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Tutela e gestione

Concessione di valorizzazione e finanza di progetto: il difficile equilibrio tra conservazione, valorizzazione culturale e valorizzazione economica [*]

di Giuseppina Mari

Sommario: 1. Premessa. - 2. Beni culturali e beni comuni. - 3. Fruizione e nozione polisensa di valorizzazione. - 4. Concessione di valorizzazione. - 5. Istituti e luoghi della cultura e project financing. - 6. Terzo settore e forme speciali di partenariato. - 7. Considerazioni conclusive.

Concession and project financing: The difficult balance between conservation, cultural valorization and economic valorization
After some considerations on the concept of common goods, enjoyment and economic valorization of cultural heritage, the paper analyzes the concession for valorization and the project financing. The aim is to verify the compatibility between economic valorization and enjoyment of cultural heritage.

Keywords: Cultural Services; Cultural Heritage; Common goods; Public Contracts; Concession; Project financing.

1. Premessa

Il contributo si propone di esaminare le ragioni giuridiche dello scarso successo pratico degli strumenti cui nell'ultimo ventennio si è tentato di ricorrere per il recupero e la valorizzazione dei beni culturali pubblici tramite il coinvolgimento di soggetti privati, quali la concessione di valorizzazione e la concessione tramite project financing; alla luce delle ragioni individuate, dà poi conto degli strumenti recentemente introdotti dal legislatore nell'ambito della disciplina del terzo settore e del partenariato pubblico-privato per vagliarne la possibile maggiore efficacia.

Come premessa necessaria dell'analisi, la prima parte del contributo si sofferma sulla peculiare natura e sulla funzione dei beni culturali: il valore del bene culturale inteso come trasmissione della cultura e l'aspetto funzionale della proprietà culturale [1] costituiscono infatti un dato imprescindibile di partenza nell'esame e nella selezione dei relativi strumenti di gestione e di valorizzazione. Tale valore e tale aspetto funzionale suggeriscono un accostamento dei beni culturali ai beni comuni; verificatane l'assimilabilità relativamente ai beni culturali pubblici, si osserverà che la naturale vocazione comunitaria di questi impone di legare la valorizzazione economica alla salvaguardia e al miglioramento della fruizione pubblica.

È alla luce di tale legame necessitato che, nella seconda parte del contributo, viene spiegata la scarsa appetibilità, per gli investitori privati, di concessioni di valorizzazione e di concessioni a mezzo di finanza di progetto, specie nel caso in cui le iniziative non siano opportunamente integrate in progetti di trasformazione e di sviluppo territoriale e inserite in piani strategici di sviluppo culturale.

Allo scarso successo pratico degli strumenti di gestione in questione ha di recente corrisposto un'accentuazione del possibile ruolo del Terzo settore, nel Codice dedicato di cui al d.lg. n. 117/2017, nonché l'introduzione, nel Codice dei contratti pubblici del 2016, di "forme speciali di partenariato". La terza parte del contributo si sofferma su entrambi, evidenziando quali aspetti della relativa disciplina li rendano in concreto più idonei alla valorizzazione dei beni culturali rispetto alle forme di collaborazione pubblico-privata esaminate nella seconda parte.

2. Beni culturali e beni comuni

La funzione cui i beni culturali sono destinati e la loro naturale attitudine a soddisfare un pubblico interesse, identificabile nella crescita culturale della collettività, giustificano l'assoggettamento degli stessi ad una tutela giuridica differenziata [2] e spiegano perché i beni culturali, pur a fronte di possibili diversi regimi dominicali, siano stati qualificati come beni a proprietà funzionalizzata [3] - ossia beni la cui disciplina garantisce la preminenza dell'interesse sociale su quello individuale -, beni funzionali [4], beni comunque di interesse pubblico [5] anche se appartenenti a privati, beni pubblici non in quanto beni di appartenenza, ma in quanto beni di fruizione [6] (valorizzando l'inerenza al pubblico interesse piuttosto che l'appartenenza) [7].

I limiti alle facoltà di godere e disporre del bene, che il regime giuridico dei beni culturali comporta, rilevano nella direzione di una completa espressione del valore del bene culturale.

Il profilo relazionale insito nel regime dei beni culturali - che mira a creare un collegamento tra bene culturale e collettività, promuovendone la conoscenza e sviluppandone la fruibilità, senza disconoscere le esigenze delle generazioni future (sottese alla conservazione e protezione del bene stesso) - ha condotto a prospettarne l'inquadramento tra i beni comuni, pur mancando come noto una positivizzazione giuridica della categoria.

Nella proposta di disegno di legge della Commissione Rodotà - cui nel 2007 era stato affidato il compito di elaborare uno schema di disegno di legge delega per la riforma della disciplina dei beni pubblici del c.c. [8] - i beni comuni sono definiti come quelle cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona. A titolarità diffusa - potendo appartenere a persone giuridiche pubbliche o privati -, il relativo regime si caratterizza per la garanzia della fruizione collettiva, oltre a conformarsi al principio della salvaguardia intergenerazionale delle utilità. Tra i beni comuni - pur categoria aperta [9] - la proposta include espressamente i beni culturali.

Dall'inclusione nella categoria conseguirebbe per i beni nella titolarità di una persona giuridica pubblica la collocazione fuori commercio e "in ogni caso", vale a dire anche se di titolarità privata, l'obbligo di garantirne la fruizione collettiva.

È stato anche osservato che l'indicata proposta assegnerebbe ai beni comuni - distinti dai beni privati quanto da quelli pubblici - il compito di offrire una soluzione all'indebolimento della proprietà pubblica conseguente alle operazioni di privatizzazione realizzate con il doppio canale della dismissione o della concessione ai privati della gestione [10].

In relazione al tema la Cassazione, nelle note pronunce riferite alle "valli da pesca" della laguna veneta (richiamate in senso adesivo anche dalla Corte costituzionale [11]), ha sottolineato come dal quadro normativo-costituzionale (artt. 2, 9, 42 Cost.) emerga "l'esigenza interpretativa di 'guardare' al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-collettivistica"; per cui quando "un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni...destinato alla realizzazione dello Stato sociale..., detto bene è da ritenersi, al di fuori dell'ormai datata prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica, 'comune' vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini" [12]. Si tratta di una prospettiva che consente di considerare proprietà pubblica del bene e destinazione a finalità pubbliche (della collettività) aspetti scindibili [13].

Significativamente, è stato notato che la configurazione normativa della categoria dei beni comuni trova per molti aspetti corrispondenze nello status attuale dei beni culturali, "il quale appare paradigmaticamente anticipatore di talune esigenze sottese alla teorica dei beni comuni" [14]. Certamente suggestiva, l'affermazione va precisata rilevando che, nel quadro normativo vigente, lo statuto dei beni comuni può essere accostato al regime attuale dei beni culturali privati con riguardo alla garanzia della loro conservazione - e quindi al valore di esistenza e non al valore di uso di essi -, dal momento che dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) non è generalmente imposta la relativa fruizione collettiva (salvi casi tassativamente indicati, come, ad esempio, nell'art. 38) [15].

Per i beni culturali di appartenenza pubblica, invece, la proprietà è effettivamente orientata alla destinazione pubblica, tanto da condurre la dottrina a ragionare in termini di legame necessitato tra essi e fruizione collettiva [16]. Mentre la proprietà privata, pur fortemente conformata da uno speciale regime giuridico - che la dottrina ha descritto come doppio statuto dei beni tra diritto patrimoniale privato e potestà pubblica relativa al valore culturale del bene [17] -, resta un diritto soggettivo, in quella pubblica la destinazione pubblica "ne compenetra dall'interno il contenuto, traducendosi nei termini di funzione" [18].

La proprietà pubblica, quindi, è uno strumento per garantire effettività all'appartenenza collettiva [19] e, dunque, una generalizzata possibilità di fruire del bene.

Argomenti in tale senso possono trarsi dalla disciplina degli "acquisti privilegiati in tema di beni culturali" [20] previsti dal d.lg. n. 42/2004, la cui ratio è evoluta da esigenze di conservazione a quelle di valorizzazione. Nella prelazione artistica, ad esempio, l'art. 62, co. 2, prescrive a regioni ed enti territoriali di indicare nella proposta di prelazione "le specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene"; la motivazione qualificata è giudicata cogente anche per il Ministero (nonostante il diverso tenore letterale), per cui l'acquisto non potrebbe avvenire legittimamente "per mere finalità proprietarie", le quali, "senza un progetto di valorizzazione, rappresenterebbero un uso distorto di un potere ablatorio che è eccezionalmente concesso solo per la miglior cura e offerta al pubblico godimento del patrimonio culturale in quanto tale" [21].

Similmente, in caso di acquisto coattivo all'esportazione (art. 70) una motivazione basata sul solo interesse alla conservazione della cosa nel territorio nazionale o su esigenze di tutela sarebbe insufficiente, potendo tale interesse essere soddisfatto col diniego di attestato [22] e dalla disciplina di protezione applicabile ai beni privati.

Quanto all'espropriazione, sebbene la collocazione nel T.U. del 1999 nel capo dedicato alla "valorizzazione e godimento pubblico" ne rendesse più evidente la ratio rispetto all'attuale collocazione nel titolo I dedicato alla tutela [23], è stato rilevato che un esproprio del bene culturale finalizzato solo alla sua adeguata conservazione, sganciata da qualsiasi intervento teso alla messa a disposizione della collettività, sarebbe illegittimo [24].

3. Fruizione e nozione polisensa di valorizzazione

Coerentemente con l'art. 9 Cost., l'approccio attuale ai beni culturali è attento sia ad assicurarne la conservazione che a promuoverne le potenzialità come fattori di diffusione dei valori della cultura in cerchie sempre più ampie di cittadini [25]. Pacificamente, infatti, viene riconosciuto un rapporto di mezzo (co. 2) a fine (co. 1) tra i due commi dell'art. 9, secondo una "concezione dinamica della tutela" che vede i beni culturali "non come oggetti da conservare passivamente, ma come strumenti da utilizzare per promuovere lo sviluppo culturale" [26].

