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Paesaggio e patrimonio culturale

Tutela del paesaggio e ripensamenti del legislatore

di Girolamo Sciullo [*]

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le pronunce della Corte costituzionale nn. 141 del 2021, 108 e 135 del 2022. - 3. La pronuncia n. 6 del 2023. - 4. Valutazioni conclusive.

Protection of the landscape and second thoughts of the legislator
In consideration of four recent cases examined by the Constitutional Court, the article discusses the constraints encountered by the legislature when it intends to diminish the protection previously guaranteed to the landscape. They consist fundamentally in compliance with the criteria of reasonableness and proportionality of the legislator’s choices, in an adequate consideration of the interest of the landscape and in the preservation of its essential core.

Keywords: Landscape protection; Reasonableness and proportionality of the legislator’s choices.

1. Premessa

Tra le numerose pronunce della Corte costituzionale intervenute negli anni recenti in tema di paesaggio [1] sono rinvenibili alcune che si caratterizzano per l’affrontare questioni di legittimità costituzionale avanzate a proposito di leggi (o atti equiparati) modificative in pejus della precedente disciplina, risolvendosi quindi in un arretramento della protezione del bene paesaggio. Si tratta delle sentenze nn. 141 del 2021, 108 e 135 del 2022 (tutte relative a leggi regionali) e la recentissima n. 6 del 2023 a proposito di un atto normativo dello Stato (decreto-legge convertito). L’analisi che si condurrà si prefigge tre obiettivi: (i) valutare se da tali pronunce emerga un orientamento omogeneo del giudice costituzionale a dispetto delle peculiarità delle situazioni sottoposte al suo scrutinio, (ii) se e in quali termini si profili una sorta di “resilienza” della tutela del paesaggio rispetto a modifiche peggiorative, (iii) conseguentemente, quale rilievo eserciti la qualificazione più volte ribadita (da ultimo dalla stessa pronuncia 6/2023) del paesaggio come valore “primario e assoluto”, qualificazione questa, che se intesa in senso letterale o “enfatico” esigerebbe anche una “irrevocabilità” della tutela in precedenza acquisita dal paesaggio.

L’esame delle prime tre sentenze sarà svolto per gli aspetti essenziali, rinviando per il resto ad un’analisi già condotta [2], mentre scenderà più in dettaglio per la quarta pronuncia.

2. Le pronunce della Corte costituzionale nn. 141 del 2021, 108 e 135 del 2022.

Quando vengono in rilievo leggi regionali (appunto nelle prime tre pronunce) occorre preliminarmente avvertire che possono darsi due casi [3]: che il legislatore regionale nel ritornare su scelte di tutela paesaggistica in precedenza assunte determini una diminuzione di protezione rispetto a standard minimi fissati dallo Stato oppure li osservi, muovendosi all’interno dello spazio di autonomia che gli è accordato. Una “resilienza” della preesistente tutela paesaggistica si profila in senso proprio solo nel secondo caso, perché nel primo risulta preminente, e anzi assorbente, l’aspetto della violazione appunto degli standard statali.

Oggetto della questione di legittimità costituzionale decisa dalla pronuncia n. 141/2021 è la disciplina delle “faggete depresse”, ossia degli ecosistemi forestali a fustaia a prevalenza di faggio presenti a quote significativamente più basse rispetto al normale insediamento. La disposizione sopravvenuta (l’art. 9, comma 9, lett. d), punto 1, della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1), in luogo degli 800 metri in precedenza previsti (nell’art. 34-bis, comma 2, della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39), fissa a 300 metri sul livello del mare la quota al disotto della quale tali ecosistemi forestali vengono definiti faggete depresse e perciò sono meritevoli di tutela (ossia scatta il divieto di utilizzazione per finalità produttive previsto al comma 3, ultimo periodo, dello stesso art. 34-bis). Con il che per le faggete poste al di sopra dei 300 metri s.l.m. risultano permesse le utilizzazioni in precedenza escluse.

