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I confini del patrimonio culturale

I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia

di Annalisa Gualdani

Sommario: 1. Premessa. - 2. Dallo jus existentiae alla ricerca di un riconoscimento e di una protezione dei beni immateriali. - 3. Le ragioni della indispensabilità di una disciplina sui beni culturali. - 4. La potestà legislativa sui beni intangibili nella dialettica tra le funzioni di tutela e di valorizzazione. - 5. De jure condendo... La strutturazione di una normativa generale sui beni immateriali. - 5.1. Finalità e principi. - 5.2. Profili definitori e tecniche di individuazione per una salvaguardia dei beni immateriali. - 5.3. La programmazione degli interventi. - 6. Il ruolo dei privati nella salvaguardia dei beni culturali immateriali alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale. - 7. Le sfide future.

The intangible cultural goods: a category looking for autonomy
This paper highlights the absolute need for a comprehensive legislative action regarding intangible cultural goods, by identifying the practicable possible courses of action with a de iure condendo view. These lines range from elaboration of the notional profiles, to techniques for the safeguarding of intangible goods, actually to highlight the role played by the private sectors (through the heritage communities) in reproduction and in preservation of the community memory, also through the "ecomuseums". At the same time it should be stressed that the intangible cultural heritage is able to improve the business potential and the supply of tourism services, with positive effects on employment and investment policies.

Keywords: Intangible; Valorization; Tradition; Ecomuseum; Sustainable development; Business activity.

1. Premessa

Il nostro ordinamento non contempla una disciplina espressamente dedicata ai beni immateriali, anche se è innegabile che nel tempo il legislatore abbia posto in essere tentativi di affrancare i beni culturali dal riferimento alla materialità: "sono beni culturali quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demo-etnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge" (148, lett. a), del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, (poi abrogato dall'art. 184 del Codice) e di ampliare la categoria dei beni culturali: "I beni non ricompresi nelle categorie elencate agli articoli 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni culturali in quanto testimonianza avente valore di civiltà" (art. 4 del Testo Unico dei beni culturali e ambientali) e: "sono beni culturali (...) le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà" (art. 2, comma 2, del Codice).

Vero è però che non si è colta "l'opportunità di avvalersi di questa offerta e integrare quel corpo normativo" [1]; il Codice, infatti, salvo il riferimento contenuto nell'art. 7-bis, non presta attenzione ai beni immateriali che non si sostanziano in "cose" e ciò nonostante le Convenzioni internazionali abbiano formalmente richiamato gli Stati a predisporre misure di salvaguardia per la protezione e la valorizzazione del patrimonio immateriale, fornendo "elementi utili per proporre interventi di riforma" [2].

Per dovere di completezza occorre tuttavia rammentare che il concetto di patrimonio immateriale ha radici autoctone e più risalenti rispetto alle Convenzioni e ai documenti Unesco (la Recommendation for Safeguarding of Traditional and Popular Culture, del 1989 e il progetto Intangible Heritage del 1999), rinvenendo la propria origine negli studi effettuati dai folkloristi e dai demologi, in Italia, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Non è un caso allora che pochi anni dopo l'istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali (avvenuta nel 1975), quest'ultimo avesse dimostrato una certa sensibilità verso la materia, pubblicando (in collaborazione con l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari) un volume dedicato alla "Ricerca e catalogazione della cultura popolare", contenente, tra l'altro, la normativa sulla catalogazione di quei beni che oggi vengono definiti immateriali [3].

Nonostante l'attenzione riservata a livello interdisciplinare ai beni intangibili, tuttavia il legislatore, per le ragioni che si esporranno nel prosieguo, ha omesso, di dettare una normativa unitaria sul patrimonio immateriale. Nel silenzio che connota il settore a livello centrale, non va, però, sottaciuta la breccia aperta da alcune regioni, le quali, mosse dall'intento di preservare i loro elementi identitari (dialetti, usi ed eredità immateriali), hanno compreso la "necessità di prevedere forme di protezione del patrimonio intangibile" [4], dotandosi di proprie discipline.

Negli ultimi tempi lo scenario descritto sembra tuttavia destinato a mutare, grazie a distinti disegni di legge: uno relativo alle "Disposizioni concernenti la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale", l'altro relativo alle "Disposizioni per la promozione e la valorizzazione delle manifestazioni, delle rievocazioni e dei giochi storici" [5], presentati rispettivamente alla Camera dei Deputati il 12 maggio 2017 e il 26 luglio 2017.

Non è dato conoscere se l'iter intrapreso nella passata legislatura dai richiamati progetti di legge avrà un esito felice in quella attuale, è, tuttavia, innegabile che sia maturata la convinzione dell'opportunità di elaborare una precipua normativa per i beni c.d. volatili [6], sia sulla scorta del modello Unesco, volto a delineare una disciplina generale sulla salvaguardia del patrimonio immateriale, sia attraverso l'inserimento nel Codice dei beni culturali di una sezione dedicata ai beni intangibili. Se tale obiettivo fosse raggiunto si conferirebbe finalmente un riconoscimento e una dignità a quella componente del patrimonio culturale saldamente ancorata alle tradizioni, alle origini e ai profili identitari delle popolazioni di un dato territorio.

2. Dallo jus existentiae alla ricerca di un riconoscimento e di una protezione dei beni immateriali

Prima di soffermarsi sulle ragioni che rendono necessaria la predisposizione di una disciplina sui beni immateriali e sulla strutturazione della medesima occorre focalizzare l'attenzione sullo jus existentiae.

La scienza giuridica da sempre si è interessata alla nozione di bene culturale premurandosi di conferire ad essa un contenuto definitorio e di delinearne i mutevoli confini [7].

Il dibattito scientifico sorto intorno al bene culturale, nel tempo, ha visto compiersi l'evoluzione da un "concetto ristretto di bene artistico-storico", di cui alla legge n. 1089/1939, a quello di bene culturale, inteso come "qualsiasi testimonianza del divenire umano" [8].

Il Codice dei beni culturali - disattendendo l'apertura voluta dal legislatore del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, (art. 148, lett. a), che aveva tracciato la strada non solo per una disciplina dei beni culturali immateriali, ma anche per i beni culturali attività - ha accolto una nozione di bene culturale, ancorandola al concetto di "res qui tangi potest". In tal senso infatti dispone l'art. 2, comma 2, laddove afferma che: "sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà".

Le ragioni di tale scelta si rinvengono in quell'orientamento che, a partire dalla Commissione Franceschini, ha conferito prevalenza alla materialità del bene [9]. E invero "nell'opera d'arte come in ogni altra cosa in cui si riconosce un valore culturale che giustifica la soggezione di quest'ultima alla speciale ragione di tutela, il profilo ideale che è oggetto di protezione si è talmente immedesimato nella materia in cui si esprime da restarne definitivamente prigioniero, così che esso si pone come oggetto di protezione giuridica inscindibile dalla cosa che lo racchiude" [10]. Se è pur vero che la cosa non è che "un'entità extragiuridica che si qualifica giuridicamente, in quanto presenta un interesse che può essere tutelato dal diritto" [11], tuttavia la vis attractiva esercitata dalla res sul valore culturale ha prevalso e ha condotto all'elaborazione di una disciplina incentrata unicamente sui beni materiali [12].