L'offerta alla conoscenza e al godimento collettivo (fruibilità), in una visione del bene culturale "come valore da preservare e come risorsa e servizio da rendere" [27], è "il fine ultimo della tutela", come esplicitato dall'art. 3 d.lg. 42/2004 che, nel dettagliare, definendole, la funzione e le attività di tutela, le indirizza a "fini di pubblica fruizione" [28].

La valorizzazione si esplica invece - e in ciò consiste il quid pluris rispetto alla tutela - in mezzi che migliorino le condizioni e le opportunità dell'offerta alla pubblica fruizione, consentendo un apprezzamento migliore o un più ampio accesso al bene [29]. L'attività di valorizzazione dei beni del patrimonio culturale trova nell'apertura alla fruizione collettiva la prima forma di esplicazione [30].

Peraltro, la proiezione alla fruizione in concreto va esaminata opportunamente distinguendo.

A seconda del tipo di soggetto cui il bene appartenga è prevista, infatti, una gradazione di obblighi [31]: se lo Stato e gli enti territoriali "assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione", in una scala decrescente di obblighi gli altri soggetti pubblici, "nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale", mentre i privati sono tenuti a garantirne la sola conservazione (art. 1).

Per questi ultimi la finalizzazione alla fruizione pubblica delle funzioni di tutela va quindi necessariamente intesa come conservazione al fine di rendere possibile la fruizione collettiva consegnando il bene intatto alla posterità [32]. Del resto, la legge delega sulla cui base è stato elaborato il Codice Urbani escludeva espressamente che potessero essere apportate restrizioni alla proprietà privata ulteriori rispetto al quadro previgente (art. 10, co. 2, legge 6 luglio 2002, n. 137) [33].

Diversamente, l'art. 2, co. 4, d.lg. 42/2004 dispone che "i beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività": in tale caso, "il dovere costituzionale di promozione della cultura rende preminente l'esigenza di destinare, nel modo più ampio possibile, il patrimonio culturale pubblico alla fruizione collettiva" [34]. Le uniche attenuazioni che la disposizione contempla riguardano, infatti, esigenze di uso istituzionale e di tutela.

Ma riguardo ai beni culturali di appartenenza pubblica un'ulteriore distinzione è necessaria.

Per gli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica (elencati e definiti nell'art. 101 d.lg. 42/2004) l'ordinaria destinazione alla fruizione da parte della collettività assume una specifica connotazione che vale a distinguerla ed arricchirla rispetto a quanto riconoscibile in via generale in relazione a ogni bene pubblico [35]: tali beni "espletano un pubblico servizio" [36], al quale sono destinati ex lege [37], con conseguente applicazione dei principi di doverosità dell'offerta al pubblico e con possibilità della concessione della gestione nell'ambito di un programma di servizio [38]. Diversamente dagli altri servizi pubblici, va poi evidenziato che quello culturale "non utilizza il bene come strumento", ma costituisce e "si atteggia come modo di essere del bene", in quanto "ontologicamente" - "almeno quello di proprietà pubblica" - orientato allo sviluppo della cultura e, quindi, alla fruizione pubblica, secondo destinazione desumibile dall'art. 9 Cost. [39].

Pertanto, "la fruizione, le sue modalità, e in definitiva il contenuto stesso della definizione" [40] variano a seconda che il bene culturale sia luogo di cultura o parte dell'istituto di cultura oppure sia al di fuori di essi. Per i secondi è necessaria una possibilità di fruizione ("è assicurata"), ma il Codice non impone una finalità esclusiva di fruizione collettiva del valore d'uso del bene che escluda ogni altro tipo di godimento di esso.

Le considerazioni svolte rilevano per individuare entro quali limiti e con quali strumenti possa realizzarsi la valorizzazione economica dei beni culturali.

In particolare, le fattispecie che più di altre consentono di esaminare il rapporto tra valorizzazione economica e fruizione pubblica - e su cui ci si soffermerà nel prosieguo - sono la concessione di valorizzazione e le concessioni di lavori che si avvalgano della finanza di progetto.

Ma l'analisi presuppone ancora alcune notazioni preliminari sulla nozione di valorizzazione economica.

Nell'accezione generale "valorizzare" significa porre in rilievo il valore di qualcosa, ed è stato notato [41] che il concetto "varia sostanzialmente a seconda della tipologia dei beni, delle utilità e degli interessi pubblici ai quali i beni sono collegati e delle attività ritenute più idonee al loro soddisfacimento". In particolare, diversi tipi di valorizzazione emergono articolando su due livelli l'analisi nei differenti contesti normativi: il livello delle finalità - con individuazione dei beni, degli interessi pubblici e delle utilità che si intende potenziare - e quello delle attività - con individuazione degli strumenti più idonei rispetto alle finalità.

Con riguardo ai beni culturali, escluso che la valorizzazione riguardi il valore di scambio [42] o il valore intrinseco di tali beni (realtà indipendente e preesistente alle forme di gestione [43]), una volta definite le utilità connesse ai beni culturali (sintetizzabili nell'accrescimento della conoscenza), la valorizzazione ha ad oggetto tali utilità - o valore d'uso [44] del bene - e indica sia la finalità di incrementarle sia le attività volte alla realizzazione di quel fine [45].

Il termine ha peraltro gradatamente acquisito un significato più ampio che ha messo in luce anche il profilo economico. A ciò ha contribuito l'attuale congiuntura economica che, imponendo un efficiente impiego di tutte le risorse a disposizione, ha accentuato la prospettazione della valenza economica dei beni culturali, accostati al turismo e in grado di attivare, ove valorizzati, un miglioramento del contesto urbano e sociale, valutabile anche in termini economici, contribuendo allo sviluppo di settori produttivi collegati.

È altrettanto noto che buona parte del patrimonio culturale italiano non è conservato o gestito in modo ottimale, per le altrettanto note cause della mancanza di fondi e del deficit di capacità progettuale delle amministrazioni, titolari o preposte alla tutela [46].

La valorizzazione ha così assunto "un'anima bifronte, quasi una natura ambivalente" [47]: da un lato, valorizzazione come incremento delle condizioni di fruizione collettiva, e quindi di godimento pubblico, del bene; dall'altro, una valorizzazione volta ad assicurare maggiori entrate finanziarie derivate dai beni culturali, sul presupposto di una concezione del settore culturale come insieme di beni e rapporti economicamente qualificabili quale fonte di profitto.

Tale natura ambivalente trova comunque fondamento nel Codice, che riconosce - e promuove (artt. 6 e 111) - il potenziale ruolo attivo, in ordine all'attività di valorizzazione, dei soggetti privati (anche imprenditoriali), evidentemente sul presupposto che proprietà soggettivamente pubblica e fruizione sono elementi che possono porsi "in combinazione funzionale" con l'utilizzazione economica dei beni da parte di soggetti privati [48].

Ma appunto di "combinazione funzionale" deve trattarsi: l'orientamento alla promozione dello "sviluppo della cultura" (art. 1 Codice) specifica la valorizzazione dei beni culturali rispetto a quella della generalità dei beni pubblici ed è una finalizzazione che fa prevalere sull'aspetto economico la conoscibilità del bene, la possibilità che la sua vocazione - "vocazione comunitaria" che si oppone al rischio di trasformare i cittadini in clienti rispetto al patrimonio culturale [49] - sia non solo salvaguardata ma anche resa operante [50]. La valorizzazione economica, quindi, non indica una finalità diversa dalla fruizione del bene (che condurrebbe a usarlo come mero mezzo per la produzione di un reddito), ma "quell'attività di gestione economica che tende, sì, a ricavare un reddito dal bene, ma è comunque finalizzata ad assicurare una migliore tutela e fruizione più ampia dei beni culturali" [51].

4. Concessione di valorizzazione

La valorizzazione degli immobili pubblici è volta genericamente a fare in modo che essi, da costo per l'amministrazione, diventino una fonte di reddito e si traduce in azioni che possono condurre anche all'affidamento in concessione, se non all'alienazione in caso di immobili non strettamente necessari e non inalienabili in base alla disciplina speciale [52].

Per effetto dei vincoli posti alla finanza pubblica dalla partecipazione all'U.E., queste azioni dalla fine degli anni '90 del secolo scorso sono aumentate.

La valorizzazione è inoltre associata allo sviluppo di attività economiche, con obiettivi di riqualificazione di contesti urbani e sviluppo locale degli enti territoriali.

Emblematica al riguardo la legge finanziaria per il 2007 cui si deve la previsione dello strumento del "programma unitario di valorizzazione" (art. 1, co. 262, legge 27 dicembre 2006, n. 296) - quale modalità di pianificazione razionale degli interventi su un complesso patrimoniale pubblico dello stesso contesto territoriale, la cui programmazione viene gestita contestualmente, con obiettivi di riqualificazione urbana e sviluppo locale [53] - e della "concessione di valorizzazione" (art. 1, co. 259 che ha inserito l'art. 3-bis nel d.l. 351/2001, conv. in legge 410/2001, rubricato "Valorizzazione e utilizzazione a fini economici dei beni immobili tramite concessione o locazione") - tramite cui, oltre al recupero del bene, si mira ad attivare meccanismi virtuosi di trasformazione urbana e sviluppo locale.

Con specifico riguardo alla seconda, la concessione, a titolo oneroso e avente ad oggetto beni immobili statali o di enti territoriali [54], è esplicitamente funzionale alla riqualificazione e riconversione dei beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con introduzione di nuove destinazioni d'uso per lo svolgimento di attività economiche o di servizio per i cittadini. La relativa durata va commisurata all'equilibrio economico/finanziario dell'attività, sì da rendere l'iniziativa appetibile per investimenti privati di lungo termine.

