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Sulla digitalizzazione del patrimonio culturale

L’“innovazione” nel nuovo regolamento di organizzazione del Mibact (d.p.c.m. n. 169/2019): spunti ricostruttivi sulla Digital Library

di Pietro Stefano Maglione

Sommario: 1. Transizione digitale e innovazioni organizzative nell’amministrazione del patrimonio culturale. - 2. L’instabilità organizzativa (e funzionale) del ministero. - 3. La Digital Library nel d.p.c.m. n. 169/2019. - 4. Verso un’integrazione digitale “a regime”. - 5. Tra “direzione” e “coordinamento”: un modello innovativo per finalità innovative?

“Innovation” in the organization of the Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism: reconstructive ideas on the new Digital Library
The digitization of the State’s cultural heritage follows the path of the organizational restructuring of the Ministry of Cultural Heritage, with the creation of an Institute for digitization (Digital Library). The Institute benefits of a strategic position within the overall ministerial system: the innovation of the purposes reflects on the innovation of the organizational structures, prefiguring operational models for internal coordination which are destined to influence the way in which, in the imminent future, ministerial activity will grant access to the cultural heritage.

Keywords: Digital Library; Digitization of cultural heritage; Ministry of Cultural Heritage and Activities; Organizational reform.

1. Transizione digitale e innovazioni organizzative nell’amministrazione del patrimonio culturale

L’organizzazione amministrativa, quale prius logico dell’attività [1], concorre con questa a delineare la funzione pubblica (di settore), dalla quale è a sua volta “plasmata” [2]: le funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (anche) statale, infatti, si concretizzano a monte in una complessa interazione circolare tra strutture e servizi, tra modelli organizzativi e strumenti di intervento.

Tale interazione è “aperta” alle trasformazioni sociali ed economiche, cui si correlano nuovi bisogni e spinte provenienti “dal basso” [3], ed implica per ciò stesso la necessità di adattare anche l’organizzazione alle modalità con cui la funzione può meglio realizzarsi in un dato momento storico [4]. È così che l’esigenza di perseguire interessi “tradizionali” con modalità aggiornate può esprimersi attraverso scelte organizzative [5] che, avendo di mira tali nuove modalità, appaiono suscettibili di incidere immediatamente anche sui profili qualitativi della correlativa attività. Tale aspetto è di particolare evidenza dinanzi alla fenomenologia della digitalizzazione.

La “società digitale” investe il patrimonio culturale di sfide impegnative e ineludibili (rispetto alle quali il nostro Paese registra un ritardo [6] non ancora incolmabile), ma anche di opportunità senza precedenti [7]. Tali sfide e opportunità passano, tra l’altro, da una rimodulazione dei concetti “tradizionali” di patrimonio culturale materiale e immateriale [8], nonché dall’intendimento delle diverse declinazioni che il fenomeno tecnologico può assumere nel contesto della funzione di settore: digitization, infatti, può significare sia dematerializzazione (in senso ampio) del patrimonio culturale materiale [9] (c.d. “immaterialità estrinseca” [10]), sia materializzazione del patrimonio culturale immateriale [11], ma può anche riferirsi alla natività digitale [12] di nuovi beni (in ipotesi) culturali.

L’intreccio costituzionale [13] sulla cultura, la quale muovendo dall’art. 9 Cost. informa di sé, sotto vari aspetti, taluni principi fondanti della Parte Prima (artt. 2, 3, 42, co. 2, 33-34 Cost.), tendendo, pur nella diversità di letture offerte, alla promozione della personalità umana, impone ai pubblici poteri di attivarsi adoperando gli “strumenti” che, come si diceva, risultano in ciascuna fase del progresso (i più) adeguati ad assicurare l’effettiva destinazione del patrimonio culturale alla fruizione collettiva. In quest’ottica, la transizione digitale “accelerata” dall’emergenza sanitaria rappresenta una formidabile occasione per rilanciare l’offerta culturale pubblica e stimolare la correlativa domanda [14], anche oltre la contingenza ed a prescindere da essa.

In una prospettiva limitata ai soli profili che - nel variegato processo multilivello di digitalizzazione del patrimonio culturale - si collocano sul piano dell’organizzazione ministeriale, della quale saranno brevemente ripercorsi i principali snodi evolutivi, il presente contributo si propone di analizzare la disciplina della nuova Digital Library e di evidenziare i tratti peculiari del suo “statuto”, i quali, secondo la ricostruzione offerta, consegnano un modello di Istituto centrale fortemente innovativo, in consonanza con gli obiettivi che esso è chiamato a perseguire.

2. L’instabilità organizzativa (e funzionale) del ministero

Il ministero per i Beni e le Attività culturali e del Turismo (Mibact) - oggi della Cultura (MiC) - è tra i ministeri più “instabili”. Tale instabilità, nelle sue diverse “stagioni” [15], attiene non soltanto all’articolazione strutturale dell’apparato, ma al sistema complessivamente inteso, involgendo i profili organizzativi cui (più) direttamente si correlano il numero e la natura delle attribuzioni a vario titolo rientranti nella competenza ministeriale. Basti pensare, in proposito, allo swing of pendulum delle funzioni (e delle inerenti risorse umane, finanziarie e strumentali) in materia di turismo [16], transitate a più riprese per la Presidenza del Consiglio e per il ministero delle Politiche agricole e stabilizzatesi tra il 2013 [17] e il 2019 [18] presso il Mibac(t), prima di “emanciparsi” nel marzo 2021 con la (ri)nascita del ministero del Turismo [19].

È il destino - in un certo senso coerente - di un ministero nato “per scorporo” di funzioni nel 1974 [20], quando, sostituendo il precedente ufficio ministeriale senza portafoglio, finì per esercitare funzioni prima assegnate alla Presidenza del Consiglio e ai ministeri della Pubblica istruzione e degli Interni. Come noto, è però solo dal 1998 [21], nel contesto della prima Legge Bassanini, che esso ha assunto i connotati essenziali della sua fisionomia odierna: infatti, nell’alveo del c.d. terzo decentramento [22] allora in atto, l’intento di razionalizzare l’amministrazione centrale nel settore dei beni e (da lì anche) delle “attività” culturali si tradusse, per accorpamenti e soppressioni, nell’istituzione di un nuovo apparato, destinatario di una specifica disciplina sull’azione poi contenuta nel Testo Unico [23] e, più avanti, ampliata e “sistematizzata” dal Codice Urbani. Seguirono altri interventi legislativi [24], accompagnati dai rispettivi regolamenti di organizzazione [25], più volte modificati prima di essere nuovamente sostituiti.

Nel 2014 [26], infatti, si apportano ulteriori modifiche di struttura, cui segue un nuovo regolamento governativo di organizzazione (il quinto) [27], che, col concorso di un successivo decreto ministeriale [28] previsto dalla legge di stabilità 2016 [29], ridefinisce profondamente l’amministrazione ministeriale nelle sue articolazioni sia centrali che periferiche, finendo per modificarne la disciplina delle funzioni e, più in radice, lo stesso ruolo [30].