Secondo la Corte, la iniziale scelta regionale è valsa “ad attrarre il bosco stesso - nei termini in cui la Regione ha ritenuto di tutelarlo - nella categoria dei boschi e delle foreste protette dall’art. 142, comma 1 lettera g)” del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 [d’ora in avanti Codice]. La disposizione sopravvenuta tiene ferma tale scelta “ma ne modifica (...) irragionevolmente la definizione” con l’effetto di escludere dalla tutela in precedenza assicurata gran parte delle faggete depresse (per lo più situate sopra i 300 metri sul livello del mare). In tal modo il legislatore “ha di fatto svuotato” il contenuto della tutela in precedenza accordata, attraverso una definizione di tale ambito boschivo che “è frutto, più ancora di una forzatura, di una vera e propria falsa rappresentazione della realtà” [4].

La sentenza accoglie la questione di legittimità costituzionale della disposizione regionale in rapporto all’art. 142, comma 1, lett. g), sicché essa sembrerebbe riferirsi a un caso di diminuzione di protezione che viola uno standard fissato dallo Stato.

Pur risultando la pronuncia senz’altro condivisibile nell’esito, non può non rilevarsi tuttavia un disallineamento fra il profilo formale e quello sostanziale quanto ai motivi della decisione. L’illegittimità è affermata, come si è detto, per contrasto con una norma del Codice (profilo formale). Si può rilevare che la disposizione regionale, modificativa della definizione di faggeta depressa, non incideva sulla nozione di bosco quale fissata dalla disposizione statale, ma - mantenendosi nell’alveo “integrativo” della nozione statale come prescritto dall’art. 3, comma 4, d.lg. 3 aprile 2018, n. 34 - interveniva sulla preesistente definizione operata dalla legge regionale. La disposizione si presentava invece costituzionalmente illegittima perché “irragionevolmente” (per “falsa rappresentazione della realtà”) - come precisato dalla Corte - deprimeva la tutela in precedenza accordata alla situazione boschiva presa in considerazione (profilo sostanziale) [5].

In ogni caso la sentenza presenta un significativo rilievo. Fa applicazione del generale canone di ragionevolezza [6] alla tutela del paesaggio: in base ad essa un intervento del legislatore che incida negativamente sulla tutela del paesaggio in precedenza prevista risulta costituzionalmente illegittimo ove risulti irragionevole; come dire che una reformatio in peius si giustifica solo se supera il test di ragionevolezza.

La pronuncia n. 108/2022 affronta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge Regione Sicilia 21 luglio 2021, n. 17, modificativo dell’art. 2, comma 1-bis, della legge 16 dicembre 2020, n. 32 della stessa Regione, che esclude le richieste di concessione di demanio marittimo avanzate prima della sua entrata in vigore dal rispetto del Piano di utilizzo del demanio marittimo (PDUM), piano avente funzione anche di tutela dell’ambiente e del paesaggio. La Corte reputa che la disposizione determini “un abbassamento del livello di tutela dell’ambiente e del paesaggio nei Comuni costieri rispetto a quanto già in precedenza assicurato dalla stessa legislazione regionale previgente” [7]. Dando evidentemente per ammissibile in astratto un ripensamento da parte del legislatore sulle scelte operate, la Corte procede poi a un accurato esame degli interessi coinvolti dalla disposizione, esprimendo l’avviso che questa “assicura esclusivamente la salvaguardia degli interessi degli aspiranti alle nuove concessioni, sacrificando, oltre i limiti consentiti dal principio di ragionevolezza, gli interessi riconducibili al raggio di tutela dell’art. 9 Cost.”. Conseguentemente la dichiara costituzionalmente illegittima “per contrasto con gli artt. 3 e 9 Cost.” [8].

La pronuncia n. 135/2022, a sua volta, evidenzia nei termini più chiari l’impostazione che segue il giudice costituzionale nell’affrontare il tema della revisione peggiorativa della disciplina di tutela paesaggistica in precedenza dettata.