L'applicabilità ai beni culturali è espressamente prevista, con salvezza però delle specificità derivanti dal relativo regime giuridico [55], e quindi, per quanto sopra evidenziato, purché sia salvaguardata la naturale destinazione del bene culturale alla pubblica fruizione e la sua naturale demanialità, intesa come appartenenza diretta all'uso generale.

A tale fine, è opportuno evidenziare i seguenti aspetti.

La concessione di valorizzazione ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 57-bis d.lg. 42/2004 (inserito nel Codice dal d.lg. 62/2008) che, sotto la rubrica "Procedure di trasferimento di immobili pubblici", prescrive l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 54-56 "ad ogni procedura...di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata ... mediante ... la concessione in uso ... degli immobili medesimi" [56].

Trovano quindi applicazione le disposizioni che in tema di alienazione di beni culturali pubblici, al fine di salvaguardare il bene da possibili compromissioni o da limiti all'accessibilità da parte della collettività nel momento in cui si determina il mutamento del titolo di proprietà [57], prevedono strumenti di controllo preventivo.

La concessione è subordinata, pertanto, a un'autorizzazione della Commissione regionale, su parere del Soprintendente [58], la ratio della cui previsione risiede nella garanzia che il bene oggetto del processo di valorizzazione e utilizzazione economica non veda la propria valorizzazione culturale "travolta" dalla diversa finalità della valorizzazione economica.

La garanzia in cui si sostanzia il disposto dell'art. 57-bis trova fondamento nella natura del bene come bene di fruizione [59]. Se le esigenze di protezione esigono di evitare che beni "capaci di produrre ed esprimere un senso" [60] siano adibiti ad usi che ne pregiudichino la conservazione o non compatibili con il carattere storico artistico, il principio della fruizione pubblica impone di negare l'autorizzazione quando la destinazione d'uso proposta "sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla ... fruizione pubblica del bene" (art. 55, co. 3-bis) [61].

Nella domanda di autorizzazione devono pertanto risultare gli obiettivi di valorizzazione, la destinazione d'uso prevista - anche in funzione degli indicati obiettivi - e le modalità di fruizione pubblica del bene, anche in rapporto con la situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso.

Che i menzionati obiettivi di valorizzazione abbiano riguardo all'accezione culturale del termine si ricava dal fatto che il Codice differenzia il contenuto dell'istanza e dell'autorizzazione a seconda che esse abbiano ad oggetto beni del demanio culturale o beni appartenenti ad enti pubblici diversi dallo Stato e dagli enti territoriali: posto che ai sensi dell'art. 1, co. 3, d.lg. 42/2004 solo lo Stato e gli enti territoriali hanno un obbligo di valorizzazione culturale, l'art. 56 non ripropone per i soggetti pubblici diversi l'essenzialità dell'indicazione di tali obiettivi.

L'autorizzazione [62] stabilisce, tra l'altro, "le condizioni di fruizione pubblica del bene" e si pronuncia sulla congruità di modi e tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione (art. 55, co. 3). Sotto il primo profilo, l'effettività della fruizione è assistita dalla previsione per cui l'inosservanza di tali condizioni - trascritte nei registri immobiliari - dà luogo alla revoca senza indennizzo (similmente alla clausola risolutiva espressa prevista dall'art. 55-bis in caso di alienazione, la cui previsione conforta l'idea di una conformazione della nuova proprietà alle finalità codicistiche come salvaguardia della vocazione naturale del bene [63]). Sotto il secondo profilo, viene in rilievo una singolare competenza amministrativa statale sulla valorizzazione (anche per gli enti territoriali), la cui giustificazione può ravvisarsi nella preservazione della vocazione naturale del bene.

Si attagliano, così, all'autorizzazione a concedere le riflessioni della dottrina su quella ad alienare: entrambe sono occasione per imporre le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio culturale e, anzi, l'autorizzazione è rilasciata "in quanto lo scopo della valorizzazione sia perseguibile in maniera più adeguata" [64] (tanto che si giunge ad affermare che con l'alienazione si verificherebbe l'effetto di "trasposizione del contenuto della demanialità" [65]). Ne consegue anche che, se il bene non è allo stato fruibile, non se ne potrebbe autorizzare l'alienazione (o la concessione) se non programmandone la possibilità di fruizione pubblica.

Ciò ha evidenti ripercussioni sulla destinazione del bene concesso.

Il Consiglio di Stato [66] interpreta la garanzia della fruizione pubblica ex art. 55 come volta a preservare l'accessibilità della collettività al bene culturale per consentire visione e percezione dei valori storici e artistici da esso espressi (peraltro distinta dalla "destinazione d'uso a scopi di interesse pubblico che non è di per sé garantista delle condizioni di accessibilità"). Se così è, l'utilizzo del bene per servizi (come alberghi, ristoranti, negozi, strutture sanitarie, scuole etc.) e in genere per usi privati aperti al pubblico, ossia accessibili non direttamente per la generalità indifferenziata del pubblico ma per un pubblico selezionato in base a titoli speciali di ingresso [67], non può che essere parziale o comunque combinato con forme di fruizione collettiva regolamentate.

Si tratta di una valutazione - diversa dalla valutazione della compatibilità dell'uso ex art. 20 Codice - da compiere secondo ragionevolezza, con attenzione al contenuto del provvedimento di vincolo o comunque allo specifico valore culturale la cui fruibilità va salvaguardata [68], e che è tale da incidere sulla disponibilità piena del bene da parte del concessionario.

Ulteriori elementi denotano che nella disciplina della concessione il legislatore ha tenuto conto della "vocazione comunitaria" dei beni culturali pubblici.

Nel prevedere l'assegnazione della concessione con procedura di evidenza pubblica, il citato art. 3-bis d.l. 351/2001 contestualmente rinvia solo "in quanto compatibile" all'art. 143 del Codice dei contratti pubblici del 2006 sulla concessione di lavori pubblici, così differenziando da questa la concessione in parola [69] (fugando dubbi sulla possibile assimilazione cui avrebbero potuto condurre la realizzazione di interventi come elemento consustanziale della concessione, la presenza di un piano economico finanziario, il legame tra durata della concessione e raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e la gestione del bene con assunzione dei rischi). La concessione di valorizzazione ha quindi ad oggetto la facoltà d'uso di immobili di proprietà pubblica: gli interventi di recupero sono strumentali alla rifunzionalizzazione dei beni per il loro utilizzo a fini economici (tant'è che nei bandi, come quelli previsti per l'iniziativa "Valore Paese Dimore", è esclusa espressamente l'applicabilità del vigente Codice dei contratti pubblici, d.lg. 18 aprile 2016, n. 50 [70]) e la fruizione pubblica del bene culturale è dedotta nelle condizioni del provvedimento siccome connaturale all'oggetto della concessione.

La vocazione comunitaria del bene culturale spiega anche perché l'art. 57-bis, identificando il proprio ambito applicativo nelle procedure di valorizzazione "anche a fini economici", inserisca la congiunzione "anche". La congiunzione - che ha originato il dubbio che il complesso procedimento di cui all'art. 57-bis trovi applicazione anche in caso di utilizzazioni non aventi fini economici, ma culturali, scientifici o di ricerca - vale ad indicare che per i beni in questione la valorizzazione economica - che nella fattispecie non può mancare [71] - non può essere scissa da quella culturale.

Viene in rilievo, quindi, una peculiare tipologia di concessione in uso individuale del bene rientrante nel demanio culturale - secondo la nota distinzione tra uso particolare, uso speciale ed uso generale [72] - che si caratterizza, rispetto alla concessione ex art. 106 d.lg. 42/2004 [73], sotto il profilo teleologico della finalizzazione della concessione del bene alla "valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici" e per una durata particolarmente ampia in ragione dei tempi di realizzazione e dell'impegno finanziario connessi agli obiettivi di valorizzazione.

Queste caratteristiche, poiché determinano "una cesura temporale significativa nelle potestà dominicali dell'amministrazione concedente sul bene concesso" [74], giustificano, per effetto delle condizioni recate dall'autorizzazione, la "trasposizione del contenuto della demanialità" (vale a dire l'orientamento concreto alla fruizione e la sua valorizzazione) che la concessione determina [75].

Il bene concesso resta poi soggetto alla disciplina di tutela con conseguente necessità delle autorizzazioni necessarie ex art. 21 d.lg. 42/2004, non potendo essere considerato mero mezzo, ma avendo anche - e soprattutto - un valore intrinseco da tutelare e valorizzare [76].

I limiti alle possibili destinazioni e il "rischio amministrativo" - che è alimentato anche dalla probabile concorrenza di competenze amministrative relative a interessi pubblici differenziati, non eclissabili dal vaglio effettuato sul progetto di gestione e valorizzazione [77] - sono aspetti di fatto disincentivanti per i potenziali richiedenti e restituiscono l'immagine di uno strumento di valorizzazione che non ha avuto, tra gli strumenti gestionali [78], un'amplissima applicazione [79].

Lo strumento potrebbe avere maggiori opportunità di interesse se fosse inserito in più ampie strategie riferite al territorio, capaci di fornire una vera e propria re-interpretazione del valore del bene, potenzialmente fruttuosa.

L'esperienza evidenzia come le concessioni di valorizzazione che hanno conseguito buoni risultati sono quelle inserite in strategie più ampie di riqualificazione territoriale, come il caso della Caserma Cavalli di Torino, oggi sede della Scuola Holden, trasferita dal demanio al comune nell'ambito del federalismo culturale [80] - exart. 2 d.lg. 85/2010 e, quindi, sulla base di un accordo di valorizzazione [81] e del conseguente piano strategico di sviluppo culturale ex art. 112 d.lg. 42/2004 funzionale alla riqualificazione e valorizzazione dell'ambito urbano del Borgo Dora già oggetto di significativi interventi di recupero - e poi concessa a privati per funzioni didattico-culturali e assistenziali, garantendo la fruizione pubblica regolamentata del bene.

