 è nella sua maggior parte una copia letterale degli artt. 149 ss. del d.lg. 112/98.

Alla seconda categoria sono invece ascrivibili le leggi regionali di Lombardia, Toscana, Basilicata, Lazio e Molise che, anche se con modi e livelli di chiarezza tra loro diversi, disciplinano l’organizzazione a livello regionale e locale delle funzioni e dei compiti in materia di beni e attività culturali.

La l.r. Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1, pur rinviando ad una futura disciplina organica della materia (che peraltro ad oggi non risulta adottata), elenca le funzioni trattenute dalla regione e riconducibili ai concetti di gestione, promozione e valorizzazione (art. 130), cercando di chiarire il contenuto delle disposizioni del decreto delegato e attribuisce alle province le funzioni amministrative concernenti le attività e lo sviluppo dei sistemi museali locali, la promozione di servizi ed attività culturali di rilevanza locale e il coordinamento a livello provinciale delle attività di censimento, inventariazione e catalogazione dei beni culturali, secondo parametri organizzativi e strumentali approvati dalla regione. Le province formulano inoltre progetti di sistemi integrati di beni e attività culturali e programmi di manutenzione e restauro anche in cofinanziamento con altri soggetti pubblici e privati.

La l.r. Lazio, 6 agosto 1999, n. 14, distribuisce le competenze tra regione, province e comuni riassumendo anche i riparti di competenze già effettuati da leggi precedenti, utilizzando, come criterio per la ripartizione, la dimensione dell’interesse, per cui le province eserciteranno, tra le altre, le funzioni concernenti l’istituzione e la gestione delle strutture e dei servizi culturali e scientifici di interesse provinciale (art.166) e i comuni eserciteranno le funzioni concernenti le strutture e i servizi di interesse locale (art. 167).

La l.r Toscana 26 novembre 1998, n. 85, la l.r. Molise 29 settembre 1999, n. 34 e la l.r. Basilicata 8 marzo 1999, n. 7, si limitano ad elencare le funzioni esercitate da ciascun ente, nel tentativo di chiarire le disposizioni del decreto, utilizzando però a tal fine criteri diversi.

La l.r Molise 34/1999 attribuisce a ciascun ente locale la gestione e la valorizzazione dei beni in base al rapporto di proprietà e la promozione e gestione di servizi e attività culturali avendo come riferimento la dimensione dell’interesse (art. 106). In nessun modo è dunque presa in considerazione l’ipotesi prevista dal d.lg. 112/1998, del trasferimento non della titolarità del bene, ma solo della funzione di gestione dello stesso. La l.r. Basilicata 7/1999 e la l.r. Toscana 85/1998, invece, utilizzano per la distribuzione delle funzioni in materia di beni, accanto al criterio della proprietà anche quello della detenzione.

Per quanto riguarda i beni culturali la cui gestione verrà trasferita dallo Stato alle regioni, il d.lg. 112/1998 dispone che queste provvedano a definirne l’organizzazione e il funzionamento in piena autonomia. In realtà quasi tutte le leggi regionali vi dedicano scarsa attenzione.

Infatti, mentre le leggi regionali di Marche, Toscana e Lazio trascurano completamente l’argomento e la legge dell’Umbria si limita a ribadire il contenuto dell’art. 150 del d.lg.112/1998, le leggi del Molise e della Basilicata rinviano ad un futuro provvedimento legislativo finalizzato, nel primo caso ad un riordino organico della materia dei beni e delle attività culturali, nel secondo alla determinazione delle norme per l’organizzazione ed il funzionamento dei musei e degli altri beni culturali trasferiti in gestione ai sensi dell’art. 150, nel rispetto dell’autonomia organizzativa degli enti titolari della gestione. Particolarmente sintetica è anche la legge lombarda che si limita a disporre che i beni culturali oggetto di trasferimento saranno gestiti in coerenza con le norme adottate dalla regione.

