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I beni culturali di interesse religioso

I beni culturali della Chiesa cattolica nel Codice Urbani

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Le fattispecie. - 2. L'art. 9 del Codice. - 3. I beni culturali di interesse religioso. - 4. La disciplina della tutela e della valorizzazione. - 5. Osservazioni conclusive.

The cultural properties of the Catholic Church in the Italian Code of Cultural Heritage and Landscape
The paper analyzes the legislation that applies to cultural properties of the Catholic Church according to the Italian Code of Cultural Heritage and Landscape (legislative decree no. 42/2004). In particular, the paper examines the heritage of religious interest. Its thesis is that the religious heritage gives evidence of the identity and history of religious institutions.

Keywords: Code of Cultural Heritage and Landscape; Cultural properties of the Catholic Church; Goods of religious interest.

1. La fattispecie

I beni culturali della Chiesa cattolica o (e meglio) "appartenenti ad enti e istituzioni della Chiesa cattolica" trovano un esplicito riferimento in talune disposizioni del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d'ora in avanti Codice). Oltre all'art. 9, co. 1 - da cui è tratta l'espressione appena riportata - vanno indicati gli artt. 1, co. 5; 10, co. 1; 30, co. 2; 56, co, 1, lett b) e co. 2, lett. a) e b) (dove si parla di "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti") e l'art. 78, co. 3 (che impiega la formula "istituzioni ecclesiastiche"). In particolare merita di essere ricordato che con l'espressione "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" il secondo decreto correttivo del Codice concernente i beni culturali (d.lg. 26 marzo 2008, n. 62), che la introdusse, intese fare esplicito riferimento agli enti della Chiesa cattolica che avessero acquisito personalità giuridica nell'ordinamento italiano in base alla l. 20 maggio 1985, n. 222, enti questi ritenuti dal Consiglio di Stato (sez. II, 17 gennaio 2007 relativo al ricorso straordinario n. 10379/2004 e sez. I, 14 febbraio 2001, n. 1338/2000) non ricompresi dalla espressione "persone giuridiche private senza fine di lucro" già presente nelle accennate norme [1].

Sennonché le disposizioni che fanno 'implicito' riferimento anche ad enti e istituzioni della Chiesa cattolica (d'ora in avanti indicati come "organismi ecclesiastici" [2], dizione comprensiva anche di entità prive di personalità giuridica nell'ordinamento italiano) sono assai più numerose.

La loro indicazione, come pure quella dei tipi di beni culturali di presumibile più frequente ricorrenza nel caso di organismi ecclesiastici, risulta di interesse dal momento che l'articolazione degli istituti in cui il Codice struttura le funzioni di tutela e valorizzazione/fruizione segue un criterio soggettivo (in relazione all'appartenenza del bene culturale, ossia fondamentalmente secondo la dicotomia pubblico/privato) e un criterio oggettivo (per tipi di beni). Si tratta di un'articolazione, come è stato rilevato a proposito del criterio soggettivo, dai "contorni incerti" [3] - al soggetto pubblico è assimilato quello privato senza fine di lucro (ad es. dall'art. 10, co. 1), anche se non sempre (ad es. dall'art. 10, co. 3, lett. c) -, ma lo stesso può dirsi a proposito del criterio oggettivo: ad esempio le raccolte museali e librarie pubbliche hanno un regime giuridico ai fini della individuazione come beni culturali diverso da quello previsto per la generalità delle cose di interesse culturale pubbliche (cfr. art. 10, co. 2, lett. a) e c), e co. 1). Per i beni culturali appartenenti ad organismi ecclesiastici l''incertezza' è accresciuta dalla non univocità con cui questi esprimono la loro personalità giuridica nell'ordinamento italiano. Pertanto pare opportuno procedere, preliminarmente rispetto all'esame della disciplina giuridica, ad una classificazione dei beni culturali ecclesiastici [4] secondo gli anzidetti criteri.

In relazione a quello soggettivo si può rilevare che gli organismi ecclesiastici vengono in rilievo nel Codice nei seguenti tipi:

a) come entità soggettive senza rilievo se siano o meno persone giuridiche nell'ordinamento italiano (cfr. art. 9, co. 1 che parla di "enti e istituzioni della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose") [5];

b) come persone giuridiche che hanno conseguito il riconoscimento ai sensi della l. n. 222/1985, nel Codice, indicate con la formula "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", ricondotte in genere dal Codice alle "persone giuridiche private senza fine di lucro" [6] e assimilate ai soggetti pubblici (cfr. ad es. art. 10, co. 1), ma talora ai"privati" (cfr. art. 1, co. 5);

c) come persone giuridiche ai sensi del Titolo II, Capo II, Libro primo del codice civile e del d.p.r. 10 febbraio 2000, n. 361 (cfr. anche l'art. 10 l. n. 222/1985), a seconda dei casi inquadrabili fra le "persone giuridiche private senza fine di lucro", fra i "privati" o nella categoria "a chiunque appartenenti" (cfr. ad es. art. 10, co. 3, lett. d);

d) come entità prive di personalità giuridica nell'ordinamento italiano. In questo caso esse sono riconducibili alle categorie "privati" [7] o "a chiunque appartenenti".

