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Il mercato dell’arte

Contraffazione di opere d’arte e posizione del curatore d’archivio

di Arianna Visconti

Sommario: 1. Contraffazione e mercato dell'arte: note criminologiche e beni penalmente tutelati. - 2. Le fattispecie del Codice dei beni culturali tra problemi probatori e necessità di aggiornamento. - 3. Il ruolo (e le possibili responsabilità) degli archivi d'artista. - 4. Conclusioni: tendenze in atto e progetti di riforma.

Counterfeiting of artworks and role of the curator of archive
Counterfeiting is a major problem in the art market, and its harmful impact will likely grow as contemporary art (currently, the most affected) is increasingly becoming an object of financial speculation. The Italian criminal law has, however, not followed the tumultuous evolution that the very concept of 'art' has known since the aftermath of World War II. In this ever-changing market a role of increasing importance is played by artists' archives. Born with the main purpose of protecting and preserving an artist's memory and moral legacy, archives are now faced with growing involvement - both as active helpers and as passive subjects of scrutiny - in criminal investigations on fakes and forgeries.

Keywords: Art Market; Fakes and Forgeries; Criminal Law; Artists' Archives.

1. Contraffazione e mercato dell'arte: note criminologiche e beni penalmente tutelati

La contraffazione di oggetti d'arte e antiquariato è certo un fenomeno che esiste fin dall'antichità [1], e tuttavia va subito premesso che, da un lato, la sensibilità contemporanea ha tracciato confini più netti tra 'falsificazioni' lecite e illecite [2] (si pensi solo al radicale mutamento del concetto di 'restauro' nel corso degli ultimi secoli, che ha reso la reintegrazione 'mimetica' dell'oggetto inaccettabile ai nostri occhi [3]) e, dall'altro, il fenomeno, per quanto ne sia difficile un apprezzamento quantitativo, sembra tuttavia oggi in forte crescita, specialmente nei settori maggiormente interessati dal recente boom del mercato dell'arte [4] - un dato non sorprendente considerando che "i falsari sono prima di tutto creature del mercato" [5], che rispondono (prontamente ed efficientemente) sul piano dell'offerta alla crescita della domanda così come questa si configura in base ai gusti e alle mode dei tempi.

Le stime relative alla diffusione dei falsi variano da estremi molto bassi e ottimistici (un 1% di 'falsi veri e propri' e un complessivo 20% di opere deliberatamente attribuite ad altri artisti, alterate, ecc.) [6] a valutazioni estremamente negative e allarmanti (fino al 90% delle opere proposte sul mercato) [7]. Va detto, per altro, che le percentuali di falso appaiono, più realisticamente, molto variabili nel tempo e nei diversi settori del mercato dell'arte e dei beni culturali [8], in ragione sia dell'estrema eterogeneità 'merceologica' (dalle opere di pittura [9] all'arredo di antiquariato [10], dalle stampe [11] alla numismatica [12], alle terrecotte antiche [13], ecc.), con le correlate peculiarità 'tecniche' di riproduzione e le diversificate caratteristiche di ogni nicchia di mercato, sia delle diverse tipologie di acquirente (grandi istituzioni pubbliche, piccoli musei locali [14], commercianti professionisti, privati competenti, privati non competenti [15], senza parlare del costante aumento di compravendite online [16]), sia del diverso contesto geografico ed economico-sociale [17], e così via. Resta il fatto che la famosa affermazione secondo cui "delle 700 opere effettivamente dipinte da Jean Baptiste Camille Corot, 8.000 si trovano negli Stati Uniti" [18] rispecchia tutt'oggi l'esperienza media dei board di archivi e fondazioni, che si vedono abitualmente sottoporre per l'autenticazione quantitativi di opere, asseritamente di mano dell'artista, che questi non avrebbe mai potuto materialmente produrre nell'arco della sua vita.

Le difficoltà nel valutare adeguatamente le reali dimensioni, in termini numerici e di valore economico, della contraffazione di beni culturali nascono da una serie di fattori strutturali. Il primo, che è appena il caso di menzionare, è l'intrinseca insidiosità di questa fattispecie criminosa, che la accomuna a ogni altra forma di falso penalmente perseguita. Ma la diffusione di falsi d'arte non solo tra collezionisti e acquirenti privati, ma anche all'interno di musei e gallerie pubbliche (celebre l'affermazione di Wolfgang Beltracchi di aver visto un suo dipinto esposto all'Albertina di Vienna [19], che del resto echeggia il famoso caso di Han van Meegeren [20], solo per citare due esempi), è favorita anche e in primo luogo dalla natura intrinsecamente opaca, "grigia", del mercato dell'arte e dell'antiquariato [21].

Un mercato che ha sempre giocato sulla strutturale compresenza di opere di provenienza lecita, ma scarsamente documentata, con opere di provenienza illecita poco, punto, o falsamente documentata, per favorire il 'ricircolo' di queste ultime, secondo l'adagio corrente 'nessuna domanda, nessuna dichiarazione' che, se da un lato mantiene tutt'oggi vivo un fiorente traffico internazionale di oggetti rubati, scavati clandestinamente e/o illecitamente esportati [22], dall'altro agevola anche l'inserimento sul mercato di beni contraffatti, del pari poco, punto o falsamente documentati [23] (tanto che, specie in ambito archeologico, sono noti casi in cui gli stessi trafficanti gestiscono in parallelo un commercio di beni originali, rubati, e di copie spacciate per autentiche) [24].

Da questo punto di vista, la ben nota disapplicazione prasseologica dell'art. 64 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (Cbc) [25], con la correlata 'normalizzazione' di compravendite pressoché mai accompagnate dalla "documentazione" che attesti la "provenienza" del bene, vale non solo ad agevolare la circolazione di beni autentici di dubbia, o francamente illecita, origine, ma mina già di per sé la qualità e affidabilità della stessa "documentazione" relativa all'"autenticità" che, ove pure venga fornita (evenienza rara, essendo per lo più sostituita da una dichiarazione di autenticità del commerciante), risulta di fatto essenzialmente 'monca' di importanti evidenze a supporto. Una prassi per altro agevolata dall'atteggiamento maggioritario degli acquirenti stessi, primi e più efficaci potenziali custodi della trasparenza del mercato [26], i quali invece tutt'oggi non le oppongono significativa resistenza, talora perché sprovveduti e non informati, talaltra perché desiderosi, per parte loro, di approfittare di 'golose' occasioni d'acquisto senza troppo scavare nella storia dell'opera.

Le statistiche criminali di cui disponiamo - le quali, si ripete, hanno un valore puramente indicativo, dando conto solo dei casi scoperti dalle agenzie di controllo - segnalano per altro una forte prevalenza, sul totale dei reati registrati, della contraffazioni aventi a oggetto arte contemporanea [27]; una diffusione che può a sua volta essere spiegata attraverso alcuni fattori strutturali. In primo luogo, all'interno del lucroso mercato dell'arte, il settore che certamente ha conosciuto in questi anni la maggiore espansione [28], con una crescita quasi inarrestabile delle quotazioni e l'accaparramento di circa la metà del volume totale degli scambi a livello globale [29], è proprio quello dell'arte contemporanea. Malgrado lo sgonfiarsi di alcune 'bolle', il trend rimane in crescita, e i valori economici restano sostanzialmente più alti rispetto a quelli medi per gli 'antichi maestri'.

Inoltre, la falsificazione di opere d'arte contemporanea si presenta, nella maggior parte dei casi, tecnicamente più semplice [30], offrendo quindi ai falsari sia una maggiore 'produttività' (nel recente caso dei falsi Dadamaino, ad esempio, la contraffazione è stata scoperta proprio partendo dalla comparsa sul mercato di un numero spropositato di Volumi dell'artista) [31], e dunque maggiori introiti, sia minori rischi di essere scoperti ed, eventualmente, identificati e puniti. Rischio ulteriormente ridotto dal maggior numero di acquirenti non competenti che caratterizza questo settore del mercato.

Gli stessi fattori che spingono in alto le quotazioni dell'arte contemporanea, e in particolare di quella non figurativa, nel mercato globale, infatti, ne favoriscono una diffusione (maggiore di quella riscontrabile per il collezionismo di opere 'antiquarie', pure in crescita) al di là delle cerchie tradizionali, per lo più dotate di una più solida formazione e di un maggiore expertise. L'assente, o labile, connotazione in termini culturali specifici di queste opere le rende appetibili per investitori di ogni provenienza geografica e di ogni estrazione culturale [32], in particolare formatisi nelle nuove economie emergenti [33], spesso privi di familiarità con le cifre tecniche ed espressive occidentali o comunque di una minima formazione artistica, frequentemente attratti dall'arte contemporanea essenzialmente per il suo valore percepito di status symbol e/o di investimento finanziario [34]. Un aspetto, quest'ultimo, che rischia di aumentare i profili di lesività della contraffazione d'arte.

In effetti, come costantemente rilevato in dottrina [35], la collocazione delle fattispecie di 'contraffazione artistica' nell'ambito della legislazione speciale in materia di beni culturali si presenta in una certa misura forzata, visto che la comunanza di interesse protetto risulta assai lata: i beni culturali sono infatti tutelati dall'ordinamento per l'interesse pubblico insito nei loro contenuti di valore, mentre la repressione del 'falso d'arte' concerne l'interesse alla regolarità e alla correttezza degli scambi e delle contrattazioni nel settore del mercato artistico [36]. Che a essere tutelato direttamente dall'art. 178 Cbc (come pure, precedentemente, dall'art. 127 del TU beni culturali, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e prima ancora, con più congrua collocazione in un separato atto normativo, dagli artt. 3-7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062) sia un interesse superindividuale assimilabile, da un lato, alla fede pubblica [37], e dall'altro all'ordine economico [38], è del resto pacifico in giurisprudenza [39]. Quest'ultima, coerentemente, esclude ogni rilevanza esimente ex art. 50 c.p. al consenso prestato dall'autore o, dopo la sua morte, da suoi eventuali successori nei diritti morali sull'opera (ai sensi dell'art. 23, legge 22 aprile 1941, n. 633), alla messa in circolazione di opere non autentiche, non potendo costoro in alcun modo disporre validamente di un bene giuridico a dimensione collettiva quale quello tutelato dalle fattispecie in esame [40]. E la stessa giurisprudenza, in modo del pari coerente, applica alla contraffazione artistica i rigorosi principi in tema di falso grossolano abitualmente applicati ai reati contro la fede pubblica [41]: viene dunque esclusa l'offensività solo di falsificazioni talmente macroscopiche da risultare facilmente percepibili anche da individui digiuni di qualsiasi esperienza e preparazione in materia di arte e antiquariato, e non solo per un esperto o (almeno) un collezionista di media esperienza [42].

La stessa ratio di tutela spiega poi perché la norma, anche ai sensi dell'art. 10, co. 5 Cbc [43], estenda la propria applicazione alle opere di arte contemporanea [44] (a tutti gli altri effetti fuori dal raggio protettivo del Codice, stante la ritenuta non apprezzabilità del loro valore 'culturale' prima del decorso di un lasso di tempo, grosso modo equiparabile a una generazione, in cui il bene e il suo autore si siano potuti formare liberamente una 'reputazione' tra gli esperti, il pubblico, e nel mercato internazionale) [45]; così pure è pacifico che, per l'applicazione dell'art. 178 Cbc, non si richiede alcuna valutazione circa la reale qualità 'artistica' o 'culturale' dell'oggetto materiale della falsificazione [46]. Analogamente, sono certamente incriminabili anche condotte interenti a opere di autori stranieri [47] non legate in alcun modo, neppure indiretto, al patrimonio culturale nazionale [48], come tali non assoggettabili, per il resto, alla disciplina del d.lgs. 42/2004.

Da ultimo, questa ratio di tutela spiega anche la strutturazione del sistema di pene accessorie previsto dai co. 2, 3 e 4 dell'art. 178 Cbc: la sanzione dell'interdizione dalla professione ex art. 30 c.p., comminata - insieme con un'aggravante - a chi commetta il fatto nell'esercizio di un'attività commerciale si fonda sulla lesione dello specifico e maggiore affidamento riposto dal pubblico in chi professionalmente operi nel mercato dell'arte e dell'antiquariato [49]; la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna è tipica (tra l'altro) dei reati contro la fede pubblica, in quanto volta, da un lato, a sventare la carica decettiva insita nei reati di falso e a ristabilire la verità [50], dall'altro (essendo sfuggita, probabilmente per pura dimenticanza, al recente depotenziamento dell'istituto) [51], a produrre nell'opinione pubblica una deminutio reputazionale per individui che del pubblico affidamento abbiano abusato [52]; infine, la confisca obbligatoria "degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti" (salvo che appartengano a persone estranee al reato) si lega alla intrinseca pericolosità del bene falso, che non potrà e non dovrà dunque mai rientrare sul mercato [53] (ne è del resto coerentemente "vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato", e la prassi giurisprudenziale prevede l'apposizione di un'attestazione di falsità sul verso, prima dell'eventuale restituzione al terzo di buona fede [54]), stante il permanente rischio di inquinarlo [55].

Come si vede, dunque, la tutela per il patrimonio culturale risulta mediata dalla tutela di beni di tipo collettivo-economico (del resto, prima dell'introduzione, nel 1971, delle specifiche fattispecie, queste condotte erano represse, ricorrendone tutti gli ulteriori presupposti, attraverso l'applicazione del delitto di truffa [56], di cui all'art. 640 c.p. - con il quale, del resto, possono concorrere [57] - una fattispecie, quest'ultima, posta a tutela del patrimonio, seppure, in questo caso, individuale). Interessi legati, per parte loro, alla regolarità e trasparenza degli scambi in questo mercato, la quale può certo contribuire, ma solo in modo molto indiretto, alla tutela della genuinità e autenticità del patrimonio culturale nel suo complesso. Un bene, quest'ultimo, rilevante non solo sul piano simbolico, ma anche, ad esempio, conoscitivo e informativo (si pensi alle distorsioni della ricerca storico-artistica potenzialmente derivanti dall'accettazione come autentiche di opere in realtà false [58]).

Del resto, proprio la crescente rilevanza economica del mercato dell'arte suggerisce che la diffusione di opere contraffatte possa avere, a sua volta, un impatto negativo sempre più significativo sull'ordine degli scambi economici, non solo perché il crollo delle quotazioni delle opere (anche autentiche) di artisti di cui si scopra una massiccia falsificazione è dato empirico frequente [59], ma anche in ragione dell'accennato aumento di attività finanziarie speculative aventi a oggetto opere d'arte. La nascita e la - non velocissima, ma regolare - moltiplicazione di c.d. art funds [60] e di altre forme di investimento in arte, per altro allo stato poco o per nulla regolamentate [61], infatti, si presta a creare ripercussioni economiche negative anche rispetto a una platea, decisamente più ampia rispetto a quella dei tradizionali acquirenti d'arte, di soggetti per nulla interessati agli aspetti culturali dei beni in questione, andando a interferire direttamente con la tutela del risparmio e con la correttezza del funzionamento dei mercati finanziari.