La l.r. Abruzzo 61/1999, invece, contiene la disciplina delle funzioni amministrative in materia di musei e raccolte di enti locali e di interesse locale detenuti a qualunque titolo, con evidente riferimento ai beni che dovranno essere trasferiti ai sensi dell’art. 150 del d.lg. 112/1998. La legge dispone che le raccolte e i musei degli enti locali e di interesse locale siano inquadrate in un sistema museale regionale operativamente unitario, per garantire che "per l’intero ambito regionale vengono assicurati a costi sostenibili almeno i livelli minimi indispensabili delle dotazioni e delle prestazioni occorrenti per la normale attività di salvaguardia e di valorizzazione della generalità del patrimonio culturale e per la funzionalità, la qualità e la convenienza sociale ed economica dei servizi museali" (art.2 comma 2). Si prevede poi che per assicurare la qualità scientifica e culturale delle attività concernenti sia l’intero sistema museale regionale sia il normale funzionamento dei singoli istituti aderenti (l’adesione al sistema avviene mediante convenzione tra regione e soggetti titolari dei musei locali), la Giunta regionale si avvale di un Comitato tecnico scientifico.

La disposizione è sicuramente interessante per l’impronta di tipo collaborativo che introduce e per l’intuizione che un sistema a rete consenta di garantire standard omogenei non influenzati dalla diversità dei soggetti gestori. Più complessa sarà certamente la concreta attuazione del sistema, l’individuazione degli ambiti di azione di ciascun soggetto e le modalità di raccordo, nel rispetto dell’autonomia dei singoli istituti gestori.

Di particolare interesse sono anche le disposizioni contenute nelle l.r. Emilia-Romagna 3/1999 e 18/2000, poiché sono forse quelle da cui emerge con più chiarezza l’intenzione della regione di potenziare il proprio patrimonio culturale anche attraverso nuove forme di gestione e di migliorare i servizi all’utenza, favorendone l’accesso.

La prima, dopo aver precisato che l’organizzazione e il funzionamento dei musei e degli altri beni culturali trasferiti ai sensi dell’art. 150 del d.lg. 112/1998 sono disciplinati dalla medesima normativa vigente per i beni culturali degli enti locali e di interesse locale, rinvia ad un successivo intervento di riordino. La seconda, che attua questo riordino, prevede che regione ed enti locali promuovano la valorizzazione dei beni culturali anche in collaborazione con altri soggetti pubblici o privati e sottolinea che la gestione dei beni culturali è improntata al rispetto dell’interesse tecnico-scientifico e della loro più congrua fruizione. Per il conseguimento dell’ottimale esercizio della gestione, gli enti titolari o affidatari dei beni, possono adottare forme gestionali anche di natura associativa (art. 9).

L’Emilia-Romagna dedica ai musei notevole attenzione, indicando i compiti che sono chiamati a svolgere e i mezzi per farlo. Questi devono provvedere all’incremento, alla conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio e alla promozione di ricerche e attività culturali per garantire un’ampia conoscenza e fruizione del patrimonio stesso. A tal fine gli enti titolari di musei, raccolte e collezioni di beni artistici, culturali e naturali possono costituire sistemi museali, stipulando convenzioni con altre istituzioni regionali, nazionali ed internazionali operanti nel proprio ambito territoriale e tematico (art. 15).

La legge in esame, inoltre, affida all’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali l’elaborazione degli standard, sulla base di criteri indicati dalla legge stessa, di servizio e di professionalità degli addetti ai servizi di conservazione, gestione e valorizzazione dei beni culturali, che saranno poi approvati dalla Giunta regionale, al fine di incrementare la fruizione dei beni e garantire la migliore qualità dei servizi.

Un altro aspetto che è opportuno analizzare, riguarda le modalità organizzative, previste dalle regioni, per l’esercizio delle loro funzioni.

A questo scopo, in alcuni casi le leggi regionali istituiscono nuovi strumenti di intervento, in altri ridefiniscono i compiti di organismi già esistenti, nella maggior parte dei casi tacciono sul punto. La l.r Abruzzo 61/1999, prevede che la regione possa costituire una società per azioni alla quale partecipino soggetti pubblici e privati, per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, naturale e culturale. Una delibera, approvata dal Consiglio, su proposta della Giunta regionale, ne stabilirà le competenze, il capitale sociale e regolamenterà la nomina dei rappresentanti della regione (art. 10). Tale strumento, anche se definito in termini vaghi, potrebbe, nell’ipotesi che vi partecipino gli enti locali, contribuire ad evitare le sovrapposizioni di competenze tra diversi livelli di governo, causate dalla difficoltà di definire, in materia di valorizzazione e promozione, i confini dell’ambito di azione di ciascun ente territoriale. Inoltre, la necessaria partecipazione di rappresentanti regionali alla società, favorirebbe l’azione di indirizzo e coordinamento della regione, mentre la partecipazione di privati, del loro capitale e della loro professionalità, potrebbe potenzialmente aumentare la qualità degli interventi finalizzati alla valorizzazione dei beni culturali.

