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Editoriale

Valori 'freddi' del diritto e cose d’arte: il caso dell'Uomo Vitruviano

di Girolamo Sciullo

"Cold" values of law and artworks: the Vitruvian Man leading case
The editorial discusses the lending of Leonardo da Vinci’s Vitruvian Man to the Louvre Museum.

Keywords: Vitruvian Man; Leonardo da Vinci; Lending of Artwork.

Sebbene il mondo dell'arte mostri sovente la sua vitalità con episodi di vivace dibattito critico (e polemico), la vicenda del prestito temporaneo al Louvre dell'Uomo Vitruviano ha determinato un clamore inatteso. Forse perché legata alla ricorrenza del cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, o per il fascino che il disegno da sempre sprigiona, per il valore simbolico che esso racchiude, per una sorta di contagio mediatico, oppure per la somma di questi e di altri fattori, la vicenda è stata occasione di prese di posizione tramite social, articoli sulla stampa, resoconti e commenti nei mezzi radiotelevisivi, financo di flash mob, in una misura che non sembra trovare precedenti [1]. Sicuramente si può dire che essa ha testimoniato il crescente interesse del pubblico per i fatti dell'arte nelle forme (che piacciono o meno, è altra questione) dell'agire comunicativo proprio della contemporaneità.

Nelle brevi note che seguono, a beneficio soprattutto dei lettori non giuristi si vuole ripercorrere la vicenda ricorrendo ai valori 'freddi' del diritto, secondo la felice espressione di Claudio Magris [2], prescindendo dai valori e sentimenti 'caldi' che rendono vivo l'ambiente dell'arte. Valori 'freddi', non perché siano in grado di offrire chiavi di lettura munite di certezze (il mondo del diritto non le annovera), ma perché forniscono (o dovrebbero fornire) esiti plausibili, ancorché controvertibili, in base a criteri di logica e di ragione. A tal fine si prenderanno in esame le due ordinanze con cui il Tar del Veneto è intervenuto sul prestito del disegno di Leonardo e che rappresentano gli snodi per la sua lettura in termini giuridici.

È opportuno peraltro premettere alcuni cenni di inquadramento. Il prestito per mostre o in genere esposizioni d'arte è disciplinato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in due serie di disposizioni: dall'art. 48, in termini generali, e dagli artt. 66, co. 1, 67, co. 1, lett. d) (nel caso in cui ricorrono accordi con istituzioni culturali straniere), e 71 quando il prestito comporta l'uscita del bene dal territorio dello Stato, in breve per le mostre all'estero. A queste due serie si aggiunge una terza, di carattere organizzativo, concernente tanto i prestiti per mostre e gli accordi, quanto l'uscita dei beni [3].

Si tratta di disposizioni, in qualche caso frutto di molteplici sedimentazioni normative (cfr. artt. 66 e 67 cit.), per le quali talora è previsto un raccordo (cfr. artt. 34 e 35 cit.), altre volte una sovrapposizione applicativa (per quanto possa sembrare 'ridondante', nel caso di mostre all'estero, sono necessarie tanto l'autorizzazione ex art. 48 quanto quella ex art. 71 [4]). Differenti sono le logiche ispiratrici alla base: di 'ritenzione' del bene culturale sul territorio dello Stato, di conservazione dell'integrità dello stesso, di sua fruizione da parte della collettività nazionale, ma anche di valorizzazione (compresa quella economica) dell'istituto di cultura cui appartiene il bene, come pure di promozione degli scambi culturali in ambito internazionale. Non stupisce perciò che tali disposizioni diano luogo a non pochi problemi di ordine interpretativo: in particolare con riferimento alla vicenda che qui si considera viene in rilievo il divieto di uscita dal territorio statale per i "beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo, pinacoteca" ecc. (art. 66, co. 2, lett b) [5].

Ad ogni modo, in una considerazione complessiva, possono tenersi fermi due aspetti: con riguardo al rapporto fra politica e amministrazione, le disposizioni richiamate affidano alla dirigenza amministrativa e non al vertice ministeriale le decisioni in ordine al prestito per mostre e manifestazioni in Italia e all'estero; in secondo luogo, e a dispetto di profili di vincolo che pure sussistono, esse lasciano notevoli spazi alla discrezionalità, sia tecnica sia amministrativa, delle autorità chiamate ad applicarle [6].