Sotto un profilo oggettivo, relativo alle caratteristiche intrinseche o funzionali dei beni culturali, le classificazioni operabili per quelli appartenenti ad organismi ecclesiastici appaiono due.

La prima comprende:

a) i "beni culturali di interesse religioso" (art. 9, co. 1);

b) i "beni culturali di interesse religioso" che soddisfano inoltre "esigenze di culto" (art. 9, co. 1);

c) i beni culturali privi delle connotazioni indicate sub b e c [8].

La seconda classificazione attiene alla tipologia valevole per i beni culturali in generale, ma che può interessare anche quelli di appartenenza ecclesiastica:

d) le "cose immobili e mobili (…) che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico" (art. 10, co. 1 e 3 lett. a), tra le quali rientrano quelle indicate al co. 4);

e) altre cose indicate dall'art. 10, co. 3, (archivi, raccolte librarie, collezioni ecc.) tra le quali si segnalano, quelle che "rivestono un interesse, particolarmente importante (…) quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni (…) religiose" (lett. d)).

Ai beni culturali vanno aggiunte le cose sottoposte dall'art. 11 a specifiche disposizioni di tutela, anche qualora non siano qualificabili come beni culturali, quali in particolare quelle indicate alle lett. a) (affreschi, lapidi ecc.), d) (opere di pittura), e) (opere dell'architettura contemporanea), e f) (fotografie ecc.).

2. L'art. 9 del Codice

Nell'ambito della disciplina codicistica dei beni culturali appartenenti ad organismi ecclesiastici un'importanza fondamentale è correntemente riconosciuta all'art. 9. La disposizione riprende nella sostanza quella dell'art. 19 del t.u. del 1999 (d.lg. 29 ottobre, n. 490), che trovava il suo precedente nell'art. 8 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, ma che al contempo mutuava la formula "beni culturali di interesse religioso" dall'art. 12, co. 1, dell'Accordo del 18 febbraio 1984 di modificazione del Concordato lateranense del 1929 [9].

Nella lettura ormai affermata in dottrina [10] l'art. 9 racchiude disposizioni di principio con valenza generale, sia per la pluralità dei soggetti politico-istituzionali cui si dirige sia per toccare la molteplicità dei profili dei beni culturali ai quali si riferisce.

Per un verso, al comma 1, ribadisce il contenuto dell'art. 8 della l. n. 1039, prevedendo con il vincolo dell'intesa il necessario contemperamento fra le esigenze di tutela e quelle di culto, ma generalizzandone la portata con l'estensione ai beni culturali delle confessioni religiose diverse da quella cattolica e ad attività anche di valorizzazione, nonché, sotto il profilo soggettivo, alle Regioni per quanto di loro competenza (significativa in tema di tutela per talune Regioni a statuto speciale).

Per altro verso, al comma 2, vincola all'osservanza delle previsioni contenute nelle intese concluse ai sensi dell'art. 12, co. 1, dell'Accordo del 1984 concluso fra lo Stato e la Chiesa cattolica nonché in quelle sottoscritte dallo Stato con le altre confessioni religiose ai sensi dell'art. 8, co. 3, Cost. Si tratta di un 'rinvio dinamico', capace di interessare, aspetti ulteriori, non legati cioè ad esigenze di culto, della tutela e della valorizzazione dei beni.

Nel suo insieme l'art. 9, letto in collegamento con le altre disposizioni codicistiche e considerato alla luce del citato art. 12 (dove si individua la finalità delle intese ivi previste nell'obiettivo di "armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso") nonché delle analoghe disposizioni contenute nelle intese intercorse con altre confessioni religiose, non fa emergere un regime di reale specialità per i beni culturali appartenenti ad organismi confessionali: quanto concordato in sede di accordi ai sensi del co. 1 o di intese ai sensi del co. 2 presenta un carattere non sostitutivo, ma solo integrativo-attuativo, "procedimentale" [11], della disciplina dettata dal Codice, senza pertanto trasformare in 'materia mista' [12] la normazione su tali beni.

Il che non toglie che il comma 2 in qualche modo "legiferi" i contenuti delle intese non assunte con atto legislativo - nel senso di integrarle nel corpo legislazione nazionale, così consentendo che da esse possano anche essere desunti principi vincolanti le Regioni [13] - e che il comma 1 comporti la qualificazione in termini di 'violazione di legge' degli atti adottati dalle autorità nazionali non previamente concordati con le autorità confessionali o non rispettosi degli accordi intervenuti.

3. I beni culturali di interesse religioso

Restano peraltro aperte le questioni legate alla formula "beni culturali di interesse religioso", centrale nell'economia del co. 1 dell'art. 9, ma di presumibile rifermento, in forza della rubrica della disposizione, anche per il co. 2.

Se appare pacifico che, in termini strutturali, nel bene culturale di interesse religioso alla qualificazione della cosa sotto il profilo dell'interesse culturale si somma quella della cosa in quanto supporto per l'esplicazione del valore costituzionalmente tutelato della libertà di religione [14], risultano ancora meritevoli di approfondimento la nozione di "bene culturale di interesse religioso", il rapporto fra l'interesse religioso e le "esigenze di culto", la configurabilità di beni culturali di interesse religioso in capo a soggetti diversi da quelli confessionali.