Questo non ha, tuttavia, significato che il nostro ordinamento abbia rinnegato l'esistenza della categoria dei beni immateriali o l'idea di una loro tutela giuridica - invero esso conosce tipologie di beni culturali "extra Codice" [13], nell'ambito dei quali vanno ricondotti i beni intangibili - ma piuttosto che "questa idea richiede, per natura e per obiettivi, la messa a punto di strumentazioni e istituti giuridici adeguati e diversi da quelli delle cose" [14].

Una spinta verso la "necessità di prevedere forme di protezione del patrimonio intangibile, dimostrando così i limiti "dell'impostazione storicistica e materiale della disciplina italiana" [15] è stata esercitata dal processo di globalizzazione che ha interessato i beni culturali e dall'interesse che il diritto internazionale ha riservato a questi ultimi.

Sin dalla Proclamazione dei Capolavori del Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità (Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of Humanity), adottato dalla Conferenza generale dell'Unesco nel novembre del 1997, emerse l'indispensabilità di procedere al riconoscimento dei capolavori orali e immateriali del patrimonio culturale dell'umanità. Alla stregua di tale documento la Conferenza Unesco di Torino del 2001 - che peraltro aveva proceduto ad effettuare un'elencazione di beni immateriali, identificandoli con "le attività collettive che si producono entro una data comunità e fondate sulla tradizione, tramandate oralmente o attraverso l'esempio gestuale, suscettibili di modificazione attraverso un processo di rigenerazione collettiva" - evidenziò la necessità di creare strumenti normativi sovranazionali finalizzati a garantire una tutela e una protezione di tale species di beni [16]. In seguito, le due Convenzioni Unesco, adottate a Parigi il 3 dicembre 2003 [17] e il 20 ottobre 2005 [18], poi ratificate in Italia con le leggi 27 settembre 2007, n. 167 [19] e 19 febbraio 2007, n. 19 [20], hanno conferito rispettivamente un contenuto definitorio al patrimonio culturale immateriale, ricomprendendovi: "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know how (...) che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale" (art. 2, c. 1) e alle c.d. espressioni culturali, quelle cioè "che derivano dalla creatività degli individui, dei gruppi e delle società" (art. 4, n. 3). Ogni Stato contraente, nell'ambito delle misure di salvaguardia, di cui all'art. 2, par. 3, della Convenzione del 2003, avrebbe dovuto individuare i vari elementi del patrimonio culturale immateriale presente sul suo territorio, con la partecipazione di comunità, gruppi e organizzazioni non governative rilevanti (art. 11), ponendo in essere ogni sforzo per garantire la più appropriata partecipazione di comunità, gruppi e ove appropriato di individui. Questi ultimi, infatti, creano, mantengono e trasmettono tale patrimonio culturale e pertanto devono essere coinvolti attivamente nella relativa gestione (art. 15) [21].

Sulla stessa scia si è posta anche la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società (Convention on the Value of Culturale Heritage for Society), siglata a Faro nel 2005 e sottoscritta dall'Italia nel 2013 (ma non ancora ratificata), la quale ha introdotto un concetto ampio e innovativo di "eredità-patrimonio culturale", identificandolo in "un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione" (art. 2) e di "comunità di eredità-patrimonio", cioè, "un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un'azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future" (art. 2). La Convenzione di Faro, nel delineare le rammentate definizioni, ha focalizzato l'attenzione su due elementi connotanti: la natura a non domino delle c.d. risorse identitarie e l'onnicomprensività della definizione di patrimonio culturale, riconducendo al suo interno elementi materiali, immateriali e lo stesso paesaggio. La precipua finalità di tale documento è quella di creare una nuova concezione di tutela e di gestione del patrimonio culturale non meramente finalizzata a preservare il valore scientifico di quest'ultimo, ma volta ad enfatizzarne il ruolo di strumento indispensabile per lo sviluppo e la crescita dell'uomo, nonché per il miglioramento della qualità della vita [22].

Nonostante le indicazioni derivanti dalle richiamate convenzioni l'ordinamento italiano non si è spinto sino a dettare una disciplina sulla tutela, valorizzazione e promozione dei beni immateriali, limitandosi a prevedere (come in precedenza ricordato), attraverso l'art. 7-bis, la sottoposizione alle norme del Codice "delle espressioni di identità culturale collettiva contemplate nelle Convenzioni Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità" solo qualora esse "siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'art. 10" [23]. Ciò assume una maggior rilevanza se si considera che dall'inserimento nelle liste deriva l'obbligo non solo per la Comunità internazionale, ma anche per i singoli Stati membri di predisporre misure "volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale, ivi compresa l'identificazione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione (art. 11 ss)" [24]. Pertanto, giusto il tenore dell'art. 7-bis, "si sarebbe indotti a credere che fra beni culturali ed entità del patrimonio culturale immateriale sussista una sorta di estraneità di fondo. Distinti sul piano nozionistico, sarebbero oggetto di disciplina giuridica differenziata" [25].

Occorre tuttavia indagare le ragioni che hanno spinto il legislatore a restare ancorato alla "materialità". Da un lato il timore che dilatando l'oggetto di disciplina si potesse abbracciare la concezione antropologica di bene culturale e cedere al c.d. panculturalismo [26], giungendo così a tutelare "l'intera vita sociale" [27], dall'altro la convinzione che la protezione dei beni culturali non potesse comunque prescindere dall'oggetto, dalla realità e ciò "a discapito di altri elementi" [28]. Non è un caso allora che il legislatore nazionale abbia manifestato una certa ritrosia nel ratificare la Convenzione di Faro, la quale appunto accoglie una locuzione di "patrimonio culturale" ampia e "svincolata" dal riferimento a qualsivoglia materialità [29].

Se si analizzano infatti le modalità attraverso le quali nel nostro ordinamento si estrinseca tradizionalmente la funzione di tutela (es. prelazione, esportazione, restauro, limiti alla circolazione ecc...) non si può che constatare come esse presuppongano comunque la presenza di un supporto fisico e come esse non sarebbero estensibili al patrimonio intangibile, per il quale risultano, altresì, incompatibili gli istituti ablatori o restrittivi della proprietà e del commercio, in ragione della loro richiamata natura non esclusiva e dunque adespota [30].

La conseguenza che se ne trae è che le uniche attività declinabili a favore dei beni immateriali possano essere soltanto quelle di valorizzazione, di promozione e di fruizione [31]. In tal senso pare essersi indirizzato anche il legislatore regionale, il quale, al fine di preservare il proprio patrimonio culturale immateriale [32] e orale (in particolare a tutela dei dialetti) [33], è intervenuto con proprie discipline di settore, incentrandosi su binomio valorizzazione/promozione [34].