2. Le fattispecie del Codice dei beni culturali tra problemi probatori e necessità di aggiornamento

Come si è visto, le fattispecie di contraffazione di beni culturali hanno fatto la loro comparsa relativamente tardi nel nostro ordinamento, ma, una volta introdotte, non hanno subito sostanziali modifiche strutturali e contenutistiche dal 1971 a oggi [62] - il che, come a breve si dirà, pone alcuni problemi di imprecisione e obsolescenza cui, per altro, neppure il progetto di riforma complessiva dei reati contro il patrimonio culturale, attualmente pendente in Senato [63], sembra destinato a dare risposta.

Il 'microsistema' della contraffazione artistica è oggi ospitato negli artt. 178 e 179 Cbc. Il primo prevede, al co. 1, un insieme di quattro distinte condotte punibili, accomunate da identica pena di base (reclusione da tre mesi a quattro anni congiunta a multa da 103 a 3.099 Euro), oltre al già ricordato insieme di aggravanti e pene accessorie; il secondo specifica peculiari condizioni di esclusione della tipicità [64] rispetto alla condotta di falsificazione materiale (lett. a art. 178), logicamente e cronologicamente prodromica alle condotte di utilizzazione illecita (lett. b), cui pure l'art. 179 fornisce una delimitazione 'in negativo', e di false attestazioni (lett. c e d art. 178). L'oggetto materiale si presenta comune alle quattro fattispecie, e pone i primi problemi interpretativi e applicativi.

Le disposizioni fanno infatti uso di espressioni - "opera di pittura, scultura o grafica" e "oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico" - che non collimano esattamente con alcuna delle definizioni presenti nel Capo I, Titolo I, Parte II del Codice; dato per altro non sorprendente, considerando la già ricordata natura (anche storicamente) 'eccentrica' di questo nucleo normativo. In particolare, in relazione alla seconda delle due tipologie di beni prese in considerazione, mentre l'espressione "interesse storico o archeologico" ricorre nell'art. 10 Cbc e può quindi essere in una certa misura chiarita, o almeno integrata, attraverso l'elencazione esemplificativa di cui al co. 4 dello stesso articolo [65], l'espressione "oggetto d'antichità" non trova un correlato in altre disposizioni a eccezione dell'art. 64 Cbc, che a sua volta non ne dà alcuna definizione.

È legittimo quindi interrogarsi sulle implicazioni interpretative di un termine che presenta un chiaro riferimento semantico a una soglia temporale di rilevanza (per quanto indeterminata), e chiedersi se, per ciò che di antico non sia qualificabile come 'opera di pittura, scultura o grafica' (e non ricada dunque in questa specifica classe alternativa di oggetti) [66], debbano valere a qualificare l'oggetto materiale le delimitazioni cronologiche altrove stabilite nel Codice a fini di protezione (in generale o solo per specifici scopi di tutela), ossia l'essere l'oggetto opera di autore deceduto eseguita da oltre settant'anni (art. 10, co. 5) [67] o, in caso di fotografie (o negativi, o matrici) e di opere cinematografiche o audiovisive e assimilate, l'essere queste state prodotte da oltre venticinque anni (art. 11, co. 1, lett. f) [68], in caso di mezzi di trasporto, un'età superiore ai settantacinque anni (art. 11, co. 1, lett. g), e in caso di beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica, un'età superiore ai cinquant'anni (art. 11, co. 1, lett. h). Questo anche considerate la labilità e variabilità delle distinzioni economico-sociali tra 'antiquariato', 'modernariato' e semplici 'cose vecchie'. Un'opzione interpretativa per altro non priva di note problematiche, dato che le disposizioni in questione certamente nascono con altri e diversi scopi di tutela [69]. Del resto, neppure il riferimento (sempre ambiguo) al 'diritto vivente' consente, allo stato, di sciogliere questi dubbi interpretativi, che quindi conferiscono alla fattispecie una prima colorazione di imprecisione [70], e dunque di problematicità rispetto al principio costituzionale di legalità.

In relazione, invece, alle "opere di pittura, scultura o grafica" la terminologia prescelta dal legislatore, ove riferita alle tradizionali categorie primo-novecentesche, non pare presentare particolari problemi semantici o interpretativi, con la sola eccezione dell'ultima tipologia, che si caratterizza per la connaturata vocazione al multiplo, la quale, come del resto per altre opere che presentino analoghe caratteristiche (ad es. sculture realizzate per fusione), pone problemi in relazione all'inquadramento giuridico-penale dei casi di riproduzione ulteriore non autorizzata. Questa viene dalla giurisprudenza (criticabilmente) [71] ritenuta reato quando operata da chi non detenga legittimamente la matrice (configurando una mera violazione del diritto d'autore ove, e solo ove, realizzata, invece, dal detentore legittimo) [72].

Le difficoltà maggiori nascono però confrontando il lessico dell'art. 178 Cbc con l'evoluzione più recente delle forme di espressione artistica (ferma sempre la citata irrilevanza di una valutazione di qualità artistica del bene): si potranno ritenere 'coperte' dalle fattispecie del d.lgs. 42/2004 contraffazioni di opere ready made, di arte povera, di visual art, le performance, l'arte concettuale, ecc.? Data la certa riconducibilità all'oggetto di tutela anche dell'arte contemporanea, infatti, è evidente che il problema interpretativo e applicativo sollevato dalle espressioni scelte dal legislatore del 1971 e mai modificate [73] non si presenta di poco momento, ed è anzi destinato a crescere in rilevanza con la sempre maggiore diffusione, e presenza sul mercato dell'arte, di forme espressive 'non tradizionali'.

In dottrina, in prospettiva adeguatrice, si è sostenuta la riconducibilità all'alveo semantico del dettato normativo - e dunque, in sostanza, a un'ammissibile interpretazione estensiva, legata all'evoluzione concettuale dei termini - anche di queste nuove forme artistiche, argomentando che il termine "opera di pittura" si presta a ricomprendere ogni prodotto bidimensionale, "opera di scultura" ogni prodotto tridimensionale, e "opera grafica" ogni opera riconducibile all'"arte del segno e del multiplo" [74]. Nella giurisprudenza di merito, recentemente, si è presa in considerazione, quale ipotesi di falso punibile, l'asserita contraffazione di due dei famosi 'pacchi' di Pietro Manzoni, anche se il caso si è poi concluso con un'assoluzione, stante la ritenuta impossibilità di provare la falsità delle opere [75] - un monito su quanto la contraffazione di particolari forme di arte contemporanea possa sollevare problemi probatori ancora maggiori rispetto a quelli, già non indifferenti, relativi alla contraffazione di forme espressive più 'classiche' [76].

Resta però lecito dubitare che un'interpretazione di questo tipo non sconfini in forme di analogia in malam partem contrarie al principio di legalità in materia penale [77]. Una rapida ricognizione dei più aggiornati dizionari della lingua italiana, infatti, non suffraga la tesi che la concezione di 'pittura' come 'qualsiasi opera bidimensionale' e quella di 'scultura' come 'qualsiasi opera tridimensionale' siano entrate nel novero dei significati correnti, socialmente condivisi, del termine [78]; il linguaggio specialistico della storia dell'arte ha, poi, al contrario, sviluppato termini specifici per ciascuna nuova forma espressiva, concepiti per valorizzarne le peculiarità e differenziazioni rispetto alle forme espressive e tecniche tradizionali; gli stessi artisti che si sono sforzati e si sforzano di sviluppare sempre nuove modalità espressive non condividerebbero, per lo più, un tentativo di questa fatta di 'normalizzazione' delle loro opere. Se dunque la prospettiva di tutela che anima la citata interpretazione, asseritamente estensiva, ma in realtà sostanzialmente analogica, appare perfettamente comprensibile, ne resta ineliminabile la nota incostituzionale: è quindi urgente che sia il legislatore a provvedere a un'attualizzazione delle fattispecie, col supporto delle più avanzate cognizioni storico-artistiche.

Va per altro osservato che anche un tale aggiornamento delle fattispecie correrebbe rischi di rapida obsolescenza, vista la costante evoluzione delle forme artistiche, e occorrerebbe dunque riflettere sull'adottabilità, in questo ambito, di un modello di fattispecie a 'specificazione tecnica' periodica, affidata a decreti ministeriali, sulla falsariga dei reati in materia di stupefacenti (che scontano analoghi problemi rispetto all'invenzione di sempre nuove sostanze psicotrope): una soluzione forse non ottimale, e probabilmente avvertita come 'burocratica' dagli artisti, ma che garantirebbe, in una materia certamente molto tecnica, e sicuramente soggetta a peculiari e frequenti esigenze di aggiornamento, il rispetto del principio di riserva di legge tendenzialmente assoluta in materia penale [79], come pure di quelli di precisione e tassatività, riducendo al tempo stesso (ove correttamente applicato) le finestre temporali in cui nuove forme espressive restino 'scoperte' dalla protezione penalistica contro la contraffazione.

Va inoltre osservato come anche la considerevole latitudine delle condotte criminalizzate, se da un lato è spiegabile con una volontà di protezione quanto più ampia e anticipata del mercato dell'arte e dell'antiquariato [80], ponga per parte sua problemi interpretativi e probatori - questi ultimi non secondariamente legati alla scelta di utilizzare soprattutto l'elemento soggettivo in funzione di delimitazione del raggio applicativo delle fattispecie [81].

Le condotte di falsificazione materiale tipizzate nella lett. a) art. 178 Cbc coprono le diverse possibili forme di produzione di opere decettive, dalla contraffazione in senso stretto - intesa come lavoro imitativo che crea l'apparenza della provenienza da un artista che non ne è l'autore (o della provenienza di un oggetto da un contesto storico-culturale che non è quello effettivo) [82] - all'alterazione - ovvero la modifica di opera originale (suscettibile, non necessariamente, ma eventualmente, di ledere anche direttamente il valore culturale di un bene che ne sia dotato, e come tale di integrare congiuntamente anche le ipotesi di cui agli artt. 635, co. 2, n. 1 o 733 c.p.) - in modo da inserire in essa caratteristiche che questa non possedeva [83] (tipicamente per renderla più appetibile, o comunque più facilmente circolabile, sul mercato) [84], alla riproduzione, intesa, in questo contesto [85], come copia dell'oggetto autentico realizzata con modalità tali da renderla suscettibile di essere confusa con l'originale e di trarre in inganno il pubblico [86] (a prescindere dalla tecnica di realizzazione, coincidente o meno con quella usata dall'autore dell'originale) [87].

L'ampiezza di attività ricomprese da queste espressioni [88] crea l'evidente necessità di una delimitazione dei confini con condotte affini, ma lecite. Il legislatore ha però operato un'actio finium regundorum sul piano oggettivo, della tipicità, solo in rapporto ad alcune ipotesi di condotte inoffensive. In particolare, l'art. 179 esclude esplicitamente dalle alterazioni penalmente rilevanti i "restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l'opera originale". Ora, se l'espressione è certamente idonea a segnalare l'illiceità di attività di 'completamento' di opere originali non finite [89], meno chiaro è il confine in caso di eccesso di restauro [90]. Posta l'ovvia non punibilità (per la natura dolosa del reato) di eccessi dovuti a imperizia del restauratore, la determinazione di quali condotte ricostruiscano 'in modo determinante', e quali 'in modo non determinante', l'opera è suscettibile di mutare nel tempo col variare della sensibilità dei professionisti e del pubblico [91], e l'interpretazione della norma andrà quindi necessariamente integrata col riferimento a parametri normativi extrapenali (ad es. alla Carta del restauro [92]), oltre che, anche in questo caso, con un'attenta indagine circa l'elemento soggettivo sottostante.

Esistono però nella prassi anche una serie di attività imitative e riproduttive che certamente non sono meritevoli di sanzione penale, ed è qui che entra in gioco, con un peso decisivo, il valore limitativo dell'elemento soggettivo, e in particolare del dolo specifico di profitto (non necessariamente patrimoniale) [93] che deve animare l'autore delle condotte elencate sotto la lett. a) dell'art. 178 Cbc [94]. La copia di opere altrui, o l'imitazione dello stile di un altro artista, per emulazione o per fini di studio, di cimento, di diletto, di gratificazione estetica personale, e simili, è evidentemente non solo penalmente irrilevante, ma a tutti gli effetti lecita (quando, per le sue specifiche caratteristiche, non configuri violazione del diritto morale d'autore), potendo tra l'altro costituire espressione del diritto costituzionale alla libertà di espressione artistica ex art. 33, co. 1 Cost.

La finalità con cui l'opera è creata incide quindi geneticamente sulla liceità penale o meno della condotta creativa stessa (ma non, evidentemente, su successive condotte di immissione sul mercato, non a caso tipizzate autonomamente), ed è quindi evidente l'importanza di reclamare una prova effettivamente "al di là di ogni ragionevole dubbio", ai sensi dell'art. 533, co. 1 c.p.p., dell'intento del soggetto attivo. Prova certo ardua [95] se non impossibile nei casi in cui alla realizzazione non sia seguita una condotta almeno prodromica alla commercializzazione [96], e tuttavia irrinunciabile.

Talora, per altro, l'inoffensività della condotta ne può caratterizzare l'irrilevanza penale già sul piano della tipicità: si pensi a tutti quei casi (come ad es. quello del merchandise di molti musem shop) in cui le dimensioni, i materiali, la tecnica di realizzazione delle riproduzioni, oltre a indicare un intento chiaramente non volto a profittare di un inganno ai danni di terzi, ne dichiarino apertamente, agli occhi di qualunque persona anche non esperta, la natura di copia [97].

Ancora più ampia è la latitudine delle ipotesi di illecita utilizzazione descritte alla lett. b) dell'art. 178 Cbc [98], la quale incrimina una serie di condotte accomunate dall'essere parte di un iter volto alla messa in circolazione come autentica dell'opera contraffatta - momento nevralgico ai fini dell'interesse collettivo tutelato [99], in quanto è proprio all'atto di questo passaggio che le altre condotte tipizzate dal co. 1 si presentano più prossime a inquinare effettivamente il mercato dell'arte e dell'antiquariato.

Le condotte descritte alla lett. b) si configurano per altro tutte come reati di pericolo astratto (sottratti quindi, in ossequio al principio di offensività, alla punibilità in caso di mero tentativo) [100], non richiedendo costitutivamente che l'oggetto falsificato passi nelle mani di un soggetto ignaro ed entri effettivamente nel circuito degli scambi [101]. La stessa condotta di 'messa in commercio' (la prima delle quattro considerate dal legislatore), infatti, si ritiene (anche sulla scorta dell'interpretazione consolidata di altre fattispecie in cui ricorrono espressioni affini) [102] già integrata da semplici trattative o da un'organizzazione, pur rudimentale, diretta allo smercio [103], e in generale da una serie di attività ancora prodromiche alla vendita propriamente intesa.