Muovendo dalla mancanza di "un chiaro supporto normativo" nel codice, un'opinione dottrinale sostiene che la natura della qualificazione (di interesse religioso) imporrebbe un rinvio all'ordinamento confessionale di volta in volta interessato o, preferibilmente, alle disposizioni pattizie intercorse con la Chiesa cattolica come l'art. 16, lett. a), della l. n. 222/1985 o a quelle corrispondenti contenute nelle intese stipulate con altre confessioni religiose. Si tratta di disposizioni che, sebbene dettate ai fini del riconoscimento della personalità giuridica ad organismi confessionali, avrebbero tracciato una demarcazione fra le attività di religione o di culto e le altre.

In breve, le cose individuate come beni culturali in base alla normativa del Codice rivestirebbero, "fino a prova contraria, il carattere dell'interesse religioso qualora siano funzionali allo svolgimento di quelle attività che - per accordo reciproco tra Stato e confessioni religiose - siano state definite 'di religione o di culto'" [15].

Il che peraltro non impedirebbe di ipotizzare che "beni culturali simili appartengano anche ad altri soggetti (privati o pubblici)" [16].

È stato peraltro da altra dottrina osservato che l'art. 19, co. 2, del T.U. - ma lo stesso potrebbe dirsi ora per l'art. 9, co. 2, del Codice - attraverso il rinvio alle intese concordatarie e a quelle con confessioni diverse da quella cattolica avrebbe mostrato di riferirsi a beni in cui l'interesse religioso potrebbe risolversi nella mera appartenenza ad un ente o ad un'istituzione confessionale. Da un lato, infatti, in attuazione dell'art. 12 dell'Accordo del 1984, è stata sottoscritta l'intesa del 18 aprile del 2000 relativa alla conservazione e consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche appartenenti ad organismi ecclesiastici (strutture la cui attività non appare immediatamente riconducibile a quelle considerate dall'art. 16, lett. a), di religione o di culto) e, dall'altro, le intese con confessioni diverse da quella cattolica "in modo inequivocabile si occupano dei beni culturali prescindendo dalla loro destinazione". Sicché - si conclude - potrebbe sostenersi che esista una nozione amplissima dei beni culturali di interesse religioso, "identificandosi questa con tutti i beni culturali appartenenti a qualsiasi confessione religiosa" e comunque l'esistenza di una "pluralità di possibili nozioni di beni culturali di interesse religioso, nascoste tra le maglie del[l']art. 19 [ora 9 del Codice]" [17].

Anche nella prospettazione appena richiamata si assume poi come possibile la presenza di beni culturali di interesse religioso in capo a soggetti diversi dagli organismi delle confessioni religiose. Conseguentemente si avanzano perplessità sul fatto che l'art. 19 del T.U. [ora art. 9 del Codice] non ne tenga conto [18].

Una lettura differente dell'art. 9, co. 1, condotta con i metodi letterale/logico e sistematico, consente peraltro di chiarire gli aspetti che restano non risolti nelle formulazioni appena richiamate.

In sé considerata la disposizione presenta tre significati normativi: anzitutto dalla proposizione" Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni" emerge con evidenza che per il legislatore i beni culturali di interesse religioso non coincidono con l'intero novero dei beni culturali ad appartenenza confessionale, ma ne rappresentano solo una parte o specie. Se questa non fosse stata l'idea del legislatore, la formula utilizzata sarebbe stata invero "per i beni culturali appartenenti ad enti" ecc., questa sì implicante, tenuto conto della rubrica dell'articolo 9, una piena identificazione per i beni ad appartenenza confessionale fra beni culturali di interesse religioso e beni culturali tout-court.

In secondo luogo, la formula utilizzata non suffraga, ma non esclude, la possibilità che beni culturali di interesse religioso possano appartenere anche a soggetti, pubblici o privati, diversi dagli organismi confessionali. Lascia la questione impregiudicata. Vero è solo che la disposizione si occupa esclusivamente dei beni culturali ad appartenenza confessionale.

In terzo luogo, lo svolgimento letterale e logico della disposizione ("Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti … il Ministero e … le Regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità") mostra con chiarezza che il vincolo dell'accordo si riferisce sì ai beni culturali di interesse religioso ad appartenenza confessionale, ma vale solo laddove emergano esigenze di culto e in relazione ad esse. Il che fa intendere che le esigenze di culto, da coordinarsi tramite lo strumento convenzionale con quelle di tutela e valorizzazione, possono ricorrere, ma non necessariamente è detto che ricorrano, nel caso di beni culturali di interesse religioso. In altre parole, fra l''area' dell'interesse religioso e quella occupata dalle esigenze di culto, vi può essere uno iato sul piano della realtà delle cose, ma anzitutto sussiste una non coincidenza sul piano concettuale, la nozione di interesse religioso risultando più estesa di quella di interesse di culto [19].