5. Istituti e luoghi della cultura e project financing

La possibilità di affidare il restauro e la gestione del bene culturale tramite la procedura della finanza di progetto rappresenta un ulteriore punto di osservazione della necessità di contemperare valorizzazione economica e fruizione pubblica.

La naturale destinazione dei beni culturali alla fruizione pubblica e l'essere quindi naturalmente idonei a fornire un servizio culturale al pubblico (art. 111 d.lg. 42/2004) spiega perché la restituzione del bene pubblico alla sua intrinseca vocazione, tramite un progetto di restauro e di gestione di attività idonee a consentirne pubblica fruizione e valorizzazione, possa iscriversi nel modello della concessione di costruzione e gestione e realizzarsi con la procedura della finanza di progetto [82].

Astrattamente la finanza di progetto è nella specie applicabile, ancorché il Codice dei contratti pubblici del 2016 non ne sancisca - diversamente dal Codice del 2006 (d.lg. 163/2006, art. 197) - l'espressa applicabilità all'affidamento di lavori relativi a beni culturali e alle concessioni di cui agli artt. 115 e 117 d.lg. 42/2004 [83].

L'art. 145, co. 3, del vigente Codice dei contratti pubblici contiene, infatti, un rinvio generalizzato alla disciplina comune [84] per quanto non diversamente disposto nello specifico capo dedicato agli "Appalti nel settore dei beni culturali". Peraltro, la dottrina [85] ha ravvisato tra Codice Urbani e Codice dei contratti pubblici un rapporto di "di integrazione", tale per cui "le disposizioni degli artt. 115 e 117 vanno esaminate e interpretate all'interno del tessuto del Codice dei contratti".

Lo schema tipico della concessione di costruzione (lavori di restauro) e gestione (servizio pubblico di apertura alla pubblica fruizione e valorizzazione del bene) solleva il problema del rapporto tra valorizzazione economica e fruizione del patrimonio culturale in termini particolarmente complessi se riferito a istituti o luoghi della cultura - i quali espletano ex lege un servizio pubblico e per la valorizzazione dei quali il Codice di settore prevede (art. 115) le forme della gestione diretta o indiretta, quest'ultima nella forma della concessione di servizio pubblico [86].

La questione è di particolare rilievo, condizionando le probabilità di ipotizzare l'equilibrio economico-finanziario essenziale per attrarre investitori.

Sul tema è doveroso riferirsi alla nota vicenda del progetto di riqualificazione del "complesso monumentale" Ospedale Vecchio di Parma, che ha dato adito al confronto tra due opposte letture degli artt. 101 e 117 Codice di settore: la prima secondo cui gli istituti e luoghi della cultura pubblici devono per la totalità essere destinati alla fruizione culturale pubblica diretta nell'ambito del servizio pubblico di fruizione e valorizzazione; la seconda fornisce dell'art. 101 un'interpretazione più flessibile, nella misura in cui ammette che la destinazione ad un pubblico servizio può non essere totalitaria e che la fruizione pubblica può essere compatibile con la gestione privata di una parte (minoritaria) del bene culturale.

Nel dettaglio il giudice di primo grado [87] aveva giudicato il progetto di riqualificazione che prevedeva la destinazione del 44% della superficie riqualificata ad uso privato per attività di tipo alberghiero e commerciale (senza altra specificazione) contrario al principio della necessaria destinazione alla pubblica fruizione e alla funzione di servizio pubblico sanciti, per i complessi monumentali, dall'art. 101 cit. Con argomentazioni condivisibili, gli istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica sono considerati una "categoria a sé stante" per la quale non è consentita l'attribuzione in uso particolare per svolgere attività che, ferma restando l'accessibilità da parte della generalità degli individui, abbiano il solo limite (in negativo) della non compromissione dell'integrità del bene e dei valori storico-artistici. Né, le tipologie di attività avrebbero potuto essere inquadrate nei servizi per il pubblico ex art. 117 d.lg. n. 42/2004, i quali, per essere tali, devono involgere un uso che sia: "preordinato" a finalità di interesse pubblico, coerente con il valore culturale tutelato e "strumentale" al pieno godimento di questo da parte della collettività [88].

Di contro, il Consiglio di Stato [89] ha fornito la seconda delle letture poc'anzi indicate. Proprio la previsione nel Codice dei contratti pubblici (ma il riferimento è al previgente del 2006) del project financing anche per interventi su beni culturali avrebbe dimostrato la compatibilità della fruizione pubblica con la gestione privata di una parte del bene culturale (trascurando di considerare, però, che la gestione può concernere i servizi per il pubblico). In una seconda sentenza [90] riguardante la medesima vicenda il Consiglio di Stato ha aggiunto - delimitando la portata dirompente della prima - che nell'ambito dei servizi aggiuntivi di cui all'art. 117 cit. potevano ritenersi inclusi anche servizi connessi all'esercizio di attività ricettive e commerciali, potendo predicarsi la loro "complementarietà...rispetto alla destinazione principale del bene".

La seconda delle indicate sentenze se appare condivisibile nella misura in cui - rispetto alla prima - si pone in linea con la pronuncia di primo grado sulla necessaria complementarietà alla destinazione principale del bene delle ulteriori attività lucrative, non lo è nella parte in cui fornisce una lettura eccessivamente ampia di detta complementarietà.

Ferma la natura esemplificativa dell'elenco di cui all'art. 117 [91], di esso ne va però rispettata la ratio: attività ulteriori possono esservi ricondotte purché siano di ausilio ai compiti principali di fruizione e valorizzazione, volte a favorire maggiore conoscenza e godimento del bene da parte dei fruitori [92]. In tale senso in giurisprudenza i servizi per il pubblico vengono definiti "servizi di valorizzazione culturale" [93] e per la Cassazione [94] "costituiscono una modalità, un completamento della fruizione del bene culturale" - tanto da essere accomunati nello strumento di affidamento (concessione di servizio pubblico) al servizio pubblico di valorizzazione [95].

L'incompatibilità di forme di fruibilità 'mediate' dall'accesso a servizi di tipo commerciale (ristorazione, alberghiero, ecc.) [96], in cui la fruibilità del bene è filtrata dall'acquisto della prestazione di un servizio privato non strettamente funzionale a favorirne la maggiore conoscenza o a migliorare l'esperienza di fruizione da parte di un pubblico generalizzato, trova ulteriore argomenti nel decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 (convertito in legge 12 novembre 2015, n. 182) [97] che ha incluso nei servizi pubblici essenziali l'apertura al pubblico degli istituti e luoghi di cultura: apertura al pubblico è sinonimo di fruizione, che - intesa come prius o contenuto minimo della valorizzazione - implica innanzitutto la possibilità di accedere al bene.

Il legislatore ha ribadito, quindi, che i beni culturali in questione devono poter essere fruiti affinché possano svolgere la funzione loro assegnata [98], tanto da condurre a riconoscere un "diritto a prestazione" in capo al potenziale fruitore [99].

L'aver qualificato il servizio come "essenziale" implica anche che il diritto sia comprimibile solo in presenza di un interesse pubblico superiore, mentre la carenza di risorse pubbliche non può giustificarne la mancata soddisfazione (dovendo la relativa garanzia, nella definizione di indirizzi politici e priorità di spesa, essere anteposta ad attività che non godono delle stesse garanzie costituzionali e legislative).

La tesi restrittiva cui si aderisce non implica comunque che, ove possibile, il restauro di un istituto o luogo di cultura non possa essere affidato ai privati interessati, con conseguente concessione della gestione degli annessi servizi per il pubblico: piuttosto, è la concreta possibilità di un equilibrio economico finanziario dell'iniziativa a rendere l'operazione fattibile solo con riguardo ai beni maggiormente attrattivi, idonei a garantire un'adeguata remunerazione al privato [100] e con riguardo ai quali, quindi, il piano economico finanziario può risultare congruo senza necessità di stravolgere la naturale destinazione e vocazione del bene.

Alla tradizionale classificazione, dal punto di vista economico-finanziario, dei beni culturali come progetti "tiepidi" si aggiunge il rischio amministrativo già rilevato per le concessioni di valorizzazione [101].

In particolare, con riguardo all'autorizzazione prescritta dall'art. 21 d.lg. 42/2004, il quadro normativo di riferimento prevede l'approvazione preventiva del progetto di fattibilità tecnica ed economica, ma mancano indicazioni (anche nel regolamento di cui al d.m. 154/2017 [102]) su come possano svolgersi celermente le ulteriori fasi di controllo sul progetto [103].

La normativa vigente non garantisce quindi linearità e chiarezza alle procedure amministrative, con inevitabili ricadute in termini di efficacia degli strumenti di valorizzazione in questione.

6. Terzo settore e forme speciali di partenariato

L'allineamento virtuoso tra tutela, valorizzazione culturale e valorizzazione economica [104] è più agevole nelle ipotesi in cui il privato non è mosso dalla finalità egoistica di un profitto economico, non profilandosi il rischio di un appiattimento degli obiettivi culturali su quello dell'utile economico [105].

In linea con tale considerazione, si è assistito - anche in ragione dello scarso riscontro alle iniziative di concessione di valorizzazione e di concessione tramite project financing - a un recente incremento dell'appello a soggetti no profit operanti nel settore dei beni e delle attività culturali [106].