Rispetto a tali attività, come pure a quella di 'messa comunque in circolazione' (espressione idonea a ricomprendere ogni altra ipotesi in cui la cosa contraffatta esca dalla sfera di custodia di chi la detiene per entrare in quella di altri, a qualsiasi titolo [104] - ad es. per permuta, donazione, conferimento in società, ecc.), il ruolo delimitativo non è svolto, per una volta, dall'elemento soggettivo, che non richiede la presenza di finalità ulteriori e si configura qui come dolo generico [105] (il quale può essere integrato anche in presenza di una conoscenza non certa della falsità, essendo sufficiente, da parte dell'agente, l'accettazione della concreta eventualità che l'opera sia contraffatta e dunque la volontà di metterla in commercio 'anche a costo di' far circolare un falso, secondo le tipiche modalità del dolo eventuale) [106]. Tale delimitazione opera invece, per espressa disposizione legislativa, sul piano, oggettivo, della tipizzazione delle modalità della condotta, integrata dal citato art. 179 Cbc. Questo infatti prevede l'esclusione della punibilità nel caso in cui, all'atto dell'esposizione o della vendita, venga espressamente dichiarata, "mediante annotazione scritta sull'opera o sull'oggetto o, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell'imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all'atto dell'esposizione o della vendita", la natura non autentica del bene. Tutte condotte, come è evidente, idonee a 'disinnescare' il potenziale decettivo, e dunque offensivo, dell'offerta a terzi dell'opera imitata o copiata [107].

L'elemento soggettivo, sotto forma di dolo specifico - finalità di fare commercio - è stato invece utilizzato dal legislatore per circoscrivere la portata delle altre due condotte criminalizzate sotto la lett. b), ossia la detenzione e l'introduzione nel territorio dello Stato [108] (per l'appunto) a fini di commercio [109]; condotte che, sul piano puramente oggettivo, ben potrebbero tradursi in attività non meritevoli di sanzione penale (si pensi al collezionismo di falsi, i quali hanno i loro amatori) [110] o addirittura dotate di utilità sociale (detenzione o importazione a fini di studio). A maggior ragione in questo caso [111], dunque, una carenza di ragionevole certezza nella prova di tale specifica finalità comporterà la necessaria assoluzione dell'imputato - prova che potrà rivelarsi ardua in molti casi in cui non si disponga di indici oggettivi univoci circa la destinazione delle res [112], né (non essendo stata contestata l'associazione per delinquere) di elementi di prova ottenuti tramite intercettazioni ambientali o telefoniche [113].

Ma la fattispecie in cui la configurazione dell'elemento soggettivo - e la relativa prova in sede processuale - appare in assoluto più decisiva è quella relativa alla falsa asseverazione come autentico del bene contraffatto, prevista alle lettere c) e d) dell'art. 178, co. 1 Cbc. Essendo anche quella che più direttamente può implicare un coinvolgimento dell'archivio dell'artista, essa verrà trattata nel paragrafo che segue.

3. Il ruolo (e le possibili responsabilità) degli archivi d'artista

È utile premettere che tutte le fattispecie del co. 1, art. 178 Cbc si configurano come reati comuni [114]. In questo senso depone non solo la scelta lessicale del legislatore ('chiunque', espressione per altro talora equivoca), ma altresì il fatto (rilevante soprattutto per sciogliere ogni possibile residuo dubbio interpretativo relativo alle lett. c e d) che, a oggi, non esistono disposizioni normative che attribuiscano a chicchessia l'esclusiva potestà di autenticare, e men che meno di 'accreditare' in altro modo, le opere d'arte: benché il mercato si rivolga in prevalenza a soggetti che ritiene specificamente qualificati - archivi d'artista [115] o altri esperti - non esiste una disciplina legislativa specifica per l'individuazione e qualificazione di questi soggetti, o per la regolamentazione della loro opera [116], sicché chiunque è in effetti libero di rilasciare dichiarazioni di autenticità e, nel farlo, assumerà le responsabilità relative.

Va anche precisato che i curatori o i componenti del board degli archivi possono anche, al pari di altri soggetti, rendersi partecipi delle fattispecie di contraffazione materiale o di illecita commercializzazione, vuoi direttamente a titolo di concorso eventuale - materiale o morale - ai sensi dell'art. 110 c.p. [117], vuoi indirettamente (senza dunque necessariamente incorrere in responsabilità specifiche rispetto a tutti o alcuni dei reati-scopo), quali membri di un'associazione a delinquere volta alla falsificazione e commercializzazione di opere d'arte (o oggetti d'antiquariato), punita ai sensi dell'art. 416 c.p. Occorrenza, quest'ultima, tutt'altro che sconosciuta alle cronache: dal noto caso Franco Angeli [118] al più recente (e già citato) caso Dadamaino [119], l'imputazione (e talora la condanna) di componenti di archivi per il loro coinvolgimento in reti criminali di smercio di opere d'arte contraffatte si spiega anche con l'importanza, per agevolare l'immissione dei falsi sul mercato, di condotte asseverative dell'autenticità che provengano da soggetti in cui il mercato stesso riponga fiducia.

Sono infatti le ipotesi tipizzate alle lett. c) e d) dell'art. 178 Cbc [120] quelle che più facilmente possono vedere il coinvolgimento attivo diretto di esperti d'arte e curatori. Il legislatore ha qui voluto reprimere condotte capaci di rafforzare, e di molto, la carica decettiva dei beni contraffatti [121], vuoi (lett. c) attraverso una c.d. autentica, ovvero il rilascio di un documento (comunemente redatto sul retro di una riproduzione fotografica dell'opera) attestante l'attribuzione del bene a un certo autore, vuoi (lett. d) attraverso altre attività che concorrano con, o anche sostituiscano, l'autentica nel 'validare' l'oggetto come genuino. Queste ultime includono un ampio spettro di condotte, che vanno, ad es., dall'apposizione di falsi marchi di repertorio, timbri o etichette di gallerie d'arte, alla stipula di contratti di deposito o affini che, nello stimare il valore del bene, ne sottendano l'autenticità, all'inserimento dell'opera in cataloghi di mostre o altre pubblicazioni, all'archiviazione e/o all'inserimento nel catalogo ragionato - procedure, queste ultime, che stanno sempre più sostituendo l'autentica 'tradizionale' sia nelle prassi degli archivi, sia nelle valutazioni di affidabilità agli occhi del mercato [122].

Dall'autentica-expertise alla c.d. archiviazione autentica [123], si tratta, in ogni caso, di attività complesse e 'delicate': sostanziandosi, in definitiva, nell'espressione di opinioni circa l'autenticità o meno di un'opera d'arte [124], esse, da un lato, costituiscono valutazioni essenzialmente probabilistiche, con margini di errore più o meno alti a seconda delle tecniche utilizzate, della disponibilità di documentazione sul bene e sulla sua storia, e delle competenze ed esperienza di chi le compie (il che ne rende ulteriormente evidente la componente 'fiduciaria') e, dall'altro, si risolvono in manifestazioni del pensiero e della libertà di ricerca costituzionalmente protette ai sensi degli artt. 21 e 33 Cost. Questo spiega il limite particolarmente rigoroso introdotto dal legislatore penale sul piano dell'elemento soggettivo, configurato come dolo diretto [125] in relazione alla falsità dell'opera, la quale deve stagliarsi nella mente del soggetto attivo in termini di certezza ("conoscendone la falsità").

Un ulteriore contributo alla ricostruzione dell'elemento mentale di queste fattispecie si può inoltre ricavare da un confronto con la situazione in cui l'esperto, il critico o il curatore sia chiamato a svolgere il ruolo di perito in un procedimento giudiziario e renda una "falsa perizia" ai sensi dell'art. 373 c.p. [126]. Quest'ultimo reato (contro l'amministrazione della giustizia) punisce (con reclusione da due a sei anni) il perito nominato dall'autorità giudiziaria che renda un "parere mendace" o affermi "fatti non conformi al vero". Il confronto con questa fattispecie evidenzia come una expertise (giudiziale, ma lo stesso vale per quelle extragiudiziali) mendace possa in realtà consistere indifferentemente tanto in un falso dichiarativo (enunciazione di fatti che il dichiarante sa essere falsi: si pensi ad es. all'affermazione che non sia presente un certo pigmento, storicamente incompatibile con l'attribuzione all'artista, che invece il perito ha oggettivamente rilevato nell'opera, o alla dichiarazione non vera di aver assistito alla realizzazione dell'opera da parte del suo autore [127], e simili), quanto in un falso valutativo, che si connota qui come "divergenza intenzionale, voluta e cosciente" [128] non tanto da "criteri di valutazione normativamente fissati" o da "criteri tecnici generalmente accettati" [129], in questo campo per lo più assenti o a loro volta oggetto di costante dibattito scientifico, quanto piuttosto (situazione di ancor più delicato, se non impossibile, accertamento) [130] "tra il convincimento reale del perito e quello manifestato nell'elaborato tecnico in risposta ai quesiti del giudice" [131].

Nessun margine dunque, in questi casi, per l'operare del dolo eventuale [132], avendo evidentemente il legislatore ritenuto troppo alto il rischio di sanzionare penalmente meri errori (vuoi nell'accertamento dei presupposti di fatto per il giudizio sull'autenticità, vuoi, soprattutto, nelle valutazioni a questa inerenti), ove a integrare la colpevolezza fosse sufficiente una consapevolezza della possibile falsità del bene. Valutazione sostanzialmente ragionevole, considerati i ben noti 'scivolamenti' applicativi dal dolo eventuale all'area del colposo cui le fattispecie a dolo generico sono da sempre soggette [133]. Il prezzo da pagare è però, come è ovvio, un'accentuazione delle difficoltà probatorie: a maggior ragione in questo caso, in assenza della contestazione di un reato associativo e dunque della disponibilità delle risultanze di intercettazioni, la prova 'oltre ogni ragionevole dubbio' di un tale atteggiamento mentale risulterà in genere estremamente ardua [134] - anche se non sempre impossibile, come alcuni casi approdati in giudizio hanno dimostrato [135].

I curatori d'archivio, per altro, come si è accennato, svolgono un crescente ruolo di gatekeepers [136]: non solo il mercato si rivolge sempre più spesso ad archivi e fondazioni per validare l'attribuzione delle opere d'arte ai loro (asseriti) autori [137], ma nel nostro paese le forze di polizia specializzate nel contrasto alla contraffazione - in particolare il nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale - tra le indicazioni al pubblico in merito a come cautelarsi dall'acquisto di falsi, invitano, tra l'altro, proprio a una verifica presso l'archivio d'artista pertinente [138]. Sorge quindi l'interrogativo circa quali siano i doveri - penalmente rilevanti - di un curatore che, nello svolgimento, frequentissimo, di tali verifiche sulle opere presentate per l'archiviazione, abbia modo di accorgersi o sospettare della falsità di un bene appartenente a terzi.

Va subito premesso che appare in radice non configurabile, in questo ambito, una responsabilità, ex art. 40, co. 2, c.p., per omesso impedimento del reato di commercializzazione di opere contraffatte, ove il curatore non si attivi per far uscire dal mercato un'opera che valuti non autentica. Allo stato attuale, infatti, nessuna posizione di garanzia avente a oggetto la prevenzione di reati di contraffazione commessi da terzi è ravvisabile in capo a questi soggetti, proprio in ragione della radicale mancanza di una disciplina legislativa delle autentiche e dei soggetti deputati a rilasciarle [139]. Questo significa che, anche ove uno specifico soggetto detenga di fatto, per scelta del mercato o per indisponibilità di altri esperti, un 'monopolio' sull'autenticazione delle opere di un determinato artista, egli non si troverà comunque legalmente investito di alcun dovere giuridico di prevenire la commercializzazione di lavori a questi falsamente attribuiti.

Né i componenti dei board possono essere considerati destinatari di un generalizzato obbligo di denuncia. Come è noto, infatti, il nostro sistema penale conosce obblighi di denuncia rivolti alla generalità dei consociati solo in limitatissimi casi e per reati di particolare gravità [140], riservando specifici doveri di segnalazione all'autorità di qualsiasi reato perseguibile d'ufficio solamente a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, in relazione a reati di cui abbiano avuto notizia nell'esercizio o a causa delle loro funzioni [141]. Vero che, nel nostro ordinamento, tali qualifiche pubblicistiche non sono legate a un rapporto di pubblico impiego, bensì alle caratteristiche dell'attività svolta, che la rendano qualificabile come 'pubblica funzione' (amministrativa, nella specie) o 'pubblico servizio', il minimo richiesto dagli artt. 357 e 358 c.p. è che tale attività sia "disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi" [142]. Viceversa, le dichiarazioni o 'certificati' di autenticità [143], come si è visto, non sono disciplinati da alcuna disposizione legislativa specifica, men che meno pubblicistica, né è richiesta alcuna 'autorizzazione' o 'abilitazione' per il loro rilascio.

Anche se le fattispecie delittuose di omessa denuncia non sono dunque riferibili a esperti d'arte e curatori d'archivio, risulterà tuttavia applicabile anche a questi soggetti una peculiare contravvenzione posta dal codice penale a tutela (anticipata) del patrimonio. Qualora infatti costoro (o "chiunque" altro) abbiano "comunque avuto cose provenienti da delitto" (in questo caso, opere contraffatte), "senza conoscerne la provenienza", e omettano, "dopo averla conosciuta, di darne immediato avviso all'Autorità", incorreranno nella fattispecie contravvenzionale comune prevista all'art. 709 c.p. [144] (punita con arresto fino a sei mesi alternativo all'ammenda fino a 516 Euro).

La peculiarità della fattispecie risiede proprio nella necessaria non conoscenza iniziale della provenienza delittuosa (nella nostra ipotesi: della falsità) della cosa (il che la distingue nettamente, insieme all'assenza di una necessaria finalità di profitto, dalla ricettazione), la quale viene acquisita in un momento successivo - potenzialmente anche molto successivo (ad es. grazie a un confronto delle note d'archivio con opere in seguito individuate come certamente false) - a quello in cui si è avuta la materiale detenzione (a qualsiasi titolo: ad es. proprio per una valutazione sull'autenticità) dell'oggetto, tanto che questa ben potrebbe essere venuta meno nel frattempo senza per questo far venir meno l'obbligo di segnalazione. Posto che la consapevolezza della contraffazione deve essere effettiva (non basterebbe una semplice riconoscibilità del falso, ed è dunque esclusa la punibilità per colpa, sotto questo profilo), l'omissione rileverà penalmente anche quando dovuta a mera negligenza [145], data la natura contravvenzionale del reato.

La denuncia deve essere presentata nel primo momento utile successivo alla scoperta [146] della contraffazione, e deve essere completa di tutte le informazioni in possesso del denunciante utili ai fini della ricostruzione del fatto e dell'individuazione del suo autore. La prassi largamente seguita dagli archivi, di segnalare solo opere che vengano loro riproposte, magari da diverso soggetto, dopo essere già state individuate come contraffatte una prima volta, seppure comprensibile da un punto di vista 'umano' (ma si noti che la segnalazione riguarda l'oggetto, e non implica in alcun modo una necessaria responsabilità del suo attuale proprietario, che anzi, per lo più, sarà stato a sua volta vittima di una frode), si presenta di fatto contra legem, e dovrebbe essere rivista in una prospettiva di evoluzione culturale degli operatori del settore (su cui ci soffermeremo in conclusione). Va detto, infatti, che a spingere in tale direzione non potrà certo essere l'effetto deterrente della disposizione - per altro di pressoché nulla applicazione pratica - punita con pene assai lievi e suscettibile di estinzione per oblazione a termini dell'art. 162-bis c.p.