Tale instabilità ha contribuito, come osservato in dottrina, a “precarizzare” l’identità organizzativa e funzionale del ministero [31], proiettandolo in una transizione perenne ove l’ibridazione del modello organizzativo riflette la volontà di mantenerne l’impostazione tradizionale senza però trascurare l’esigenza, scaturente anche dai nuovi assetti periferici, di conferire alle strutture centrali un nuovo “volto” capace di valorizzarne il ruolo di governo in coerenza con la maggiore autonomia riconosciuta alle strutture di gestione [32]. Sennonché, come autorevolmente sostenuto, il disegno organizzativo che ne risulta non sembra “prestarsi bene a realizzare quell’unitarietà e compattezza di funzionamento della struttura di governo che sarebbe richiesta”, da ciò derivando “ancora una volta un effetto di compartimentazione dell’azione ministeriale, che è tipico del modello a direzioni generali e che meglio si attaglia all’esercizio di competenze puntuali di amministrazione [33].

Gli ultimi interventi sono recentissimi: alla fine del 2019, oltre al momentaneo trasferimento delle funzioni in materia di turismo, è adottato con d.p.c.m. n. 169/2019 [34] il nuovo regolamento di organizzazione del Mibact (ora MiC) e degli uffici di diretta collaborazione di questo, in vigore dal 5 febbraio 2020 [35]. Quest’ultimo si pone in linea di continuità con il precedente regolamento [36], per come modificato nel 2016, pur apportando - oltre ad alcuni “ritocchi” formali o tassonomici - talune innovazioni sostanziali di non trascurabile impatto sul disegno organizzativo ministeriale, perlopiù concernenti l’amministrazione periferica. Di seguito ci occuperemo di una (soltanto) di tali innovazioni, la c.d. Digital Library, e per cenni di quelle che verranno in rilievo per incidens nel trattare di quest’ultima.

3. La Digital Library nel d.p.c.m. n. 169/2019.

Tra le principali novità del nuovo regolamento di organizzazione che meglio esprimono la segnalata rilevanza dell’organizzazione nell’ “aggiornamento” delle modalità di cura di interessi tradizionali del settore, vi è la creazione dell’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library (art. 35). A dispetto del (secondo) nome, che per metonimia ne riflette le finalità ma non certo la natura, si tratta di un ufficio ministeriale di livello dirigenziale generale [37] (con a capo, dunque, un dirigente di prima fascia [38]), dotato di autonomia scientifica e di autonomia speciale [39] (finanziaria, organizzativa e contabile), come risulta dall’art. 33, co. 2, lett. a), n. 3 del nuovo regolamento [40].

Inserito nel Capo VI, tra gli “istituti centrali e uffici con particolari finalità”, il nuovo Istituto rappresenta il tentativo di superare la controversa soluzione introdotta dal d.m. 23 gennaio 2017, n. 37 [41], con la quale si era attribuito all’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD), e segnatamente ad un “Servizio Digital Library” appositamente istituito al suo interno [42], il compito di coordinare i programmi di digitalizzazione del ministero, in coerenza con un piano nazionale elaborato dallo stesso ufficio.

La Digital Library pensata dal nuovo regolamento di organizzazione viene non solo emancipata dagli istituti preesistenti, ma dotata di poteri di indirizzo e vigilanza (anche finanziaria e contabile, d’intesa con la Direzione generale “Bilancio”) e di nomina dirigenziale nei confronti dello stesso ICCD, nonché di altri istituti centrali di livello dirigenziale non generale: quello per gli archivi (ICAR), quello per i beni sonori e audiovisivi (ICBSA) e quello per il catalogo unico delle biblioteche italiane (ICCU). E ciò, come si vedrà oltre (infra, 4.), nonostante tali istituti continuino a dipendere funzionalmente dalle competenti direzioni generali [43].

Più in generale, al nuovo Istituto spettano, oltre al coordinamento dei programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale di competenza del ministero, l’attività di censimento delle collezioni digitali già esistenti e dei servizi per l’accesso online; la verifica dello stato di attuazione dei progetti di digitalizzazione adottati dai diversi uffici ministeriali; il coordinamento dei tavoli tecnici per l’elaborazione del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale e delle iniziative per la catalogazione dello stesso; la redazione di accordi tipo per progetti di digitalizzazione da realizzare anche in collaborazione con altri enti [44], pubblici o privati.

L’art. 19, co. 2, lett. g) del regolamento, relativo alla Direzione generale “Archivi”, prevede che quest’ultima esercita le funzioni in materia di riproduzione e restauro dei beni archivistici, nonché di elaborazione scientifica e conservazione della memoria digitale, “raccordandosi con l’Istituto per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library” [45]. Analogamente, gli artt. 20, co. 2, lett. e) e 21, co. 2, lett. g) prevedono che, rispettivamente, la Direzione generale “Biblioteche e diritto d’autore” e la Direzione generale “Creatività contemporanea” [46] assolvono alcuni dei propri compiti - in particolare l’elaborazione di programmi concernenti ricerche e iniziative scientifiche in tema di catalogazione e inventariazione dei beni librari e delle opere di arte contemporanea - “raccordandosi con l’Istituto per la digitalizzazione del patrimonio culturale”. Una forma similare di raccordo, ancorché formulata nei termini della proposta di programmi indirizzata alla Digital Library, è prevista dall’art. 41, co. 1, lett. h) per le “nuove” Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio (c.d. Soprintendenza unica [47]).

Spostando l’ottica - in un senso latissimo - verso “l’alto”, la Digital Library è, a sua volta, sottoposta al potere di vigilanza della Direzione generale “Educazione, ricerca e istituti culturali”, che lo esercita d’intesa con la Direzione generale “Bilancio” limitatamente ai profili finanziari e contabili (art. 15, co. 3). Non sembra privo di significato che si faccia riferimento al solo potere di vigilanza, e non anche di indirizzo, a conferma della peculiare posizione che l’Istituto per la digitalizzazione riveste nella nuova organizzazione ministeriale, anche in ordine ai “rapporti” con le direzioni generali. Tale posizione risulta almeno in parte comune anche ad un altro dei complessivi tre [48] uffici di livello dirigenziale generale con autonomia speciale previsti dal nuovo regolamento (art. 33, co. 2, lett. a), ossia l’Archivio centrale dello Stato, anch’esso sganciato dal potere di indirizzo della competente Direzione generale (“Archivi”) [49]. Questa mantiene però nei confronti dell’Archivio centrale, oltre alle funzioni di vigilanza, anche l’assegnazione delle risorse umane e strumentali. Pur con la differenza ora segnalata, che sembrerebbe ammettere per la sola Digital Library risorse umane e strumentali dirette, sia quest’ultima che l’Archivio centrale dello Stato risultano, alla luce del vigente regolamento, i soli uffici non soggetti a poteri di etero-indirizzo (delle direzioni centrali o di altro istituto). Verso il “basso”, invece, la Digital Library assume una posizione unica: è il solo Istituto dotato di poteri di indirizzo e di nomina nei confronti di istituti autonomi che, per di più, afferiscono, anche sotto il profilo dei conferimenti di risorse, alle competenti direzioni generali.