Oggetto della questione di legittimità costituzionale è, in particolare, il comma 5 dell’art. 37 della legge Regione Sicilia 13 agosto 2020, n. 19 (come sostituito dall’art. 12 della legge 3 febbraio 2021, n. 2 della stessa Regione), che elimina il vincolo paesaggistico operante sulle zone di rispetto di boschi e di fasce forestali. A fronte della deduzione da parte della difesa erariale, secondo la quale la disposizione regionale sopravvenuta contrasterebbe con il “principio generale di “irrevocabilità” dei vincoli di tutela paesaggistica” riconducibile alla “norma di grande riforma economico-sociale contenuta all’art. 140, comma 2” del Codice, la Corte rileva che tale principio non “può essere desunto, come limite alle scelte di dichiarazione ex lege di interesse paesaggistico (...), dalla disposizione invocata”, concernendo infatti, solo il rapporto fra provvedimenti di vincolo e piano paesaggistico.

Soprattutto la Corte è netta nell’affermare che “un siffatto principio (...) non esiste nell’ordinamento”, aggiungendo che esso, qualora presente, comporterebbe un’”ingiustificata e potenzialmente irragionevole” restrizione degli spazi di scelta del legislatore, con l’effetto, in una sorta di eterogenesi dei fini, di “indurre il legislatore regionale a non compiere scelte di potenziamento della tutela” nel timore di non poter ritornare sui suoi passi, “nemmeno ove una rinnovata ponderazione degli interessi lo esigesse” [9]. Con gli stessi argomenti la Corte respinge la questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, prospettata sotto il profilo della violazione dei principi di ragionevolezza e di tutela del paesaggio (artt. 3 e 9 Cost) [10].

Una chiara chiusura, dunque, da parte del giudice costituzionale rispetto alla possibilità di configurare un divieto a carico del legislatore di rimodulare in peggio scelte di tutela in precedenza operate in materia paesaggistica. La sentenza peraltro non affronta il profilo dei limiti che incontra la revocabilità delle scelte. Tuttavia, il riferimento nel passo sopra riportato alla eventualità che “una rinnovata ponderazione degli interessi (...) esig[a]” dal legislatore di ritornare sui suoi passi, appare un’indicazione significativa delle condizioni che rendono possibile la revisione.

3. La pronuncia n. 6 del 2023

Fra le varie questioni di legittimità costituzionali decise nella pronuncia n. 6 del 2023, a seguito del ricorso avanzato dalle Regioni Toscana e Friuli-Venezia Giulia in ordine al decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121, conv. dalla legge 9 novembre 2021, n. 156 di modifica della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), presenta rilievo quella avanzata con riferimento all’art. 4, comma 1-septies del d.l. n. 121, introduttiva del comma 1-septies nell’art. 5 della legge n. 84. Secondo tale disposizione, “gli ambiti portuali come delimitati dal DPSS [Documento di programmazione strategica di sistema], ovvero, laddove lo stesso non sia ancora stato approvato, dai vigenti PRP [Piani regolatori portuali], anche se approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono equiparati alle zone territoriali omogenee B previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ai fini dell’applicabilità della disciplina stabilita dall’articolo 142, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le regioni adeguano il proprio piano territoriale paesistico regionale entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall’approvazione del DPSS”.

Pare opportuno in via preliminare qualche cenno al quadro normativo in cui si inserisce tale disposizione.

Il DPSS ha il compito di: “a) defini[re] gli obiettivi di sviluppo dell’Autorità di sistema portuale; b) individua[re] gli ambiti portuali, intesi come delimitazione geografica dei singoli porti amministrati dall'Autorità di sistema portuale (...); c) riparti[r]e gli ambiti portuali in aree portuali, retro-portuali e di interazione tra porto e città; d) individua[re] i collegamenti infrastrutturali di ultimo miglio di tipo viario e ferroviario con i singoli porti del sistema esterni all'ambito portuale nonché gli attraversamenti dei centri urbani rilevanti ai fini dell’operatività dei singoli porti del sistema” (comma 1 dell’art. 5).