Un primo esempio è il d.m. 6 ottobre 2015 [107], che ha previsto la concedibilità in uso di beni del demanio culturale statale - individuati con decreto del segretario generale - per l'utilizzo dei quali non sia corrisposto alcun canone e necessitanti di interventi di restauro [108]. Il d.m. è dichiaratamente volto a soddisfare l'esigenza tanto di migliorare il servizio pubblico di apertura alla pubblica fruizione e di valorizzazione di immobili allo stato non aperti al pubblico e non valorizzati, quanto di favorire, con la concessione in gestione, la realizzazione di interventi di conservazione programmata, tramite attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro, da finanziare con il reinvestimento integrale dei proventi della pubblica fruizione e valorizzazione (compresi servizi complementari ex art. 117 Codice) e forme di raccolta di fondi, sponsorizzazioni ed erogazioni liberali. Al fine di incentivare la manutenzione programmata del bene secondo un piano economico-finanziario previamente approvato, dal canone sono detratte le spese sostenute dal concessionario per il restauro.

La tipologia di concessione in questione può essere oggi ricondotta alle "forme speciali di partenariato" nel settore del patrimonio culturale previste dall'art. 151, co. 3, d.lg. 50/2016, volte a consentire "il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili" e attivabili "con enti e organismi pubblici e con soggetti privati" tramite procedure semplificate analoghe a quelle previste per la sponsorizzazione. Le finalità peculiari - "assicurare la fruizione del patrimonio culturale" e "favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela" [109] - distinguono questa fattispecie da quella generale del partenariato pubblico-privato di cui agli artt. 180 ss. del medesimo d.lg. 50/2016 in cui "la cooperazione è diretta a garantire il finanziamento, la realizzazione o gestione di un'opera pubblica a fini remunerativi e la individuazione del partner deve avvenire mediante procedure a evidenza pubblica" [110].

L'art. 151 abbraccia una "pluralità dinamica e mutevole di forme di partenariato" [111], quali il concorso in attività prodromiche alla tutela, come ricerche sulle tecnologie e scienze applicate al restauro, la catalogazione, fino ad arrivare alla concessione in gestione [112] e, per l'appunto, all'instaurazione di forme di collaborazione con soggetti del terzo settore e del volontariato ex art. 118, co. 4, Cost. [113].

L'inquadramento nell'art. 151 trova conferma nel Codice del Terzo settore, decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. Questo, all'art. 71, comma 3, consente allo Stato e agli enti pubblici in genere di concedere beni culturali immobili, necessitanti di interventi di restauro, a enti del terzo settore [114] che svolgono, tra le "attività di interesse generale" elencate all'art. 5, quelle aventi una finalità culturale [115].

I fini cui la concessione è diretta - nell'ottica del riuso dei beni culturali per finalità esplicitamente culturali - sono non solo riqualificazione e riconversione del bene - anche con introduzione di nuove destinazioni d'uso per lo svolgimento delle attività menzionate -, ma anche la realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri corretta conservazione, apertura alla pubblica fruizione e migliore valorizzazione.

La rilevanza della disposizione risiede, da un lato, nella previsione di un canone agevolato (da cui detrarre le spese di recupero) e, dall'altro, nel raccordo con le disposizioni del d.lg. 50/2016 essendo prescritto che l'individuazione del concessionario avvenga con "le procedure semplificate di cui all'articolo 151, comma 3" d.lg. 50 cit.

Sotto questo secondo profilo, la previsione è rilevante perché amplia ad altri soggetti pubblici la possibilità di ricorrere alla procedura semplificata che il d.lg. 50/2016 pare testualmente riferire al solo Ministero [116].

Quanto al primo profilo di rilevanza, l'agevolazione è giustificata dagli scopi sociali perseguiti, ma la previsione di un canone - diversamente dalla natura gratuita del comodato d'uso che il co. 2 del medesimo art. 71 prevede per gli immobili pubblici non usati per fini istituzionali - ha comunque un effetto limitativo rispetto alle potenzialità dell'istituto: come evidenziato dall'ANCI [117], "non essendo previsto un abbattimento del canone concessorio rispetto ad una valutazione non solo economica, ma anche del valore sociale, culturale, occupazionale del processo di valorizzazione, ... sembra confermarsi l'approccio esclusivamente economicistico al recupero e alla valorizzazione del patrimonio culturale pubblico". Diversamente, il principio di redditività del patrimonio pubblico [118] potrebbe nella specie trovare un ragionevole contemperamento con gli interessi pubblici di rilievo superiore sottesi al recupero e alla valorizzazione dei beni.

Al fine di coinvolgere gli enti del settore sin dalla fase di elaborazione strategica degli obiettivi di valorizzazione, l'art. 55 d.lg. 117/2017 introduce - in attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità - il metodo della co-programmazione nell'esercizio delle funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di cui all'art. 5 cit. Ciò allo scopo di individuare i bisogni da soddisfare, gli interventi a tale fine necessari, le modalità di realizzazione degli stessi e le risorse disponibili.

Viene così codificato il ruolo - per quanto non decisorio - del Terzo settore in sede strategica e programmatoria, con un contributo alla qualità istruttoria della decisione che può agevolare l'inserimento delle concessioni di beni culturali in processi più ampi di governance territoriale.

La disposizione va letta insieme all'art. 112 d.lg. 42/2004 che, rispondendo a esigenze di cooperazione, prevede la stipula di accordi di valorizzazione tra Stato ed enti territoriali quale strumento convenzionale di gestione dei processi decisionali e operativi per la definizione di strategie e obiettivi comuni di valorizzazione sulla cui base elaborare piani strategici di sviluppo culturale e programmi relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Il coinvolgimento degli enti no profit (di cui l'art. 112 si occupa solo per ammetterne la partecipazione ai soggetti giuridici eventualmente costituiti ai sensi del co. 5 per l'elaborazione e lo sviluppo del piano strategico) risulta ora potenziato.

A fronte di tale apertura persiste invece nel sistema complessivo disegnato dal Codice Urbani - ed è questa un'ulteriore causa dello scarso successo pratico delle concessioni di valorizzazione o delle concessioni tramite finanza di progetto - la mancanza di una regolamentazione della partecipazione dei soggetti profit alle discussioni sugli obiettivi di valorizzazione; la partecipazione potrebbe invece contribuire ad orientare detti obiettivi in direzioni che siano coerenti con la vocazione comunitaria del bene culturale pubblico ma anche compatibili con le esigenze di profitto.

Le difficoltà e le criticità evidenziate spiegano l'interesse che suscita il partenariato speciale di cui al già citato art. 151, co. 3, Codice dei contratti pubblici.

La "specialità" della procedura e dell'oggetto del partenariato costituisce una risposta alla complessità della valorizzazione svolta secondo le forme tradizionali, impostate ex ante con una specificazione preventiva e rigida del contenuto e dell'oggetto dell'affidamento.

Di contro, l'art. 151 può riferirsi a rapporti di collaborazione dinamica, caratterizzati da flessibilità operativa in itinere, aperti a vari possibili contenuti operativi: dalla pianificazione strategica della valorizzazione sino alla gestione del patrimonio culturale.

In tale senso, il Mibac [119] ha evidenziato come l'istituto possa trovare applicazione anche in relazione agli accordi di valorizzazione di cui all'art. 112 Codice, consentendo il partenariato di beneficiare del sostegno di soggetti privati che possono fornire un contributo ideativo e propositivo - nella fase "ascendente" di definizione dell'accordo - per l'individuazione di obiettivi e strategie, e - nella fase "discendente" applicativa dell'accordo di valorizzazione - per l'elaborazione dei conseguenti piani e progetti attuativi delle linee strategiche e programmatiche riversate nell'accordo ex art. 112 [120].

Ma l'ampiezza dell'ambito oggettivo dell'art. 151 consentirebbe di comprendere tra i tipi e le cause contrattuali ad esso riconducibili anche iniziative di recupero e pubblica fruizione, configurando forme di collaborazione di lunga durata che, pur non pervenendo ad una forma di partenariato istituzionale, si connotino per una maggiore strutturazione organizzativa rispetto al partenariato contrattuale tradizionale, con la previsione ad esempio di tavoli tecnici a composizione mista con il partner privato [121].

Resta da comprendere se il partenariato speciale sia limitato ai casi in cui le finalità di fruizione e ricerca scientifica siano combinate, come parrebbe presupporre ad una prima lettura la più volte citata circolare del Mibac del 2016, o possano ricorrere disgiuntamente.

7. Considerazioni conclusive

L'orientamento alla promozione dello "sviluppo della cultura" caratterizza la valorizzazione dei beni culturali rispetto a quella della generalità dei beni pubblici ed è una finalizzazione che fa prevalere sull'aspetto economico la conoscibilità del bene, la possibilità che la sua "vocazione comunitaria" sia salvaguardata ma anche resa operativa.

Tale legame necessitato tra i beni culturali pubblici e la fruizione spiega lo scarso successo pratico delle iniziative di concessione di valorizzazione e di concessione di restauro e valorizzazione mediante project financing (specie ove riferite queste ultime a istituti e luoghi della cultura) promosse dalle amministrazioni pubbliche allo scopo di conseguire il recupero del bene culturale offrendolo poi in gestione all'investitore. I limiti alle possibili destinazioni d'uso di tali beni (nonostante alcune aperture - qui criticate - della giurisprudenza del Consiglio di Stato) ed il c.d. rischio amministrativo - aggravato dalla pluralità delle competenze e da un quadro normativo non sempre chiaro - sono aspetti di fatto rivelatisi disincentivanti per i soggetti potenzialmente interessati.

I pochi casi di ricorso efficace a tali strumenti denotano come maggiori possibilità di successo possano aversi ove essi siano inseriti in più ampie strategie di riqualificazione territoriale (formulate nell'ambito di piani strategici di sviluppo culturale).

Le difficoltà che i soggetti pubblici incontrano nella gestione proficua e nella conservazione dei beni culturali di loro pertinenza e i limiti degli strumenti tradizionali esaminati hanno condotto il legislatore a prevedere, da un lato, nel Codice del terzo settore del 2017 una disciplina generale della concessione di beni culturali immobili necessitanti di interventi di restauro a enti del terzo settore che svolgano attività con finalità culturale - sul presupposto che l'allineamento tra tutela, valorizzazione culturale e valorizzazione economica sia in tali casi più agevole - e nel Codice dei Contratti pubblici del 2016 "forme speciali di partenariato" - idonee a favorire un coinvolgimento dei privati in rapporti dinamici e flessibili, dalla pianificazione strategica della valorizzazione sino alla gestione.