A ben vedere però, se è senz'altro vero che la valorizzazione e la promozione costituiscono la linfa vitale per i beni in esame - da esse dipendendo la loro sopravvivenza - "un circoscritto e liminale spazio per la tutela parrebbe, ad avviso di chi scrive, configurabile" [35]. Prodromico alla valorizzazione è infatti il riconoscimento del valore culturale di un bene (anche immateriale), di qui la rilevanza che l'individuazione dell'interesse culturale (immateriale), è chiamata a svolgere, unitamente alla catalogazione/inventariazione e all'iscrizione in appositi registri.

Muterebbe in sostanza la diversa prospettiva della tutela che connota i beni materiali da quelli c.d. intangibili. Mentre per i primi non si può prescindere da una tutela statico - conservativa, per i secondi si profila, invece, la necessità di una tutela "dinamica", "che si armonizzi con il continuo divenire che è l'essenza del fenomeno che si vuole preservare" [36]. Se tutelare significa "riconoscere, conservare, proteggere, recuperare" [37] allora tali attività sono estensibili anche, se pur in forme diverse, in assenza del curpus mechanicum. Sotto tale profilo si potrebbe affermare che per i beni intangibili sia possibile declinare una nozione ampia e ed evolutiva di tutela comprensiva dei concetti di valorizzazione e di promozione.

3. Le ragioni della indispensabilità di una disciplina sui beni immateriali

Prima di affrontare la questione dell'indispensabilità di procedere all'elaborazione di una normativa sui beni intangibili occorre interrogarsi se nella Carta Costituzionale possano rinvenirsi elementi indicizzanti un'attenzione verso il patrimonio immateriale.

Muovendo dall'interpretazione che le scienze sociologiche e antropologiche hanno fornito al termine cultura [38], contenuto nell'art. 9 Cost., quale "espressione dei modi di vita creati e trasmessi da una generazione all'altra tra i membri di una particolare società", non si può che concludere che le manifestazioni ed espressioni identitarie della Nazione siano entrate a far parte dell'oggetto di tutela pensato dal Costituente, atteso che il lemma cultura va inteso in un'accezione ampia, riferita non solo alle qualità mentali, ma estesa all'insieme dei comportamenti e delle credenze umane. Anche la dottrina amministrativista in passato si è orientata in tal senso [39]. E invero componente della cultura è anche "l'insieme delle conoscenze, valori, simboli, modelli di comportamento e anche le attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale" e altresì quel "complesso di manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali" [40].

Se si accoglie tale visione - corroborata oggi dal novellato art. 117 Cost. sulla tutela, valorizzazione e promozione [41] - non può che concludersi che, giusto il collegamento tra la cultura e la tutela del patrimonio storico artistico della Nazione, l'idea di una protezione dei beni culturali immateriali sia da sempre stata presente nel nostro ordinamento e che le convenzioni internazionali abbiano costituito soltanto l'occasione per acquisire tale presa di coscienza.

È tuttavia innegabile che la necessità di rispondere ai moniti del diritto internazionale [42], da un lato e l'indispensabilità di preservare i patrimoni identitari dal processo di globalizzazione dall'altro [43], impongano una risposta da parte del nostro ordinamento, anche in ragione della dimostrazione dell'insufficienza degli escamotages utilizzati, in passato, per tutelare alcune species di beni non identificabili in una res. È il caso per esempio della tecnica impiegata per tutelare le attività tradizionali che rivestono comunque un valore culturale, per le quali, non essendo stata prevista in passato una disciplina si è addivenuti ad apporre il vincolo di tutela "sulle strutture materiali (gli immobili) o attraverso le quali (arredi e suppellettili) queste attività venivano esercitate" [44]. A tal riguardo si rammenta che in tempi più recenti l'art. 2-bis, comma 1, lett. a), del d.l. 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112 [45], al fine di colmare la lacuna presente in materia, ha introdotto all'art. 52, del Codice il comma 1-bis, il quale, pur continuando a mantenere la tradizionale distinzione tra beni culturali di cui agli artt. 2 e 10 del Codice, ha consentito la semplice individuazione dei "locali, a chiunque appartenenti, nei quali si svolgono attività di artigianato tradizionale e altre attività commerciali tradizionali, riconosciute quali espressione dell'identità culturale collettiva ai sensi delle convenzioni UNESCO di cui al medesimo articolo 7-bis", al fine di "assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto della libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione" [46]. Si sono così tutelati gli antichi mestieri o le botteghe storiche non ampliando la nozione di bene culturale, ma percorrendo altre vie, per così dire atipiche o indirette [47].

È stato inoltre evidenziato che la molteplicità dei beni intangibili, "reca in sé il rischio di una 'eterogeneità' in grado di ripercuotersi, svilendola, sulla nozione stessa di bene culturale. Di qui l'esigenza di introdurre una pluralità di nozioni di bene culturale differenziate a seconda dei tipi e delle finalità perseguite, ma anche, di regimi giuridici misurate sulle diverse 'consistenze' dei beni culturali" [48].

Vero è, però, che i tentativi, se pur timidi e incompiuti, intrapresi dal legislatore nell'ultimo ventennio (dell'art. 148 del d.lg. n. 112/98 e del 2008 con l'introduzione dell'art. 7-bis al Codice) rappresentano la testimonianza di una graduale (se pur non decisa) presa di coscienza dell'importanza di prestare attenzione ai beni culturali intangibili. Anche l'introduzione della categoria di patrimonio culturale (art. 1 Codice) - "difficilmente riconducibile entro schemi cosificati e cosificanti" - che nell'accezione sua propria richiama "l'idea dell'onnicomprensività e dell'universalità delle espressioni di civiltà dell'uomo e delle sue proiezioni sociali", nonché l'estensione delle competenze ministeriali non limitate ai beni materiali, paiono essersi mossi in questa direzione [49]. Ed infatti, dal tenore delle norme organizzative sul Mibact, si evince che nell'ambito delle competenze di quest'ultimo vi sia spazio per "altro", rispetto ai beni culturali materiali e ai beni culturali attività. Come è stato puntualmente rilevato: "il primo e vero tratto unitario della nozione in esame (dal punto di vista giuridico) è proprio rinvenibile nella norma di conferimento delle attribuzioni al Mibact, che non distingue, anche alla luce del principio di unicità, tra beni immateriali e materiali: difatti, al Mibact sono attribuite tutte le funzioni sui beni culturali, ivi comprese quelle non previste dal Codice (v. in tal senso art. 52, comma 1, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300), quelle discendenti dalla necessità di curare rapporti con le organizzazioni internazionali di settore (art. 2, comma 4, d.lgs. 300/99), e, quindi, anche quelle derivanti dalle Convenzioni Unesco sui beni culturali intangibili" [50].

