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Dibattito sul Testo Unico

Prospettive di depenalizzazione per il reato di omessa
o tardiva denuncia di trasferimento di beni culturali

di Luca Leone
(Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici di Verona)


L’art. 122 del Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, riproducendo l’art. 63 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, stabilisce tra le sanzioni penali in materia di beni culturali la reclusione fino ad un anno e la multa da lire 3.000.000 a lire 150.000.000 per "chiunque, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all’art. 58 [1], comma 2, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali". La pena della reclusione venne introdotta dall’art. 18 della legge 1 marzo 1975, n. 44, che modificò in tal senso l’ora abrogata l. 1089/1939, ove peraltro il termine per la presentazione della denuncia non era determinato e la medesima sanzione era quindi prevista per la sola ipotesi di omissione.

L’indicazione di un termine è stata indubbiamente opportuna, anche se i 30 giorni che sono stati previsti dal succitato art. 58 possono apparire troppo pochi, così come evidenziato dall’adunanza generale del Consiglio di Stato, che, in sede di parere sullo schema del Testo Unico suggeriva appunto di portare i giorni a 60 [2]. Tuttavia, la previsione di tale termine, avendo una diretta incidenza sulla fattispecie penale dinanzi descritta, non può evitare di suscitare dubbi in merito alla sua legittimità, per una possibile violazione del principio di riserva di legge di cui all’art. 25 della Costituzione, a fronte di una delega legislativa che limitava il compilatore del Testo Unico alle sole modificazioni necessarie al coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni raccolte. Quest’ultimo aspetto è stato tra l’altro messo in luce dalla stessa Commissione Ferri, chiamata a svolgere tale non facile compito, che nella relazione al d.lg. 490/1999, ammette che "nella sistemazione della materia si sono prospettati vari problemi che, peraltro, considerati i limiti della delega contenuta nella legge 352/97, non hanno potuto tutti ricevere un’adeguata soluzione" [3].

Il reato sopra descritto esso quale reato omissivo proprio e la fattispecie criminale sottesa non riconducibile pertanto al tentativo, poiché una volta che il termine è scaduto il reato è perfetto, mentre prima della scadenza non si può ravvisare alcuna violazione. Inoltre, sembra sostenibile la tesi secondo la quale tale reato è di natura istantanea, poiché, se è pur vero che continua lo stato dannoso o rectius pericoloso derivante dalla condotta dell’agente, deve anche tenersi presente l’imperatività del sopra ricordato termine per denunciare il trasferimento di proprietà o detenzione del bene culturale, termine finale, il cui mancato rispetto comporta infatti che la denunzia effettuata in ritardo venga punita al pari di quella omessa.

Se ci si pone nell’ottica di una revisione dell’attuale apparato sanzionatorio nell’ambito dei beni culturali, valutando nelle singole ipotesi i diversi interessi in gioco, risulta chiara la presenza nel sistema di alcune incongruenze, quali ad esempio la previsione ex art. 118 del citato T.U. di una semplice contravvenzione per punire la demolizione, anche totale, di un bene culturale, mentre la sua irregolare alienazione costituisce, come visto, un vero e proprio delitto. In considerazione di ciò, anche alla luce dell’odierno orientamento di riduzione del numero dei reati penali, la fattispecie criminosa in argomento, al pari e forse più di altre, risulta obbiettivamente passibile di depenalizzazione e riducibile ad un illecito amministrativo. Tale soluzione è stata già prospettata in dottrina [4], oltre che dal Consiglio di Stato nel succitato parere dell’11 marzo 1999, nel quale si sottolineava inoltre la più generale necessità di adeguare ai principi via via emersi dopo l’entrata in vigore della Costituzione l’intero sistema sanzionatorio in materia, di impianto antecedente alla stessa.