Il DPSS è adottato dal Comitato di gestione dell'Autorità di sistema portuale ed è approvato, acquisito il parere del comune e previa intesa con la regione territorialmente interessata, dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili che si esprime sentita la Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale di cui all’articolo 11-ter della legge. Il documento di programmazione strategica di sistema non è assoggettato alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) (comma 1-bis dell’art. 5) [11].

L’“Autorità di sistema portuale è ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinamento speciale” (comma 5 dell’art. 6).

Infine, nei “singoli porti amministrati dalle Autorità di sistema portuale l'ambito e l'assetto delle aree portuali e retro-portuali, individuati e delimitati nel DPSS, sono disegnati e specificati nel piano regolatore portuale (PRP), che individua analiticamente anche le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate nonché i beni sottoposti al vincolo preordinato all'esproprio” (comma 1-ter dell’art. 5).

Le Regioni ricorrenti prospettano la illegittimità costituzionale di ambedue le previsioni contenute nell’art. 4, comma 1-septies del d.l. n. 121 per contrasto con gli artt. 3, 9, 117, secondo comma, lett. s) e terzo comma, Cost., in relazione alle norme interposte contenute negli artt. 135, commi 1 e 2, 143, comma 2, e 145, comma 3. La Corte ritiene fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost, con assorbimento delle ulteriori censure, e di conseguenza dichiara costituzionalmente illegittimo l’articolo impugnato.

Ad avviso della Corte, anzitutto, l’accostamento operato dalla legge statale delle zone portuali alle zone omogenee B previste dal d.m. n. 1444 del 1968, di cui al comma 2 dell’art. 142 del Codice, “è, ictu oculi, forzosa assimilazione di situazioni eterogenee”, sicché è ravvisabile la “violazione del principio di eguaglianza per ingiustificata omologazione di situazioni differenti [12].

A proposito, poi, del vincolo posto a carico delle Regioni di adeguare il piano paesistico regionale una volta approvato il DPSS, la Corte ravvisa un contrasto con “l’art. 9 Cost. in relazione ai parametri interposti costituiti dagli artt. 135 e 143 cod. beni culturali sulla copianificazione paesaggistica”, incidendo la disposizione statale “in via unilaterale sull’assetto della pianificazione paesaggistica” [13].

Se la dichiarazione di incostituzionalità della disposizione impugnata è da condividere, non tutte persuasive appaiono però le motivazioni impiegate a supporto. I rilievi sulla eterogeneità fra zone portuali e zone urbane di completamento colgono nel segno, non altrettanto sembra invece potersi dire a proposito della asserita violazione del principio della copianificazione paesaggistica. Nella giurisprudenza costituzionale (cfr. ad esempio, le sentenze 240/2020 e 86/2019 richiamate anche dalla pronuncia in esame) il principio ha una chiara valenza “procedimentale/decisionale” e investe il ruolo dello Stato: viene invocato per sanzionare leggi regionali che disattendono il concorso dello Stato alla predisposizione del piano paesaggistico nei casi previsti dall’art. 135 del Codice. Nella fattispecie considerata dalla pronuncia a venire in rilevo era il ruolo della Regione, e questo non veniva messo in discussione nel profilo procedurale/decisionale (spettava alla Regione la variazione del piano paesaggistico), ma in quello prettamente sostanziale (la soggezione al vincolo di modificare il piano in aderenza alle previsioni del DPSS). In realtà a venire anzitutto e fondamentalmente in gioco era la relazione fra i due piani come disposta dalla norma. Il ruolo della Regione veniva coinvolto solo di riflesso. Sarebbe risultata, allora, più incisiva la motivazione se si fosse riferita all’“impronta unitaria della pianificazione paesaggistica”, che, come sottolineano le sentenze poco sopra richiamate, offre fondamento al principio di copianificazione [14], senza però esaurirsi in esso. L’“impronta unitaria della pianificazione paesaggistica” (da collegarsi alla qualificazione del paesaggio come “bene complesso e unitario [15], ovvero alla “’unitarietà del valore della tutela paesaggistica [16]) è alla base, infatti, come ripetutamente affermato dalla Corte [17], anche del principio, sancito dall’art. 145, comma 3 del Codice, della prevalenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di pianificazione ad incidenza territoriale. Il vincolo per la Regione, espresso dalla disposizione impugnata, a modificare il proprio piano paesaggistico in relazione alle previsioni del DPSS, violava tale principio perché incideva sulla unitarietà e organicità della considerazione del paesaggio affidata allo strumento. Né oltretutto la disciplina di formazione del DPSS dettata dall’art. 4, comma 1-septies, lett. a), del d.l. n. 121/2021, era tale da garantire una compiuta rappresentazione dell’interesse paesaggistico [18].