4. Verso un’integrazione digitale “a regime”

La posizione riservata alla Digital Library nella nuova organizzazione ministeriale esprime, anche simbolicamente, l’intento di coordinare e armonizzare le esperienze di digitalizzazione - frammentarie - già presenti a livello centrale, frutto di una stratificazione non sempre coordinata di atti ministeriali attributivi di nuovi compiti digital oriented in capo ad istituti preesistenti (si pensi, già molto prima della creazione del Servizio Digital Library presso l’ICCD, alle attività e ai servizi a vocazione digital gestiti dall’ICCU e dall’ICAR).

Non sembra, alla luce della disciplina sopra tratteggiata, trattarsi di un’operazione di mero accentramento funzionale, intesa quale “riserva” di attività connesse alla digitalizzazione in favore della nuova Digital Library, la quale parrebbe piuttosto chiamata ad un’opera di razionalizzazione e coordinamento di attività innovative già in atto o da promuovere, ma comunque mantenute in capo ai singoli istituti, per le quali si ritiene ora necessario un centro unitario di impulso e raccordo. In particolare, i poteri di indirizzo e di nomina dei direttori dei summenzionati istituti, ora attribuiti alla Digital Library, rivelano un’inversione di prospettiva di sicuro rilievo, almeno in astratto: è la (esigenza di) transizione digitale a precedere e guidare in questa fase la specifica mission propria di ciascun Istituto specialistico (ICCD, ICAR, ICBSA, ICCU).

Conferma di ciò sembra potersi trarre dalla lettura combinata dell’art. 35, co. 3, che detto potere di nomina prevede, e dell’art. 33, co. 6, per il quale gli incarichi di direzione degli istituti di cui al c. 2, lett. b) - tra i quali sono compresi l’ICCD, l’ICCU, l’ICAR e l’ICBSA - sono “conferiti dai titolari delle strutture dirigenziali di livello generale da cui gli stessi istituti dipendono”: verrebbe così ad instaurarsi un parallelismo tra il potere di nomina dirigenziale riservato alla Digital Library ed un (pur generico) rapporto di “dipendenza” che lega a quest’ultima gli uffici di livello dirigenziale non generale richiamati dall’art. 35, co. 3.

Tale parallelismo e, più in generale, il potere di indirizzo attribuito alla Digital Library nei confronti degli Istituti centrali specialistici, possono apparire distonici, ove si consideri che questi ultimi, come segnalato (supra, 3.), seguitano a dipendere funzionalmente dalle direzioni generali competenti per “materia”, ossia, per i profili di rispettiva competenza, dalla Direzione generale “Archivi” e dalla Direzione generale “Biblioteche e diritto d’autore” [50]. È però nelle pieghe di tale (apparente) anomalia che risiede il proprium del nuovo Istituto per la digitalizzazione, la cui specialità, nel sistema delineato dal d.p.c.m. n. 169/2019, può cogliersi sotto i diversi profili disciplinari - sul versante “basso” e su quello “alto” - già considerati in precedenza (supra, 3.). Tali profili concorrono, nel loro insieme, ad assegnare alla Digital Library un’inedita posizione intermedia tra le direzioni generali e gli altri istituti centrali di livello dirigenziale: su tale posizione val la pena provare conclusivamente a tracciare, senza pretese, qualche linea ricostruttiva.

5. Tra “direzione” e “coordinamento”: un modello innovativo per finalità innovative?

Giova, a questo punto, ricordare che:

- è previsto, per lo svolgimento di alcuni compiti propri per i quali vengano in rilievo (anche solo potenziale) attività o segmenti di attività di digitalizzazione, che le Direzioni generali “Archivi”, “Biblioteche e diritto d’autore” e “Creatività contemporanea” si “raccordino” con la Digital Library (art. 19, co. 2, lett. g); art. 20, co. 2, lett. e); art. 21, co. 2, lett. g)).

- alla Digital Library sono attribuiti in via esclusiva poteri di indirizzo, nomina dirigenziale e vigilanza sia sugli istituti autonomi (ICAR, ICBSA, ICCU) che continuano a dipendere, anche funzionalmente, dalle competenti direzioni generali, sia sull’ICCD, per il quale, nel silenzio del regolamento (art. 35, co. 3, ult. per.), potrebbe ritenersi che la confermata afferenza alla Direzione generale “Educazione, ricerca e istituti culturali” [51] si esaurisca nell’attività di indirizzo e controllo svolta dalla Digital Library “per conto” della suddetta direzione, che su questa, come visto, esercita poteri di vigilanza.

- la Digital Library è sottratta a poteri di etero-indirizzo e, a differenza degli altri uffici autonomi di livello dirigenziale generale (Archivio centrale dello Stato e Soprintendenza speciale), gode di risorse umane e strumentali dirette ed esercita le suddette funzioni di indirizzo.

Quanto precede lascia intravedere la natura del tutto peculiare del nuovo Istituto, che sembrerebbe porsi ad un livello funzionale intermedio tra uffici autonomi di livello dirigenziale generale e direzioni generali, operando in via generale quale centro unitario di indirizzo del sottosistema costituito dagli istituti autonomi “minori” (ICCD, ICAR ecc.), ed in casi specifici ponendosi su un piano (funzionale) omogeneo - di raccordo paritario e non di mero supporto - rispetto alle tre direzioni generali suindicate, laddove il riparto delle attribuzioni non può che sfumare in conseguenza dell’intrinseca trasversalità delle iniziative di digitalizzazione. In altri casi, poi, la Digital Library sembra atteggiarsi a “cinghia di trasmissione” tra istituti di livello dirigenziale non generale e direzioni centrali.