4. Conclusioni: tendenze in atto e progetti di riforma

Come si è visto, le fattispecie dell'art. 178 Cbc presentano alcuni rilevanti problemi di precisione e di obsolescenza, soprattutto in rapporto alla consistente evoluzione delle forme di espressione artistica, oltre a problemi probatori legati principalmente alla complessità dell'elemento soggettivo da accertare. E se, rispetto a quest'ultimo profilo, una revisione legislativa non appare né necessaria né opportuna, stante il delicatissimo bilanciamento, operato per il tramite della calibrazione del dolo, tra diversi interessi meritevoli di tutela, sotto il primo aspetto una riformulazione della fattispecie appare quanto mai urgente, così come sarebbe necessaria una regolamentazione legislativa delle attività di autenticazione (in particolare sotto il profilo dell'individuazione e positivizzazione di standard minimi di diligenza, prudenza e perizia da seguire nel rilascio di expertise e/o nelle attività di archiviazione e inserimento in cataloghi ragionati, nonché, eventualmente, dell'istituzione di albi di soggetti specificamente qualificati) e, correlativamente, una 'rivitalizzazione' dell'art. 64 Cbc.

Purtroppo, quanto alla correzione dei difetti di tipizzazione, il legislatore non sembra attualmente orientato a intervenire: come accennato, il progetto di riforma organica dei reati contro il patrimonio culturale contenuto nel d.d.l S. 882, pur includendo anche le fattispecie di contraffazione, non interviene sulla loro formulazione, destinata a rimanere identica all'attuale, ma solo sul trattamento sanzionatorio, innalzato a comprendere la reclusione da uno a cinque anni (congiunta alla multa da 3.000 a 10.000 Euro); innalzamento di cui non si coglie, per altro, altra ratio se non una volontà meramente espressivo-simbolica (considerata anche la notoria inefficacia, nel nostro paese, delle procedure di riscossione delle pene pecuniarie) [147], visto che la pena detentiva rimane appena sotto il limite di diretta concedibilità dell'uso di intercettazioni (senza cioè bisogno della contestazione di profili associativi).

Lo stesso progetto di legge include, inoltre, la previsione dell'estensione della responsabilità amministrativa da reato ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 anche alle fattispecie di contraffazione (punite con una sanzione pecuniaria da trecento a settecento quote e con sanzioni interdittive di durata non superiore a due anni). La proposta, certamente in linea con la tendenza espressa a livello internazionale a estendere la corporate liability ai reati contro il patrimonio culturale (si vedano, tra le fonti più recenti, i §§ II.23-24 delle International Guidelines for Crime Prevention and Criminal Justice Responses with Respect to Trafficking in Cultural Property and Other Related Offences, UN A/Res/69/196 del 18 dicembre 2014, e l'art. 13 della Convenzione del Consiglio d'Europa sui reati contro i beni culturali del 19 maggio 2017, sottoscritta, ma non ancora ratificata, dall'Italia), si spinge per altro ben oltre quanto raccomandato o richiesto a livello sovranazionale in rapporto al dimostrato coinvolgimento di persone giuridiche, oltre che fisiche, nel fenomeno del traffico illecito di oggetti d'arte e d'antiquariato; e in effetti, almeno a livello di case d'asta, appare oggi ben più diffusa una prassi di attenta ricerca circa l'autenticità o meno delle opere trattate, di quanto non avvenga in relazione alla loro lecita provenienza.

Quanto alla citata mancata attuazione delle prescrizioni dell'art. 64 Cbc relative alla consegna, all'atto della compravendita, della documentazione relativa a provenienza e autenticità dei beni culturali (si noti che testualmente alle attuali, più diffuse, e di prassi estremamente scarne, dichiarazioni di probabile provenienza e attribuzione, la legge assegna un ruolo puramente residuale), queste implicherebbero, ove coerentemente applicate, che ogni bene sia accompagnato, nei suoi passaggi di mano, da copia di tutti i precedenti contratti o ricevute di acquisto e della documentazione di ogni attività di ricerca e informazione sulla sua autenticità (numero di archiviazione, pagina del catalogo ragionato, cataloghi di mostre, altre pubblicazioni, ecc.) disponibili al momento della cessione. Una correzione della corrente, diffusa malpractice di mercato richiederebbe, da un lato, una chiarificazione ed esplicitazione legislativa della documentazione richiesta [148] e delle sanzioni conseguenti all'inosservanza dell'obbligo e, dall'altro, un mutamento dell'atteggiamento culturale e delle abitudini di commercianti e acquirenti.

La lettera della legge, all'art. 164, co. 1 Cbc, infatti, prescrive che le alienazioni e in generale gli atti giuridici compiuti in violazione di qualsiasi disposizione del Titolo primo della Parte seconda del Codice siano "nulli", il che includerebbe anche il caso di inosservanza delle "condizioni e modalità" di vendita prescritte dall'art. 64 Cbc. Un'inclusione implicita che la dottrina maggioritaria ha per lo più considerato una 'svista' del legislatore da correggere in via interpretativa (così di fatto, però, 'sterilizzando' la disposizione), e cui la prassi non ha dato seguito, principalmente per gli effetti devastanti in tema di certezza dei rapporti giuridici nel mercato dell'arte e dell'antiquariato conseguenti a una sanzione tanto radicale e insanabile [149]. Certo, un'applicazione coerente di questo meccanismo finirebbe spesso (anche se non necessariamente) [150] per penalizzare la parte più 'vulnerabile' del contratto - l'acquirente che, in moltissimi casi, non dispone delle competenze necessarie ad apprezzare la particolare delicatezza del commercio di beni culturali; per altro verso, però, è certamente necessaria anche una molto maggiore attenzione e sorveglianza da parte degli stessi acquirenti sulla trasparenza e regolarità delle transazioni in questo mercato, per cambiarne realmente i meccanismi opachi di funzionamento. Finché il pubblico non ne sarà reso consapevole, una fondamentale componente di controllo sociale continuerà quindi a mancare.

In prospettiva di riforma, dunque, sarebbe opportuno che il legislatore esplicitasse - senza modificarla - la conseguenza di nullità contrattuale conseguente al mancato rispetto degli obblighi di cui all'art. 64 Cbc, al tempo stesso accompagnandola con una sanzione pecuniaria a carico del mercante [151] - il soggetto certamente più 'forte' e colui che deve, anche professionalmente, farsi carico dei maggiori obblighi di informazione - e con un obbligo di adeguata illustrazione ai potenziali acquirenti delle condizioni poste alla vendita di opere d'arte e oggetti d'antiquariato.

Allo stato, sembra tuttavia assai improbabile che il legislatore voglia avventurarsi su una strada tanto impopolare, che certamente solleverebbe una levata di scudi da parte degli operatori del mercato, sia per l'aumento dei costi di esercizio (per attività di ricerca [152] e documentazione), sia sulla base di considerazioni di privacy, sia perché andrebbe a erodere quel bacino 'grigio' di 'rifornimento' di beni commerciabili su cui ancora tanta parte del mercato, in misura minore o maggiore, vive.

In verità, le obiezioni in materia di riservatezza degli acquirenti risultano, per quanto fortemente radicate nella cultura del settore, sostanzialmente pretestuose - dal momento che tanto il GDPR [153] quanto la normativa interna [154] ammettono ogni trattamento di dati che sia effettuato in adempimento di obblighi di legge, e che nulla imporrebbe una 'pubblicazione' delle informazioni (o una comunicazione delle stesse a soggetti estranei all'accordo commerciale) [155], dovendo queste essere passate, a norma dell'art. 64 Cbc, solo all'acquirente del bene. Viceversa, le obiezioni relative all'aumento degli oneri economici avrebbero maggior fondamento, in particolare in rapporto all'attività di piccoli e medi operatori. È evidente che, per questi soggetti, solo le economie di scala consentite dal centralizzare le attività di ricerca e documentazione attraverso la formazione di organi associativi potrebbe consentire di mantenere competitività sul mercato; un processo che dovrebbe quindi essere incentivato, anche fiscalmente, dal legislatore, e al cui completamento dovrebbe essere concesso un adeguato periodo di transizione.

In rapporto ai problemi legati all'autenticazione delle opere, in particolare di arte contemporanea [156], sembrano invece essersi fatti maggiori passi avanti, sia pure con effetti limitati rispetto alle opere prodotte in passato e al settore privato. Per le acquisizioni di arte contemporanea opera di artisti tutt'ora viventi da parte di musei e istituzioni culturali pubbliche, infatti, è stato introdotto dal MiBACT, con la Circolare 7/2017 DG-AAP, un sistema di Protocolli per l'autenticità, la cura e la tutela dell'arte contemporanea (PACTA), e relative linee guida, a integrazione dei contratti d'acquisto di tali beni. Il meccanismo si fonda su una serie di obblighi reciproci delle parti volti, da un lato, a impegnare l'artista a fornire tutte le necessarie informazioni sulla propria opera (incluse quelle sulle modalità di conservazione, riattivazione, ecc.), e dall'altro a impegnare il museo a conservare tali informazioni e attenersi alle indicazioni anticipatamente fornite dall'artista. Anche se la prassi delineata nei PACTA è vincolante solo per gli acquirenti pubblici, l'orientamento corrente è di promuoverne una larga adozione (con gli opportuni adattamenti, ove necessario, in particolare in relazione alle disposizioni contrattuali in materia di diritti di sfruttamento economico dell'opera) anche nel mercato privato delle opere di arte contemporanea [157]. Per altro, a livello nazionale si registrano più generali spinte provenienti dallo stesso settore privato - in particolare dagli archivi d'artista riuniti nell'associazione AitArt - all'adozione e diffusione di buone prassi di autenticazione e archiviazione [158], volte a garantire l'affidabilità e la trasparenza delle procedure e il costante aggiornamento dei cataloghi ragionati, a sostegno di un mercato a sua volta più trasparente e di una migliore conservazione e trasmissione dell'opera e della memoria degli artisti.

Anche a livello internazionale, e in relazione alla generalità delle opere circolanti sul mercato, si colgono del resto alcune positive iniziative di autoregolamentazione, attraverso la circolazione di best practices e la promozione di linee guida volte a individuare e diffondere migliori standard di due diligence, da parte degli operatori del mercato, nell'accertamento dell'autenticità delle opere d'arte. Tra queste, si può ricordare quella recentemente promossa dall'associazione Responsible Art Market [159], già attiva sul fronte della predisposizione di un toolkit per gli accertamenti (tra l'altro) in materia di provenienza dei beni culturali [160] e di linee guida per le verifiche antiriciclaggio nel commercio di opere d'arte e d'antiquariato [161].

In un mercato così 'grigio' - oggettivamente e culturalmente - come quello dell'arte e dei beni culturali, è del resto evidente come nessun intervento legislativo, in particolare penale, possa avere reali possibilità di efficacia preventiva, in assenza di un cambiamento di mentalità e abitudini da parte degli operatori e di una maggiore vigilanza e consapevolezza da parte degli stessi acquirenti. In questa prospettiva, una più diffusa consapevolezza circa gli obblighi incombenti, ai sensi dell'art. 709 c.p., su esperti, curatori, ma anche proprietari, di opere d'arte, ove di queste venga riscontrata la falsità, ha prima di tutto un insostituibile valore deontologico. Più ampiamente, ci sembra che un'ulteriore e più capillare promozione, sistematizzazione e condivisione di buone prassi nelle compravendite di opere d'arte (non solo contemporanea) e oggetti d'antiquariato sia un primo passaggio fondamentale per orientare lo stesso legislatore verso una riforma delle fattispecie, e in generale delle disposizioni pertinenti, di natura meno simbolica, e maggiormente volta a una reale effettività, nonché, ovviamente, a garantire in seguito tale efficacia 'sul campo', attraverso una riduzione del campo oscuro e un più penetrante controllo sociale, prima ancora che formale, sul corretto funzionamento e la genuinità complessiva del mercato.

 

Note

[1] Cfr. M. Jones, Why Fakes?, in Id. (ed.), Fake? The Art of Deception, London, 1990, pagg. 11-12; H. Bellet, Falsari illustri, trad. it. di E. Romano, Milano, 2019, pag. 27.

[2] Cfr. J.E. Conklin, Art Crime, Westport-London, 1994, pagg. 48-49; S. Ciotti Galletti, Furti e traffico internazionale di opera d'arte, in Rass. it. criminol., 2003, pagg. 64-66.

[3] Cfr. M. Jones, op. cit., pag. 14; nonché G. Vaughan, Faking in Europe, in M. Jones (ed.), Fake?, cit., pagg. 132-134, e ivi anche P. Craddock (ed.), The Art and Craft of Faking: Copying, Embellishing and Transforming, pag. 247 ss.; M. Ferretti, Falsi e tradizione artistica, in AA.VV., Storia dell'arte italiana. Parte terza: situazioni momenti indagini. Volume terzo: conservazione, falso, restauro, Torino, 1981, in part. pagg. 160-163.

[4] Cfr. G. Adam, Dark Side of the boom. Controversie, intrighi, scandali nel mercato dell'arte, trad. it. di N. Poo, Monza 2019, in part. pagg. 121-143.

[5] M. Jones, op. cit., pag. 13.

[6] N. Charney, storico dell'arte americano, intervistato da G. Adams, op. cit., pag. 125.

[7] T. Hunter, titolare di un istituto finanziario che accetta opere d'arte a garanzia di prestiti, intervistato da G. Adams, op. cit., pag. 125.

[8] Cfr. J.E. Conklin, op. cit., in part. pagg. 48-51 e 65-68.

[9] Cfr. in part. H. Bellet, op. cit., passim, in part. pagg. 111-113.

[10] Tra i più famosi casi recenti, si ricordano le due sedie asseritamente provenienti da Versailles e realizzate nel 1780 per Maria Antonietta, classificate dagli esperti del Louvre come 'tesori nazionali' nel 2009 e in seguito rivelatesi falsi di produzione recente. Cfr. G. Adams, op. cit., pagg. 133-134.

[11] In un'unica operazione, nel 2017, il Comando TPC ha ad es. sequestrato 42.283 serigrafie contraffatte: Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, Attività Operativa 2017, Roma, 2018, pag. 21.

[12] Cfr. e.g. A. Arzone, I falsi in numismatica, in AA.VV., L'arte non vera non può essere arte, Roma 2018, in part. pagg. 435-451.

[13] Vista la rigida limitazione al numero di questi oggetti lecitamente sul mercato, questo viene tipicamente alimentato, parallelamente, da scavi clandestini e dalla produzione 'professionale' di repliche di elevata qualità e capacità decettiva: Cfr. L. Malnati, La falsificazione dei reperti archeologici nel commercio clandestino, in AA.VV., L'arte non vera non può essere arte, cit., in part. pagg. 72-74.

[14] Scalpore ha suscitato, recentemente, la scoperta che circa il 60% della collezione del Musée Terrus, situato nella città natale del pittore (Elne), era composto di falsi: P. Hoad, 'They Didn't Look Old Enough': Who Filled a French Art Gallery with Fakes?, in The Guardian, 15 giugno 2019.

[15] Cfr. anche G. Adams, op. cit., pagg. 136-137.