Peraltro, il dubbio sull’opportunità di una prescrizione di reato per sanzionare una simile condotta prende maggiore spessore quando si pone attenzione ai risvolti pratici di tale previsione. Non può infatti evitarsi di considerare che il trasgressore, omissivo nella denuncia del trasferimento della proprietà o della detenzione del bene culturale, si guarda bene, se consapevole dei rischi che comporta, dal comunicare tardivamente tale trasferimento. Di solito egli viene scoperto soltanto nel momento in cui si fa avanti chi è succeduto nei suoi diritti, essendo impensabile allo stato attuale che la P.A. si attivi autonomamente per effettuare i relativi controlli. Di conseguenza l’emergere del reato avviene spesso a distanza di anni, quando si è ormai compiuta a vantaggio del trasgressore la prescrizione, sempre che si accolga la teoria della consumazione istantanea e del carattere quindi non permanente del reato. In ogni caso perdura così una grave situazione di incertezza giuridica, poiché su detto atto di trasferimento incombe comunque la nullità stabilita prima dall’art. 61 della l. 1089/1939 e ora dall’art. 135 del T.U., anche se con tutti i limiti derivanti dalla sua asserita relatività nel solo interesse dello Stato, che qui si tralasciano per evidenti ragioni di brevità [5].

Viceversa il denunciante ritardatario incorrerà immancabilmente nella sanzione, malgrado non abbia voluto sottrarsi al regime di tutela storico artistica [6], risultando tuttavia colpevole dell’avere protratto oltre il termine concesso una situazione che come si accennava prima appare di pericolo, più che di danno, avendo riguardo al pubblico interesse culturale sul bene del quale egli è proprietario. Ma questo avverrà solo nel caso che si possa ravvisare nella sua condotta la presenza dell’elemento soggettivo necessario per la punibilità del delitto de quo, che si ritiene debba configurarsi nel dolo generico.

In considerazione di ciò risulterà non di rado difficile una effettiva condanna penale per il reato in esame, con la conseguenza di un’inevitabile incidenza dei costi processuali sulla collettività, mentre la sua sostituzione con una sanzione amministrativa parrebbe invece migliorare anche le possibilità di reale applicazione, oltre che rispondere ad una più adeguata ed efficace funzione di deterrenza. Inoltre, le somme così riscosse per gli illeciti commessi in materia di trasferimenti di beni sottoposti a tutela storico artistica potrebbero essere opportunamente impiegate per fini culturali, scaturendone forse una sorta di bilanciamento accettabile, da un punto di vista di politica sociale, rispetto al minore rigore sanzionatorio.

Non ultimo rileva il sussistere di alcune zone di incertezza attorno al disposto dell’art. 58 del T.U. Così, ad esempio, ci si chiede se appartengono al novero delle denunce obbligatorie i negozi costitutivi o traslativi di diritti reali minori, che alcuni autori ritengono possano rientrare, esclusi comunque quelli di garanzia, addirittura tra gli atti soggetti alla c.d. prelazione artistica [7]. In proposito, se una corretta interpretazione della norma ci porta a dovere valutare quando il riconoscimento di tali diritti comporti un mutamento soggettivo nell’utilizzo del bene culturale, sembra potersi totalmente escludere da ogni obbligo di denuncia soltanto il caso dell’ipoteca [8].

Nel caso di successione mortis causa si pone altresì la questione di determinare da quando fare decorrere il termine di 30 giorni per la denuncia ex art. 58 del T.U. L’ipotesi preferibile sembra quella di computare il termine dal momento dell’accettazione dell’eredità, coordinando così la norma con il disposto dell’art. 58 del regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363, mai espressamente abrogato, secondo il quale "la denuncia per le cose mobili non può essere posteriore all’accettazione dell’eredità", mentre "per le immobili può essere protratta fino a due mesi dalla data dell’accettazione" [9]. Questa soluzione comporta peraltro non pochi problemi di accertamento del rispetto del termine, essendo nota la maggiore diffusione dell’accettazione tacita piuttosto di quella espressa e risultando così necessario riferirsi al compimento di qualsivoglia atto di erede ai sensi degli artt. 475 ss. c.c.

Oltre questi vi sono pure altri problemi interpretativi, che necessariamente influiscono nella delimitazione della condotta di cui al delitto che si discute, quali quelli che possono sorgere in relazione alla stessa individuazione del bene sottoposto a tutela storico artistica. Si pensi all’ipotesi, non propriamente scolastica, che sia vincolato in un ampio condominio solo un antico pozzo insistente su un cortile interno, di proprietà quindi comune. Ad una rigorosa lettura della norma ogni mutamento immobiliare, ad esempio la locazione di uno dei tanti appartamenti, sembrerebbe rientrare nei casi di cui all’art. 58 del T.U., ma la pericolosità, sotto il profilo penalistico, che un simile trasferimento avvenga all’insaputa dello Stato pare oggettivamente di minima entità.