Riassumendo, dall'art. 9, co. 1, emergono tre perimetri diversi (o se si preferisce tre categorie) di beni culturali ad appartenenza confessionale: beni culturali che non presentano una caratterizzazione religiosa (esempio tipico è quello di un'opera d'arte figurativa di impronta esclusivamente 'laica', pervenuta ad un organismo confessionale per lascito testamentario); beni culturali di interesse religioso, per i quali si riscontra la nota doppia qualificazione; beni culturali di interesse religioso che sono preordinati a o che comunque siano oggetto di attività di culto. In quest'ultimo caso l'art. 9, co. 1, sancisce il vincolo dell'intesa con l'autorità confessionale ai fini dell'esercizio delle funzioni che il Codice attribuisce all'autorità statale o regionale.

Resta il nodo interpretativo delle nozioni di "interesse religioso" e di "esigenze di culto".

Entrambe le prospettazioni sopra ricordate traggono elementi interpretativi dalle disposizioni delle intese cui rinvia il co. 2 dell'art. 9. L'indicazione suscita perplessità.

Le intese di cui al co. 2 sono infatti richiamate per profili ulteriori rispetto a quelli considerati dal comma 1 ("si osservano, altresì [corsivo mio], le disposizioni" ecc.). Un diverso intendimento da parte del legislatore avrebbe comportato una differente formulazione normativa, al limite l'assorbimento del co. 1 da parte del co. 2.

Di più, la mancanza di un chiaro supporto normativo per la nozione di bene culturale di interesse religioso non rende obbligato (il tema non pare rientrare fra le res mixtae) e comunque decisivo il ricorso ai significati presenti negli strumenti pattizi. Questi possono offrire esiti differenziati. Si tenga poi presente che l''interesse religioso in modo non dissimile dall'interesse storico, artistico ecc. rappresenta un "concetto liminale" [20], rimesso fondamentalmente a discipline non giuridiche e sulla base di queste affidato per la sua precisazione, secondo i criteri che presiedono alla discrezionalità tecnica, ai soggetti chiamati a dare applicazione alla norma giuridica.

Ma al di là queste notazioni, soprattutto può osservarsi che il Codice offre una preziosa (quanto sottovalutata) guida all'interprete nell'art. 10, co. 3, lett. d), laddove prevede la individuazione come beni culturali delle cose immobili e mobili che presentino interesse particolarmente importante quali "testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni religiose". La formula suggerisce la possibilità di qualificare di interesse religioso i beni culturali che testimonino la storia delle istituzioni religiose oppure la loro identità. Il riferimento all'identità appare particolarmente significativo, perché è agevole identificarlo con il patrimonio di valori, il complesso di dottrine, l'"originale concezione del mondo" [21] che contraddistinguono ogni confessione religiosa, unitamente alla loro vicenda storica. È appena il caso di notare che, per individuare l'area dell'interesse religioso, occorrerebbe riferirsi ai valori e alla storia della singola confessione che viene in rilievo. Il che sarebbe pienamente coerente con i principi del pluralismo confessionale nonché di libertà delle confessioni religiose e di professione di fede religiosa di cui agli artt. 8 e 19 Cost.

Il collegamento fra 'interesse religioso dell'art. 9, co. 1, e l'identità e la storia delle istituzioni religiose dell'art. 10, co. 3, lett d, consente anche di sciogliere il problema se detto interesse possa essere presente in beni culturali ad appartenenza laica. La circostanza l'art. 10, cit. non richieda che la cosa faccia capo all'istituzione religiosa la cui identità o storia viene in rilievo (ma utilizzi la formula "a chiunque appartenente") consente di dare un preciso e inequivoco supporto normativo alla tesi che nel Codice l'interesse religioso di un bene culturale sia slegato dall'assetto proprietario della cosa.

Alla luce del collegamento appena suggerito si può affrontare la nozione di "esigenze di culto". Se la connessione con l'identità e la storia delle istituzioni religiose facilita la individuazione dell'interesse religioso in un bene culturale, se questo interesse, come si è desunto dall'analisi dell'art. 9, co. 1, ha una portata più ampia delle "esigenze di culto", appare plausibile ritenere che dette esigenze attengono, come suggerisce immediatamente la formula lessicale, allo "svolgimento delle celebrazioni liturgiche e rituali" [22] ovvero all'"espressione esteriore di una fede religiosa" [23]. Il vincolo previsto da tale disposizione si sostanzia dunque nella necessità dell'accordo con l'autorità della confessione interessata in ordine all'esercizio delle funzioni, specie di tutela, spettanti a quella statale o regionale laddove queste siano in grado di incidere sulle celebrazioni (o le espressioni esteriori) di fede religiosa.

Se poi, lasciando da parte le previsioni dell'art. 9, ci si interroga sul rilievo presentato dai beni culturali di interesse religioso nel quadro della complessiva disciplina dei beni culturali, non può che concordarsi con le opinioni secondo le quali "non esiste il genus dei beni culturali di interesse religioso" [24], ovvero essi non si sottraggono "al generale regime previsto dal (…) Codice per tutti i beni (…) che costituiscono il patrimonio culturale" [25]. L'unica eccezione resta rappresentata dal vincolo dell'accordo stabilito per l'esercizio delle funzioni previste dal Codice laddove si pongano esigenze di culto (art. 9, co. 1) e dal rinvio alle disposizioni delle intese concluse con le confessioni religiose (art. 9, co. 2), in breve dalla vigenza di principio di collaborazione 'attuativa' desumibile dall'art. 9. Principio peraltro che - non si manca di notare [26] - nel caso di talune intese intervenute coinvolge beni culturali confessionali privi di uno specifico interesse religioso e pertanto da ritenersi di portata più ampia, ossia connotante l'intera categoria dei beni culturali ad appartenenza confessionale.