[16] Cfr. D. Thompson, Bolle, baraonde e avidità. Storia e segreti del mercato dell'arte contemporanea, trad. it. di D. Comerlati, Milano, 2018, pagg. 173-190.

[17] Ad es. la recente rapidissima crescita del mercato dell'arte e dell'antiquariato in Cina sembra aver portato a un massiccio incremento dei falsi (anche di bassa qualità) circolanti, la cui percentuale è stimata tra il 50% e l'80%: Cfr. D. Barboza - G. Bowley - A. Cox, A Culture of Bidding. Forging an Art Market in China, in The New York Times, 28 ottobre 2013.

[18] J.E. Conklin, op. cit., pag. 47, in riferimento a J.F. Mills - J.M. Mansfield, The Genuine Article: The Making and Unmasking of Fakes and Forgeries, New York, 1979, pagg. 143-145.

[19] Come riportata da H. Bellet, op. cit., pag. 107. Sull'attività del noto falsario tedesco Cfr. anche S. Koldehoff - T. Timm, L'Affaire Beltracchi: Enquête sur l'un des plus grands scandales de faux tableaux du siècle et sur ceux qui en ont profité, Arles, 2013; S. Hufnagel - D. Chappell, The Beltracchi Affair: A Comment and Further Reflections on the "Most Spectacular" German Art Forgery Case in Recent Times, in N. Charney (ed.), Art Crime. Terrorists, Tomb Raiders, Forgers and Thieves, New York, 2016, pagg. 9-20.

[20] Cfr. H. Bellet, op. cit., pagg. 43-50.

[21] Cfr. per tutti S. Mackenzie - D. Yates, What is Grey about the "Grey Market" in Antiquities?, in J. Beckert - M. Dewey (eds), The Architecture of Illegal Markets, Oxford, 2017, pagg. 70-86.

[22] Cfr. anche S. Mackenzie, Giong. Going. Gone. Regulating the Market in Illicit Antiquities, Leicester, 2005, in part. pagg. 23-61 e 157-226.

[23] Cfr. C. Alder - K. Polk, Crime in the World of Art, in H.N. Pontell - G. Geis (eds.), International Handbook of White-Collar and Corporate Crime, New York, 2007, pagg. 350-351.

[24] Cfr. ad es. L. Malnati, op. cit., pagg. 69-73; D. Calaon, Falsi, copie e repliche nel XXI secolo. Idee, materialità e contesti intorno alla contraffazione in archeologia, in AA.VV., L'arte non vera non può essere arte, cit., pagg. 396-406; S. Mackenzie - T. Davis, Cambodian Statue Trafficking Networks: An Empirical Report from Regional Case Study Fieldwork, in S. Manacorda - A. Visconti (eds.), Protecting Cultural Heritage as a Common Good of Humanity: A Challenge for Criminal Justice, Milano 2014, pagg. 155-156.

[25] Va detto che la norma stessa presenta problemi sia di genericità della previsione circa la documentazione che deve accompagnare l'opera, sia di equivocità circa il conseguire o meno alla sua violazione la sanzione di nullità dell'alienazione ex art. 164 Cbc: Cfr. A. Donati, Autentiche, archivi e cataloghi: gerarchie tra diritto e mercato, in AA.VV., L'archivio d'artista. Tra dimensione privata e interesse pubblico, 2013, pag. 4 ss., in part. pagg. 10-11; Ead., Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, in Riv. dir. civ., 2015, pag. 987 ss., in part. pag. 1001.

[26] Cfr. anche R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2014, pag. 464.

[27] L'83% dei falsi individuati nel 2016, il 99,9% di quelli individuati nel 2017, il 77,3% di quelli individuati nel 2018: Cfr. Comando Carabinieri TPC, Attività Operativa 2016, Roma, 2017, pag. 14; Comando Carabinieri TPC, Attività Operativa 2017, Roma, 2018, pag. 21; Comando Carabinieri TPC, Attività Operativa 2018, Roma, 2019, pag. 22.

[28] Cfr. G. Adam, op. cit., pag. 22 ss.; D. Thompson, op. cit., pag. 5 ss.

[29] Il 50% in termini di valore di mercato e il 47% in termini di volume di vendite in asta nel 2018, con un incremento medio annuale del 17% e una crescita, tra il 2003 e il 2007, del 450%: Cfr. Art Basel - UBS, The Art Market 2019, 2019, pagg. 176-189.

[30] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 4-6; S. Ciotti Galletti, op. cit., pag. 62; A. Sista, Falsificazione di opere d'arte moderna e contemporanea, aspetti tecnici di falsificazione e accertamento della falsità. Ripercussioni sul mercato, in AA.VV., L'arte non vera non può essere arte, cit., pagg. 190-193.

[31] Le opere contraffatte dall'associazione criminale, che avrebbe (il caso è sub judice) coinvolto anche componenti dell'archivio dell'artista Eduarda Emilia Maino, sono state stimate in 462, di cui 90 sequestrate in Italia: Cfr. G. Biglia, Falsi Dadamaino, coinvolto nelle contraffazioni anche l'archivio dell'artista, in Il Sole 24Ore, 29 marzo 2018.

[32] Cfr. G. Adam, op. cit., pagg. 60-75.

[33] Il mercato cinese dell'arte contemporanea si è confermato il secondo per dimensioni nel 2018, con una crescita, rispetto all'anno precedente, del 25% e una crescita media annuale, nell'ultimo decennio, del 28%. Cfr. Art Basel - UBS, The Art Market |2019, 2019, pagg. 176-178.

[34] Cfr. G. Adam, op. cit., pagg. 171-187; D. Thompson, op. cit., pagg. 235-250.

[35] Cfr. in particolare F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, pagg. 91-92; F. Lemme, La contraffazione e alterazione d'opere d'arte nel diritto penale, 2da ed., Padova, 2001, pagg. 91-96; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, Milano, 2002, pagg. 171-175, e Id., D.lgs. 22.1.2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 - Premessa e commento alla Parte quarta, in Leg. pen., 2004, pag. 466; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, in A. Manna (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali, Milano, 2005, pagg. 284-287; G. Pioletti, Art. 178 - Contraffazione di opere d'arte, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, pagg. 737-738; V. Manes, La tutela penale, in C. Barbati - M. Cammelli - G. Sciullo (a cura di), Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, 2011, pagg. 302-303; G. Mari, Artt. 178 e 179, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, 3za ed., Milano, 2019, pagg. 1514-1515; A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, in Diritto Online Treccani - Approfondimenti Enciclopedici, 2019.

[36] Cass. pen., III, 20 maggio 2003, n. 22038, in R. pen., 2004, pag. 43.

[37] Cfr. ad es. Cass. pen., III, 5 ottobre 1984, n. 8075. Molto critico, in dottrina, F. Lemme, op. cit., pag. 93; condividono invece l'inclusione della fede pubblica tra i beni tutelati dall'art. 178 Cbc, seppure in un quadro di plurioffensività della fattispecie, ad es. V. Manes, op. cit., pag. 303, e G. Mari, Artt. 178 e 179, cit., pagg. 1514-1515.

[38] Cfr. anche Cass. pen., III, 6 luglio 2007, n. 26072, in Giur. it., 2008, pag. 425, con nota di F. Pavesi, In tema di falsificazione di opere d'arte, pagg. 428-431; Cass. pen., III, 7 luglio 2011, n. 26710, in Riv. pol., 2012, pag. 83, con nota di G. Pioletti, A proposito del c.d. falso artistico grossolano, pagg. 84-87.

[39] La quale, per altro, per lo più connota il reato come plurioffensivo, volto tanto alla tutela del mercato quanto a quella della fede pubblica (e talora identificato anche, direttamente, nel patrimonio artistico): Cfr. ad es. Cass. pen., III, 17 novembre 1995, n. 11253; Cass. pen., III, 31 marzo 2000, n. 4084; Cass. pen., III, 1 giugno 2006, n. 19249, in Cass. pen., 2007, pag. 3419, con nota di P. Cipolla, La detenzione per la vendita di riproduzioni di opere d'arte e reperti archeologici e il problema della rilevanza della riconoscibilità del falso secondo modalità non previste dalla legge, pagg. 3421-3437; Cass. pen., VI, 21 ottobre 2008, n. 39474; Cass. pen., 25 marzo 2014, n. 13966.

[40] Cfr. Cass. pen, III, 26072/2007, cit.

[41] In tema si rinvia, per tutti gli opportuni riferimenti, a I. Giacona, Introduzione ai reati contro la fede pubblica, in A. Cadoppi et al. (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. V, I delitti contro la fede pubblica e l'economia pubblica, Torino, 2010, pag. 3 ss., in part. pagg. 17-19; I. Leoncini, Le figure di falso non punibile, in F. Ramacci (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. X, Reati contro la fede pubblica, Milano, 2013, pag. 73 ss., in part. pagg. 88-91; R. Borsari, Introduzione ai delitti contro la fede pubblica, in E.M. Ambrosetti (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro la fede pubblica, Napoli, 2014, pag. 15 ss., in part. pagg. 36-38.

[42] Cfr. ad es. Cass. pen., III, 11253/1995, cit.; Cass. pen., III, 4084/2000, cit.; Cass. pen., III, 26710/2011, cit.

[43] Cfr. anche G. Pioletti, Art. 178, cit., pagg. 741-742.

[44] Cfr. ad es. Cass. pen., III, 26072/2007, cit.; Cass. pen., III, 12 marzo 2008, n. 11096, in Cass. pen., 2010, pag. 717, con nota di C. Ferraro, pagg. 720-722; analogamente, già con riferimento alla disciplina del TU del 1999, v. ad es. Cass. pen., III, 22038/2003, cit.; Cass. pen., II, 19 aprile 2004, n. 18041 (contra, isolata, Cass. pen., III, 20 ottobre 2001, n. 37782, in Cass. pen., 2002, pag. 2460, con nota di P. Cipolla, L'arte contemporanea, la repressione penale del falso e l'art. 2 comma 6 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, pagg. 2463-2476); oltre a C. Cost., sent. 10 maggio 2002, n. 173, e C. Cost., ord. 1 aprile 2003, n. 109.

[45] Cfr. T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 2001, pag. 207; G. Sciullo, Patrimonio e beni, in C. Barbati et al. (a cura di), Diritto del patrimonio culturale, Bologna 2017, pag. 42. Va ricordato che il legislatore ha recentemente esteso l'eccezione legata alla natura 'contemporanea' dell'opera, determinata dal fatto che il suo autore sia ancora in vita o, in caso di decesso, dal suo essere stata realizzata entro un certo lasso temporale, dai precedenti 50 anni, agli attuali 70 dalla data di produzione: Cfr. art. 10, co. 5 Cbc, come riformulato dalla legge 4 agosto 2017, n. 124.

[46] Cfr. ad es. Cass. pen., II, 22 marzo 1979, n. 2952; Cass. pen., V, 20 aprile 1983, n. 3293; Cass. pen, III, 11253/1995, cit.; Trib. Lecce, sez. Nardò, 18 febbraio 2009, in Giur. merito, 2010, pag. 2190 (con nota di P. Cipolla, La prova del falso d'arte, tra il principio del libero convincimento e l'obbligo di motivazione razionale, pagg. 2201-2214); v. anche, e.g., G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 174; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 277-279; G. Volpe, Manuale di diritto dei beni culturali, Padova, 2007, pag. 347; V. Manes, op. cit., pag. 303.

[47] Cfr. ad es. Cass. pen., III, 22038/2003, cit.

[48] La potenziale pertinenza di opere di origine straniera al patrimonio culturale italiano è ribadita, seppur spesso implicitamente, in varie fonti normative: ad es., i co. 1 e 2 dell'art. 10 connettono la qualifica di 'bene culturale' alla semplice proprietà pubblica (o assimilata) del bene o all'appartenenza dello stesso a collezioni pubbliche italiane, a prescindere dalla sua origine geografica o dalla nazionalità dell'autore; analogamente prescinde da tali fattori il co. 3 dello stesso articolo in relazione a oggetti in proprietà privata assoggettati a dichiarazione di interesse culturale; infine, il recente d.m. 6 dicembre 2017, n. 537, contenente i nuovi Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell'attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, si riferisce esplicitamente in taluni passaggi anche a "opere straniere". Per altro verso, tuttavia, la non assoggettabilità alle restrizioni e vincoli discendenti dalla normativa interna di opere prive di qualsivoglia connessione (genetica, storica, o legata alle vicende proprietarie del bene) con la "memoria" o il "territorio" della "comunità nazionale" discende sia da disposizioni interne (il riferimento, testuale, compare già nel co. 1 dell'art. 1 Cbc, intitolato, significativamente, ai Principi fondativi della disciplina di settore), tra cui fondamentale è l'art. 72 Cbc, che prevede la possibilità di richiedere certificati di avvenuta spedizione e di avvenuta importazione in relazione a beni (appartenenti alle categorie assoggettabili a divieto di esportazione ex art. 65 co. 3 Cbc) provenienti da paesi terzi, i quali dunque, così identificati formalmente, non saranno soggetti alla normativa protezionistica nazionale (Cfr. C. Fraenkel-Haeberle, Art. 72 - Ingresso nel territorio nazionale, in M.A. Sandulli, a cura di, Codice dei beni culturali e del paesaggio, 3za ed., Milano, 2019, pagg. 735-737), sia da obblighi internazionali assunti dall'Italia, in particolare con la ratifica della Convenzione UNESCO del 1970 (esplicitamente e integralmente richiamata dall'art. 87-bis Cbc), la quale prevede, all'art. 4, la necessità della presenza di specifici (per quanto assai ampi) legami con il territorio o le vicende storiche di uno Stato contraente affinché questi possa qualificare il bene come appartenente al proprio patrimonio culturale nazionale (Cfr. e.g. C. Forrest, International Law and the Protection of Cultural Heritage, London - New York, 2010, pagg. 170-173; I.A. Stamatoudi, Cultural Property Law and Restitution, Cheltenham - Northampton, 2011, pagg. 38-40). Inoltre, lo stesso d.m. 537/2017 da un lato esclude la sufficienza della sola qualità artistica dell'opera a giustificarne il diniego di esportazione, dall'altro in più passaggi richiama, implicitamente o esplicitamente, varie forme di specifica significatività 'nazionale' dei beni assoggettabili a vincolo: in particolare, il criterio di (pregressa) "appartenenza a un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale, anche se non più in essere o non materialmente ricostruibile", alla luce di un'interpretazione logico-sistematica (la quale deve tra l'altro tenere conto delle previsioni dell'art. 5, co. 3, lett. a, b e c della Convenzione UNIDROIT del 1995, ratificata dall'Italia e integralmente richiamata dall'art. 87 Cbc; Cfr. anche C. Forrest, op. cit., pagg. 210-211), deve considerarsi riferito a complessi/contesti siti nel territorio nazionale; il criterio relativo all'essere il bene "testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo" viene particolarmente riferito alle "collezioni storiche italiane" o alla "storia delle tradizioni locali"; il criterio relativo all'essere il bene "testimonianza rilevante [...] di relazioni significative tra diverse aree culturali" viene espressamente circoscritto, "per le opere straniere", alla "specifica attinenza delle stesse alla storia della cultura in Italia".