Può allora sostenersi, forse, che a caratterizzare in senso peculiare il nuovo Istituto per la digitalizzazione sia la coesistenza di un ruolo di cooperazione orizzontale per specifiche operazioni, che si esplica nei rapporti con le direzioni generali, e di un ruolo di coordinamento [52] operativo “a geometrie variabili”, che si esplica nei rapporti con gli Istituti autonomi “minori” (i.e. specialistici) e che dà vita ad un sistema complesso, nel quale l’autonomia di tali istituti convive con un insieme indefinito di compiti di armonizzazione e impulso spettanti alla Digital Library. Quanto al primo (ruolo), esso non è che il portato dell’ampiezza e varietà degli ambiti operativi di competenza ministeriale potenzialmente interessati dai processi di ristrutturazione digitale, per i quali la particolare (tipologia di) specializzazione del nuovo Istituto impone il ricorso a forme collaborative estranee sia alla logica dell’eterodirezione che a quella del mero supporto. Quanto al secondo (ruolo), invece, il coordinamento della Digital Library appare destinato ad assumere un’intensità tanto maggiore quanto più l’iniziativa che l’ICCD, l’ICAR, l’ICBSA o l’ICCU deve di volta in volta intraprendere sia connotata da esigenze di digital compliance, riducendosi invece - fino anche ad azzerarsi - per l’ordinaria attività “analogica” che detti uffici sono ancora chiamati a svolgere: mentre nel primo scenario l’attività della Digital Library sembrerebbe risolversi in un rapporto di direzione (o coordinamento forte) fondato su una specifica caratteristica dell’operazione da realizzare [53], che ne investe a pieno la “competenza” in materia digitale, nel secondo si tratterebbe di un coordinamento debole e comunque eventuale, limitato a singoli profili operativi che quella “competenza” indirettamente riguardino, per il resto rimanendo ferma la dipendenza funzionale degli Istituti dalle direzioni di settore (con la sola eccezione, forse, dell’ICCD [54]). In quest’ottica, l’Istituto in esame rappresenterebbe un tassello tutto nuovo - e dallo “statuto” ancora incerto - del già fitto mosaico delle relazioni lato sensu interorganiche del ministero.

Tale ruolo di “coordinamento”, anche quando declinantesi in senso forte, non sembra - o non dovrebbe - implicare una riduzione delle specificità proprie ai diversi (sotto)sistemi descrittivi, né seguire la strada dell’uniformazione mediante atti di indirizzo tecnico generale, ma pare piuttosto (voler) consacrare obiettivi comuni di digitization da realizzare attraverso modalità differenziate per categorie di beni, anche nell’ottica di valorizzare applicazioni tecnologiche già sperimentate, ad es., in materia di ordinamento e inventariazione archivistica, standard catalografici e sistemi di datazione [55], e collegate ai principali sistemi digitali europei ed internazionali [56], favorendone l’interoperabilità e la messa “a rete” quali presupposti organizzativi (interni) per l’accessibilità [57], la diffusione [58] e la miglior fruizione digitale [59] (esterna) del patrimonio culturale di competenza statale.

I risultati, legati sì alle risorse, ma anche alla prova di sé che il nuovo Istituto saprà dare, mettendo a frutto l’ampia autonomia e variabilità di assetti operazionali che il nuovo regolamento sembra accordargli, daranno le risposte su un sistema che ha incontrato nell’emergenza pandemica da un lato un freno in partenza, dall’altro la conferma della necessità del proprio ruolo.

 

Note

[1] Già M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, pag. 126, qualificava l’organizzazione come “momento astratto della prefigurazione dell’attività”. Per una recente ricognizione del tema, F. Merloni, Organizzazione amministrativa e garanzie dell’imparzialità. Funzioni amministrative e funzionari alla luce del principio di distinzione tra politica e amministrazione, in Dir. pubbl., 2009, 1, pag. 57 ss., il quale richiama la tesi secondo cui l’organizzazione non è più strumentale all’attività, ma è la predefinizione delle condizioni (...) di futuro svolgimento delle attività. (...) La rilevanza dell’organizzazione non è un più un fenomeno strumentale (...) ma autonomo, in quanto processo di progressiva definizione della funzione (cioè dell’interesse pubblico da curare)”, ivi, pag. 68.

[2] Secondo il ben noto paradigma della “funzionalizzazione” dell’attività e (almeno in via indiretta) dell’organizzazione all’interesse pubblico. In disparte le complesse questioni che il tema dei rapporti tra organizzazione ed attività involge nel contesto della funzione, sembra tuttavia potersi ritenere che ad essere funzionalizzata sia anche - e direttamente - l’organizzazione: osserva G. Pastori, Feliciano Benvenuti e il diritto amministrativo del nuovo secolo, in Jus, 2008, 2-3, pag. 323 ss., che l’organizzazione “appare primariamente nel suo profilo di attività per la cura di finalità e scopi obiettivati nella stessa Costituzione e poi nelle leggi” (ivi, 325).

[3] Sul punto si veda il recente lavoro di L.R. Perfetti, L’organizzazione amministrativa come funzione della sovranità popolare, in Dir. econ., 2019, 1, pag. 43 ss., anche nella versione Organizzazione amministrativa e sovranità popolare. L’organizzazione pubblica come problema teorico, dogmatico e politico, in PA Persona e Amministrazione, 2019, 1, pag. 7 ss., il quale propone una ricostruzione dell’organizzazione amministrativa come espressione della sovranità popolare, funzionalizzata all’individuazione dei fini pubblici e al godimento dei diritti fondamentali quale elemento essenziale della sovranità medesima.

[4] Ciò in linea con l’intuizione di F. Benvenuti, L’ordinamento repubblicano, 1975, ora in Scritti giuridici, 2006, 1° vol., pag. 643 s., per la quale la Costituzione antepone un’organizzazione della (e un’idea di) società (art. 3, co. 2, Cost.: “l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”) ad un’organizzazione del governo (e dell’amministrazione tutta): la prima si ricollega alla seconda, conformandola, attraverso il principio democratico, che nelle sue diverse declinazioni si atteggia (anche) a principio organizzativo dell’amministrazione in vista del perseguimento di finalità di interesse generale.

[5] In argomento si veda ora E. Carloni, Diritti by design. Considerazioni su organizzazione, autonomia organizzatoria e protezione degli interessi, in P.A. Persona e Amministrazione, 2020, 1, pag. 51 ss., il quale individua nelle scelte organizzative il momento di definizione delle concrete modalità satisfattive di (alcuni) interessi generali, anche in relazione ai limiti di risorse: “è attraverso l’organizzazione che spesso si individua l’interesse da curare e soprattutto si determinano i modi per curarlo: l’interesse a protezione necessaria è individuato dalla legge, ma spesso non solo soddisfatto ma anche in concreto definito da scelte organizzative. È quindi a partire dall’organizzazione (...) che è corretto muovere nel riflettere sulla effettiva soddisfazione degli interessi dei quali pure l’ordinamento richiede protezione” (ivi, 53).

[6] Il Paese dell’Europa continentale che ha raggiunto il più avanzato stadio di digitalizzazione del proprio ricco patrimonio culturale è la Francia. Oltralpe, le politiche di digitalizzazione in tale settore, intraprese già all’inizio degli anni ’90, sono culminate nel 1997 nella creazione di Gallica, piattaforma digitale della Bibliothèque Nationale de France. Gallica, che ospita attualmente oltre 6 milioni di opere, è l’istituzione nazionale che più contribuisce a Europeana (sulla quale v. nota 56). In argomento, per l’evoluzione quali-quantitativa del sistema culturale digitale francese e per alcune importanti vicende, anche politiche, che hanno interessato lo sviluppo e la gestione di Gallica, si rinvia a G. Vitiello, Google e le biblioteche francesi: le ragioni di un rapporto, in DigItalia - Rivista del digitale nel patrimonio culturale, 2010, 1; F. Siri, Digitalizzare i manoscritti medievali? Riflessioni a margine di un progetto internazionale, in DigItalia - Rivista del digitale nel patrimonio culturale, 2019, 2.