4. La disciplina della tutela e della valorizzazione

Va ora considerato il regime degli istituti in cui si struttura la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici. L'esposizione sarà svolta per punti salienti e ci si limiterà a segnalare gli aspetti significativi derivanti dalle caratteristiche dei loro tipi e dall'articolazione della disciplina per soggetti propria del Codice. Resta fermo che l'assetto complessivo non si discosta per l'essenziale da quello previsto per gli altri beni culturali.

Iniziando dalla tutela e dal suo primo istituto, la individuazione, è da dire che i beni culturali degli organismi ecclesiastici non compaiono fra quelli di individuazione ex lege, di cui all'art. 10, co. 2. Nel caso di appartenenza ad "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" o che abbiano conseguito la personalità giuridica ai sensi del Capo II Titolo II del Libro primo del codice civile (e quindi siano inquadrabili fra le "persone giuridiche private senza fine di lucro"), le cose che presentano interesse storico, artistico ecc. sono sottoposte ex art. 12, co. 1 al procedimento di verifica e fino al suo compimento soggette alle disposizioni della Parte seconda del Codice (ad es. in tema di vigilanza cfr. art. 18, co. 1, e di inalienabilità cfr. art. 54, co. 2 lett. a)).

Negli altri casi (appartenenza ad associazioni non riconosciute o a società di cui al Libro quinto del codice civile) tali cose sono sottoposte al procedimento di dichiarazione di cui all'art. 13 (art. 10, co. 3). Identico regime si applica per altri tipi di cose (archivi e singoli documenti, raccolte librarie, testimonianza dell'identità e della storia delle istituzioni religiose, cose di interesse eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione, collezioni e serie di oggetti), giacché gli organismi ecclesiastici (quale che sia la loro specifica soggettività giuridica) ricadono in questi casi nelle categorie "privati" o "a chiunque appartenenti" previste all'art. 10, co. 3, lett. b)-e)).

Il ministero e gli altri enti pubblici territoriali sono tenuti a curare la catalogazione dei beni culturali e quindi anche di quelli ecclesiastici, e a procedere a tal fine sulla base di intese con i soggetti proprietari. I relativi dati vanno fatti affluire al catalogo nazionale dei beni culturali (art. 17, co. 1, 4 e 5).

Gli organismi ecclesiastici (se "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" per espressa previsione, gli altri in quanto ricadenti fra i "privati") sono tenuti a garantire la conservazione dei beni culturali di appartenenza o in disponibilità, ma diversamente dai soggetti pubblici non anche la pubblica fruizione (art. 1 co. 5 e 4, e art. 30, co. 3).

Gli organismi ecclesiastici, se "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" o "persone giuridiche private senza fine di lucro", sono tenuti a fissare (al pari dei soggetti pubblici) i beni culturali di loro appartenenza, ad eccezione degli archivi correnti, nel luogo di loro destinazione nel modo indicato dal soprintendente" (art. 30, co. 2).

Alle spese per il restauro o per gli altri interventi conservativi (anche) di beni culturali ecclesiastici può concorrere il ministero (art. 35, co. 1) e in questo caso i beni vanno resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate da apposito accordo (art. 38, co. 1).

Il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli e altri elementi decorativi di edifici, esposti o meno alla pubblica vista, è sottoposto ad autorizzazione del soprintendente, anche in mancanza di individuazione come beni culturali (art. 11, co. 1, lett. a), e art. 50, co. 1).

Sono soggette ad autorizzazione ministeriale l'alienazione di beni culturali, nonché la vendita di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie come pure di archivi e di singoli documenti, appartenenti ad organismi ecclesiastici se costituenti "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" o "persone giuridiche private senza fine di lucro" (art. 56, co. 1, lett. b), e art. 56, co. 2, lett. a) e b)). Lo stesso regime vale per le costituzioni di ipoteca e di pegno e per i negozi giuridici che possono comportare l'alienazione (art. 56, co. 4-quinquies).

Gli organismi ecclesiastici, in quanto "privati", se titolari di archivi sono tenuti a comunicare l'acquisizione di documenti di interesse storico al soprintendente, che può in ogni caso accertare d'ufficio l'esistenza dell'"interesse particolarmente importante" di archivi e di singoli documenti di proprietà o nella disponibilità di detti organismi (art. 63, co. 4 e 5).

La disciplina degli artt 65-67 e 72, dettata in tema di uscita definitiva o temporanea dal territorio nazionale o di ingresso nel territorio nazionale, nel caso di cose o beni culturali appartenenti ad organismi ecclesiastici trova applicazione differenziata a seconda delle categorie soggettive di riferimento indicate dalle disposizioni ("enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", "privati", "a chiunque appartenenti").

A favore di organismi ecclesiastici quando "persone giuridiche private senza fine di lucro" può essere disposta l'espropriazione di beni culturali (art. 95, co. 3). Ma lo stesso è da ritenersi per gli "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", perché categoria assimilabile all'altra [27].