[49] Cfr. F. Lemme, op. cit., pag. 80; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 314; G. Mari, op. cit., pag. 1518. Contra, però, Cass. pen., VI, 39474/2008, cit., che asserisce l'applicabilità dell'aggravante a prescindere dalla presenza di un'autorizzazione amministrativa all'esercizio dell'attività commerciale.

[50] Cfr. anche M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano, 2004, pag. 291; A. di Martino, Le pene accessorie, in G. De Francesco (a cura di), Le conseguenze sanzionatorie del reato, Torino, 2011, pagg. 144-145.

[51] Legato alla riforma delle modalità di pubblicazione ex art. 36 c.p.: cfr. A. Visconti, Reputazione, dignità, onore. Confini penalistici e prospettive politico-criminali, Torino, 2018, pag. 52 e pagg. 604-605.

[52] Cfr. altresì G. Marinucci - M. Romano, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi degli amministratori di società per azioni, in AA.VV., Il diritto penale delle società commerciali, Milano, 1971, pag. 99.

[53] La legge non ne precisa però la 'destinazione finale': contrariamente a un certo convincimento comune, non ne è affatto obbligata la distruzione, e in determinate circostanze può anzi essere utile che il falso venga preservato per motivi di studio. Cfr. anche G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 741.

[54] Cfr. anche P. Cipolla, La falsificazione di opere d'arte, in Giur. mer., 2013, pag. 2045.

[55] Cfr. anche Cass. pen., III, 22038/2003, cit., ove si precisa che la clausola di esclusione non è applicabile agli eredi dell'imputato, perché il bene contraffatto, incommerciabile, non può legalmente entrare nell'asse ereditario, ma solo a terzi che abbiano acquistato l'opera in buona fede, e relativa nota di P. Cipolla, I limiti soggettivi alla confiscabilità delle opere di pittura, scultura e grafica provento di falsificazione, in Cass. pen., 2005, pagg. 568-582.

[56] O anche, con forzature interpretative, attraverso l'applicazione del delitto di falsità in scrittura privata. Cfr. R. Tamiozzo, op. cit., pagg. 430-432; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 269-272; G. Mari, op. cit., pag. 1514.

[57] Cfr. ad es. Cass. Pen., III, 19249/2006, cit.; Cass. pen., III, 13966/2014, cit. In dottrina M. D'Onofrio, Falsificazione dell'opera d'arte, in Riv. pen., 1995, pag. 866; G.C. Rosi, Opere d'arte (contraffazione o alterazione di), in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, pag. 6; Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 176; contra F. Lemme, op. cit., pag. 103.

[58] Emblematica, in questo senso, la recente decisione di sottoporre tutti i dipinti attribuiti a Modigliani presenti nelle collezioni pubbliche francesi a una verifica tecnico-forense di autenticità, a seguito degli ultimi (tra i numerosissimi) episodi di falso di cui l'opera dell'artista è stata ricorrentemente vittima, e in particolare delle contestazioni relative alla mostra di Genova del 2017. Cfr. V. Noce, Forensic Examination of All Modigliani Works in French Museums Gets under Way, in The Art Newspaper, 3 dicembre 2018; più diffusamente D. Mondini - C. Loiodice, L'affare Modigliani, Milano, 2019, in part. pagg. 149-186. Del pari recente è la messa in discussione della risalente attribuzione di molte opere a Francisco Goya, oggi da alcuni esperti ricondotte invece a suoi assistenti di bottega e/o emulatori, il che avrà un impatto potenzialmente molto incisivo sull'analisi e valutazione storico-artistica dell'opera complessiva del celebre pittore spagnolo, analogamente a quanto già in passato avvenuto, ad es., con l'opera di Rembrandt (Cfr. D. Alberge, Dozens of 'Goyas' Are Not by the Master's Own Hand, Claims Art Historian, in The Guardian, 28 dicembre 2019.

[59] Tra gli esempi italiani più recenti, il calo delle quotazioni delle opere di Dadamaino, conseguente allo scandalo già richiamato, e l'analoga vicenda che ha interessato le opere di Gino De Dominicis: Cfr. M. Pirrelli, Dadamaino e De Dominicis al palo, in Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2019.

[60] Tanto che nel 2009 è stata fondata un'associazione di categoria, la Art Fund Association. In tema Cfr. diffusamente N. Horowitz, Art of the Deal: Contemporary Art in a Global Financial Market, Princeton, 2011, pagg. 143-187, e S. Segnalini, Art funds e gestione collettiva del risparmio, Torino, 2016, in part. pagg. 63-108.

[61] Cfr. G. Adam, op. cit., pagg. 171-187; D. Thompson, op. cit., pagg. 161-169.

[62] A eccezione del requisito di illiceità del profitto preso di mira dall'autore della condotta di contraffazione materiale che, presente, nell'art. 3 legge n. 1062/1971, è stato eliminato dal dolo specifico dell'art. 127 TU e - in continuità - dell'art. 178, lett. a) Cbc. Cfr. Cass. pen., III, 19 dicembre 2003, n. 48695; Cass. pen., III, 19249/2006, cit.

[63] D.d.l. S. 882, approvato con modifiche alla Camera il 18 ottobre 2018 e risultante dalla ripresa del d.d.l. S. 2864, presentato e approvato alla camera nel corso della XVII Legislatura. L'art. 1 prevede (tra l'altro) il trasferimento nel Codice penale delle fattispecie di contraffazione artistica, da collocarsi in un nuovo art. 518-quaterdecies, con un aumento della pena base, ma per il resto con formulazione inalterata rispetto a quella attuale. Per un commento al d.d.l. cfr. L. D'Agostino, Dalla "vittoria di Nicosia" alla "navetta" legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, in Dir. pen. cont. riv. trim., 2018, pagg. 78 ss.

[64] Cfr. ad es. G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 177; G. Pioletti, Art. 179 - Casi di non punibilità, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2007, pag. 742; P. Cipolla, La detenzione per la vendita di riproduzioni di opere d'arte e reperti archeologici e il problema della rilevanza della riconoscibilità del falso secondo modalità non previste dalla legge, cit., pag. 3421; G. Mari, op. cit., pag. 1522; in giur. Cass. pen., III, 11253/1995, cit.; Cass. pen., III, 22038/2003, cit. Qualifica invece (erroneamente, a nostro avviso) l'istituto come causa di esclusione della punibilità Cass. pen., III, 8075/1984, cit.

[65] In senso sostanzialmente affine G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 738, il quale per altro correttamente sottolinea come l'espressione presupponga nel bene una effettiva rilevanza culturale, mentre ove la falsificazione riguardi, ad esempio, "un semplice oggetto archeologico, privo di interesse culturale", si ricadrebbe nella "falsificazione di oggetto antico".

[66] Cfr. anche P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 279.

[67] Cfr. F. Lemme, op. cit., pag. 37 (l'Autore fa ovviamente riferimento alla precedente soglia, di cinquant'anni).

[68] In dottrina non manca chi inquadra la fotografia nella tipologia delle "opere" (d'arte), con tutte le coerenti ricadute quanto alle relative problematiche interpretative (su cui v. infra): Cfr. ad es. F. Lemme, op. cit., pag. 42; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 280.

[69] Cfr. M. Cecchi, Note in tema di falsificazione di opere d'arte, in Dir. aut., 1998, pagg. 309-310.

[70] Cfr. in particolare F. Lemme, op. cit., pagg. 36-39.

[71] Non pare infatti cogliersi una reale differenza in termini di 'autenticità' dell'opera in relazione alla sola legittimazione iniziale del soggetto detentore delle matrici. La dottrina prevalente è in effetti critica sul punto: Cfr. ad es. G.C. Rosi, op. cit., pag. 6; C. Giraldi, Il falso d'arte: dalla "fede pubblica" alla trasparenza del mercato, in Riv. dir. ind., 1997, pag. 327; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 296. Contra G. Corrias Lucente, op. cit., la quale ritiene che, consistendo il danno principalmente nella diminuzione del valore economico di ciascun'opera collegato all'aumento della tiratura, una produzione esorbitante "accompagnata da una firma apocrifa dell'artista o da una dichiarazione falsa circa la tiratura" potrebbe configurare l'ipotesi di truffa. Tesi in sé condivisibile, ma con la precisazione che, a integrare gli "artifizi e raggiri" di cui all'art. 640 non sarebbe, in questo caso, la riproduzione in eccedenza di per sé, bensì la falsificazione della firma e/o l'inganno circa il numero di opere tirate.

[72] Cfr. Cass. pen., III, 9 marzo 1996, n. 29 (vicenda relativa a bassorilievi in bronzo di Manzù), in Riv. dir. ind., 1997, pag. 318, con nota di C. Giraldi, cit., pagg. 322-329; Cass. pen., III, 10 gennaio 1995, Marchesiello, in Riv. pen. econ., 1997, pag. 248; nello stesso senso F. Lemme, op. cit., pagg. 55-57.

[73] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 41-42, e adesivamente P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 280-281 (quest'ultimo rivede però in senso critico tale posizione in Id., La falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 2039).

[74] Cfr. F. Lemme, op. cit., pag. 43.

[75] Trib. Milano, IV pen., 11 ottobre 2018, n. 8738.

[76] In argomento Cfr. P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 317-323; A. Sista, op. cit., pagg. 189-193; N.G. Ludwig, Storia dei materiali e delle tecniche artistiche: le analisi scientifiche per lo studio di falsi e contraffazioni, in AA.VV., L'arte non vera non può essere arte, cit., pagg. 217-233, e ivi anche G. Calcani, La diagnostica umanistica per il contrasto alla falsificazione dei beni culturali e dell'opera d'arte, pagg. 471-480.

[77] Così anche M. Cecchi, op. cit., pag. 311.

[78] Nello stesso senso G. Corrias Lucente, La tutela penale, in Ead. (a cura di), La tutela dell'opera d'arte contemporanea, Roma, 2008, pag. 18. Solo in ambito strettamente tecnico-giuridico si riscontra un'estensione semantica di tenore affine: la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, infatti, ha da tempo interpretato l'espressione "opere originali dell'arte statuaria e dell'arte scultorea, di qualsiasi materia", ai sensi della Tariffa Doganale Comune, "come comprensiva di qualsiasi opera d'arte tridimensionale, quali che siano le tecniche ed i materiali usati", facendone dunque applicazione anche in relazione a forme d'arte contemporanea 'non tradizionali' (CGUE Onnasch, 15 maggio 1985, C-155/84; analogamente CGUE Gmurzynska-Bscher, 8 novembre 1990, C-231/89, la quale precisa anche che la distinzione rispetto alla voce doganale relativa a "quadri, pitture e disegni eseguiti interamente a mano", pure da interpretarsi in modo ampio, risiede nel fatto che le 'opere di pittura' in senso lato si caratterizzano per la "composizione della superficie dell'opera"). Va rilevato, però, come un'interpretazione analogica che avvenga in una sfera diversa da quella penale, non assoggettata alla stessa stringente declinazione del principio di legalità, come è il diritto comunitario tributario, e che inoltre si risolva, in tale sede, nella produzione di effetti in bonam partem per il soggetto inciso dalla norma, non può affatto essere automaticamente trasferita in sede penale - sede nella quale, tra l'altro, al contrario produrrebbe effetti in malam partem, di ampliamento della sfera di applicabilità della fattispecie punitiva.

[79] Cfr., anche per tutti gli ulteriori riferimenti, M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, cit., pagg. 37-38.

[80] Cfr. F. Lemme, op. cit., pag. 9.

[81] In generale sui problemi di accertamento del dolo si veda da ultimo, e per tutti gli ulteriori riferimenti, P. Astorina Marino, L'accertamento del dolo. Determinatezza, normatività e individualizzazione, Torino, 2018, passim, in part. pagg. 6-90 e 145-188.

[82] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 47-48; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 290-292. L'apposizione di una falsa firma non è indispensabile a configurare il reato, quando l'oggetto imiti lo stile di un certo autore e sia spacciato intenzionalmente come di sua mano: in giur. Cfr. Cass. pen., III, 29 gennaio 1978, n. 133.

[83] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 49-50; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 292-293. Tra le condotte più frequenti i riscontrano alterazioni del soggetto dell'opera per renderlo più rispondente ai gusti e alle richieste del mercato, la suddivisione di un'opera di grande formato in più parti, manipolazioni atte a far apparire diverso (più prestigioso) l'autore, l'apposizione di una falsa firma del vero autore per aumentare il valore di mercato del bene; viceversa, come ha avuto modo di affermare la giurisprudenza, non costituisce alterazione penalmente rilevante la soppressione di una dedica originariamente apposta dall'autore, dal momento che questa non è espressione di creatività artistica, ma solo della volontà dell'autore di offrire il suo lavoro al destinatario: Cfr. Cass. pen., V, 11 febbraio 2005, n. 5407, in Cass. pen., 2006, pag. 1534, con note di E. Svariati, La cancellazione della dedica autografa dell'autore da un'opera pittorica non integra il reato di contraffazione di opera d'arte, ma può costituire falso per soppressione?, pagg. 1535-1537, e di P. Cipolla, Soppressione di "dedica" e alterazione di opere d'arte figurativa, pagg. 4155-4165 (il quale fa rilevare come, ove l'opera alterata in effetti presenti un valore culturale, la soppressione di una dedica apposta dall'artista non possa considerarsi 'innocua' rispetto all'integrità del patrimonio culturale; il quale, però, osserviamo, è bene, come si è visto, solo molto indirettamente tutelato dalla fattispecie).

[84] L'alterazione costituisce infatti anche diffuso mezzo di riciclaggio di opere altrimenti troppo facilmente individuabili come provenienti da reato, in particolare in caso di beni rubati. Cfr. anche M. Riverditi, L'ipotesi di riciclaggio nella contraffazione di opere d'arte, in AA.VV., L'arte non vera penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 300-301.

[85] Ampiamente in tema Cfr. V.M. Sessa, L'opera d'arte e la sua riproduzione, in Foro amm., 2000, pagg. 2941-2967.

[86] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 54-55; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 294.

[87] In giurisprudenza è stata pertanto riconosciuta integrante la fattispecie l'ipotesi di riproduzioni fotografiche spacciate come litografie e corredate da firma dell'autore e numerazione progressiva: Cass. pen., III, 11253/1995, cit.

[88] Va detto che l'area della punibilità è ulteriormente accresciuta dalla pacifica punibilità (almeno teorica: la prova non appare, infatti, semplice) del tentativo di contraffazione, ex art. 56 c.p., configurabile quante volte la condotta falsificatoria venga iniziata senza però essere condotta a compimento. Cfr. anche Cass. pen., II, 7 ottobre 2009, n. 38968.

[89] La Cassazione ha quindi confermato la condanna di un pittore che aveva utilizzato il tracciato originario, fissato col gesso, del disegno di un altro artista come base per completare l'opera colorandola: Cfr. Cass. pen., II, 2952/1979, cit.

[90] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 51-54; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 293.

[91] V. supra nota 3.

[92] Così R. Tamiozzo, op. cit., pagg. 443-445, che precisa come il restauro lecito non debba mai essere propriamente "ricostruttivo, bensì più propriamente e principalmente conservativo". Diffusamente C. Brandi, Teoria del restauro, Torino, 2000 (la prima edizione, pubblicata nel 1963, è considerata alla base della Carta italiana del restauro del 1972).