In breve, sarebbe parsa più convincente una dichiarazione di illegittimità costituzionale sempre per violazione dell’art. 9, ma in relazione al parametro interposto costituito dall’art. 145, comma 3, del Codice.

4. Valutazioni conclusive

Si possono ora considerare gli interrogativi inizialmente posti, ossia (i) se per il caso di interventi del legislatore risolventisi in un arretramento della tutela paesaggistica emerga un orientamento omogeneo del giudice costituzionale, (ii) quale ‘resilienza’ presenti la tutela in precedenza accordata al paesaggio, (iii) quale rapporto, infine, si configuri fra qualificazione del paesaggio come “valore primario e assoluto” e il possibile arretramento della tutela.

Il primo interrogativo trova senz’altro una risposta affermativa. Le pronunce esaminate mostrano un’impostazione comune, nel senso che il giudice costituzionale non ravvisa la presenza di un principio di “irrevocabilità” della tutela paesaggistica. Lo dichiara esplicitamente la pronuncia n. 135/2022; ma si tratta di una posizione implicitamente accolta nelle altre decisioni, che di volta in volta delineano le condizioni nel rispetto delle quali il legislatore può ritornare restrittivamente sulle scelte di tutela in precedenza assunte. In particolare, non viene accolta la tesi, pur prospettata in sede di ricorso alla Corte, di una “logica incrementale” della tutela paesaggistica, di una sorta di “acquis paesaggistico” discendente dalla qualificazione del paesaggio come “valore primario e assoluto” [19].

L’attenzione quindi si sposta sulle condizioni nel rispetto delle quali la “revocabilità” della precedente tutela accordata risulta ammissibile. Nelle pronunce esaminate emerge anzitutto quella dell’osservanza del canone di ragionevolezza [20]. La scelta “peggiorativa” è soggetta ai meccanismi che sono propri del relativo sindacato e quindi ne risulta subordinata agli esiti. In secondo luogo, essa è vincolata agli altri principi presenti in Costituzione (esplicitamente menzionati quello della non assimilazione di situazioni differenti e quello della copianificazione [21], o meglio della unitarietà della tutela paesaggistica che ne è a base). Non c’è da dubitare però che altre condizioni derivino dalla qualificazione del paesaggio come “valore primario e assoluto” [22]. Nella ormai consolidata giurisprudenza della Corte tale connotazione non comporta una primazia in radice di tale valore su altri valori costituzionali con i quale venga a collidere, né una sottrazione al confronto o al bilanciamento, né quindi una insuscettibilità a risultare inciso nelle scelte operate dal legislatore. La Corte però è ferma nel richiedere la compiuta rappresentazione di tale interesse nel processo decisionale che lo coinvolge nonché l’intangibilità del suo nucleo essenziale da parte della scelta assunta, oltre alla ragionevolezza della soluzione adottata [23]. Come già rilevava nel lontano 1985 la pronuncia n. 94, la tutela del paesaggio “non può venire realisticamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un momento dato”, ma “presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi” [24]. Ben si giustifica allora che il legislatore possa rivedere le scelte di tutela in precedenza operate; e a maggior ragione questo vale quando la valutazione sia, o si manifesti, tutta “interna” all’apprezzamento delle esigenze di tutela, ossia si riferisca o appaia riferirsi unicamente alle esigenze della stessa. Si può quindi ritenere che ulteriori condizioni per il ripensamento da parte del legislatore delle scelte in tema di tutela del paesaggio siano costituite da una compiuta rappresentazione dell’interesse paesaggistico e dalla non incidenza sul suo nucleo essenziale.