[7] Un quadro di potenzialità delle nuove tecnologie applicate alla valorizzazione del patrimonio culturale - e delle connesse problematiche giuridiche - è tracciato da A. Lazzaro, Innovazione tecnologica e patrimonio culturale tra diffusione della cultura e regolamentazione, in Federalismi.it, 2017, 24, spec. pag. 9 ss., 13 ss. e 20 ss.

[8] Come definiti, rispettivamente, nell’art. 1 della Convenzione di Parigi del 16 novembre 1972 per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (ratificata con legge 6 aprile 1977, n. 184) e nell’art. 2 della Convenzione di Parigi del 17 ottobre 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (ratificata con legge 27 settembre 2007, n. 167).

[9] Si sofferma sui caratteri del “bene digitale” e del “patrimonio digitale”, a partire dai beni “digitalizzati”, ossia quelli derivanti dalla traduzione in linguaggio binario di beni culturali tangibili, P. Forte, Il bene culturale pubblico digitalizzato. Note per uno studio giuridico, in P.A. Persona e Amministrazione, 2019, 2. L’A. sostiene che tale operazione darebbe vita ad un bene “altro”, a sua volta originale perché dotato di un’identità distinta dal bene analogico “sorgente”. Nella ricostruzione proposta, il risultato della trasposizione digitale - il bene “digitalizzato”, appunto - avrebbe rispetto a quello replicato un quid minus e un quid pluris: perdendo l’unicità insita nella materialità dell’originale, ritrarrebbe caratteristiche di maggiori fruibilità, prossimità e pervasività, nonché possibilità di studio e capacità di elaborazione creativa (caratteristiche che, come nota R. De Meo, La riproduzione digitale delle opere museali fra valorizzazione culturale ed economica, in Dir. inform., pag. 687, richiamato dall’A., differenzierebbero sensibilmente la digitalizzazione dalle attività plagiarie”).

[10] Così G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, Atti del Convegno “I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche”, Assisi - 25-27 ottobre 2012, in Aedon, 2014, 1, nonché in A. Bartolini - D. Brunelli - G. Caforio et al. (a cura di), I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, Napoli, 2014, pag. 171 ss. La questione è ampiamente trattata, anche con riferimento ai processi di digitalizzazione del patrimonio culturale, nei contributi raccolti in G. Morbidelli e A. Bartolini (a cura di), L’immateriale economico dei beni culturali, Torino, 2018 (in particolare, per i profili relativi alla digitalizzazione, si vedano gli scritti di S. Fantini, pag. 115 ss.; D. Mastrella, pag. 170 ss.; G. Pellicciari, pag. 175 ss.).

[11] In questi termini L. Conte, Prime note in tema di eredità culturale digitale, in Giur.cost. - ConsultaOnline (Liber Amicorum per Pasquale Costanzo), 15 maggio 2020, 4-5.

[12] In proposito, D. Donati, La digitalizzazione del patrimonio culturale. Caratteri strutturali e valore dei beni, tra disciplina amministrativa e tutela delle opere d’ingegno, in P.A. Persona e Amministrazione, 2019, 2, pag. 332, osserva come “l’attenzione europea sia tutta incentrata sul patrimonio “tradizionale” esistente e sulla sua traduzione in forma nuova. Il che in qualche modo è anche comprensibile pur se, negando dignità culturale ai beni digitally born, reca argomenti all’idea - che qui si rifiuta - di una coincidenza tra patrimonio materiale e digitale”.

[13] Sul rilievo costituzionale (trasversale) dei beni culturali, e più in generale della cultura, restano imprescindibili, ex multis, M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 1, pag. 3 ss.; F. Santoro Passarelli, I beni della cultura secondo la Costituzione, in AA.VV. (a cura di), Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, II, Firenze, 1969; F. Merusi, Significato e portata dell’art. 9 della costituzione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale: scritti in onore di C. Mortati, III, Milano, Giuffrè, 1977, pag. 806 ss.; Id. Pubblico e privato e qualche dubbio di costituzionalità nello statuto dei beni culturali, in Dir. Amm., 2007, pag. 1 ss.

[14] Sul punto A. Ciervo, La chiusura dei musei e degli altri istituti e luoghi di cultura pubblici durante l’emergenza sanitaria, in Aedon, 2020, 2, osserva come la valorizzazione dei beni culturali attraverso modalità telematiche, consentendo l’ “avvicinamento” del pubblico di massa all’esperienza estetica, realizzi le finalità della disciplina e meriti per ciò di essere incentivata, pur senza potere-dovere mai assumere carattere di esclusività oltre il perimetro temporale dell’emergenza, atteso l’impoverimento della valenza esperienziale e della dimensione multisensoriale della fruizione che da quella modalità deriva rispetto alla visita in loco. A tale considerazione si accompagna però il dubbio se la momentanea compressione del diritto al godimento “dal vivo” non preluda ad una dequotazione dei musei e dei luoghi della cultura a servizi “inessenziali”, e più in generale ad una perdita dell’ “aura costituzionale” della fruizione.

[15] Per un’analisi della storia del ministero, ricostruita attraverso i diversi moduli organizzativi e funzionali caratterizzanti le tre “stagioni” di riforma della sua struttura, cfr. M. Cammelli, I tre tempi del Ministero dei beni culturali, in Aedon, 2016, 3.

[16] In tema, per tutti, si veda A. Sau, Turismo culturale: alcune considerazioni a margine delle nuove competenze del Mibact, in Federalismi.it, 2014, 21; Id., Le frontiere del turismo culturale, in Aedon, 2020, 1.

[17] Art. 1, co. 2 e 4, legge 24 giugno 2013, n. 71.

[18] Art. 1 d.l. 21 settembre 2019, n. 104, convertito con legge 18 novembre 2019, n. 132. In proposito, va ricordato che il trasferimento delle competenze in materia di turismo al Mibac(t) aveva avuto luogo, in forza del provvedimento ora richiamato, dopo che appena pochi mesi prima, con il d.l. 12 luglio 2018, n. 86, le medesime competenze erano state sottratte a quest’ultimo per essere ricondotte al Mipaaf.

[19] Occorre infatti segnalare, da ultimo, che il d.l. 1 marzo 2021, n. 22, di riordino delle attribuzioni ministeriali, ha istituito il ministero del Turismo (con portafoglio), cui sono state trasferite le funzioni in materia di turismo esercitate dal Mibact. Quest’ultimo è stato ridenominato ministero della Cultura (MiC). Cfr. gli artt. 6 e 7 d.l. 22/2021, cit.