[93] E neppure, oggi, necessariamente illecito: v. supra nota 62.

[94] Cfr. G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 175; F. Lemme, op. cit., pagg. 83-84; P. Cipolla, La repressione, cit., pagg. 312-313; G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 739.

[95] Da cui alcune critiche, in dottrina, alla scelta legislativa di inserire tale dolo specifico: Cfr. A. Lanzi, La tutela del patrimonio artistico attraverso la repressione delle falsificazioni delle opere d'arte. Carenze e limiti della legislazione vigente, in AA.VV., La tutela penale del patrimonio artistico, Milano, 1977, pag. 221.

[96] Così G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 739.

[97] Cfr. anche P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 294, oltre alla nota 42 supra.

[98] Di cui è sicuramente possibile il concorso con il reato di ricettazione, ove di quest'ultimo ricorrano tutti i presupposti (in primis la mancanza di concorso nel reato presupposto - in questo caso la contraffazione - la finalità di profitto richieste dall'art. 648, co. 1, c.p.), stante la diversa struttura e finalità delle due fattispecie (Cfr. anche Cass. pen., II, 26 maggio 1989, n. 7692; in dottrina M. Cecchi, op. cit., pag. 328; F. Lemme, op. cit., pag. 103; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 325). In pratica, mentre la ricezione dell'opera contraffatta, nella consapevolezza (certa o anche dubitativa, purché accompagnata dalla volontà di ricevere 'anche al costo che' sia sicuramente falsa: Cfr. Cass. pen., SU, 30 marzo 2010, n. 12433, Nocera, commentata ex plurimis da M. Donini, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le Sezioni unite riscoprono l'elemento psicologico, in Cass. pen., 2010, pagg. 2555-2582; P. Pisa, Punibilità della ricettazione a titolo di dolo eventuale, in Dir. pen. proc., 2010, pagg. 826-828; G.P. Demuro, Il dolo eventuale: alla prova del delitto di ricettazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pagg. 308-332) della sua non autenticità e con il fine di trarne profitto, integra il reato di ricettazione, la successiva messa in commercio o in circolazione integrerà la diversa fattispecie di cui all'art. 178, co. 1, lett. b) Cbc; viceversa, ove la ricezione del bene avvenga in buona fede, e il soggetto solo in un momento successivo si accorga della falsità dello stesso, ma decida di metterlo comunque in circolazione, si configurerà la sola fattispecie di cui all'art. 178 Cbc.

[99] V. Manes, op. cit., pag. 305.

[100] Malgrado il contrario avviso della giurisprudenza che, sulla base di argomenti per altro opinabili, esclude l'applicabilità dell'art. 56 c.p. alla sola ipotesi di detenzione per fini di commercio: Cfr. Cass. pen., II, 38969/2009, cit.

[101] Così, in rapporto all'analoga espressione 'porre in vendita' di cui all'art. 9 della legge n. 497 del 1974, ad es. Cass. pen., I, 25 marzo 1998, n. 3736, e Cass. pen., I, 10 marzo 2015, n. 10071, secondo cui "integrando il reato anche la semplice offerta in vendita, non è necessario che alla condotta dell'agente siano seguiti effetti traslativi della proprietà o, addirittura, la materiale consegna del bene".

[102] Oltre alle pronunce citate nella nota precedente, v. ad es. Cass. pen., III, 30 agosto 2018, n. 39546 (relativa alla fattispecie di cui all'art. 171-ter, co. 2, lett. a), legge n. 633/1941), secondo cui l'espressione 'porre in commercio' (diversa e alternativa a 'vendere') "è integrata da ogni atto commerciale di natura preparatoria rispetto alla vendita, come l'introduzione delle cose in magazzini o altri locali di deposito destinati a realizzare lo scopo per cui le cose sono detenute o comunque prodotte, nonché la predisposizione di un'organizzazione, sia pure rudimentale, diretta alla vendita"; Cass. pen., III, 3 maggio 1965, n. 1220 (relativa alla fattispecie, ora depenalizzata, di cui all'art. 705 c.p.), secondo cui "anche le trattative, l'offerta in vendita, l'organizzazione, pur se rudimentale, dirette allo smercio di determinati oggetti, costituiscono 'messa in commercio' agli effetti della legge penale".

[103] Cfr. P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 296-301 (più restrittiva l'interpretazione di F. Lemme, op. cit., pag. 58, il quale ritiene compresi nell'espressione solo "l'utilizzazione di schemi giuridici", siano questi tipizzati, come ad es. il contratto di compravendita o quello estimatorio, o meno).

[104] Cfr. F. Lemme, op. cit., pag. 59; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 302-303. In giurisprudenza Cfr. ad es. Cass. pen., III, 13 ottobre 1999, n. 11671 e Cass. pen., III, 13 ottobre 2011, n. 37139 (in riferimento all'analoga espressione contenuta nell'art. 517 c.p.), secondo cui 'mettere altrimenti in circolazione' si riferisce "a qualsiasi attività con cui si miri a far uscire a qualsiasi titolo la "res" dalla sfera giuridica e di custodia del mero detentore, ossia a qualunque operazione di movimentazione della merce".

[105] Cfr. anche F. Lemme, pagg. cit., pagg. 83-84.

[106] Cfr. anche V. Manes, op. cit., pag. 305. In generale in tema di dolo eventuale Cfr. Cass. pen., SU, 18 settembre 2014, n. 38343, caso Thyssen-Krupp, annotata, ex plurimis, da G. Fiandaca, Le Sezioni Unite tentano di diradare il "mistero" del dolo eventuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pagg. 1938-1952; M. Ronco, La riscoperta della volontà nel dolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pagg. 1953-1970; R. Bartoli, Luci ed ombre della sentenza delle Sezioni unite sul caso "Thyssenkrupp", in Giur. it., 2014, pagg. 2566-2576; G. De Vero, Dolo eventuale e colpa cosciente: un confine tutt'ora incerto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pagg. 77-94; M. Romano, Dolo eventuale e Corte di cassazione a sezioni unite: per una rivisitazione della c.d. accettazione del rischio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pagg. 559-588; L. Eusebi, Formula di Frank e dolo eventuale in Cass. S.U. 24 aprile 2014 (Thyssenkrupp), in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pagg. 623-645; Cfr. anche P. Astorina Marino, op. cit., pagg. 80-87.

[107] Cfr. G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 177; G. Pioletti, Art. 179, cit., pag. 743. Anche se la giurisprudenza ritiene la tassatività delle modalità previste dall'art. 179 Cbc (Cfr. Cass. pen., III, 19249/2006, cit.), è evidente che, ove a essere messe in vendita siano copie già connaturatamente inoffensive per dimensioni, tecnica di realizzazione e materiali, la condotta si presenterà in radice a sua volta inoffensiva e dunque atipica e non punibile.

[108] Anche in questi casi, tuttavia, la consapevolezza della falsità è coperta da dolo generico, e come tale sarà sufficiente per la punibilità la consapevolezza della possibile falsità e l'accettazione di tale eventualità: v. supra.

[109] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 58-59 e 83-84; G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 739; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 301-302.

[110] Cfr. ad es. Cass. pen., III, 6 febbraio 2017, n. 5431, che precisa come l'apposizione o meno della dicitura di non autenticità di cui all'art. 179 Cbc sia irrilevante "irrilevante allorquando la detenzione avvenga per la fruizione ed il godimento esclusivamente personale, non ricorrendo, in tal caso, il pericolo di offesa al bene giuridico tutelato dalle fattispecie incriminatrici". Analogamente già Cass. pen., III, 25 settembre 2000, n. 10058, ove viene anche precisato che "non è possibile disporre la confisca di un quadro dichiaratamente falso, né è possibile, una volta confermata in appello l'assoluzione dal reato di commercio di un quadro contraffatto, oggetto, ciò nonostante, di confisca in primo grado, disporne la restituzione subordinandola all'apposizione, su di esso, di una dicitura di accertata contraffazione in sede giudiziaria, essendone lecita la detenzione per uso esclusivamente personale".

[111] Stante anche l'ampia latitudine della condotta di 'detenzione ai fini di vendita' come ricostruita, sul piano oggettivo, dalla giurisprudenza, secondo la quale "la destinazione alla vendita sussiste anche nel possesso di prodotti da vendersi successivamente e cioè, in definitiva, in una relazione di fatto tra il soggetto ed il prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita stessa, senza la necessità che la merce si trovi in luoghi destinati immediatamente alla vendita" (Cfr. ad es., in rapporto ad analoga espressione utilizzata dall'art. 5 legge n. 283/1962, Cass. pen., VI, 14 dicembre 1993, n. 11395; Cass. pen., III, 22 giugno 1996, n. 6266).

[112] La giurisprudenza ha ad es. considerato tali la combinazione della professione esercitata dall'imputato col fatto che le opere (quadri) non fossero esposte ad adornare un ambiente privato e con la circostanza (probabilmente decisiva) che il soggetto si fosse dato alla fuga all'arrivo dei Carabinieri: Cfr. Cass. pen., V, 3293/1983, cit., la quale precisa anche che l'accertamento in concreto della destinazione al commercio dei beni contraffatti implica apprezzamenti di merito insindacabili in sede di legittimità ove immuni da vizi logici.

[113] Le quali, a termini dell'art. 266 c.p.p., possono essere disposte per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena dell'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a cinque anni, limite al di sotto del quale l'art. 178 Cbc si colloca ampiamente.

[114] Cfr. anche F. Lemme, op. cit., pagg. 85-89; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 287 e 305-308. Conseguentemente, è sorta la questione se l'artista stesso possa rendersi autore della fattispecie di cui alla lett. a). Posto che sono pacificamente da considerarsi autentiche tanto la 'replica d'autore' quanto opere realizzate da allievi o collaboratori dell'artista, cui questi abbia dato solo un contributo materiale parziale o addirittura solo ideativo e di approvazione finale, e posto che l'artista ha sempre il diritto di apportare modifiche alla propria opera, in dottrina resta dibattuta la liceità o meno della retrodatazione che l'autore compia, ad es., per far apparire l'opera come appartenente a un suo periodo particolarmente 'felice' nell'apprezzamento della critica e del mercato (lecita ad es. per P. Cipolla, op. ult. cit., pag. 288, e F. Lemme, op. cit., pag. 88; illecita per G.C. Rosi, op. cit., pag. 5). È ipotizzabile la configurabilità del reato di cui alla lett. c) laddove l'autore scientemente autentichi a posteriori un opera mai geneticamente interessata dal suo intervento creativo, stante l'indisponibilità dei beni tutelati dalla fattispecie, ribadita anche dalla già citata Cass. pen., III, 26072/2007.

[115] Sul ruolo sempre più importante di questi ultimi Cfr. in part. A. Donati, L'archivio d'artista: "Trust me!", in M. Cenini (a cura di), Trust, patrimoni artistici e collezioni / Trusts, artistic estates and collections, Padova, 2019, in part. pagg. 199-206.

[116] Diffusamente A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., 2015, pagg. 987-1025.

[117] Va precisato che, in ossequio ai principi generali affermati in relazione all'uso di res falsificata (Cfr. ad es. Cass. pen., V, 25 gennaio 1999, n. 6037; Cass. pen., V, 3 novembre 2004, n. 42649; Cass. pen., III, 3 luglio 2007, n. 25200), si ritiene per lo più (Cfr. M. Cecchi, op. cit., pagg. 326-327; D'Onofrio, op. cit., pag. 866; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 323) che l'autore della contraffazione materiale ex art. 178, lett. a) Cbc non possa essere chiamato a rispondere autonomamente delle successive condotte di illecita utilizzazione ex lett. b), perché si verterebbe nella più classica delle ipotesi di postfactum non punibile, a maggior ragione visto il fine di profitto tipizzato nella prima fattispecie, che è dunque sempre posta in essere in vista della successiva immissione sul mercato. Viceversa, per espressa disposizione legislativa ("chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione": a fortiori, ove concorrente nella stessa) l'autore di una delle condotte di illecita utilizzazione ex lett. b) che sia concorso anche nella precedente contraffazione materiale risponderà di entrambe (contra però F. Lemme, op. cit., pag. 77, secondo il quale il falsario autore della, o concorrente nella, commercializzazione risponde di per entrambi i reati); il che implica che, ove il curatore sia stato concorrente (morale o materiale indifferentemente) sia nella contraffazione sia nella commercializzazione, egli sarà chiamato a rispondere ex art. 110 c.p. per entrambe le condotte. Più in generale, mentre non vi è possibilità di concorso tra le diverse (e alternative) condotte descritte, rispettivamente, all'interno della lett. a), all'interno della lett. b), e nelle lettere c) e d) (lette congiuntamente), i tre reati di contraffazione, illecito utilizzo e falsa asseverazione possono concorrere tra loro (Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 77-78; contra G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 740; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 323-324).

[118] Cass. pen., III, 5431/2017, cit. Nel caso in questione è stata ritenuta sussistente un'associazione per delinquere composta da sei persone al fine di falsificare opere dell'artista in questione, autenticarle falsamente (incarico affidato proprio al titolare dell'Archivio Franco Angeli) e immetterle sul mercato, commettendo tra l'altro una serie di truffe in danno di ignari acquirenti. La mole di opere contraffatte è stata ritenuta superiore alle 500 unità.

[119] In questo caso le contestazioni della pubblica accusa includono il reato di associazione a delinquere, che vedrebbe il coinvolgimento di 12 persone nella contraffazione, falsa autenticazione e commercializzazione di (almeno) 462 opere attribuite all'artista con il coinvolgimento sia di componenti del suo Archivio, sia di una galleria coinvolta nell'apposizione di timbri falsificati a ulteriore asseverazione delle opere. Cfr. G. Biglia, Falsi Dadamaino, cit.

[120] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 66-71; G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 740; P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pagg. 304-310; V. Manes, op. cit., pagg. 304-305.

[121] G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 176.

[122] Cfr. P. Cipolla, La repressione penale della falsificazione di opere d'arte, cit., pag. 310; A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pagg. 999-1001.

[123] Cfr. A. Donati, Rilevanza giuridica dell'archivio d'artista, in AA.VV, Impresa cultura. Creatività, partecipazione, competitività. XII rapporto annuale Federculture, Roma, 2016, pagg. 194-195.

[124] Cfr. F. Lemme, op. cit., pagg. 67-68; G. Pioletti, Art. 178, cit., pag. 740; A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pagg. 987-999.