Il primo snodo della vicenda portata all'esame del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto è costituito dal decreto 8 ottobre 2019, n. 426, del Presidente della Sezione II che sospende tanto il provvedimento del Direttore delle Gallerie dell'Accademia di Venezia con cui si era autorizzato il prestito dell'Uomo Vitruviano (ex art. 35, co. 4, lett. h), del d.p.c.m. n. 76/2019), quanto il successivo Memorandum d'intesa intervenuto fra i ministri italiano e francese competenti, concernente il partenariato per le mostre previste rispettivamente nel 2019 al Louvre su Leonardo e nel 2020 alle Scuderie del Quirinale su Raffaello [7].

Va precisato che il prestito dell'Uomo Vitruviano trae origine da un accordo siglato nel 2017 fra Italia e Francia, volto a promuovere lo scambio di opere ai fini della realizzazione delle due mostre in questione. In seguito erano stati avviati i contatti fra i musei interessati al possibile scambio, tra i quali appunto le Gallerie dell'Accademia di Venezia, depositaria del disegno leonardesco. Il Memorandum del 24 settembre del 2019 aveva suggellato la conclusione di tale iter, recando l'elenco delle opere autorizzate al prestito dalle istituzioni museali interessate. L'atto di autorizzazione del Direttore delle Gallerie dell'Accademia di Venezia (anticipato con e-m. del 23 settembre) era intervenuto al termine di un'istruttoria che aveva coinvolto sia strutture interne (Gabinetto Disegni e Stampe, Funzionario restauratore) al museo sia esterne (Opificio delle pietre dure, Istituto superiore per la conservazione e il restauro, Direzioni generali competenti e Segretariato generale del ministero).

Il decreto presidenziale di sospensiva viene emanato ai sensi dell'art. 56 c.p.a. (Codice del processo amministrativo), che consente al Presidente del Tribunale (o della Sezione competente), in caso "di estrema gravità e urgenza, tale da non consentire la dilazione fino alla data della camera di consiglio", di disporre "misure cautelari provvisorie" destinate a valere appunto fino a tale data. In effetti nel caso di specie ricorreva tale urgenza, dal momento che la prima camera di consiglio utile per la trattazione collegiale dell'istanza di sospensione cadeva il 24 ottobre, in concomitanza con l'inizio dell'esposizione al Louvre. Per gli stessi motivi di urgenza il decreto dispone altresì, ai sensi dell'art. 53 c.p.a., l'abbreviazione del termine per la trattazione collegiale, fissando la camera di consiglio il 16 ottobre.

Il decreto, se non si espone a rilievi per il profilo dell'urgenza, merita peraltro due osservazioni. Per quanto concerne la sospensione dell'atto autorizzativo del Direttore delle Gallerie veneziane, può notarsi che nel decreto non si fa cenno al 'fumus boni iuris' (ossia alle ragioni quantomeno di non evidente infondatezza del ricorso di merito), tradizionale requisito accanto al 'periculum in mora' (gravità e irreparabilità del pregiudizio allegato) per l'adozione della misura cautelare. Vero è che la sua necessità nel caso di sospensive monocratiche è oggetto di discussione [8], ma risulta singolare che viceversa il requisito venga tenuto presente a proposito dell'altro atto, il Memorandum, sospeso "per la parte in cui viola il principio dell'ordinamento giuridico per cui gli uffici pubblici si distinguono in organi di indirizzo e controllo, da un lato, e di attuazione e gestione dall'altro".

Riguardo, poi, allo stesso Memorandum si deve osservare - come del resto farà la successiva ordinanza del Tar - che si tratta di un atto "di diritto internazionale" e non di diritto interno, che come tale si sottrae con tutta evidenza alla giurisdizione italiana [9] (oltre che palesarsi, è da aggiungere, come "esercizio di potere politico", comportante l'inimpugnabilità davanti al giudice amministrativo ex art. 7, co. 1, c.p.a.).

Più solido risulta invece l'impianto argomentativo della ordinanza 16 ottobre 2019, n. 436, con cui la Sezione II del Tar respinge la domanda cautelare con riferimento a entrambi gli atti impugnati, giudicando le censure prospettate dalla ricorrente Italia Nostra non supportate da "sufficienti elementi di fondatezza", e quindi non riscontrandosi quelle "sufficienti prospettive di un esito favorevole" del ricorso che sole avrebbero potuto giustificare la sospensiva [10].