 

Note

[*] Il presente scritto riprende l'intervento al convegno annuale A.I.P.D.A. Associazione Italiana Professori di Diritto Amministrativo "Arte, cultura e ricerca scientifica. Costituzione e amministrazione", Università degli Studi "Mediterranea" di Reggio Calabria, 4-6 ottobre 2018.

[1] Su cui S. Cassese, I beni culturali: sviluppi recenti, in Beni culturali e comunità europea, (a cura di) M.P. Chiti, Milano, 1994, pag. 343.

[2] A. Serra, L'incidenza del regime dominicale dei beni culturali sulle modalità di gestione, in Aedon, 2002, 3.

[3] Cfr. S. Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, pag. 47 ss.

[4] M. Grisolia, La tutela delle cose d'arte, Roma, 1952, 202.

[5] A.M. Sandulli, Spunti per lo studio dei beni privati di interesse pubblico, in Dir. econ., 1956.

[6] M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 3; Id., I beni pubblici, Roma, 1963, pagg. 92-93. Si veda L. Casini, «Todo es peregrino y raro...»: Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, pag. 993.

[7] In argomento S. Foà, Gestione e alienazione dei beni culturali, in Dir. amm., 2004, pag. 349 ss.

[8] Consultabile in Pol. dir., 2008, 3 e su cui U. Mattei, E. Reviglio, S. Rodotà, I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010.

[9] L. Nivarra, I beni comuni: dalla fruizione alla gestione, in Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, (a cura di) E. Battelli, B. Cortese, A. Gemma, A. Massaro, Roma, 2017, pag. 155.

[10] S. Mabellini, I beni culturali e lo status di «beni comuni»: una assimilazione indispensabile?, in Econ. della cult., 2017, 1, pag. 83.

[11] Corte. cost., 18 luglio 2014, n. 210; Corte cost., 11 maggio 2017, n. 103.

[12] Corte cass., sez. un., 14 febbraio 2011, n. 3665, in Giust. civ., 2011, I, pag. 2843; Id., 16 febbraio 2011, n. 3811, in Dir. maritt., 2011, pag. 891. In argomento A. Crismani, I beni funzionali agli interessi della collettività: il caso della laguna di Venezia e delle sue valli da pesca, in Riv. dir. nav., 2011, pag. 23 ss.

[13] Cfr. M. Renna, Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in Dir. econ., 2009, pag. 20.

[14] S. Mabellini, I beni culturali e lo status di «beni comuni»: una assimilazione indispensabile?, cit., pag. 84; L. Nivarra, I beni comuni: dalla fruizione alla gestione, cit., pag. 156.

[15] Cfr. E. Boscolo, I beni ambientali (demaniali e privati) come beni comuni, in Riv. giur. amb., 2017, pag. 380.

[16] L. Degrassi, La «fruizione» dei beni culturali nell'ordinamento italiano e comunitario, in Cultura e istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, (a cura di) L. Degrassi, Milano, 2008, pag. 141.

[17] Cfr. L. Casini, Ereditare il futuro, Bologna, 2016, pag. 105.

[18] S. Mabellini, I beni culturali e lo status di «beni comuni»: una assimilazione indispensabile?, cit., pag. 85.

[19] A. Romano, Demanialità e patrimonialità: a proposito dei beni culturali, in La cultura e i suoi beni, (a cura di) V. Caputi Jambrenghi, Milano, 1999, pag. 410.

[20] G. Sciullo, Tutela, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, 2017, pag. 177.

[21] Cons. St., VI, 8 aprile 2016, n. 1399, in Foro amm., 2016, pag. 821; Id., 26 luglio 2010, n. 4868, in Foro amm.-C.d.S., 2010, pag. 1628.

[22] E. Mitzman, Art. 70, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2012, pag. 617.

[23] Cfr. L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, pag. 685.

[24] A. Barbieri, Art. 95, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 773.

[25] G. Sciullo, Tutela, cit., pag. 145; P. Carpentieri, Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali, Relazione al convegno Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio. Prospettive applicative, 26 giugno 2004; F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) G. Branca, Bologna, 1975, pag. 443.

[26] G. Severini, Artt. 1-2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 18; G. De Giorgi Cezzi, Art. 3, ivi, pag. 39; P. Carpentieri, Art. 6, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (coordinato da) R. Tamiozzo, Milano, 2005, pag. 2;Id., Art. 101, ivi, pag. 434; R. Tamiozzo, Art. 3, ivi, pag. 12, che definisce la fruizione quale "processo di conoscenza, qualificata e compiuta, di un oggetto, di una realtà che diventa parte e patrimonio della cultura singola e collettiva".

[27] G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, in Aedon, 2004, 3.

[28] G. De Giorgi Cezzi, Art. 3, cit., pag. 39; P. Carpentieri, Fruizione, cit.; M. Ainis e M. Fiorillo, L'ordinamento della cultura, Milano, 2015, pagg. 229-230; G. Leone, A.L. Tarasco, Art. 3, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, pag. 54; A.L. Tarasco, Diritto ed economia nella gestione del patrimonio culturale, in La cultura ai privati. Il partenariato pubblico privato, (a cura di) T.S. Musumeci, Padova, 2012, pag. 151.

[29] P. Carpentieri, Fruizione, cit.; G. Leone, A.L. Tarasco, Art. 6, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 68; G. Severini, Artt. 1-2, cit., pagg. 33 ss.; Id., Artt. 6-7, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, cit., pag. 70.

[30] G. Caia, Art. 2, in N. leggi civ. comm., 2005, pag. 1063.

[31] G. Severini, Artt. 1-2, cit., pag. 33.

[32] M. Ainis, Beni culturali, in Enc.Treccani XXI secolo, 2009.

[33] Come osservato da G. Severini, Artt. 1-2, cit., pag. 34.

[34] N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali, Torino, 2002, pag. 227; G. Caia, Art. 2, cit., pag. 1063.

[35] D. Vaiano, Art. 101, in N. leggi civ. comm., 2005, pag. 1414.

[36] Cfr. P. Carpentieri, Art. 101, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) R. Tamiozzo, cit., pag. 433.

[37] Art. 101, co. 3.

[38] D. Vaiano, Art. 101, cit., pag. 1415.

[39] G. Sciullo, I servizi culturali dello Stato, in Giorn. dir. amm., 2004, pag. 409; F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, in Federalismi.it, 2017; D. Vaiano, Art. 101, cit., pag. 1411.

[40] I. Tricomi, art. 102, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone e A.L. Tarasco, cit., pag. 674.

[41] L. Mercati, La collaborazione pubblico-privato nella gestione e nei processi di valorizzazione del patrimonio pubblico, in La collaborazione pubblico-privato e l'ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato in base alle recenti riforme, (a cura di) F. Mastragostino, Torino, 2011, pag. 491.

[42] G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in Aedon, 2015, 3, e in G. Morbidelli e A. Bartolini (a cura di), L'immateriale economico nei beni culturali, Torino, 2016, 26: "Nella polisemia di "valorizzazione" si annida un'insidia del linguaggio giuridico. L'accezione del Codice - non diretta allo sviluppo del mercato delle cose d'arte - si impronta non al valore di scambio (l'oggettivo prezzo di mercato della proprietà: lo scambio dietro denaro), ma al valore d'uso (la capacità di dare soggettive utilità e di soddisfare bisogni personali, il potenziale produttivo di ulteriore ricchezza). Del resto, l'aumento dell'offerta dovrebbe portare a diminuire il valore del bene anziché aumentarlo".

[43] P.G. Ferri, Beni culturali e ambientali nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., II, Torino, 1987; T. Alibrandi, Valorizzazione e tutela dei beni culturali: il ruolo dello Stato, in Foro amm., 1998, pag. 1641. A tale proposito, sono particolarmente significativi i chiarimenti forniti dalla Corte costituzionale in merito al rapporto tra restauro e valorizzazione (Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 9, in Riv. giur. ed., 2004, I, pag. 375, sul riparto delle competenze regolamentari in tema di requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici): premesso che il restauro "implica sempre un intervento diretto sulla cosa, volto (nel rispetto dell'identità culturale della stessa) a mantenerla o modificarla, per assicurare o recuperare il valore ideale che essa esprime, preservandolo e garantendone la trasmissione nel tempo", la Corte ha sottolineato che "Attraverso le operazioni di restauro può giungersi anche alla valorizzazione dei caratteri storico-artistici del bene, che è cosa diversa, però, dalla valorizzazione del bene al fine della fruizione; quest'ultima, infatti, non incidendo sul bene nella sua struttura, può concernere la diffusione della conoscenza dell'opera e il miglioramento delle condizioni di conservazione negli spazi espositivi".

[44] Per tale si intende "la capacità di dare soggettive utilità e di soddisfare bisogni personali, il potenziale produttivo di ulteriore ricchezza": così G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, cit.

[45] L. Mercati, La collaborazione pubblico-privato nella gestione e nei processi di valorizzazione del patrimonio pubblico, cit., pag. 491.

[46] P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, in Finanza di progetto. Temi e prospettive. Approfondimenti sistematici ed interdisciplinari, (a cura di) G.F. Cartei, M. Ricchi, Napoli, 2010, pag. 346; A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, Napoli, 2017, pag. 184.

[47] M. Fiorillo, Fra Stato e mercato: spunti in tema di costituzione economica, costituzione culturale e cittadinanza, in Riv. A.I.C., 2018, pag. 2; A. Serra, Il coinvolgimento di beni culturali nel progetto di recupero degli immobili non più utilizzati dalla Difesa: profili giuridici, in Aedon, 2007, 2.