[20] D.l. 14 dicembre 1974, n. 657, convertito con legge 29 gennaio 1975, n. 5. Sulla nascita del ministero, funditus, a partire dagli anni della Commissione Franceschini (1964-1966), si veda I. Bruno, La nascita del Ministero per i beni culturali e ambientali, Milano, 2011.

[21] D.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, attuativo dell’art. 11, co. 1, lett. a), legge 15 marzo 1997, n. 59, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. Si vedano, ai fini che qua interessano, anche le disposizioni del Capo V (artt. 148-156) del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. Sulla legge delega, G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, in Aedon, 1998, 1.

[22] Sui riflessi di quella stagione di riforma e sulle attese - in parte deluse - in ordine all’evoluzione del settore nel quadro del nuovo “federalismo” o “regionalismo cooperativo”, M. Cammelli, Riordino istituzionale dei beni culturali e dello spettacolo in una prospettiva federalista, in Ist. fed., 1997, 2, pag. 255 ss.; G. Sciullo, Ministero per i Beni e le Attività culturali e riforma dell’organizzazione del governo, in Aedon,1999, 2; C. Barbati, Nuova disciplina dei beni culturali e ruolo delle autonomie, in Aedon, 2000, 2.

[23] D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.

[24] Oltre alla disciplina generale sull’organizzazione dei ministeri, di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, si vedano, non esaustivamente, il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 e il d.l. 18 maggio 2006, n. 181, convertito con legge 17 luglio 2006, n. 233.

[25] D.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441; d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233.

[26] D.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con legge 23 giugno 2014, n. 89 e d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito con legge 29 luglio 2014, n. 106.

[27] D.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, emanato ai sensi dell’art. 16, co. 4, d.l. n. 66/2014, cit. Su di che si vedano, in generale, G. Pastori, La riforma dell’amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità, in Aedon, 2015, 1; con particolare riguardo alla riforma dei musei statali, L. Casini, La riforma del Mibact tra mito e realtà, in Aedon, 2016, 3; per i riflessi sull’amministrazione periferica in generale, G. Sciullo, La riforma dell’amministrazione periferica, in Aedon, 2015, 1; A. Bondini, Riforme e Mibac: alcune note in tema di archeologia, in Aedon, 2019, 1.

[28] D.m. 23 gennaio 2016, (rep.) n. 44, recante “Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell’articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.

[29] Evidenzia le peculiarità degli atti di organizzazione del Mibact nel sistema delle fonti e la dissociazione tra forma (non regolamentare) e contenuto (in parte regolamentare) di “segmenti” della disciplina organizzativa demandati a decreti ministeriali, con conseguente elusione del modello generale ex art. 17 legge n. 400/1988, D. Girotto, L’organizzazione amministrativa nel sistema delle fonti, in Aedon, 2016, 2. In tema si veda anche, con riferimento al d.m. n. 44/2016, G. Sciullo, In tema di ordine delle fonti nell’organizzazione ministeriale, in Aedon, 2016, 2, il quale perviene alla conclusione che “l’organizzazione ministeriale, anche per gli assetti più elevati, affidata ad atti non regolamentari e in particolare a decreti del ministro non contrasta in linea di principio con la riserva di legge fissata al riguardo dalla Costituzione, purché rispetti la ‘logica’ del meccanismo della riserva e salvaguardi le competenze che la Costituzione affida ad altri organi, di garanzia e di indirizzo politico e amministrativo”, prefigurando, nella prospettiva di maggiore flessibilità nella disciplina di organizzazione dei ministeri indicata dalla legge delega Madia, l’ipotesi di un “superamento del binomio ‘regolamento di organizzazione­decreti ministeriali’, (...), con l’assegnazione del potere organizzativo al solo ministro”, in linea con l’opinione di M. Nigro ivi richiamata in apertura.

[30] In questi termini C. Barbati, Organizzazione e soggetti, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2017, pag. 86.

[31] In questo senso, tra gli altri, sia pur con itinerari argomentativi e/o oggetti diversi, A. Roccella, L’organizzazione instabile: direzioni regionali e soprintendenze nei recenti provvedimenti del ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, 2005, 3; G. Sciullo, Il ‘Lego’ istituzionale: il caso del Mibac, in Aedon, 2006, 3; M. Cammelli, Ossimori istituzionali: l’instabile immobilità della organizzazione ministeriale, in Aedon, 2006, 3.

[32] In questi termini G. Pastori, La riforma dell’amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità, in Aedon, 2015, 1.

[33] G. Pastori, ibidem.

[34] D.p.c.m. 2 dicembre 2019, n. 169, recante il “Regolamento di organizzazione del ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance”.

[35] Ora integrato dai dd.mm. 17 febbraio 2020, (rep.) nn. 21 e 22, recanti, rispettivamente, disposizioni sull’ “Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo” e “Modifiche al decreto ministeriale 23 dicembre 2014, recante organizzazione e funzionamento dei musei statali e altre disposizioni in materia di istituti dotati di autonomia speciale”.

[36]È appena il caso di ricordare che il vigente regolamento di organizzazione - il settimo - sostituisce non il regolamento di cui al d.p.c.m. n. 171/2014, bensì quello adottato con d.p.c.m. 19 giugno 2019, n. 76, con cui si era frattanto adeguata l’organizzazione ministeriale all’intervenuta (e provvisoria) sottrazione al Mibac(t) delle funzioni in materia di turismo (v. supra, nota 18). Solo per comodità di chi scrive, dunque, nel testo si intende “precedente regolamento” quello adottato con il d.p.c.m. n. 171/2014.

[37] Come ora espressamente prevede l’art. 4 d.p.c.m. n. 169/2019, il ministero si articola in dodici uffici dirigenziali di livello generale centrali e quattordici uffici dirigenziali di livello generale periferici, questi ultimi individuati dall’art. 33, co. 2, lett. a), e co. 3, lett. a), che vi ricomprende anche la nuova Digital Library.

[38] L’incarico, al pari degli incarichi di direzione degli altri uffici di cui all’art. 33, co. 2, lett. a), è conferito ai sensi dell’art. 19, co. 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (T.U.P.I.), relativo al conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale. L’attuale (e primo) direttore della nuova Digital Library, al quale i compiti dell’Istituto sono formalmente attribuiti (infra, nel testo), è l’arch. Laura Moro.

[39] Ai sensi dell’art. 14, co. 2, d.l. n. 83/2014, cit.

[40] Cfr. anche l’art. 30 del previgente regolamento (d.p.c.m. n. 171/2014), cui si deve la novità dell’autonomia speciale nel sistema ministeriale. Il nuovo regolamento si limita infatti ad estendere il novero degli istituti ed uffici ministeriali dotati di tale autonomia, ricomprendendovi taluni musei, parchi archeologici ed altri istituti della cultura di rilevante interesse nazionale che ne erano rimasti privi (sul punto, cfr. l’art. 33, co. 3, d.p.c.m. n. 169/2019). Non sarebbe corretto, invece, parlare di “estensione” dell’autonomia speciale alla nuova Digital Library, la quale, come si dirà subito nel testo, non succede all’omonimo ufficio-servizio istituito presso l’ICCD, ma costituisce un istituto nuovo, dotato ab origine di detta autonomia.