Anche queste incertezze, che nella pratica rendono disagevoli le operazioni sul mercato dei beni culturali, portano inevitabilmente a consigliare la strada della depenalizzazione. Non ritengo che essa avrà come conseguenza una minore attenzione da parte dei proprietari, la cui propensione a rivolgersi agli organi istituzionalmente preposti alla vigilanza e tutela quando abbiano da assumere decisioni sui loro beni dovrà in ogni caso essere incoraggiata attraverso differenti tecniche di sensibilizzazione e di coinvolgimento, sia di carattere culturale che economico, seguendo un percorso del resto già intrapreso da diversi anni tramite la previsione di un pur disarticolato complesso di agevolazioni fiscali.

 


Note

[1] I primi due commi, che qui rilevano, dell’art. 58 del d.lg. 490/1999, che sostituisce l’art. 30 della l. 1089/1939, dispongono che "gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al ministero. La denuncia è effettuata entro trenta giorni: dal proprietario o dal detentore del bene, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito; dall’acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso; dall’erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte".

[2] Il parere dell’11 marzo 1999 è contenuto nel commento al d.lg. 490/1999, a cura di M. Cammelli, La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna 2000, p. 561 ss.

[3] In M. B. Mirri, Il sistema penale alla luce del testo unico, in Beni e Attività Culturali, n. 2, 2000, p. 219.

[4] Sulla materia, tra altri, vedi F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, p. 55; R. Ristori, Patrimonio archeologico, storico o artistico (offese al), in Dig. disc. pen., v. IX, Torino, 1995, p. 260; S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, p. 1301.

[5] Una giurisprudenza consolidata ha ormai precisato i caratteri di questa particolare forma di nullità o, per alcuni, e meglio, di inopponibilità o di inefficacia relativa (così in F. Carresi, Il contratto, Milano, 1987, p. 628, ed anche in Cass. 14 febbraio 1975, n. 590). Si veda a riguardo Cass. 15 maggio 1971, n. 1440; Cass. S.U. 24 novembre 1989, n. 5070; Cass. 12 giugno 1990, n. 5688; Cass. 26 aprile 1991, n. 4559. In dottrina cfr. tra gli altri A. Mansi, La tutela dei beni culturali, Padova, 1998, p. 357 ss.; R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Milano, 2000, p. 271 ss.; L. Puccini, Studi sulla nullità relativa, Milano, 1967, p. 92. Preoccupanti risvolti della omessa e della tardiva denuncia sono in particolare messi in luce in G. Casu, Nullità, in Testo unico in materia di beni culturali e ambientali, studio approvato dalla Commissione Studi del Consiglio nazionale del Notariato il 3 maggio 2000, in CNN Notizie, n. 116, 2000.

[6] L’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, che rappresenta una delle manifestazioni più rilevanti dei suoi poteri di tutela, lato sensu intesi, perdura senza limiti di tempo in difetto di una formale e rituale denuncia, solo dalla quale comincia a decorrere il termine di due mesi per esso previsto: così Cons. Stato 30 gennaio 1991, n. 58. Cfr. inoltre Corte cost. 14 giugno 1995, n. 269, dove si chiarisce la legittimità che lo Stato eserciti la prelazione al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione, anche se non più rispondente al valore venale del bene a causa del tempo trascorso in mancanza della denuncia.

[7] In tal senso pare M. Cantucci, voce Patrimonio storico, archeologico e artistico, in Noviss. dig. it., Torino 1957, vol. XII p. 681. Contra, e persuasivamente, T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 1995, p. 439, ed A. Caracciolo La Grotteria, I trasferimenti onerosi dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario, Milano, 1998, p. 27.

[8] Diversamente T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., p. 407-408, dove si dubita possano rientrare tra i casi di denuncia anche gli atti costitutivi di servitù.

[9] Cfr. G. Casu, Diritto di prelazione, in Testo unico in materia di beni culturali e ambientali, cit.

 



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