[48] Così A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, cit., pag. 184.

[49] G. Piperata, La valorizzazione economica dei beni culturali: il caso dei musei e delle collezioni, relazione al Convengo "La valorisation économique des biens culturels locaux en France et en Italie", in Aedon, 2016, che cita T. Montanari, Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l'arte e la storia delle città italiane, Roma, Minimum fax, 2013, pag. 8. Cfr. F.G. Scoca, Conclusioni, in Le proprietà pubbliche, (a cura di) F.G. Scoca, A.F. Sciascio, Napoli, 2016, pag. 391, citato anche da A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, cit., pag. 185.

[50] A. Serra, Il coinvolgimento di beni culturali nel progetto di recupero degli immobili non più utilizzati dalla Difesa: profili giuridici, cit.

[51] L. Mercati, La collaborazione pubblico-privato nella gestione e nei processi di valorizzazione del patrimonio pubblico, cit.

[52] G. Vetritto (a cura di), Strategie e strumenti per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, Roma, 2015, pag. 486.

[53] A. Serra, Il coinvolgimento di beni culturali nel progetto di recupero degli immobili non più utilizzati dalla Difesa: profili giuridici, cit.

[54] Questi ultimi in virtù del d.lg. 112/2008.

[55] F. Brumetti, La concessione di valorizzazione: inquadramento giuridico, in AA.VV., La valutazione economico-finanziaria della concessione di valorizzazione: un modello di analisi, IFEL Fondazione ANCI Università di Parma, 2014, pag. 36; A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, cit., pag. 184.

[56] In argomento si v. Mibac Ufficio legislativo, parere 16.6.2009 Codice dei beni culturali e del paesaggio. Procedure applicative degli articoli 55, 56, 57-bis e 106.

[57] A. Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, in Aedon, 2008, 3; Cons. St., VI, 8 aprile 2016, n. 1396.

[58] L'indicata competenza è stabilita dall'art. 39, co. 2, lett. e), d.p.c.m. n. 171/2014, Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

[59] Cfr. A. Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, cit.

[60] E. Boscolo, Art. 20, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, cit., pag. 242.

[61] Cfr. A. Morbidelli, in G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi (a cura di), Commento al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in N. leggi civ. comm., 2005, pag. 1290.

[62] Su cui Tar Campania, sez. VII, 16 luglio 2018, n. 4681.

[63] P. Michiara, La finanza di progetto nei beni culturali, in Aedon, 2008, 1. Concessione di valorizzazione e alienazione (nei casi consentiti) sono pertanto legittime quando la p.A. verifichi la perdurante capacità di soddisfare l'interesse pubblico insito nel bene culturale: S. Mabellini, I beni culturali e lo status di «beni comuni»: una assimilazione indispensabile?, cit., pag. 85. Cfr., inoltre, S. Foà, Gestione e alienazione dei beni culturali, cit., spec. par. 5.

[64] A. Morbidelli, op. cit., pag. 1292; S. Foà, La gestione dei beni culturali, cit., pag. 383.

[65] S. Foà, La gestione dei beni culturali, cit., 98; A. Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, cit., par. 6.

[66] Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2007, n. 2984, in Riv. giur. ed., 2007, I, pag. 1688; Id., 22 febbraio 2010, n. 1011.

[67] Sul tema P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, cit., pag. 345. Cfr. Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1011, cit.

[68] Cfr. Cons. St., VI, 30 maggio 2017, n. 2596.

[69] Cfr. L. Mercati, La collaborazione pubblico-privato nella gestione e nei processi di valorizzazione del patrimonio pubblico, cit., pag. 502.

[70] È necessario però rispettare i principi dell'evidenza pubblica, quali trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento; cfr. Tar Basilicata, sez. I, 8 maggio 2018, n. 321; Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168.

[71] Mibac Ufficio legislativo parere 16.6.2009, cit.

[72] A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano, 1959, pag. 277; V. Caputi Jambrenghi, Beni pubblici, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, pag. 9. Più recentemente L. Mercati, Artt. 106-110, in N. leggi civ. comm., 2005, pag. 1433; P. Carpentieri, Art. 106, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) R. Tamiozzo, cit., pag. 463.

[73] Cfr. S. Foà, La gestione dei beni culturali, cit, pag. 150.

[74] Mibac Ufficio legislativo, parere 16.6.2009, cit.

[75] Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, cit.

[76] M.L. Maddalena, Il contributo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali e tutela del valore culturale, in Giustizia-amministrativa.it, 2015.

[77] Cfr. Tar Lazio, sez. II-ter, 12 giugno 2018, n. 6481; Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2010, n. 4602.

[78] Sulla distinzione degli strumenti di valorizzazione in finanziari e gestionali M. Cammelli, Strumenti giuridici della valorizzazione economica del patrimonio culturale, relazione al Convengo "La valorisation économique des biens culturels locaux en France et en Italie", in Aedon, 2016.

[79] Una delle prime procedure ex art. 3-bis d.l. n. 351/2001 ha riguardato Villa Tolomei a Firenze: nel 2008 l'immobile è stato affidato a una società privata (Villa Tolomei S.r.l.) in concessione di valorizzazione per cinquanta anni; scopo dell'affidamento sono il restauro, la riqualificazione e l'inserimento del bene in un circuito economico virtuoso, come struttura turistico-ricettiva capace di generare anche un indotto locale in termini di aumento dell'affluenza turistica ed incremento degli scambi commerciali con le imprese locali.

[80] Su cui P. Carpentieri, Beni culturali. La dismissione del patrimonio pubblico, in Libro dell'anno del diritto 2013, Roma, 2013.

[81] Il procedimento di affidamento della concessione è stato preceduto da una fase di concertazione fra gli enti coinvolti nell'iniziativa, avviata nel 2011 dalla richiesta del Comune di Torino, finalizzata alla firma di un accordo di valorizzazione ai sensi dell'art. 112, comma 4, Codice e all'acquisizione in proprietà dell'immobile, come previsto dall'art. 5, comma 5, d.lg. n. 85/2010. In tali fattispecie, l'istanza rivolta al MIBAC e all'Agenzia del Demanio deve indicare le finalità e le linee strategiche generali che si intendono perseguire tramite l'acquisizione (nel caso dell'ex Caserma Cavalli, l'istanza specificava che la ristrutturazione e il recupero dell'immobile avrebbero permesso all'amministrazione comunale di portare a completamento le iniziative di riqualificazione dell'area di Borgo Dora, restituendo alla pubblica fruibilità il manufatto, in stato di degrado e abbandono. Attivato a livello regionale un Tavolo Tecnico Operativo (costituito da rappresentanti del Demanio dello Stato, del MIBAC e dell'ente richiedente), il Comune ha predisposto un programma di valorizzazione - indicante come obiettivo il recupero edilizio e funzionale del compendio e prevedendo una destinazione d'uso prevalentemente a servizio della persona (istruzione superiore ed attività assistenziali), mediante concessione a terzi, previa esecuzione di interventi di restauro e risanamento conservativo dell'immobile, volti all'insediamento di un polo didattico e culturale nonché, limitatamente ad una porzione dello stabile, di servizi socio assistenziali. È stato quindi sottoscritto un accordo di valorizzazione, a seguito del quale sono state attivate le procedure di trasferimento a titolo gratuito dell'immobile. Da ultimo, è stata indetta una procedura di evidenza pubblica per l'affidamento in concessione di valorizzazione. Sul federalismo culturale cfr., senza pretesa di esaustività, V.M. Sessa, Il federalismo demaniale e i suoi effetti sul patrimonio culturale, in Aedon, 2011, 1; A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giorn. dir. amm., 2010, pag. 1233 ss.; A.L. Tarasco,Il federalismo demaniale e la sussidiarietà obliqua nella gestione dei beni culturali, in Riv. giur. Mezzogiorno, 2011, pag. 1069; A. Iacoviello, Federalismo demaniale e beni culturali: il regime giuridico dei beni trasferiti, in Beni e attività culturali: federalismo e valorizzazione, (a cura di) G. Sciullo, Roma, 2012, pag. 103 ss.; P. Carpentieri, Federalismo demaniale e beni culturali, in www.giustizia-amministrativa.it, 18 ottobre 2011.

[82] V. P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, cit., pag. 346; A. Cardella, T.S. Musumeci, Il project financing nei beni culturali, in La cultura ai privati. Il partenariato pubblico privato, cit., pag. 96. Si veda Corte Conti, Sez. centr. contr. gest. amm. Stato, deliberazione 4 agosto 2016, n. 8/2016/G, Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali. Sui casi in cui è utile il ricorso al project financing cfr. Linee guida in materia di affidamento in concessione dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico negli Istituti della cultura statali, Segr. gen. Mibac, allegate alla circolare 23 marzo 2009, n. 49. Tra i casi in cui è stato fatto ricorso a tale procedura, oltre a Ospedale Vecchio di Parma, su cui si veda infra nel testo, la Scuola Grande della Misericordia di Venezia: nel 2006 il consiglio comunale ha approvato il programma triennale dei lavori pubblici in cui era inserito, tra gli interventi da realizzare in finanza di progetto, il restauro e risanamento conservativo della Scuola Grande della Misericordia, di proprietà comunale. La gara è stata aggiudicata all'unico promotore partecipante (a conferma della scarsa competizione tra gli operatori privati nel settore). Attualmente l'edificio ospita mostre e convegni e attività connesse.