[41] Istitutivo del Servizio per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, giusta modifica al d.m. 7 ottobre 2008, recante il “Regolamento dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione. Cfr., in particolare, gli artt. 1, co. 1-bis, e 6-bis d.m. 7 ottobre 2008, ora soppressi.

[42] Serrate critiche nel metodo e nel merito della soluzione organizzativa de quo venivano espresse nel documento realizzato dall’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e dall’ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana), Sulla Digital Library affidata all’ICCD per decreto ministeriale (approfondimento), pubblicato il 31 marzo 2017.

[43] Infatti, come espressamente prevede l’art. 35, co. 3, ult. per., del regolamento, la cui formulazione per vero non appare felicissima, “L’Istituto centrale per gli archivi, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi e l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane dipendono, altresì funzionalmente, per i profili di rispettiva competenza, dalla Direzione generale Archivi e dalla Direzione generale Biblioteche e diritto d’autore”.

[44] La previsione, nella parte in cui prevede, in generale e senza particolari limitazioni, la possibilità di promuovere forme di collaborazione tra ministero ed enti sia pubblici che privati per la realizzazione di progetti di digitalizzazione, sembra fare riferimento, per un verso, a moduli cooperativi inquadrabili nel paradigma delle intese e degli accordi di programma quadro in materia di beni culturali, previsti dall’art. 112, co. 4, d.lgs. n. 42/2004 (sul punto, cfr. L. Zanetti, Gli accordi di programma quadro in materia di beni e di attività culturali, in Aedon, 2000, 3; S. Foà, L’accordo di programma quadro tra ministero per i Beni e le Attività culturali e la regione Piemonte, in Aedon, 2001, 2; B. Smeriglio, Le risorse culturali negli accordi di programma quadro, Ufficio Studi Mibav, Notiz. 80-82, 2006; B. Accettura, L’accordo di programma quadro tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Campania, in Aedon, 2009, 3; e, per altro verso, alle diverse forme di partenariato pubblico-privato previste dalla legislazione speciale, inclusi il partenariato c.d. culturale ex art. 151, co. 3, d.lgs. n. 50/2016 e le forme di co-progettazione e co-programmazione tra enti di governo ed enti del terzo settore ora previste dall’art. 55, co. 1, d.lgs. n. 117/2017 (Codice del terzo settore) (in tema, cfr. G. Sciullo, Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, 2009, 2; P. Rossi, Partenariato pubblico-privato e valorizzazione economica dei beni culturali nella riforma del codice degli appalti, in Federalismi.it, 2018, 2; C. Napolitano, Il partenariato pubblico-privato nel diritto dei beni culturali: vedute per una sua funzione sociale, in Dirittifondamentali.it, 2019, 2).

[45] Analogamente, il co. 4 dello stesso art. 19 d.p.c.m. n. 169/2019 prevede che la Direzione generale “Archivi”, in materia informatica, al fine di elaborare le metodologie archivistiche, di esercitare il coordinamento dei sistemi informativi archivistici e di applicare sistemi di conservazione permanente degli archivi digitali, si raccorda con la direzione generali “Bilancio” e “Organizzazione”, “nonché con l’Istituto per la digitalizzazione del patrimonio - Digital Library”.

[46] Nel nuovo regolamento organizzativo la Direzione generale “Creatività contemporanea” ha preso il posto, ereditandone pressoché in toto le funzioni, della Direzione generale “Arte e architettura contemporanee e periferie urbane”, prevista dall’art. 16 del d.p.c.m. n. 171/2014.

[47] Come noto, il precedente assetto delineato dal d.p.r. n. 233/2007 affidava la funzione di tutela in sede periferica a tre strutture distinte in base alla tipologia dei beni sottoposti agli interventi; con il d.p.c.m. n. 171/2014 le Soprintendenze erano poi state ridotte a due, mediante l’accorpamento delle (sin lì) distinte strutture deputate alle belle arti e al paesaggio; infine, con il già citato d.m. n. 44/2016 si ha la reductio ad unum, che permane nell’impianto del d.p.c.m. n. 169/2019. Va inoltre ricordato, per completezza, che solo dal 2014 le Soprintendenze sono poste in raccordo diretto con le competenti direzioni generali centrali, ai cui vertici spetta anche nominare i soprintendenti ex art. 19, co. 5, T.U.P.I.: si è così superato il precedente assetto, voluto dal d.p.r. n. 233/2007, che vedeva le Soprintendenze come articolazioni delle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici. Sul nuovo assetto introdotto a partire dal d.m. n. 44/2016, si veda G. Sciullo, Direzione generale “unica” e soprintendenze “uniche”, in Aedon, 2016, 1.

[48] La Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e paesaggio, infatti, risulta anche nel vigente regolamento sottoposta al potere di indirizzo, oltre che ovviamente ai poteri di vigilanza (anche contabile), della Direzione generale “Archeologia, belle arti e paesaggio” (art. 16, co. 4).

[49] Cfr. art. 21, co. 3, d.p.c.m. n. 171/2014, che ancora attribuiva alla Direzione generale “Archivi” funzioni di indirizzo sull’Archivio centrale dello Stato, in quella disciplina configurato come ufficio con autonomia speciale ma di livello dirigenziale non generale.

[50] V. nota 43. La persistente dipendenza funzionale degli istituti de quibus rispetto alle direzioni generali indicate nell’art. 35, co. 3, ult. per. non viene però estesa da tale disposizione all’ICCD, che sotto il vigore del precedente regolamento era invece non solo sottoposto alle “funzioni di coordinamento e indirizzo” della Direzione generale “Educazione e ricerca” (oggi “Educazione, ricerca e istituti culturali”) (art. 19, co. 3) d.p.c.m. n. 171/2014), ma espressamente qualificato come “articolazione” di quest’ultima (art. 19, co. 5, d.p.c.m. n. 171/2014).

[51] Va dato atto, infatti, che nel d.m. 17 febbraio 2020, (rep.) n. 21 (v. nota 35), alla voce “Direzione generale educazione, ricerca e istituti culturali: Servizio 1 - Ufficio Studi”, si fa espresso riferimento all’ “indirizzo e vigilanza” del Direttore di questa sull’ICCD.