Da quanto fin qui rilevato si può affermare - passando all’ultimo interrogativo - che il rapporto fra la qualificazione del paesaggio come “valore primario e assoluto” e la “revocabilità” delle scelte legislative di tutela paesaggistica non si atteggia in termini di esclusione (l’una non è di ostacolo all’altra), ma, verrebbe da dire, di integrazione, nel senso che l’una concorre a definire le condizioni di ammissibilità dell’altra.

Un ultimo punto merita una sottolineatura. La “revocabilità” e le condizioni che l’accompagnano non risulta nelle sentenze considerate variare fondamentalmente se a determinare l’abbassamento di tutela sia il legislatore regionale o quello statale. Entrambi incontrano una medesima tipologia di condizioni (ragionevolezza, rispetto degli altri principi costituzionali, compiuta rappresentazione dell’interesse paesaggistico, intangibilità del suo nucleo essenziale). Quello regionale è però altresì tenuto a rispettare gli standard minimi di protezione fissati dal legislatore statale.

 

Note

[*] Girolamo Sciullo, già ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università di Bologna, Via Zamboni 22, 40126 Bologna, g.sciullo@studiogam.it.

[1] Per economia di analisi nello scritto il termine paesaggio è assunto come comprensivo anche dei beni paesaggistici (per la distinzione corretta fra paesaggio e beni paesaggistici cfr. per tutti G. Piperata, in AA.VV., Diritto del patrimonio culturale, Il Mulino, Bologna, 2020, 264.

[2] Cfr. G. Sciullo, La “resilienza” della tutela del paesaggio, in Giorn. dir. amm., 2022, 6, pag. 771 ss.

[3] Peraltro rilevati dalla Corte, cfr. sentenza n. 135/2022, punto 5.1.2.

[4] Punto 7.1.2.

[5] Ai fini dell’allineamento dei due profili sarebbe parso invero più adeguato l’accoglimento della q.l.c. per violazione degli artt. 3 e 9. È possibile pensare che il rilevato disallineamento trovi origine nell’intenzione della Corte di evitare le incertezze che avvolgono il limite che incontra il giudice costituzionale nel “controllo (...) sulla razionalità in sé e per sé delle norme sottoposte al suo giudizio” (per il passo T. Martines, Diritto costituzionale, XV ed. riveduta da G. Silvestri, Milano 2020, 555).

[6] Sul tema cfr., ad es., L. Paladin, Ragionevolezza (principio di), in Enc. dir., agg. I, 1997, pag. 899 ss., G. Scaccia, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano 2000, A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, Giuffrè, Milano 2001, M. Fierro, La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Corte costituzionale - Servizio studi, Quaderno STU 249, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee, Roma 2013, 7 ss., nonché di recente F. Trimarchi Banfi, Il giudizio di proporzionalità e la base conoscitiva delle leggi, in Dir. proc. amm., 2022, 1, pag. 3 ss.

[7] Punto 4.2.

[8] Punti 4.3-4.5.

[9] Punto 5.1.1.

[10] Cfr. punto 5.1.2.

[11] Così recita la disposizione dopo l’intervento di tipo ‘manipolativo’ da parte della pronuncia n. 6/2023 (cfr. punto 8.2).

[12] Punto 11.1.1.

[13] Punto 11.1.2.

[14] Sentenze 240/2020 e 86/2019, rispettivamente punto 6.2 e punto 2.1.1.

[15] Cfr., ad es., sentenze 187/2022, nonché 257, 201 e 164/2021, rispettivamente punto 7.1, 6, 4.1. e 9.1.