La l.r. Emilia-Romagna 3/1999 prevede, invece, che la regione si avvalga dell’Istituto dei beni artistici, culturali e naturali, per concorrere con lo Stato alle attività di conservazione dei beni culturali. L’istituto, che la l.r. Emilia-Romagna 18/2000 ha provveduto a riordinare, curerà per la regione il raccordo tecnico-scientifico tra gli enti locali, gli organi statali della tutela e gli Istituti centrali del ministero per i beni e le attività culturali, proporrà all’approvazione della regione, di intesa con le province, la suddivisione per destinazione di intervento dei fondi annuali per la programmazione bibliotecaria e per quella museale e il riparto dei relativi stanziamenti tra le province. Potrà inoltre concorrere, d’intesa con gli enti interessati, all’acquisizione di beni, fondi, raccolte e collezioni di particolare valore artistico, storico e documentario da destinare all’incremento del patrimonio culturale delle organizzazioni bibliotecaria e museale regionali (art. 6). L’intervento dell’Ibacn è senza dubbio positivo, poiché potrebbe colmare il vuoto di competenza tecnica che rendeva difficoltoso alla regione un corretto rapporto con lo Stato e un’efficace azione di programmazione e coordinamento a livello locale.

La l.r. Lombardia 1/2000 (art. 142) e la l.r. Basilicata 7/1999 (art. 91), invece, istituiscono, con disposizioni sostanzialmente identiche, la conferenza permanente per i beni e le attività culturali, organo consultivo della giunta, con il compito di formulare proposte di azione coordinata fra la regione, gli enti locali ed altri soggetti pubblici e privati in materia di valorizzazione di beni e di promozione dell’attività culturale e di concorrere ad elaborare i criteri comuni per la formulazione di proposte per l’esercizio della funzione di tutela.

Se la creazione di questo organo, cui partecipano rappresentanti della regione e di tutti gli enti territoriali, indica un’attenzione al problema, è vero però che i suoi compiti rischiano di sovrapporsi a quelli della commissione regionale per i beni e le attività culturali, prevista dall’art. 154 del d.lg. 112/1998, la quale ha, tra gli altri, proprio il compito di formulare una proposta di piano pluriennale e annuale di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle relative attività, al fine di coordinare le iniziative dello Stato, della regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici o privati [5].

In questo senso desta curiosità il fatto che la legge della Basilicata, contenga, nell’articolo in cui prevede l’istituzione della conferenza, un esplicito richiamo all’art. 155 del d.lg. 112/1998, forse nel tentativo di chiarire il rapporto tra attività della conferenza e della commissione, che rimane però difficilmente comprensibile ed interpretabile.

Da ultimo, occorre segnalare un’evidente asimmetria tra le leggi regionali anche per ciò che riguarda la disciplina della commissione regionale per i beni e le attività culturali, prevista dall’art. 154 del d.lg. 112/98.

A parte alcuni casi, infatti, molte disposizioni regionali non ne fanno alcun cenno (l.r. Abruzzo, Lombardia, Marche e Toscana) o si limitano a generiche affermazioni circa l’impegno ad assicurane l’insediamento (l.r. Molise). Peraltro occorre sottolineare che, ad oggi, risulta che nessuna commissione sia stata effettivamente istituita.

Il silenzio non deve però essere interpretato come una scelta in termini negativi sull’istituzione della commissione, che peraltro alle regioni non è concessa, ma come un implicito rinvio a una futura normativa.

Diverso è il caso delle l.r. di Emilia-Romagna (art. 210), Umbria (art. 103), Basilicata (art. 92) e Lazio (art. 171), che oltre all’impegno di costituire la commissione, sottolineano che questa è la sede permanente per la cooperazione tra lo Stato, la regione, gli enti locali e gli altri enti rappresentati, per quanto riguarda la valorizzazione dei beni e la promozione delle attività culturali e ne disciplinano, in maniera più o meno puntuale, l’organizzazione (costituzione con decreto del presidente della giunta regionale, tempo di durata in carica dei componenti, regole di rielezione, ecc.), rinviando ad un regolamento interno per la disciplina dei lavori. Da tali disposizioni emerge che le commissioni sono considerate organi regionali e per questo la regione ne definisce le modalità di funzionamento. In realtà questo è tutt’altro che pacifico. Il fatto che le commissioni siano state previste dal legislatore nazionale, dovrebbe condurre, infatti, ad affermare la loro natura di organo statale [6]. Se si condivide quest’ultima posizione, le disposizioni delle leggi regionali che disciplinano l’attività delle commissioni risulterebbero adottate senza alcuna legittimazione.