Sembrerebbero dunque maturi i tempi per intraprendere una seria riflessione sul possibile ampliamento della nozione di patrimonio culturale, nella quale (alla stregua della definizione di museo fornita dall'International Concil of Museum) materialità e immaterialità convivano [51], evitando, così, di esporre al rischio della distruzione, per assenza di adeguata protezione, le forme di espressione e di manifestazione prodotte dalla civiltà dell'uomo [52].

4. La potestà legislativa sui beni intangibili nella dialettica tra le funzioni di tutela e di valorizzazione

Le riflessioni in precedenza formulate hanno richiamato l'attenzione sull'importanza di dettare una disciplina ad hoc sui beni immateriali. A ben vedere, però, sottesa alla positivizzazione del settore in esame è la questione attinente la titolarità della potestà legislativa in materia.

È noto che ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost., spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la tutela dei beni culturali, essendo invece demandata alla potestà concorrente delle regioni la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione delle attività culturali (art. 117, comma 3, Cost.).

Per i beni culturali intangibili potrebbe configurarsi la difficoltà di tracciare in modo unitario la questione del riparto delle competenze, a partire da quella legislativa, per una pluralità di ragioni: l'eterogeneità dei suoi elementi (comprendente beni ed attività), la connessione esistente (per le ragioni in precedenza ricordate) tra tutela e valorizzazione e infine la circostanza che la salvaguardia del patrimonio intangibile non compare tra le materie enumerate dall'art. 117 Cost.

A tal riguardo preme sottolineare che il mancato riferimento alla salvaguardia dei beni immateriali sia nell'ambito delle materie di potestà legislativa esclusiva statale, sia in quelle di potestà concorrente delle regioni ha fatto avanzare la tesi che, "ad esclusione degli aspetti specifici ricadenti in materie enumerate" (si pensi alle arti dello spettacolo annoverabili tra le attività culturali per la parte relativa alla promozione ed organizzazione e quindi di competenza concorrente delle regioni), il potere di normare il settore in esame sia affidato alla potestà legislativa residuale delle regioni [53]. Si pone altresì "un problema aggiuntivo nel riparto delle competenze sulla valorizzazione della componente immateriale o dei beni culturali immateriali, per la difficoltà di utilizzare il criterio di appartenenza (art. 102. Comma 2, del d.lgs. 42 del 2004)" [54]. E così la giurisprudenza in una interessante pronuncia avente ad oggetto il Palio di Siena ha avuto modo di sottolineare la natura a non domino dei beni culturali intangibili, evidenziando che "il Palio di Siena è pubblico evento risalente al XIII secolo dunque appartenente al patrimonio storico, culturale e folcloristico della nazione senza che chicchessia possa vantare diritti esclusivi di sorta su di esso" [55].

Vero è, però, che i beni intangibili possono essere tramandati alle generazioni future soltanto attraverso politiche culturali che ne migliorino e incentivino la conoscenza, ne incrementino la fruibilità, ne conservino la memoria [56]. Ciò può avvenire soltanto nel territorio in cui sono nati e riprodotti attraverso gli strumenti della valorizzazione e della promozione; in tal senso potremo dire che i beni immateriali appartengono al patrimonio identitario di un popolo, che è uno degli elementi costitutivi dello Stato e dunque di una Nazione.

La complessità dello scenario descritto può, tuttavia, trovare una composizione se si assume da un lato che per il diritto internazionale la nozione di salvaguardia del patrimonio heritage racchiude in sé sia la tutela, che la valorizzazione (non essendo dunque la salvaguardia un alterum rispetto alle prime due), dall'altro che l'espressione beni culturali, contenuta nell'art. 117, commi 2 e 3 Cost., debba intendersi in un'accezione ampia, comprensiva anche dei beni immateriali, derivandone l'applicabilità delle norme sul riparto della potestà legislativa dettate dal testo costituzionale con riguardo alla tutela e alla valorizzazione e poi recepite dal Codice. E invero il legame esistente tra i beni culturali materiali e immateriali è biunivoco, sì da "intersecare le funzioni di tutela e di valorizzazione che il Codice, sulla scorta delle indicazioni costituzionali (art. 117) individua a proposito dei beni culturali" [57].

Applicando, dunque, la disciplina Costituzionale e codicistica (art. 3, comma 1) [58] sui beni culturali ai beni intangibili parrebbe non configurarsi dubbio alcuno sul fatto che l'individuazione di questi ultimi, in quanto riconducibile nei predicati della tutela, spetti alla potestà legislativa dello Stato. Nel medesimo senso dovrebbe ritenersi per la disciplina di quelle misure di salvaguardia che si traducono in azioni volte a proteggere e conservare la congerie di beni volatili di cui il nostro paese è dotato.

Rientrano, invece, nell'ambito della competenza ripartita (art. 117, comma 3, Cost.) gli aspetti relativi alla valorizzazione dei beni immateriali, alla promozione e all'organizzazione delle attività culturali (si pensi alle manifestazioni storiche, alle danze tradizionali, ecc...). Con riferimento alla funzione di valorizzazione si rammenta che la Corte Costituzionale, ha avuto modo di sottolineare che, accanto ai beni culturali tutelati dalle leggi dello Stato (fra cui rientrano i supporti materiali delle espressioni di identità culturali, di cui all'art. 7-bis del Codice) "possa essere riconosciuto, da parte della comunità regionale o locale, particolare valore storico culturale ad altri beni e attività di c.d. rilevanza culturale" [59], consentendo, così, alle regioni, nel rispetto dei principi individuati dalla legislazione statale, la possibilità di identificare gli aspetti del proprio patrimonio identitario intangibile da valorizzare [60].

5. De jure condendo... La strutturazione di una normativa generale sui beni immateriali

5.1. Finalità e principi

Assunta come assioma l'improcrastinabilità di una positivizzazione della materia in esame, occorre in primis interrogarsi su quale debba essere la strutturazione di una normativa generale sui beni immateriali, in modo da adeguare il nostro ordinamento ai principi del diritto internazionale ed europeo, così come richiesto dalle Convenzioni Unesco del 2003 e del 2005, dall'art. 22, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dall'art. 3, par. 3, del Trattato dell'Unione europea e dall'art. 167 del TFUE, i quali impegnano l'Unione e gli Stati membri a tutelare la diversità culturale, religiosa e linguistica, a salvaguardare il patrimonio culturale nel rispetto delle diversità nazionali e regionali evidenziando al contempo il retaggio culturale comune.

La lettura sincronica di tali fonti è destinata ad avere un impatto di rilievo sulle finalità e sui principi da accogliere in una normativa interna.

La preminente finalità di una posizitivizzazione normativa del patrimonio intangibile si sostanzia nella necessità di preservare e di trasmettere la memoria delle comunità, dei gruppi e degli individui in relazione al loro ambiente, alle loro tradizioni e al loro territorio. Il processo di globalizzazione se da un lato ha dato luogo ad un processo di arricchimento (attraverso la mobilità di capitali e di individui) socio/culturale e di integrazione tra gli Stati, dall'altro impone una maggiore attenzione alla conservazione delle singole tradizioni locali, che, se non adeguatamente preservate, rischiano di disperdersi.