Anche le strutture espositive e di consultazione nonché i luoghi della cultura di cui all'art. 101, co. 1, che appartengano ad organismi ecclesiastici (ossia a "privati") espletano un servizio privato di utilità sociale quando aperti al pubblico (art. 101, co. 4).

L'accesso alle biblioteche e agli archivi degli organismi ecclesiastici (anche) per finalità di lettura, studi e ricerca può non essere gratuito, trattandosi di strutture non qualificabili come "pubbliche" (arg. a contrario dall'art. 103, co. 2).

Secondo l'art. 104, co. 1, possono essere assoggettati a visita del pubblico per scopi culturali i beni menzionati all'art. 10, co. 3, lett. a) (cose immobili che presentano interesse artistico ecc) e lett. d) (cose immobili culturali c.d. per relationem) quando rivestano "interesse eccezionale" nonché le collezioni dichiarate ai sensi dell'art. 13 (e perciò anch'esse accertate di "interesse eccezionale". Tali previsioni investono anche i beni di organismi ecclesiastici, nel primo caso quando questi organismi siano qualificabili come "privati" (in realtà è da ritenere anche quando essi compaiano come "persone giuridiche private senza fine di lucro" o, per assimilazione, come "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" [28]), negli altri casi sempre perché il riferimento normativo è a beni "a chiunque appartenenti". Le modalità di visita vanno concordate fra il soprintendente e l'organismo interessato (art. 104, co. 1 e 3).

La valorizzazione di beni culturali ad iniziativa di organismi ecclesiastici (in quanto "ad iniziativa privata") è qualificata attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale (art. 111, co. 4).

Gli accordi di valorizzazione di cui all'art. 112, co. 4, conclusi fra enti pubblici territoriali, possono riguardare anche beni di organismi ecclesiastici (in quanto "beni proprietà privata"), qualora gli stessi organismi lo consentano.

Ai soggetti giuridici costituiti per l'elaborazione e lo sviluppo dei piani previsti dai predetti accordi possono partecipare gli organismi ecclesiastici se proprietari di beni culturali oggetto di valorizzazione o anche non proprietari, se "persone giuridiche private senza fine di lucro" (art. 112, co. 8) oppure - è da ritenersi - "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", in quanto ad essi assimilabili [29].

Le attività e le strutture di valorizzazione, ad iniziativa di organismi ecclesiastici (e perciò da considerarsi "ad iniziativa privata"), di beni culturali di proprietà degli stessi organismi (e perciò da ritenersi "di proprietà privata") possono beneficiare del sostegno dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Regioni e enti locali possono altresì concorrere alla valorizzazione dei beni indicati dall'art. 104, co. 1, partecipando agli accordi in cui sono definite le modalità di valorizzazione, da stipularsi con i predetti organismi in sede di adozione delle misure di sostegno (art. 113, co. 1, 3 e 4).

In base all'art. 120, co. 1, possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative anche di organismi ecclesiastici quando "persone giuridiche private senza fine di lucro" - oppure, è da ritenersi [30] sempre per assimilazione, quando "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" - e sempre (in quanto "soggetti privati") allorché vertano su beni culturali di loro proprietà (art. 120, co. 1).

Sono liberamente consultabili, fatte salve le eccezioni previste all'art. 122, co. 1, lett. a) e b), gli archivi e i documenti di proprietà degli organismi ecclesiastici (in quanto "di proprietà privata") depositati negli archivi di Stato o negli archivi storici degli enti pubblici (comma 3, dello stesso articolo).

Il regime di consultabilità previsto dall'art. 127 per gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a (o nella disponibilità di) "privati" si applica di conseguenza anche a quelli in proprietà o nella disponibilità degli organismi ecclesiastici. Le relative modalità vanno concordate fra gli stessi organismi e il soprintendente (co. 1).

Va infine ricordata la sottoposizione a specifiche disposizioni di tutela delle cose di cui all'art. 11 anche nel caso di appartenenza ad organismi ecclesiastici.

5. Osservazioni conclusive

Per concludere due notazioni. Come emerge da quanto esposto nel precedente paragrafo, numerose sono le ipotesi in cui, ai fini dell'applicazione della disciplina dettata, il Codice stabilisce l'accordo fra l'autorità di tutela e quella ecclesiastica. Poco importa che la previsione dello strumento consensuale sia formalmente riferita ai "privati" e quindi coinvolga gli organismi ecclesiastici non come tali, ma solo perché soggetti inquadrabili in tale categoria. Quello che conta è che, al di là di quanto disposto (al comma 1) o previsto come possibile (al comma 2) dall'art. 9, la disciplina del Codice finisce per contemplare per non pochi aspetti un'attuazione concordata fra l'autorità laica e l'autorità ecclesiastica (o più in generale confessionale). Sicché può ben dirsi che dalla trama del Codice emerge un generale principio di collaborazione per la gestione dei beni culturali appartenenti ad organismi ecclesiastici (e in senso più ampio confessionali) che travalica le previsioni dell'art. 9 e che in particolare investe tali beni indipendentemente dalla presenza dell'interesse religioso.