[16] Sentenza 240/2020, punto 6.2.

[17] Cfr. da ultimo sentenza 192/2022, punto 4.

[18] Anche dopo l’intervento da parte della pronuncia n. 6/2023 sulla disposizione (cfr. supra la nt. 11), il DPSS resta non assoggettato alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), che come ricorda la Corte costituzionale nella pronuncia. n. 108/2022 (punto 4.2. del Considerato in diritto), ha anche la funzione di ponderare gli effetti sul paesaggio che l’attività antropica oggetto di pianificazione può determinare; d’altro canto, nel procedimento di approvazione del piano, che fa capo al ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, non è prevista la presenza del ministero della Cultura.

[19] È quanto prospettato dal ricorso del Presidente del Consiglio deciso da Corte cost. n. 135/2022, punti 1.2 e 3 del Ritenuto in fatto. Di “logica incrementale delle tutele (...) del tutto conforme al carattere primario del bene ambientale” parla Corte cost. n. 164/2021, ma con riferimento al fatto che “la competenza regionale può essere spesa al solo fine di arricchire il catalogo dei beni paesaggistici, in virtù della conoscenza che ne abbia l’autorità più vicina al territorio ove essi sorgono, e non già di alleggerirlo in forza di considerazioni confliggenti con quelle assunte dallo Stato, o comunque mosse dalla volontà di affermare la prevalenza di interessi opposti” (punto 9.3), e quindi con riguardo ad una fattispecie del tutto diversa.

[20] Cfr. le pronunce n. 108/2022 e n. 141/2021, rispettivamente Punto 4.3-4.5 e Punto 7.1.2.

[21] Cfr. la pronuncia n. 6/2023 Punto 11.1.2.

[22] In particolare, Corte cost. n. 367/2007, punto 7.1, ma v. anche Corte cost. n. 359/1985, punto 4 del; Corte cost. n. 151/1986, punto 4, Corte cost. n. 641/1987, punto 2.2. Di recente Corte cost. n. 187/2022, punto 7.1, Corte cost. n. 106/2022, punto 4.4, Corte cost. n. 257/2021, punto 6, Corte cost. n. 219/2021, punto 4.1, Corte cost. n. 164/2021, punto 9.1 e, da ultimo, Corte cost. n. 6/2023, punto 11.1.2. Sul tema cfr. il mio “Interessi differenziati” e procedimento amministrativo, in Riv. giur. urb., 2016, 1, pag. 83 ss., e di recente A. Sau, Il rapporto tra funzione urbanistica e tutela paesaggistica oltre il “mito” della primarietà. Qualche considerazione a margine di Consiglio di Stato 31 marzo 2022, n. 2371, in Aedon, 2022, 2, par. 3.

[23] Cfr. Corte cost. n. 58/2018, punto 3.1, Corte cost. n. 85/2013, punto 9, Corte cost. n. 196/2004, punto 23. Diversamente Corte cost. n. 151/1986, punto 4. Per la dottrina, sulla questione della gerarchia tra valori (o principi) costituzionali, per indicazioni complessive e anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, cfr., M. Luciani, Laterna Magika. I diritti “finanziariamente condizionati”, in Riv. Corte dei conti, 2018, 1-2, pag. 644 s., A. Barbera, voce Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali VIII, Milano 2015, pag. 325 s.; M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, pag. 11; A. Morrone, voce Bilanciamento (giustizia cost.), in Enc. dir., Annali, Milano, 2008, II-2, pag. 193 ss. Proprio perché i “valori primari” non si sottraggono al confronto e, entrano anch’essi, a pieno titolo, nel meccanismo del bilanciamento fra interessi (o principi) i cui esiti non sono determinati o determinabili a priori, la “primarietà” finisce per connotare gli interessi che di volta in volta risultano prevalenti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni che vengono in rilievo, dando luogo a quella che è stata definita una “gerarchia mobile” (F. Modugno, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Napoli 2007, 34) degli interessi in campo.

[24] Punto 3.

 

 

 



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