Ne deriva l'importanza di tutelare le diversità culturali, fonte di quell'originalità che contraddistingue le singole realtà di fronte all'inesorabile processo di mondializzazione. E invero da alcuni anni "gli studi giuridici che sono alla base delle politiche culturali sono concordi nel sottolineare il sorgere di un nuovo diritto all'identità culturale" [61]. Di qui l'importanza della messa in campo di strumenti volti a garantire la continua riproduzione delle pratiche culturali, che affidino il testimone delle identità, per il tramite del collante fra generazioni, a quelle future.

Un'ulteriore finalità che una legge sui beni immateriali dovrebbe perseguire è quella di incoraggiare il dialogo tra le diverse culture, stimolando l'interculturalità nel rispetto delle differenze e dei diritti umani [62]. In questo senso si sono determinati anche i Ministri della Cultura dei Paesi del G7 che hanno preso parte alla Dichiarazione di Firenze del 30 marzo 2017, nella quale si è affermato che il patrimonio culturale, in tutte le sue forme, materiale e immateriale, mobile e immobile, quale nesso straordinario tra passato, presente e futuro dell'umanità, contribuisce a preservare l'identità e la memoria dei popoli, favorisce il dialogo e lo scambio interculturale tra tutte le Nazioni, alimentando la tolleranza, la mutua comprensione, il riconoscimento e il rispetto delle diversità.

Il patrimonio immateriale viene in sostanza ad assumere, oltre alla dimensione culturale che gli è propria, anche quella sociologica di elemento di coesione, di aggregazione/integrazione e di contrasto del disagio sociale.

Nella redazione di un disegno di legge non andrebbe inoltre sottaciuta la rilevanza economica che la materia da normare viene ad assumere. Il patrimonio culturale nella sua accezione lata, comprensiva dunque anche della dimensione immateriale, rappresenta, infatti "uno strumento importante per la crescita e lo sviluppo sostenibile della società, anche in termini di prosperità economica" [63]. Si pensi, a titolo esemplificativo, al ruolo di volano dell'economia locale esercitato da alcune rievocazioni storiche (il Palio di Siena, il Calcio in costume di Firenze, il Saracino di Arezzo) o manifestazioni della tradizione popolare (il Carnevale di Venezia, la Battaglia delle arance di Ivrea) che diventano anche oggetto di "attività imprenditoriale" e di "offerta turistica".

Relativamente ai principi ispiratori da inserire nel corpus normativo, anche alla luce della richiamata Dichiarazione di Firenze, accanto a quelli "classici" che connotano il settore dei beni culturali: di salvaguardia, di protezione e di promozione, dovranno, altresì, prevedersi quelli di uguaglianza, di solidarietà, di cooperazione tra pubblico e privato, di partecipazione della società civile alle attività di individuazione/gestione del patrimonio e delle politiche culturali da porre in atto.

5.2. Profili definitori e tecniche di individuazione per una salvaguardia dei beni immateriali

Quanto in precedenza rilevato costituisce la premessa maggiore per attuare il processo di definizione e di individuazione dei beni culturali immateriali nella normativa interna.

Il punto di partenza non può che essere rappresentato dal dettato di cui all'art. 2, comma 1, della Convenzione Unesco del 2003 - per "patrimonio culturale immateriale" si intendono "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know how (...) che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale" - il quale ben si presta a fungere linea guida per il legislatore nazionale.

Innanzi agli estensori di una disciplina generale sui beni immateriali si pone in primo luogo la scelta di quale tecnica definitoria adottare, in particolare se utilizzare (alla stregua del modus operandi delle Convenzioni Unesco) un'elencazione tipologica dei beni intangibili oggetto di salvaguardia, magari arricchendo la lista di ulteriori esemplificazioni (quali le manifestazioni, le rievocazioni e i giochi storici, le tradizioni alimentari ed enogastronomiche, i rituali religiosi, le arti orali, le arti manuali persino le attività commerciali tradizionali), oppure adottare una nozione a "maglie larghe" che, pur non descrivendo analiticamente gli elementi discretivi delle singole espressioni, detti alcuni canoni generali di natura antropico - culturale e identitaria.

Una volta affrontati gli aspetti definitori il legislatore dovrà analiticamente disciplinare l'attività di individuazione/identificazione dei beni immateriali. Quest'ultima vede come protagonista il Mibact, il quale dovrà istituire un inventario nazionale del patrimonio culturale immateriale, che detenga la generalità di informazioni e di documentazioni relative agli elementi identitari (già) contenuti in liste e/o registri regionali e locali. Occorre tuttavia evidenziare che l'attività di individuazione delle species da ricondurre nell'ambito della categoria beni intangibili non può essere praticata in solitudine dal Mibact, ma dovrà fondarsi sulla sinergia tra centro e periferia, nonché sul coinvolgimento dei privati (associazioni - pro loco), poiché è nel contesto locale che sorgono e vivono i fenomeni di espressione della tradizione e dell'identità culturale.

Sotto tale profilo l'istituzione di un Osservatorio nazionale che raccolga le informazioni provenienti dalle singole realtà regionali, per il tramite dei loro osservatori, potrebbe rappresentare la chiave di volta per la cristallizzazione dello status quo delle espressioni intangibili da un lato e per l'intercettazione di elementi identitari, in precedenza sconosciuti, dall'altro. All'Osservatorio dovrebbero, inoltre, essere demandati compiti di analisi, studio e ricerca, nonché di promozione dei processi partecipativi con le realtà territoriali, in modo da raccogliere ed elaborare informazioni sui beni immateriali dei singoli territori. Un ruolo di rilievo tale istituto potrebbe, altresì, svolgerlo con riferimento all'attività di monitoraggio, al fine di verificare le pratiche e i processi posti in essere per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale nazionale [64].

5.3. La programmazione degli interventi

Il metodo della programmazione è deputato ad assumere un ruolo centrale nell'ambito della salvaguardia dei beni culturali immateriali, definendo al suo interno obiettivi, modalità e strumenti per la sua realizzazione. Essa richiede il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali (nazionali, regionali e locali), con l'individuazione delle distinte competenze anche sulla base delle indicazioni fornite al Mibact dall'Osservatorio Nazionale.

La programmazione si delinea, pertanto, da un lato come lo strumento in grado di stabilire i piani di intervento e le risorse finanziarie da destinare alla salvaguardia dei beni immateriali, dall'altro come momento indispensabile per la realizzazione di una rete sinergica, progettuale e organizzativa che vede, come protagonisti, sia i soggetti pubblici, che i soggetti privati. È evidente allora che la programmazione si configuri, altresì, come luogo principe della partecipazione, in un settore dove sono gli individui e i gruppi delle comunità locali che permettono la rigenerazione e lo sviluppo di tale patrimonio.