Quanto al Memorandum, si rileva, come anticipato, la natura di "atto tipico del diritto internazionale" e perciò la sua inidoneità a costituire "di per sé vincolo per l'azione amministrativa".

Più dettagliata è la disamina dell'atto di autorizzazione al prestito adottato dal Direttore delle Gallerie veneziane. L'ordinanza anzitutto ne confuta l'illegittimità sostenuta nel ricorso per violazione del divieto di uscita temporanea di cui all'art. 66, co. 2, del Codice. Invero, con nota del Direttore delle Gallerie dell'ottobre 2018 era stato predisposto l'elenco delle "opere generalmente escluse dal prestito" - annoverante anche il disegno di Leonardo - che però non le aveva individuate "in modo assoluto ed inderogabile", "riservando una decisione da assumere caso per caso", elemento questo del resto chiarito in una successiva nota dell'ottobre 2019 e confermato dalla circostanza che in precedenza erano state oggetto di prestito anche altre opere inserite nell'elenco (quali ad esempio la 'La Tempesta di Giorgione). "Pertanto" il disegno - prosegue l'ordinanza - non è stato individuato a termini dell'art. 66, co. 2, lett. b), e il suo prestito va ricondotto nell'ambito della "fattispecie di uscita temporanea prevista dall'art. 67, co. 1, lett. d)", che il Codice "ammette qualora sia richiesta in attuazione di accordi culturali". La consequenzialità del passaggio non è del tutto limpida. In sostanza, però, il giudice amministrativo, senza addentrarsi sul tema del rapporto fra l'art. 66, co. 2, lett. b), e art. 67, co. 1, lett. d), ma, procedendo per letture separate, perviene a due conclusioni entrambe corrette: la fattispecie in esame non ricade nell'ipotesi di esclusione dell'uscita prevista dalla prima disposizione, mentre rientra nell'ipotesi di uscita consentita dalla seconda disposizione qualora lo richieda l'attuazione di accordi culturali. Il risultato finale è che l'atto di autorizzazione non è ritenuto porsi in violazione dell'art. 66, co. 2, del Codice, per il profilo (di cui alla lett. b) appena considerato.

Dell'atto peraltro non viene ravvisata l'illegittimità neppure per il profilo di cui alla lett. a) (suscettibilità dell'opera a subire danni per il trasporto o la permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli). L'ordinanza ricorda che gli approfondimenti svolti dagli organismi tecnici nazionali (Opificio delle pietre dure e Istituto superiore per la conservazione e il restauro) si sono discostati motivatamente dai rilievi maggiormente cautelativi formulati dalle strutture interne (Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie dell'Accademia e Funzionario restauratore conservatore) e hanno considerato risolvibili le criticità prospettate, tramite l'adozione di opportune cautele quanto alla movimentazione del disegno, la riduzione dei giorni di esposizione e di illuminazione. Si sottolinea poi che, fermo restando il soddisfacimento delle esigenze di tutela - conseguibile anche con la successiva sottrazione del disegno alla visione del pubblico per un periodo prolungato -, le scelte relative alle forme e alle modalità di valorizzazione sono connotate da "ampi margini di discrezionalità" nella comparazione e ponderazione degli interessi pubblici coinvolti e nella specie connessi alla rilevanza mondiale dell'esposizione del Louvre, all'esigenza di valorizzare al massimo le potenzialità del patrimonio culturale italiano, alla collaborazione fra Stati, al ritorno di immagine e di riconoscibilità anche identitaria delle Gallerie, all'implementazione dei rapporti culturali dell'Istituto con il museo d'Oltralpe, nonché ai vantaggi conseguibili attraverso lo scambio con le opere di Raffaello.

D'altra parte, non ricorrendo nel caso di specie i vizi di "manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria" che rendono censurabile le scelte dell'amministrazione sul piano della legittimità, si conclude che non si ravvisa la violazione dell'art. 66, co. 2, lett. a). In definitiva neanche per questo profilo sono ritenuti sussistenti i presupposti per l'accoglimento della domanda cautelare.

Fin qui l'ordinanza. Alcune considerazioni non paiono inutili.