La seconda notazione riguarda le diverse 'vesti' con cui gli organismi confessionali possono venire in rilievo nello 'scenario' del Codice: "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", "persone giuridiche private senza fine di lucro", "privati", oppure come soggetti proprietari genericamente intesi (nella formula "a chiunque appartenenti"). La spiegazione va presumibilmente rintracciata nell'accurato bilanciamento, operato da Codice, a seconda delle singole situazioni del bene culturale, fra l'interesse culturale, di rilievo pubblico, e l'interesse proprietario in ordine alla cosa supporto materiale del bene.

Il primo è privilegiato allorché il Codice assimila le cose di cui all'art. 10, co. 1 appartenenti agli organismi ecclesiastici ("enti ecclesiastici civilmente riconosciuti", o "persone giuridiche private senza fine di lucro") a quelle dei soggetti pubblici, in particolare nei profili fondamentali della sottoposizione alla disciplina dei beni culturali e del regime relativo alla circolazione dei diritti sugli stessi.

Anzitutto tali cose sono sottoposte ex se, in via interinale, alla disciplina codicistica (il che comporta anche la loro provvisoria inalienabilità) diversamente da quanto vale per le stesse cose appartenenti ai "privati". Inoltre, e sempre diversamente dalle cose dei "privati", non è richiesta per la loro definitiva soggezione alla disciplina codicistica un più elevato livello di interesse culturale ("interesse particolarmente importante"). In secondo luogo, per l'alienazione dei beni culturali e per i negozi giuridici che possono comportare lo stesso effetto viene richiesta l'autorizzazione ministeriale, prevista tipicamente per quelli pubblici (quando non inalienabili).

Viceversa, per altri profili della disciplina il Codice ha ritenuto di privilegiare l'interesse proprietario e perciò non ha previsto un regime diverso da quello dettato per i beni appartenenti a "privati".

Una disciplina dunque modulata a seconda dell'interesse ritenuto dal legislatore meritevole di protezione, in linea con la "diversa intensità delle modalità di tutela e di valorizzazione che lo stesso art. 1 sembra evocare" [31].

 

Note

[1] Su tale questione, oltre alla Relazione illustrativa al d.lg. n. 62, par. I e II, cfr. P. Carpentieri, Il secondo decreto "correttivo" del codice dei beni culturali e del paesaggio, in Urb. e app., 2008, 6, pag. 682; A.G. Chizzoniti, Profili giuridici dei beni culturali di interesse religioso, Libellula Edizioni, Tricase 2008, pag. 96 s.; A. Roccella, La conservazione: gli artt. 18-52, e G. Sciullo, La tutela: gli artt. 1-15, ambedue in Aedon, 2008, 3. Sul tema della qualificazione giuridica degli enti ecclesiastici nell'ordinamento italiano, anche per ulteriori riferimenti, cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 2014, pag. 296 s. Per una posizione diversa cfr. ad es. G. Feliciani, Organizzazioni "non profit" ed enti confessionali, in Quaderni dir. e pol. ecclesiastica, 1997, 13.

[2] Va avvertito che, come ricorda F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., pag. 332 ss., a partire dalla l. 11 agosto 1984, n. 449 gli enti collegati a confessioni religiose diverse da quella cattolica che ottengano il riconoscimento come persone giuridiche per effetto di intese intervenute con lo Stato italiano acquistano in genere la qualifica di "enti ecclesiastici" (art. 12, cfr. ad es. l'art. 24, co. 3 della l. 516/1988 e l'art. 19 l. 520/1995).

[3] G. Pastori, Articolo 10, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio (a cura di) M. Cammelli, il Mulino, Bologna 2007, pag. 101.

[4] Ossia degli organismi ecclesiastici.

[5] In tal senso ad es. F. Margiotta Broglio, Articolo 9, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 85, e N. Gullo, Art. 9, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Giuffrè, Milano 2019, pag. 108.

[6] Tale riconduzione, operata dal Codice con l'espressione "ivi compresi", appare giustificata (oltreché dalla estraneità dello scopo di lucro rispetto al fine di religione e di culto che l'ente ecclesiastico deve avere come "costitutivo ed essenziale" per il riconoscimento della personalità giuridica nell'ordinamento italiano, cfr. artt. 1, 2 e 16 della l. 20 maggio 1985, n. 222), dal fatto che ai sensi dell'art. 5, co. 1 della stessa legge gli "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono iscriversi nel registro delle persone giuridiche", registro previsto dal d.p.r. 10 febbraio 2000, n. 361, per le persone giuridiche di cui Titolo II, Capo II, Libro primo del codice civile.

[7] Nello stesso senso in relazione alla previgente normativa cfr. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali ambientali, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 254, e M. Grisolia, La tutela delle cose d'arte, Soc. Ed. del Foro italiano, Roma, 1952, pag. 323.

[8] Come è stato rilevato da L. Casini, La tutela dei beni culturali in Vaticano, in Gior. dir. amm., 2002, 4, può dirsi che nella categoria 'beni culturali appartenenti a organismi ecclesiastici' (l'A. usa la locuzione "beni culturali di proprietà di enti ecclesiastici", pag. 435) "il fattore differenziante è rappresentato dal regime proprietario", in quella 'beni culturali di interesse religioso' "è dato dalla tipologia del bene" (pag. 436).

[9] Sul punto tra gli altri cfr. L. Casini, La tutela dei beni culturali in Vaticano, cit., pag. 435, nt. 10.