[83] Si consideri, ad esempio, la procedura di gara per la concessione in project financing del risanamento e della valorizzazione del complesso immobiliare ex convento ed ex carcere di San Domenico a San Gimignano, ai sensi dell'art. 183 d.lg. n. 50/2016. Andata deserta una prima procedura avviata nel 2018, attualmente è in corso una nuova procedura. Il complesso è di proprietà del Comune e della Regione a seguito di acquisizione ai sensi del citato art. 5, comma 5, d.lg. n. 85/2010, sulla base di un accordo di valorizzazione per la riqualificazione, la salvaguardia e la tutela del bene stipulato con il MIBAC e l'Agenzia del Demanio nel 2011. Nella documentazione di gara si legge che: "Gli scopi della concessione sono la valorizzazione del complesso immobiliare mediante interventi di recupero, restauro e rifunzionalizzazione ed una utilizzazione del medesimo, a fini prevalentemente culturali, che garantisca una efficace e sostenibile gestione dal punto di vista economico-finanziario"; "La valorizzazione è finalizzata alla creazione di attività pubbliche e private che ridiano vita al San Domenico nell'ambito di un percorso organico di fruizione di spazi di notevole bellezza paesaggistica, attraverso una forte commistione fra destinazioni d'uso e funzioni di prevalente interesse pubblico che permettano una riqualificazione del complesso immobiliare in sintonia con la peculiarità storico-artistica del bene e del centro storico di San Gimignano. I camminamenti, il parco tematico, gli spazi museali e gli spazi per attività culturali, formative e ricreative, in parte gratuiti e in parte a pagamento, potranno essere sostenuti da attività di più tangibile valore economico (ricettive, commerciali, ecc.) con l'obiettivo di sostenere i costi di recupero e rifunzionalizzazione del complesso, creare opportunità di sviluppo economico locale e consentire alla comunità di beneficiare dell'uso di tali riqualificati beni architettonici e ambientali". Gli interventi per il risanamento, la valorizzazione e la gestione del bene sono previsti ad esclusivo carico del concessionario, che assume "ogni alea economica e finanziaria e ogni responsabilità giuridica ad essi correlate".

[84] Cfr. A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, 2017, 1; L. Casini, Art. 145, in Codice dei contratti pubblici, (a cura di) R. Garofoli, G. Ferrari, NelDiritto, 2017, II, pag. 2258.

[85] G. Sciullo, La gestione dei servizi culturali tra Codice Urbani e Codice dei contratti pubblici, in Aedon, 2018, 1.

[86] In argomento, da ultimo, F. Liguori, I servizi culturali come servizi pubblici, cit.; G. Sciullo, La gestione dei servizi culturali tra Codice Urbani e Codice dei contratti pubblici, cit.

[87] Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I, 4 dicembre 2007, n. 618, in Foro amm.-TAR, 2007, pag. 3745; Id., 3 giugno 2008, n. 304, ivi, 2008, pag. 1646.

[88] Cfr. M. Veronelli, Il project financing nei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2008, pag. 764.

[89] Cons. St., sez. VI, Id., 1 luglio 2008, n. 3507, in Foro amm.-C.d.S., 2008, pag. 2113.

[90] Cons. St., sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4639, in Foro amm.-C.d.S., 2009, pag. 1811.

[91] S. Bellomia, Art. 117, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, cit., pag. 881; G. Piperata, La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali, in Aedon, 2008, 2; Id., Art. 117, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2004, pagg. 472 ss.; D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, 2011, pag. 116; Cons. St., sez. V, 7 dicembre 2017, n. 5773.

[92] Per G. Piperata, La nuova, disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali cit., vi rientra "qualsiasi altra iniziativa di servizio di ausilio ai compiti principali di fruizione e valorizzazione e con l'obiettivo di favorire la maggiore conoscenza e il godimento del bene da parte dei fruitori".

[93] Tar Lazio, sez. II, 7 luglio 2017, n. 8009. Per il d.m. 29.1.2008 (sulle modalità di affidamento a privati dei servizi aggiuntivi negli istituti e luoghi della cultura) i servizi aggiuntivi sono "i servizi di assistenza culturale, di accoglienza e di ospitalità per il pubblico, nonché ogni altro servizio strumentale alla migliore valorizzazione e fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura" (art. 1, lett. d).

[94] Corte cass., sez. un., 27 maggio 2009, n. 12252, in Giust. civ., 2010, pag. 1179; Id., 9 dicembre 2015, n. 24824, in Foro amm., 2016, pag. 11.

[95] La Cassazione ha quindi respinto le tesi della concessione di beni pubblici e dell'appalto pubblico di servizi. Sulle diverse tesi ricostruttive: G. Piperata, Art. 117, cit., pag. 473.

[96] In argomento cfr. P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, cit., pag. 355.

[97] C. Zoli, La fruizione dei beni culturali quale servizio pubblico essenziale: il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 in tema di sciopero, in Aedon, 2015, 3.

[98] G. Piperata, Sciopero e musei: una prima lettura del d.l. n. 146/2015, in Aedon, 2015, 3.

[99] S. Cavaliere, I livelli essenziali delle prestazioni e i nuovi "diritti culturali", in Riv. A.I.C., 2017, 3. In argomento, già prima delle novità del 2015, M. Carcione, Dal riconoscimento dei diritti culturali nell'ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, ivi, 2013, 2; M. Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, 1991, pagg. 125 ss.; S. Foà, La gestione dei beni culturali, cit., pag. 146.

[100] Cfr. P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, cit., pag. 355.

[101] P. Michiara, La finanza di progetto nei beni culturali, cit., pag. 1; C. Barbati, Esternalizzazioni e beni culturali: le esperienze mancate e le prospettive possibili (dopo i decreti correttivi del Codice Urbani), in Riv. giur. ed., 2006, pag. 159; P. Carpentieri, La gestione dei beni culturali e la finanza di progetto, cit., pag. 362.

[102] L'art. 16 d.m. n. 154/2017, con riguardo al progetto di fattibilità, dispone che la scheda tecnica - che, ex art. 147 d.lg. n. 50/2016 individua le caratteristiche del bene e descrive gli aspetti di criticità della sua conservazione, prospettando gli interventi opportuni - fornisce un'indicazione di massima degli interventi ed è sottoposta ad approvazione del Soprintendente.

[103] Corte onti, deliberazione 4 agosto 2016, n. 8/2016/G 2016.

[104] Cfr. G. Severini, Il patrimonio culturale e il concorso dei privati alla sua valorizzazione, in Riv. giur. ed., 2015, pag. 326.

[105] Cfr., da ultimo, M. Fiorillo, Fra Stato e mercato: spunti in tema di costituzione economica, costituzione culturale e cittadinanza, cit.

[106] Su cui G. Clemente di San Luca, Volontariato, non-profit e beni culturali, in Federalismi.it, 17 maggio 2017.

[107] Il d.m. fa applicazione di norme risalenti alla legge n. 311/2004, art. 1, co-303-305, rimaste inapplicate e, come osservato da A.L. Tarasco, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, cit., pag. 185, tema "inesplorato".

[108] La pertinente circolare n. 18/2015 del Mibact-Direzione generale Musei richiama l'attenzione sui beni richiedenti investimenti particolarmente onerosi per il loro restauro e al contempo caratterizzati da una bassa affluenza di visitatori e da una valorizzazione particolarmente problematica.

[109] A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, cit.

[110] L. Casini, Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pag. 239; Id., Art. 151, in Codice dei contratti pubblici, cit., pag. 2280.

[111] Mibact Ufficio legislativo, circolare 9 giugno 2016, "Sponsorizzazioni di beni culturali". In argomento P. Carpentieri, Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali, in Impresa e Cultura 13° Rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017, pag. 106; R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Zanichelli, 2017, pag. 1873.

[112] Così M. Cammelli, Cooperazione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pag. 299.

[113] Ad esempio, il Mibact in una pertinente circolare del 9 giugno 2016 (Sponsorizzazione di beni culturali - articolo 120 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - articoli 19 e 151 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) ha ricondotto a tale disposizione gli accordi con cui le fondazioni bancarie - ex art. 121 Codice di settore - assumono l'obbligazione di dare esecuzione a progetti di restauro e valorizzazione di beni culturali pubblici facendosi carico degli oneri finanziari e organizzativi relativi.

[114] Individuati dall'art. 1, co. 1, legge del. n. 106/2016.

[115] Si tratta delle attività di cui all'art. 5, co. 1, lett. f), i), k), o z) del d.lg. n. 117/2017, relative a interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, di promozione e diffusione della culturale e della pratica del volontariato, organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso, riqualificazione di beni pubblici inutilizzati e o di beni confiscati alla criminalità organizzata.

[116] L. Gili, Forme di coinvolgimento tra enti pubblici e organizzazioni del terzo settore alla luce del nuovo codice del terzo settore, in Riv. trim. app., 2018, pag. 300; Id., Il Codice del Terzo Settore ed i rapporti collaborativi con la PA, in Urb. app., 2018, pag. 7.

[117] Documento ANCI Una strategia di riuso del Patrimonio culturale in abbandono o sottoutilizzato delle Città italiane, 30 novembre 2018.

[118] Art. 9, legge 24 dicembre 1993, n. 537 e art. 32, co., legge 23 dicembre 1994, n. 724.

[119] Mibact Ufficio legislativo, circolare 9 giugno 2016, cit.: la circolare, come ricordato poc'anzi nel testo, distingue il partenariato speciale da quello disciplinato agli artt. 180 e ss. d.lg. n. 50/2016.

[120] Circolare Mibact 9 giugno 2016.

[121] Si consideri ad esempio l'accordo di partenariato tra Comune di Bergamo ed il Teatro Tascabile di Bergamo, relativo al compendio dell'ex Convento del Carmine e considerato primo caso di applicazione del partenariato speciale, su cui v. http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/si-gioca-finalmente%E2%80%A6#_ftn7. Il piano di recupero del compendio in tale caso non è sin dall'inizio strutturato e definito, ma procede per fasi successive in relazione alle risorse disponibili e agli obiettivi specifici suscettibili di specificazione. La governance prevede un tavolo tecnico a composizione mista, che dovrebbe garantire una semplificazione delle procedure amministrative che l'attività di recupero e quella di valorizzazione rendano necessarie.

 

 



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