Lo strumento per eccellenza attraverso il quale realizzare la programmazione è il Piano. Sotto tale profilo il legislatore potrebbe prendere spunto da quanto contenuto nella proposta di legge n. 4486 del 2017, laddove si prevede (all'art. 10) l'approvazione da parte del Governo (su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, d'intesa con la Conferenza Unificata) di un "Piano nazionale di salvaguardia", volto a garantire una programmazione e una gestione coordinata delle attività dello Stato, delle regioni, degli enti locali e delle organizzazioni non governative rilevanti nella salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. In tale strumento dovranno essere indicate le modalità di attuazione delle misure di tutela e di valorizzazione, nonché il livello minimo di qualità delle attività che i soggetti pubblici e privati, attori del sistema di salvaguardia dei beni intangibili, devono rispettare.

Particolare attenzione all'interno del sistema di pianificazione dovrà essere riservata agli elementi del patrimonio culturale immateriale che necessitano di misure urgenti di salvaguardia, individuati sulla base delle indicazioni provenienti dai singoli osservatori regionali, per garantire la loro vitalità, trasmissione e rivitalizzazione.

6. Il ruolo dei privati nella salvaguardia dei beni culturali immateriali alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale

Si è in precedenza sottolineata la rilevanza che nella materia in esame vengono ad assumere le comunità, i gruppi e gli individui, depositari delle conoscenze identitarie e attori protagonisti nelle loro riproduzioni e nella conservazione della memoria di una comunità. Stante la premessa qui formulata è da ritenere che per poter predisporre un efficace sistema di salvaguardia dei beni culturali immateriali le istituzioni pubbliche dovranno necessariamente avvalersi dell'apporto e del contributo della società civile. D'altra parte "il profondo legame intercorrente tra cultura e territorio fa sì che i processi di patrimonializzazione culturale non possano essere riservati al solo potere centrale, ma debbano essere aperti alla negoziazione di più soggetti e movimenti" [65]. Popolazione e territorio sono infatti elementi inscindibili.

Il riconoscimento del ruolo che le comunità territoriali possono svolgere nel settore che ci occupa rinviene il suo fondamento nel principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all'art. 118, comma 4, Cost.: "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".

I prodromi della promozione del ruolo svolto dalla società civile nello svolgimento di attività di interesse generale (tra cui anche i beni culturali) si rinvengono sia nell'art. 4, comma 3, lett. a), della legge n. 59/97, secondo il quale il conferimento di funzioni agli enti territoriali deve avvenire in ossequio del principio di sussidiarietà "(...) attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati", sia nell'art. 3, del T.U. degli enti locali n. 267/00: "I Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali". Il dettato dell'art. 118, comma 4, Cost. non costituisce, tuttavia, una mera sintesi delle sopra citate previsioni, ma ne rappresenta un'evoluzione ulteriore, configurandosi nei confronti delle autorità pubbliche un ruolo di promozione e coordinamento delle attività di iniziativa privata.

Il principio postula, in modo esplicativo, che allo svolgimento di attività di interesse generale debbano provvedere prioritariamente e in via preferenziale i cittadini singoli o associati e in via sussidiaria lo Stato e gli altri enti pubblici, i quali "entrano in gioco" soltanto laddove vi sia l'impossibilità per i singoli e le loro formazioni di perseguire gli obiettivi stabiliti [66]. In sostanza l'art. 118, comma 4, Cost. non solo lo legittima, ma afferma che le autorità tutte (Governo e enti locali) devono favorire l'attività dei privati. Dunque il principio di sussidiarietà orizzontale rafforza il dettato dell'art. 2, Cost., tracciando un nuovo modo di concepire l'intervento pubblico, originando quella che è stata autorevolmente definita "un'amministrazione diffusa nella società" [67].

La salvaguardia del patrimonio immateriale pare allora costituire un terreno fertile su cui ben può operare tale principio [68]. Anche l'art. 2, della Convenzione Unesco del 2003, ha evidenziato che "il patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione è costantemente ricreato dalla comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d'identità e di continuità", sottolineando, così, la rilevanza della popolazione nei processi di valorizzazione. Non è un caso allora che il Comitato per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale [69], nell'esaminare le candidature per l'inserimento nella lista dei beni immateriali Unesco, abbia richiesto agli Stati di fornire la dimostrazione che le comunità e i gruppi avessero sia prestato consenso informato alla candidatura, sia partecipato attivamente all'elaborazione della stessa in tutte le sue fasi [70].

Il ruolo delle "comunità patrimoniali" [71] diviene, pertanto, di fondamentale ausilio per il legislatore non solo nella fase iniziale dell'individuazione dei singoli beni intangibili, ma anche nella conseguente attività di valorizzazione e di promozione delle attività ad essi relative [72]. Di qui l'imprescindibilità di forme di raccordo tra centro - periferia e di cooperazione tra pubblico - privato. In questo senso un incentivo al partenariato pubblico - privato deriva dalla stessa Convenzione [73], la quale prevede che gli Stati membri compiano "ogni sforzo per garantire la più ampia partecipazione di comunità, gruppi e, ove appropriato di individui (...), al fine di coinvolgerli attivamente nella gestione" (art. 15). Sulla medesima scia potrebbe porsi il legislatore del futuro, il quale nel prevedere la promozione di politiche attive per la salvaguardia dei beni immateriali da parte dei soggetti pubblici, sostenga, incentivi e coordini i progetti, i programmi e le iniziative del privato sociale.

7. Le sfide future

Una volta posta l'attenzione sulle ragioni della necessità di procedere all'adozione di una normativa generale sui beni intangibili e sulla strutturazione di tale disciplina, occorre focalizzare l'attenzione sulle possibili sfide da cogliere e sulle prospettive future.

In un emanando corpus normativo non può dirsi bastevole la ritualistica citazione del ruolo che le comunità patrimoniali svolgono o possono svolgere nella valorizzazione dei beni intangibili, dovendosi, altresì, individuare le forme di collaborazione (accordi, convenzioni) e i luoghi di sviluppo di buone pratiche della cultura immateriale [74]. In tal senso un esempio concreto è rappresentato dagli ecomusei [75], istituti, creati dalla volontà degli individui e delle associazioni, deputati a tutelare e valorizzare la memoria di una comunità delimitata geograficamente e il suo rapporto con le risorse del territorio, nell'ambito di un processo di gestione dal basso verso l'alto (bottom up) [76]. Si riserverebbe, così, adeguata attenzione non solo ai prodotti immateriali, ma altresì ai luoghi della loro produzione. A tal riguardo significativa appare la nozione di ecomuseo, elaborata dalla legge quadro della Cultura (LR n. 21 del 2010) della Regione Toscana, dove, all'articolo 16, si definisce l'ecomuseo: "l'istituto culturale, pubblico o privato, senza scopo di lucro che, ai fini dello sviluppo culturale ed educativo locale, assicura, su un determinato territorio e con la partecipazione della popolazione, le funzioni di ricerca, conservazione e valorizzazione di un insieme di beni culturali, materiali e immateriali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che vi si sono succeduti e ne accompagnano lo sviluppo" [77]. Gli ecomusei si configurano, pertanto, come processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale, al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile. Essi assumono, dunque, una valenza di strumento di promozione degli usi e dei saperi collettivi per evitarne la dispersione e per garantire l'esistenza della diversità di stili di vita e culture più sostenibili, in un processo dinamico che vede coinvolti, in stretta correlazione con la comunità locale, una pluralità di attori: gli enti locali, l'associazionismo, gli istituti di ricerca, le realtà economiche, la scuola.