Anzitutto sul piano strettamente tecnico è interessante il modo con cui la decisione abbia declinato in termini di sindacato giurisdizionale il principio codicistico della priorità della tutela sulla valorizzazione. Il giudice ha prima esaminato se l'amministrazione avesse correttamente valutato il rischio di danni derivanti al disegno dal ventilato prestito, ossia il profilo della tutela affrontato in chiave di sindacato della discrezionalità tecnica (valutazione della salvaguardia del bene sulla base di apprezzamenti tecnici). Concluso questo vaglio ha considerato la ponderazione degli interessi sottostanti alla scelta di valorizzazione (rilevanza dell'esposizione, ritorno di immagine ecc.), ossia l'uso di una discrezionalità tipicamente amministrativa. Per ambedue i profili ha utilizzato il consueto criterio discretivo della non manifesta illogicità, incongruità ecc. In sintesi, senza operare una commistione fra i due tipi di discrezionalità, l'ordinanza ha svolto un controllo sulla legittimità della azione amministrativa in relazione a tutti gli aspetti che nella specie venivano in rilievo, pervenendo a risultati che complessivamente appaiono corretti e persuasivi.

Su un piano più generale va segnalato che l'ordinanza collegiale ha corretto la distorta lettura operata dal decreto monocratico sul rapporto fra politica e amministrazione. Le scelte sul prestito sono state ricondotte alla competenza della struttura amministrativa, mentre l'intervento del vertice politico espresso con il Memorandum è stato esattamente considerato come esercizio della "funzione di rappresentanza del ministero" a valle della individuazione delle opere oggetto di prestito operata dalle strutture dell'amministrazione. Per completezza si può aggiungere che l'accordo di collaborazione intervenuto nel 2017 fra i ministri dei due Paesi a monte della individuazione delle opere è a sua volta agevolmente riconducibile alle iniziative di indirizzo politico-amministrativo.

Ancor più in generale il caso dell'Uomo Vitruviano segnala l'esigenza di una revisione/semplificazione del quadro codicistico in tema di mostre e esposizioni d'arte. I diversi segmenti normativi ora presenti richiederebbero una riscrittura che ne agevolasse la gestione applicativa. Soprattutto sarebbe auspicabile una scelta più stabile nel tempo sul ruolo da assegnare alle mostre ed esposizioni d'arte, in particolare quando oggetto di accordi con istituzioni estere. Nel nuovo regolamento di organizzazione del ministero (art. 17, co. 2, lett. b), d.p.c.m. n. 76/2019) fra i compiti assegnati alla Direzione generale Musei è sparita l'adozione di "ogni opportuna iniziativa intesa ad agevolare la circolazione internazionale delle opere d'arte interessate dalle manifestazioni culturali concordate, ai sensi del Capo V del titolo I della parte seconda del Codice", che viceversa compariva nel precedente regolamento (art. 20, co. 2, d.p.c.m. n. 171/2014) [11]. Il dato segnala una variazione di policy, in sé legittima, ma anche la mobilità degli indirizzi in materia.

Da ultimo, un'avvertenza. Le ordinanze del giudice di primo grado in materia cautelare sono appellabili al Consiglio di Stato entro termini (trenta e sessanta giorni a seconda dei casi, cfr. art. 62, co. 1, c.p.a.) non ancora decorsi al momento in cui si licenzia questo scritto. Non si hanno notizie al riguardo, tuttavia la possibilità, francamente remota sul piano delle probabilità ma in astratto non escludibile, di un ritorno anticipato in Italia del disegno 'per motivi di giustizia', per altri motivi, questa volta 'caldi', sarebbe un'evenienza non esattamente auspicabile.

 

 

Note

[1] Ad esempio, il ventilato spostamento dei bronzi di Riace a Milano per l'Expo del 2015 non pare a memoria aver suscitato un interesse di eguale livello.

[2] Davanti alla legge, in Nuova Antologia, n. 2241, gennaio-marzo 2007.

[3] Cfr. nell'ordine gli artt. 14, co. 2, lett. i), 32, co. 1, lett. p), 35, co. 4, lett. h), e 34, co. 2, lett. l) (gli ultimi due nel caso di beni culturali in consegna di istituti del Mibact dotati di autonomia speciale oppure assegnati alle Direzioni territoriali delle reti museali), gli artt. 14, co. 2, lett. o), e 33, nonché l'art. 14, co. 2, lett. o).

[4] Cfr. il co. 4 dell'art. 71 e art. 67, co. 1, alinea.