[52] Come noto, il tema del coordinamento amministrativo, al pari di quello più generale dei rapporti organizzativi, non è fra quelli su cui possono dirsi raggiunte “verità scientificamente consolidate”, e pertanto la sua trattazione non può che muovere dall’adesione ad “uno fra i diversi punti di vista secondo i quali esso viene trattato” (così G. Clemente di San Luca, Rapporti organizzativi, voce - Enc. Treccani, 2015). Se è vero che l’opinione tradizionale reputa che il coordinamento sia un tipico rapporto organizzativo (V. Bachelet, Coordinamento, voce - Enc. Dir., vol. X, Milano, 1957, pag. 1962 ss.), parte della dottrina più recente ritiene che esso non costituisca né un potere né una relazione organizzativa, ma “il risultato dell’esercizio di poteri inerenti a diversi rapporti organizzativi” (F.G. Scoca, Diritto amministrativo, Torino, 2019, pag. 106). In tale prospettiva, le ipotesi di coordinamento vengono individuate in figure organizzative complesse, nelle quali coesistono “profili di equiordinazione e profili di sovraordinazione” (G. Marongiu, Il coordinamento come principio politico di organizzazione della complessità sociale, in L’amministrazione della società complessa, (a cura di) G. Amato - G. Marongiu, Bologna, 1982, pag. 145). Sembrerebbe questo il caso della relazione dinamica che si instaura, nel nuovo regolamento, tra la Digital Library e gli istituti centrali su cui essa è chiamata ad esercitare poteri di indirizzo (per precisazioni v. la nota successiva).

[53] In tal senso, il coordinamento (“forte” o “debole”) assegnato alla Digital Library potrebbe inquadrarsi - sulla scia di un’autorevole dottrina - nella prospettiva (della funzione e) dell’operazione amministrativa, quale complessiva attività posta in essere da più figure soggettive che devono coordinarsi per il perseguimento di un risultato giuridico unitario: sarebbe allora la stessa “operazione” “ad assurgere a figura di relazione organizzativa, in cui si intrecciano profili di equiordinazione e di (eventuale e contingente) sovraordinazione” (D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Napoli, 2005). Tale impostazione, come quella più ampia che poggia tout court sulla nozione di coordinamento, appare valida non solo per le relazioni organizzative intersoggettive e per quelle propriamente interorganiche, ma anche per il complesso sistema di rapporti “interni” in cui il nuovo regolamento di organizzazione proietta l’attività della Digital Library: lo schema della comparazione e del bilanciamento di interessi riferibili a distinte amministrazioni e confluenti in un “episodio amministrativo complesso”, qual è tipicamente ritenuto il coordinamento “esterno” che si realizza attraverso le conferenze di servizi, sembra riprodursi in certa misura anche nei rapporti “interni” ad amministrazioni titolari di interessi e competenze proteiformi e per ciò dotate di ampia articolazione interna, quali sono i ministeri, i cui uffici sembrano talvolta chiamati ad attività che, benché non proiettate verso l’esterno, esprimono (sotto)interessi differenti e talora in potenziale conflitto, dei quali si rende necessaria, tramite momenti di coordinamento, una “sintesi” interna (la quale è suscettibile di assumere poi rilevanza anche nell’ambito dell’attività in vario modo rivolta verso l’esterno).

[54] V. nota 50.

[55] Per un quadro delle applicazioni tecnologiche già in uso a livello centrale e per l’analisi delle prospettive di integrazione digitale a partire dai punti di debolezza dell’attuale governance, anche con riferimento alle metodologie di organizzazione dei dati, L. Moro, Dalla somiglianza alla sinergia. La descrizione del patrimonio culturale dalla specificità all’integrazione digitale, Atti del Convegno “Dalla somiglianza alla sinergia”, Roma, 17 ottobre 2017, spec. pag. 4 ss.

[56] Si pensi, a titolo solo esemplificativo, ad Europeana, la biblioteca digitale dell’UE, inaugurata nel novembre 2008 dopo essere stata istituita dalla Commissione il 1° giugno 2005 nell’ambito dell’iniziativa “i2010” (IP/05/643), ed ai progetti a essa collegati co-finanziati dalla Commissione, rientranti nei programmi “eContentplus programme” e “ICT-Policy Support Programme”, gradualmente avviati a partire da febbraio 2014, nonché alla World Digital Library, biblioteca digitale internazionale gestita dall’UNESCO nel suo ruolo di supporto alla Library of Congress. In proposito, va segnalato che il 9 aprile 2019 ventiquattro Paesi europei (poi divenuti ventisette mediante successive adesioni), tra cui l’Italia, hanno sottoscritto la Declaration of cooperation on advancing digitisation of cultural heritage, lanciata nell’ambito della terza edizione del Digital Day organizzata dalla Commissione e svoltosi in pari data a Bruxelles. Più in generale, sui circuiti internazionali di tutela e valorizzazione e sui modelli di regolazione “globale” del settore, si veda, per tutti, L. Casini, La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3.

[57] Sul delicato tema dei rapporti tra riproduzione digitale, open access e tutela del diritto d’autore con riferimento alle opere delle collezioni museali, nonché più in generale sulla centralità dei (meta)dati e della “nuova” funzione conoscitiva pubblica nella promozione della cultura, si veda, da ultimo, M.C. Pangallozzi, La fruizione del patrimonio culturale nell’era digitale: quale evoluzione per il “museo immaginario”?, in Aedon, 2020, 2. In argomento, in prospettiva più ampia, già L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I “pieni” e i “vuoti” normativi, in Aedon, 2018, 3.

[58] Appare oggi financo scontato constatare che la “dilatazione di un ceto interessato ai beni culturali” (M.S. Giannini, Uomini, leggi e beni culturali [1971], ora in Scritti, VI, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 285, citato da L. Casini, Giannini e i beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 3 pag. 991) non è più il presupposto socio-culturale su cui fonda il dovere dei pubblici poteri di attivarsi per soddisfare una “domanda crescente di cultura”, ma rappresenta un obiettivo da perseguire e (ri)programmare con strumenti nuovi, adatti a rilanciare la domanda culturale anche intercettando l’interesse (specie) dei più giovani, in una società globale in cui la forza pervasiva di internet, dei social network e dei dispositivi tecnologici, ormai penetrati nella dimensione quotidiana e assurti a riflesso dell’identità individuale, ha radicalmente modificato (anche) le modalità di fruizione del sapere (sul punto, si veda A. Lazzaro, 2017, op. cit., spec. pag. 9 ss.). In quest’ottica, non sembra potersi prescindere dalla digitalizzazione, oltre che dei “contenuti”, anche delle modalità di fruizione e degli strumenti di comunicazione e veicolazione dell’offerta culturale. Su quest’ultimo punto, si veda A. Meschini, Digital technology in the communication of Cultural Heritage. State of the art and potential development, in DisegnareCon - Scientific Journal on Architecture and Cultural Heritage, 2011, 8.

[59] Sul rapporto tra fruizione del patrimonio pubblico digitalizzato e (ri)utilizzo della conoscenza - anch’essa in ipotesi “culturale” - così generata, P. Forte, 2019, op. cit., pag. 275 ss.

 

 



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