Si delinea, così, una nuova concezione di museologia, "in grado di esaminare tutte le possibili prospettive di gestione del territorio e di utilizzo delle risorse, mobilitando la creatività locale e attivando un disegno coerente di valorizzazione del patrimonio culturale che abbia come scopo quello di accrescere il benessere, non solo economico, della comunità di riferimento, ma anche di favorire l'arricchimento culturale, la qualità del paesaggio, la valorizzazione del capitale sociale" [78].

La seconda sfida posta innanzi al legislatore sarebbe quella di delineare un compiuto sistema di finanziamento, da concretizzarsi attraverso l'istituzione di un Fondo ad hoc, destinato ad erogare contributi agli enti locali e alle comunità patrimoniali per incentivare, promuovere e valorizzare le singole espressioni immateriali. Il riparto delle sovvenzioni dovrebbe avvenire, previa individuazione dei criteri di assegnazione e in seguito all'emanazione di bandi pubblici, volti a selezionare i beneficiari, nel rispetto dei principi di imparzialità e di trasparenza.

Da ultimo una legge sul patrimonio culturale immateriale dovrebbe considerare il potenziale imprenditoriale e di offerta turistica che esso è in grado di generare [79], con positive ripercussioni in termini di politiche occupazionali e di investimenti, rappresentando i beni immateriali una "risorsa per lo sviluppo socioeconomico del Paese" [80].

 

Note

[1] Così G. Severini, Immaterialità di beni culturali?, in Aedon, 2014, 1.

[2] L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1-2, par. 1.

[3] In tal senso R. Tucci, Beni culturali immateriali, patrimonio immateriale: qualche riflessione fra dicotomie, prassi, valorizzazione e sviluppo, in Voci. Annuale di scienze umane, X, 2013, pag. 184, la quale effettua un'attenta ricostruzione delle origini dei beni immateriali evidenziando la differenza tra beni e patrimonio immateriale.

[4] In tal senso S. Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2012, 7, pag. 781.

[5] Trattasi di un Testo Unificato che comprende diverse proposte sul tema: la Proposta di legge Realacci ed altri C. 66, presentata il 15 marzo 2013: "Disposizioni per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle manifestazioni dei cortei in costume, delle rievocazioni e dei giochi storici"; proposta di legge Donati e altri C. 3804, presentata il 4 maggio 2016: "Disposizioni per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle associazioni e delle manifestazioni di rievocazione storica"; proposta di legge Picchi ed altri C. 4085, presentata il 12 ottobre 2016: "Disposizioni per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle associazioni e delle manifestazioni di rievocazione storica".

[6] L'espressione beni volatili, quale categoria specifica di beni demologici è stata coniata da A.M. Cirese, Introduzione, in R. Grimaldi, I beni culturali demo - antropologici. Schedatura e sistema informativo, Torino, 1988, pagg. 13-22.

[7] Sulla nozione di beni culturali cfr. M. Ainis - M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto Amministrativo, (a cura di) S. Cassese, Diritto Amministrativo speciale, II, Milano, 2003, pag. 1451; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, 1975, in L'Amministrazione dello Stato, Saggi, Milano, 1976, pag. 153 ss. T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001.

[8] F. Lemme, Tra arte e diritto, Torino, 1993, pag. 12.

[9] La legge 26 aprile 1964, n. 310, istituì, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, una Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, che terminò i propri lavori nel 1966. Essa, conosciuta, come "Commissione Franceschini", dal nome del suo presidente, ebbe il merito di elaborare una nozione "nuova" di bene culturale che segnò il superamento della concezione estetizzante crociana del "bello d'arte" e condusse all'introduzione di una concezione storicistica. Il bene culturale fu dunque definito come: "tutto ciò che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà".

[10] T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pag. 47.

[11] M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse storico, artistico, Padova, 1953, pag. 98.

[12] G. Morbidelli, Il valore immateriale dei beni culturali, in Aedon, 2014, 1.

[13] In tal senso G. Sciullo, Patrimonio e beni, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, 2017, pag. 35. Tra gli sporadici interventi normativi in materia si ricorda la legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante "Norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche" (poi attuata dal D.P.R. 2 maggio 2001, n. 345).

[14] G. Severini, Commento agli artt. 1 e 2, in Codice dei beni culturali e del Paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2011, pag. 26 ss.

[15] In tal senso S. Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, cit., pag. 781. Per una completa trattazione del tema della globalizzazione riferita ai beni culturali, cfr. L. Casini (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010.

[16] http://www.unesco.org/culture/heritage/intangible/html_eng/index_en.shtml/.

[17] Approvata il 17 ottobre 2003 dalla Conferenza Generale dell'Unesco.

[18] Convenzione sulla protezione e promozione delle diversità delle espressioni culturali, adottata a Parigi il 20 ottobre 2005 nella 33° sessione della Conferenza Generale dell'Unesco (ratificata in Italia con legge 19 febbraio 2007, n. 19), la quale che si prefigge il fine di proteggere e promuovere l'interculturalità.

[19] "Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO)".

[20] "Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005".

[21] E così in Italia sono stati dichiarati dall'Unesco capolavori del Patrimonio orale e immateriale dell'umanità il Teatro delle Marionette Siciliane, l'Opera dei pupi (2001), il Canto a Tenore dei Pastori del Centro della Barbagia (2005), la dieta mediterranea (2010), il saper fare liutario di Cremona (2012), le macchine dei Santi, meglio note come le grandi macchine a spalla (2013), la pratica agricola della vite ad alberello di Pantelleria (2014) la Falconeria elemento transnazionale (2016), l'Arte dei pizzaioli napoletani (2017).

[22] In tal senso C. Carmosino, La Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, in Aedon, 2013, 1, par. 3.

[23] Introdotto con il d.lg. 26 marzo 2008, n. 62.

[24] In tal senso G. Sciullo, ult. op. cit., 35.

[25] Così G. Sciullo, La difesa del patrimonio culturale delle Scuole. Il loro contributo alla tutela del patrimonio culturale immateriale di Venezia in un'ottica partecipativa o bottom up, in Il patrimonio culturale immateriale. Venezia e il Veneto come patrimonio europeo, (a cura di) M.L. Picchio Forlati, Venezia, 2014, pag. 156.

[26] G. Severini, La nozione di bene culturale e le tipologie di beni culturali, in Il Testo unico sui beni culturali ambientali (d.lg. 29 ottobre, 1999, n. 490. Analisi sistematica e lezioni, (a cura di) G. Caia, Milano, 2000, pag. 12.

[27] In tal senso G. Severini, Immaterialità dei beni culturali?, in Aedon, 2014, 1, par. 1.