[5] Non è chiaro se il divieto di uscita dal territorio italiano (co. 2 dell'art. 66), sicuramente valido per l'ipotesi per le mostre all'estero di cui al comma 1 dello stesso articolo, trovi applicazione anche per le ipotesi previste dal distinto art. 67, co. 1, in particolare se gli accordi culturali di cui alla lett. d) possano contemplare beni costituenti un "fondo principale", con l'effetto di sottrarne l'uscita dal richiamato divieto. La risposta dovrebbe essere affermativa pena il paradosso di un bene che, bisognoso di un intervento conservativo eseguibile solo all'estero, non potrebbe lasciare il territorio italiano perché qualificato come "fondo principale". Alla possibile obiezione che, se si ritenessero non applicabili alle ipotesi di cui all'art. 67, co. 1, i limiti previsti dal co. 2 dell'art. 66, verrebbe consentita un'uscita anche suscettibile di pregiudicare la condizione materiale del bene, potrebbe replicarsi che l'esigenza della conservazione è, ai sensi dell'art. 1, co. 6, del Codice, immanente a tutte le attività concernenti un bene culturale, sicché essa si impone a prescindere dalla applicabilità o meno della specifica previsione contenuta nell'art. 66, co. 1.

[6] Per gli aspetti richiamati nel testo si tengano presenti J.H. Merryman, Il controllo nazionale sull'esportazione dei beni culturali, in Riv. dir. civ., 1988, I, pag. 633 ss., L. Casini, Ereditare il futuro, Il Mulino, Bologna 2016, pag. 125 ss., A.L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Laterza, Bari 2019, pag. 237 ss. Sugli artt. 48, 66, 67 e 71 cfr. da ultimo, anche per ulteriori riferimenti, i commenti di S. Tuccillo, A. Simonati e C. Fraenkel-Haeberle, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Giuffré Francis Lefevre, Milano 2019, rispettivamente, pag. 514 ss., pag. 663 ss., pag. 670 ss. e pag. 722 ss. Per analogo giudizio sugli spazi di discrezionalità rimessa in materia all'autorità amministrativa cfr. F. Saitta, Art. 66 e Art. 71, in Codice dei beni culturali e del paesaggio. Commentario, (a cura di) G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, in Le nuove leggi civ. comm., 2005, pag. 1325 e pag. 1341.

[7] Il Memorandum, firmato il 24 settembre 2019, non appare esattamente riconducibile agli accordi di cui all'art. 67, co. 1, lett. d), del Codice, giacché interviene fra due autorità di Governo, a differenza di tali accordi che intercorrono fra istituzioni museali, di pertinenza quanto alla firma del direttore generale Musei ex art. 17, co. 2, lett. b), d.p.c.m. n. 76/2019.

[8] Cfr., ad es., F. Freni, Artt. 56-62, in Codice della giustizia amministrativa, (a cura di) G. Morbidelli, Giuffrè, Milano 2015, pag. 626 s., e R. Garofoli, G. Ferrari, Codice del processo amministrativo, Tomo II, Nel diritto editore, Roma 2010, pag. 902 s.

[9] Potrebbe altresì aggiungere che, come di nuovo rileva la successiva ordinanza del Tar, l'art. 7 del Memorandum afferma espressamente che l'accordo "sarà attuato nel rispetto delle legislazioni italiana e francese".

[10] Dal contesto in cui si colloca questa nota sfuggono i profili eminentemente di rito della vicenda. Tuttavia non può menzionarsi che l'ordinanza rilevi la non avvenuta notifica del ricorso al Museo del Louvre ritenuto controinteressato in senso tecnico (perché menzionato nell'autorizzazione impugnata e soggetto partecipante al relativo procedimento). Si tratta di un vizio preclusivo dell'esito favorevole del ricorso, a prescindere dalla fondatezza dei motivi di merito, perché comportante la sua stessa inammissibilità (cfr. artt 35, co. 1, e 41, co. 2, c.p.a.)

[11] Nel nuovo regolamento all'art. 12, co. 2, lett. z), si affida al Segretario generale il compito di assicurare "il coordinamento delle politiche dei prestiti all'estero dei beni culturali, in attuazione delle direttive del Ministro". Come dire, la competenza in precedenza prevista è stata mantenuta, seppur con assegnazione a una struttura sovraordinata, ma è sparito quel favor per la circolazione internazionale delle opere d'arte interessate da manifestazioni culturali concordate viceversa prima presente.

 

 

 



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