[125] Di primo grado (intenzionale), dal momento che ciò che il soggetto vuole (a prescindere dalle motivazioni che possono ispirarlo) è specificamente asseverare come autentico un bene della cui falsità egli è (soggettivamente) certo. La configurazione della consapevolezza circa la falsità è dunque in questa fattispecie configurata in termini sostanzialmente analoghi a quella della conoscenza dell'innocenza dell'incolpato nel delitto di calunnia (del cui elemento soggettivo, non a caso, parte della dottrina lamenta da tempo un'eccessiva difficoltà probatoria e l'attitudine a lasciare impunite condotte oggettivamente molto pericolose per la corretta amministrazione della giustizia e la libertà e dignità del falsamente incolpato: per una sintesi Cfr. M. Bertolino, Analisi critica dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2015, pagg. 54-57). Non a caso, la giurisprudenza in tema di dolo del reato di calunnia precisa che ove la falsa incolpazione consegua a un convincimento dell'agente in ordine a profili essenzialmente valutativi in merito alla condotta denunciata, per aversi responsabilità penale tale valutazione soggettiva dovrà risultare "fraudolenta o consapevolmente forzata" e dunque, in buona sostanza, contraria all'intimo convincimento del denunciante (un atteggiamento mentale la cui prova sarà estremamente ardua, se non impossibile: v. anche infra): Cfr. ad es. Cass. pen., VI, 12 settembre 2014, n. 37654; Cass. pen., VI, 22 dicembre 2015, n. 50254.

[126] Su cui v. in generale e per ogni ulteriore riferimento M. Bertolino, op. cit., pagg. 97-101; N. Pisani, Falsa perizia o interpretazione, in M. Catenacci (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2016, pagg. 445-457.

[127] Considerato che i familiari specificati dall'art. 23 legge n. 633/1941 (coniuge e figli; in loro mancanza, genitori e altri ascendenti nonché discendenti diretti; in mancanza anche di questi, fratelli e sorelle e loro discendenti; v. anche A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pagg. 1003-1009) sono per prassi tra i soggetti richiesti di autenticare le opere dell'artista defunto, vuoi autonomamente vuoi in quanto componenti dell'archivio di questi, è possibile che l'attestazione di autenticità si basi (anche o in tutto) su una loro dichiarazione di scienza.

[128] Cass. pen., VI, 21 settembre 2015, n. 38307; nello stesso senso Cass. pen., VI, 25 marzo 2016, n. 12654.

[129] Così da ultimo Cass. pen., SU, 27 maggio 2016, n. 22474 (commentata, ex plurimis, da A. Alessandri, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni Unite, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, pagg. 1479 - 1496; F. D'Alessandro, Le false valutazioni al vaglio delle Sezioni unite: la nomofilachia, la legalità e il dialogo interdisciplinare, in Cass. pen., 2016, pagg. 2790-2807; A. Manna, Il nuovo delitto di false comunicazioni sociali (tra "law in the books" and "law in action"): cronaca di una discutibile riforma, in Arch. pen., 2016, pagg. 487-512; F. Mucciarelli, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e ars interpretandi, in Dir. pen. cont., 2016, pagg. 174-203, e ivi altresì D. Pulitanò, Ermeneutiche alla prova. La questione del falso valutativo, pagg. 204-212, e M. Scoletta, Le parole sono importanti? "Fatti materiali", false valutazioni di bilancio e limiti all'esegesi del giudice penale, pagg. 163-173), sulla controversa questione del 'falso valutativo' nel delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) come da ultimo riformato con legge n. 69/2015. La configurazione giurisprudenziale del 'falso per inosservanza', per altro, la cui elaborazione concettuale nasce e si sviluppa nell'alveo dei reati societari sulla base del presupposto che in ambito economico il giudizio possa basarsi su parametri sostanzialmente oggettivi, seppur soggetti a margini di discrezionalità nella loro applicazione, è da tempo al centro di un complesso dibattito. In tema, oltre agli autori già citati e per ogni ulteriore riferimento, Cfr. S. Seminara, Diritto penale commerciale, vol. II, I reati societari, Torino, 2018, pagg. 42-46; F.A. Siena, Fatti e giudizi, tra inosservanza della regola contabile e falsità del bilancio, in Dir. pen. cont., 2019(4), pagg. 5-33.

[130] Cfr. M. Bertolino, op. cit., pagg. 100-101.

[131] Cass. pen., VI, 38307/2015; analogamente Cass. pen., VI, 12654/2016.

[132] Cfr. V. Manes, op. cit., pag. 304.

[133] Cfr. ex plurimis F. Centonze, La suprema Corte di cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in Cass. pen., 2008, pagg. 118-125; L. Eusebi, La prevenzione dell'evento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell'illecito colposo e del dolo eventuale, in M. Bertolino - G. Forti - L. Eusebi (a cura di), Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, vol. II, pagg. 963-1003; P. Astorina Marino, op. cit., pagg. 139-175.

[134] Cfr. in particolare F. Lemme, op. cit., pagg. 67-68.

[135] In un caso riguardante falsi oggetti d'antiquariato la Suprema corte ha ritenuto ampiamente provato il dolo di false attestazioni in ragione della "macroscopica evidenza dei profili di falsità rilevati (utilizzo di materiali moderni, tecniche di colorazione sintetiche, scritte prive di significato e grossolani errori di citazione)", unita ai "titoli accademici" dell'imputato, che rendeva "del tutto inverosimile" una mancata consapevolezza della falsità dei reperti messi in commercio e certificati come autentici, "utilizzando peraltro lo schermo di una società rivelatasi del tutto inesistente" (Cass. pen., III, 8 gennaio 2019, n. 377).

[136] Cfr. altresì A. Donati, Rilevanza giuridica dell'archivio d'artista, cit., in part. pagg. 193-197.

[137] Il che talora espone questi soggetti anche a diventare gli inconsapevoli strumenti di validazione di opere in realtà false; in questi casi - come ad es. in quello affrontato da Cass. pen., III, 27 marzo 2018, n. 14038 - evidentemente il soggetto indotto con l'inganno ad autenticare non risponde del reato, del quale risponde invece, secondo il principio generale enunciato dall'art. 48 c.p., colui che lo ha indotto in errore.

[138] Decalogo per l'acquisto di opere d'arte contemporanea.

[139] Vero che una posizione di garanzia può avere anche fonte contrattuale, questo richiederebbe però che l'obbligo giuridico di impedire l'evento-reato fosse, alternativamente, trasferito da un garante originario (che in questo caso non esiste, sempre per l'assenza di una disciplina legislativa) oppure dal titolare originario dell'interesse protetto, che è però qui un soggetto collettivo indeterminato. Per ulteriori riferimenti al tema delle posizioni di garanzia e dei presupposti per la loro insorgenza Cfr. M. Romano, Commentario, cit., pagg. 378-393; G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale. Parte generale, 8va ed., Bologna, 2019, pagg. 632-636 e 646-659.

[140] Delitti contro la personalità dello Stato, sequestro di persona a scopo di estorsione, reati in materia di armi ed esplosivi. In generale in argomento Cfr. M. Bertolino, op. cit., pagg. 19-24.

[141] Oltre che agli esercenti una professione sanitaria in relazione a delitti perseguibili d'ufficio di cui abbiano avuto conoscenza nel prestare la propria opera o assistenza, salvi i casi in cui ciò esporrebbe l'assistito a un procedimento penale: v. artt. 361, 362 e 365 c.p., e 331 c.p.p. In generale in argomento Cfr. M. Bertolino, op. cit., pagg. 32-36; B. Romano, Delitti contro l'amministrazione della giustizia, 5ta ed., Padova, 2013, pagg. 22-47.

[142] Diffusamente e per ulteriori riferimenti Cfr. M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati e le qualifiche pubblicistiche, 4ta ed., Milano, 2015, pagg. 303-372.

[143] Vero che l'attività 'certificativa' tipica di una pubblica funzione non si limita alla produzione di documenti 'fidefacenti', con efficacia probatoria fino a querela di falso, ma si estende a un ampio novero di attività in senso lato certificative e di registrazione, che non garantiscono alcun effetto di certezza legale, resta però il fatto che quello 'certificativo' ai sensi dell'art. 357, co. 2 c.p. deve qualificarsi come un "potere" connaturato all'esercizio di una "pubblica funzione amministraiva" nei termini predetti (Cfr. M. Romano, I delitti, cit., pagg. 339-341), evidentemente non rinvenibile nel caso degli archivi d'artista.

[144] In tema, anche per ulteriori riferimenti, Cfr. R. Acquaroli, Omessa denuncia di cose provenienti da delitto, in F. Viganò - C. Piergallini (a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio, 2da ed., Torino, 2015, pagg. 973-975; A. Provera, Art. 709 - Omessa denuncia di cose provenienti da reato, in G. Forti - S. Seminara - G. Zuccalà (a cura di), Commentario breve al codice penale, 6ta ed., Padova, 2017, pag. 2517.

[145] Ove, ad es., il soggetto dimentichi per distrazione, o trascuri per pigrizia o per il desiderio di evitare 'seccature', di segnalare all'autorità un oggetto di cui abbia realizzato la natura contraffatta.

[146] Poiché un semplice sospetto circa la provenienza delittuosa non è sufficiente a far scattare l'obbligo di segnalazione, il soggetto dovrà essere consapevole e persuaso della sua falsità (situazione che, ad es., tipicamente non sussiste nei confronti di chi, nel momento in cui valuta se intermediare la vendita di un'opera, si trovi di fronte a expertise contrastanti rilasciate da soggetti diversi, o nei casi in cui l'archiviazione venga rifiutata non sulla base della sicura convinzione della falsità dell'opera, ma, ad es., per un'incertezza insuperabile circa la sua autenticità o meno); viceversa, è irrilevante un eventuale errore o ignoranza in materia di diritto allorquando il soggetto creda erroneamente che la contraffazione artistica costituisca mera contravvenzione. Cfr. Acquaroli, op. cit., pag. 974; Cass. pen., II, 12 luglio 1992, n. 8007 (ove si specifica che, mentre il mero sospetto sulla provenienza delittuosa del bene è sufficiente, sul piano oggettivo e soggettivo, a integrare la contravvenzione di cui all'art. 712 c.p., rispetto alla fattispecie di cui all'art. 709 c.p. è necessario un accertamento dell'oggettiva provenienza illecita, che dunque come tale dovrà essere nota all'agente).

[147] Cfr. diffusamente L. Goisis, La pena pecuniaria. Un'indagine storica e comparata. Profili di effettività della sanzione, Milano, 2008, in part. pagg. 123-150; Ead., L'effettività (rectius ineffettività) della pena pecuniaria in Italia, oggi, in Dir. pen. cont., 13 novembre 2012.

[148] A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pag. 1002.

[149] Cfr. ad es., anche per ulteriori riferimenti, G. De Cristofaro, La vendita di beni mobili qualificabili come opere d'arte: ricostruzione del regime normativo applicabile alla fattispecie, in F. Delfini - F. Morandi (a cura di), I contratti del turismo, dello sport e della cultura, Torino, 2010, pag. 588; A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pag. 1002; contra (propendendo per l'effettiva nullità) ad es. A. Giuffrida, Contributo allo studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Milano, 2008, pag. 360; M. Barra, La tutela civile, in G. Corrias Lucente (a cura di), La tutela dell'opera d'arte contemporanea, Roma, 2008, pag. 43.

[150] Va detto infatti che la giurisprudenza e la dottrina, almeno nella parte che ammette la categoria della 'nullità relativa', ritengono la sanzione prescritta dall'art. 164 Cbc ricadente in tale tipologia: le nullità ex art. 164 sarebbero cioè disposte nell'esclusivo interesse dello Stato, il quale sarebbe dunque l'unico soggetto legittimato a farle valere; non dunque soggetti privati variamente interessati a una dichiarazione di nullità di una o più compravendite intervenute sul bene in passato (contra però, seppure isolato, Trib. Vicenza, II, 16 febbraio 2016, n. 313, il quale ha dichiarato la nullità della compravendita in favore di un attore privato, interessato semplicemente al recupero del prezzo sborsato per l'acquisto di un dipinto rivelatosi non attribuibile all'autore indicato al momento della vendita). Cfr., per tutti gli opportuni riferimenti, F. De Maria, Violazione in atti giuridici, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, pagg. 675-681; G.P. Demuro, D.lgs. 22.1.2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 - Premessa e commento alla Parte quarta, cit., pag. 437; R. Invernizzi, Art. 164 - Violazione di atti giuridici, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, 3za ed., Milano, 2019, pagg. 1433-1438.

[151] Il legislatore dovrebbe anche risolvere il dubbio se l'artista, che venda direttamente e "abitualmente" le proprie opere, sia soggetto agli obblighi di cui all'art. 64 Cbc; sul punto si condivide la soluzione in senso affermativo auspicata da A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pag. 1002.

[152] Peraltro, che la norma implichi attualmente un obbligo di ricerca attiva, anziché uno di mera richiesta di quanto in possesso del dante causa e trasmissione al successivo avente causa, non è chiaro nei termini attuali dell'art. 64 Cbc (Cfr. G. De Cristofaro, op. cit., pag. 588; A. Donati, Autenticità, "authenticité", "authenticity" dell'opera d'arte. Diritto, mercato, prassi virtuose, cit., pag. 1003), e andrebbe a sua volta puntualizzato in prospettiva di riforma.

[153] Ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, infatti, il trattamento di informazioni concernenti origine e successive transazioni di un'opera e relativi autore e proprietari ricade sotto la disciplina 'ordinaria' (non potendosi configurare tali dati come 'sensibili', ai sensi degli artt. 9 e 10), la quale prevede la liceità del trattamento, anche in assenza del consenso dell'interessato, ove questo sia effettuato "per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento" (art. 6, co. 1, lett. c; in questo caso l'obbligo del venditore professionale o abituale di trasmettere la documentazione relativa a provenienza e autenticità), nonché nei casi in cui "il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico" (art. 6, co. 1, lett. e), quale ben può qualificarsi quello prescritto dall'art. 64 Cbc a chiunque venda professionalmente o abitualmente opere d'arte e beni culturali.

[154] Il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (da ultimo modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, proprio in adeguamento al GDPR) precisa infatti, all'art. 2-ter, che la "comunicazione fra titolari che effettuano trattamenti di dati personali, diversi da quelli [sensibili ex artt. 9 e 10 GDPR], per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico [...] è ammessa se prevista [...] da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento" - prescrizione evidentemente soddisfatta dall'art. 64 Cbc.

[155] Nel rispetto dunque di quanto prescritto dal co. 3, art. 2-ter Codice Privacy.

[156] Cfr. anche A. Donati, The legal relevance of documentation for contemporary art: the authenticity of documents and artworks, in A. Donati - R. Ferrario - S. Simoncelli (a cura di), Artists' archives and estates: Cultural memory between law and market / Archivi d'artista e lasciti: memorie culturali tra diritto e mercato, Napoli, 2018, pagg. 25-32.

[157] Cfr. A. Donati, La tutela giuridica dell'identità e dell'integrità dell'opera d'arte contemporanea, in Contr. imp. Europa, 2017, pagg. 160-182; A. Zorloni, L'archiviazione autentica con i PACTA, in Giorn. fondazioni, 16 dicembre 2018.

[158] AitArt, Buone pratiche dei soci dell'Associazione Italiana Archivi d'Artista; Cfr. anche A. Donati, Rilevanza giuridica, cit., pagg. 196-197; Ead.; L'archivio d'artista, cit., pagg. 219-220.

[159] In vista della predisposizione di un set di Guidelines for Experts Authenticating Works of Fine Art.

[160] RAM, Art Transaction Due Diligence Toolkit - Checklists & Explanatory Notes.

[161] RAM, Guidelines on Combatting Money Laundering and Terrorist Financing.

 

 



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