La l.r. Lazio 14/1999, inoltre, chiarisce i compiti e le funzioni della commissione, già definiti dall’art. 155 d.lg. 112/1998, prevedendo, tra l’altro, che questa rediga (entro il 30 giugno di ciascun anno) un elenco delle iniziative culturali di preminente interesse regionale e locale, che la regione, le province ed i comuni intendano realizzare nel triennio successivo e ne proponga l’inserimento nel calendario che il Ministro per i Beni e le Attività culturali adotta ai sensi dell’art. 2, comma 2, della l. 352/1997 (art. 172).

 

3. Conclusioni

Volendo trarre le conclusioni dell’analisi effettuata, a parte l’evidente disomogeneità che emerge nelle previsioni delle diverse regioni, si nota innanzi tutto una mancanza di organicità nelle disposizioni regionali in materia di beni e attività culturali che determina, in alcuni casi, la difficoltà di ricondurre chiaramente i compiti e le funzioni ai soggetti titolari, evitando zone dubbie o possibili sovrapposizioni. Ciò è in parte la conseguenza della mancanza, nel decreto, di criteri di distribuzione delle funzioni tra Stato, regioni ed enti locali e della scelta di introdurre la collaborazione come metodo prevalente di esercizio di valorizzazione e promozione.

I problemi e i dubbi che il decreto ha suscitato sono ormai evidenti ed inevitabili sono i riflessi sulla legislazione di attuazione, ma l’impressione (che potrà essere certezza solo quando le numerose regioni che hanno rinviato ad una successiva legge di riordino della materia avranno provveduto) è che a livello regionale si sia fatto meno di ciò che si poteva. E’ sufficiente pensare, ad esempio, alla possibilità che il decreto attribuisce alle regioni, di determinare l’organizzazione, il funzionamento e il sostegno ai musei e agli altri beni culturali la cui gestione verrà trasferita dallo Stato e osservare come la maggior parte delle leggi regionali analizzate dedichi all’argomento attenzione marginale, per avere conferma di questo.

Inoltre, tenendo conto del fatto che il sistema si regge, in larga parte, sul piano della collaborazione, è indicativo che non siano state ancora istituite le commissioni regionali che dovrebbero rappresentare la sede di concertazione tra Stato, regioni ed enti locali.

In sintesi, dunque, se è vero che il legislatore nazionale ha mostrato scarsa attenzione al ruolo che in materia di beni e di attività culturali le regioni e le autonomie locali potrebbero svolgere, è anche vero che le regioni hanno mostrato una scarsa volontà di impegnarsi in quel ruolo.



Note

[1] Sul punto cfr. G. Pitruzzella, Articolo 149, in Lo Stato autonomista, a cura di G. Falcon, Bologna, 1998, 496.

[2] G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, in Aedon, 1/998.

[3] Sul punto cfr. G. Corso, Articolo 152, in Lo Stato autonomista, cit., 505, e Articolo 153, ivi, 509.

[4] Per una analisi dei modelli attuativi adottati dalle leggi regionali cfr. G. Meloni, Le leggi regionali di attuazione del d.lg. 112 del 1998, in Giorn. dir. amm., n. 2, 2000, 121, e L’attuazione del d.lg. 112 del 1998 e il precedente della l. 142 del 1990, in Il decentramento amministrativo. La complessa attuazione del d.lg. 112/1998, a cura di G. De Martin, F. Merloni, F. Pizzetti, L. Randelli, Rimini, 2000, 29.

[5] Cfr. G. Sciullo, Beni e attività culturali nei primi progetti di legge regionali di attuazione del d.lg. 112/1998, in Aedon, 2/1998.

[6] Sul punto cfr. G. Corso, Articolo 154, in Lo Stato autonomista, cit., 511.



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