[10] Cfr., anche per ulteriori riferimenti, S. Amorosino, I beni culturali di interesse religioso nell'ordinamento amministrativo italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 2, pag. 384 s., E. Camassa, Art. 9, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, in Le nuove leggi civ. comm., 2005, 5-6, pag. 1102 ss., Id, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità degli ordinamenti, Giappichelli, Torino, 2013, pag. 102 ss., A.G. Chizzoniti, Profili giuridici dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 187 ss., A. Crosetti, D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 42 ss., A. Fuccillo, I beni immobili culturali ecclesiastici tra principi costituzionali e neo dirigismo statale, in www.statoechiese.it, marzo 2009, spec. par. 1 e 2; N. Gullo, Art. 9, cit., pag. 107 ss., F. Margiotta Broglio, Articolo 19, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, (a cura di) M. Cammelli, il Mulino, Bologna, 2000, pag. 81 ss., Id, Articolo 9, cit., pag. 84 ss., G. Pastori, L'art. 12 dell'accordo 12 febbraio 1984, in Beni culturali di interesse religioso, (a cura di) G. Feliciani, il Mulino, Bologna 1995, pag. 21 ss., Id, I beni culturali di interesse religioso: le disposizioni pattizie e la normazione più recente, in Quaderni di dir. e pol. eccl., 2005, 1, pag. 194 ss., A. Roccella, I beni culturali ecclesiastici, in Quaderni di dir. e pol. eccl., 2004, 1, pag. 199 ss., Id, Manuale di legislazione dei beni culturali, Cacucci, Bari, 2007, pag. 62 ss.; V. Sessa, Art. 9. Beni culturali di interesse religioso, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone, A.L. Tarasco, Cedam, Padova, 2006, pag. 78 ss.

[11] Per l'espressione v. F. Margiotta Broglio, Articolo 9, cit., pag. 85.

[12] Per una diversa posizione cfr. F. Finocchiaro, Diritto, cit., pag. 392 s.

[13] Cfr. G. Pastori, I beni culturali di interesse religioso: le disposizioni pattizie e la normazione più recente, cit., pag. 195 e 196 s.

[14] Cfr. G. Pastori, La legge sulla tutela dei beni culturali, in le Regioni, 1981, 2, pag. 336.

[15] Attività che nel caso dell'art. 16, lett. a), cit. sono individuate in quelle "dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana", mentre ai sensi della lett. b) sarebbero escluse quelle "di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro"

[16] Cfr. A.G. Chizzoniti, Profili giuridici dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 136 ss. I passi riportati sono alle pagg. 138 e 139. Coerente con l'impostazione appena richiamata è, nel caso di beni culturali di interesse religioso appartenenti a organismi ecclesiastici, l'asserito 'assorbimento' nella formula "esigenze di carattere religioso", contenuta nell'art. 12, co. 1, dell'Accordo del 1984, di quella "esigenze di culto" presente nell'art. 9, co. 1, del Codice, cfr. pagg. 189 e 192.

[17] M. Renna, introduzione, in M. Renna, V.M. Sessa, M. Vismara Missiroli, Codice dei beni culturali di interesse religioso, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 3 ss. I passi riportati sono alle pagg. 5 e 6.

[18] Cfr. M. Renna, Introduzione, cit., pag. 6.

[19] La distinzione è del resto presente nell'Intesa del 26 gennaio 2005 intervenuta fra il Mibac e la CEI, cfr. art. 6, co. 1 e 2 in relazione all'art. 2, co. 1.

[20] M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 8.

[21] Per l'espressione v. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., pag. 78.

[22] F. Margiotta Broglio, Articolo 9, cit., pag. 85.

[23] E. Camassa, Art. 9, cit., pag. 1103.

[24] A.G. Chizzoniti, Profili dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 192, fatte salve le specificità derivanti dalle caratteristiche di taluni beni oppure dettate in ragione dell'appartenenza secondo categorie di soggetti.

[25] F. Margiotta Broglio, Articolo 9, cit., pag. 85, cfr. anche A. Roccella, Manuale di legislazione dei beni culturali, cit., pag. 63.

[26] Cfr. N. Gullo, Art. 9, cit., pag. 111. Si pensi a titolo di esempio alla già citata intesa del 18 aprile 2000 a proposito di archivi d'interesse storico e di biblioteche appartenenti ad organismi ecclesiastici, in cui la disciplina dettata manca di un evidente collegamento con l'interesse religioso.

[27] In tal senso cfr. A. Roccella, La conservazione: gli artt. 18-52, cit., nt. 109.

[28] Ciò in considerazione del fatto che l'art. 104 appare disposizione che 'copre' l'area non toccata dall'art. 102 in cui ci si riferisce alla fruizione di luoghi della cultura e di beni culturali di proprietà pubblica. Per analoga soluzione a proposito dell'art. 106 del T.U. del 1999 cfr. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali ambientali, cit., pag. 442 s.

[29] Di nuovo in tal senso A. Roccella, op. loc. ult. cit.

[30] Ancora A. Roccella, op. loc. ult. cit.

[31] Il passo citato è di G. Pastori, Articolo 10, cit., pag. 103.

 

 



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