[28] In tal senso L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, cit., par. 2.

[29] L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, 2016, pag. 50.

[30] Così G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in Aedon, 2015, 3, par. 1.

[31] Sul punto cfr. C. Lamberti, Ma esistono i beni culturali immateriali? (in margine al Convegno di Assisi sui beni culturali immateriali), in Aedon, 2014, 1, par. 1, il quale rileva che "più che alle misure di riconoscimento di protezione e di autenticazione caratteristiche dei beni veri e propri, i beni culturali immateriali si prestano a forme di traditio della memoria e dei valori che tali attività inverano" e in particolare "a forme di promozione e valorizzazione e dunque anche di tutela, ma non di controllo che sarebbe in conflitto con la libertà di espressione e con la naturale quanto inesauribile mutazione che investe le varie forme di cultura immateriale".

[32] Così la Liguria, con la legge 2 maggio 1990, n. 32 (poi modificata dalla legge regionale 17 dicembre 1998, n. 37): "Norme per lo studio, la tutela, la valorizzazione e l'uso sociale di alcune categorie di beni culturali ed in particolare dei dialetti e delle tradizioni popolari della Liguria";il Molise, con le leggi regionali 11 aprile 1997, n. 9, e 5 maggio 2005, n. 19, aventi ad oggetto il patrimonio culturale immateriale: etnologico, sociale, antropologico, produttivo; la Sicilia, che con Decreto Assessoriale del 26 luglio 2005, n. 77, ha istituito il Registro delle eredità immateriali di Sicilia (R.E.I), con il fine di individuare, tutelare e valorizzare l'eredità orale e culturale immateriale della Regione; la Lombardia, che con la legge regionale 23 ottobre 2008, n. 27, ha istituito il registro delle eredità immateriali Lombarde ed infine la Puglia, che con la legge regionale 22 ottobre 2012, n. 30, ha disciplinato gli "interventi regionali di tutela e valorizzazione delle musiche e delle danze popolari di tradizione orale".

[33] Così il Piemonte, con la legge regionale 10 aprile 1990, n. 26: "Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte", integrata dalla legge regionale 17 giugno 1997, n. 37 ed infine con la legge statutaria del 4 marzo 2005, n. 1; l'Emilia Romagna, con la legge regionale 7 novembre 1994, n. 45: "Legge per la tutela e valorizzazione dei dialetti dell'Emilia Romagna"; la Basilicata con la legge regionale 28 marzo 1996, n. 16: "Promozione e tutela delle minoranze etniche-linguistiche di origine greco-albanese in Basilicata"; la Sardegna con la legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26: "Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna"; il Lazio, con la legge regionale 21 febbraio 2005, n. 12: "Tutela e valorizzazione dei dialetti di Roma e del Lazio"; il Veneto, con la legge regionale 13 aprile 2007, n. 8: "Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto"; il Friuli Venezia Giulia, con la legge regionale n. 17 febbraio 2010, n. 5: "Valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella regione Friuli Venezia Giulia"; la Sicilia, con la legge regionale 31 maggio 2011, n. 9:"Norme sulla promozione, valorizzazione e l'insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole" e la Calabria con la legge 11 giugno 2012, n. 21: "Tutela, Valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico, dialettale e culturale della Regione Calabria".

[34] Umbria L. R. 29 luglio 2009, n. 16 "Disciplina delle manifestazioni storiche"; Marche L. R. 11 febbraio 2010, n. 6 "Interventi regionali in favore dell'Associazione marchigiana rievocazioni storiche"; Veneto L. R. 8 novembre 2010, n. 22, "Interventi per la valorizzazione delle manifestazioni storiche e palii"; Toscana L. R. 14 febbraio 2012, n. 5 "Valorizzazione delle associazioni e delle manifestazioni di rievocazione e ricostruzione storica della Toscana". Abruzzo L. R. 13 gennaio 2014, n. 7, art. 30 "Promozione e valorizzazione delle manifestazioni, rievocazioni e giochi storici"; Lazio L. R. 29 dicembre 2014, n. 15 "Disposizioni in materia di spettacolo dal vivo e di promozione culturale"; Molise L. R. 26 marzo 2015, n. 5 "Manifestazioni storico-culturali e tutela del benessere animale".

[35] Sul punto sia consentito rinviare a A. Gualdani, I beni culturali immateriali: ancora senza ali?, in Aedon, 2014, 1, par. 4.

[36] A. Gualdani, ult. op. cit., par. 4.

[37] Così L. Casini, Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pag. 192.

[38] M. Ainis, Cultura e politica, cit., 63, il quale afferma che in Germania vengono contrapposti i concetti di "kultur" e "zivilisation": il primo utilizzato come riferimento a tutto ciò che è espressione della natura umana e il secondo, come espressione della cultura dei popoli più avanzati, o più precisamente come cultura dei popoli che vivono nella città.

[39] S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, cit., pag. 3 ss.

[40] Voce Cultura, La piccola Treccani. Dizionario enciclopedico, Roma, 1995, pagg. 579-580.

[41] In tal senso M. Giampieretti - B. Barel, Spunti per una legge regionale sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, in Il Patrimonio culturale immateriale. Venezia e il Veneto come Patrimonio europeo, cit., pag. 228, i quali evidenziano che: "Nel ripartire le funzioni legislative tra Stato e regioni in materia culturale", il nuovo art. 117 Cost. "distingue infatti fra tutela e valorizzazione dei beni e promozione e organizzazione delle attività (commi 2 e 3): mentre i primi consistono nelle memorie ereditate dal passato (cultural heritage), da preservare e trasmettere quali testimonianze di civiltà, le seconde sono rivolte soprattutto al futuro (living culture) e vanno promosse, in condizioni di libertà (art. 2 Cost.) ed eguaglianza (art. 3 Cost.), quali espressioni della creatività umana e della diversità culturale".

[42] In tal senso S. Cassese, Il futuro della disciplina dei bei culturali, in Giorn. dir. amm., 2012, 7, pag. 781.

[43] Per una completa trattazione del tema della globalizzazione riferita ai beni culturali cfr. L Casini (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, cit.

[44] A. Crosetti - D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino, 2011, pag. 37.

[45] La disposizione rinviene un suo precedente nella legge regionale Lazio 6 dicembre 2001, n. 31, recante "Tutela e valorizzazione dei locali storici", oggetto di impugnazione innanzi alla Corte Costituzionale da parte del Governo, per lamentata lesione del dettato di cui all'art. 117, comma 2, Cost.

[46] A.L. Tarasco, Ai confini del patrimonio culturale tra luoghi comuni e processi di produzione della cultura, in Aedon 2018, 1, par. 6.

[47] È il caso della Fiaschetteria Beltrame Cons. St., sez. VI, 10 ottobre 1983, n. 723, in Cons. Stato, 1983, 1, pag. 1074; la Libreria Croce, Cons. St., sez. VI, 5 maggio 1986, 359, in Riv. giur. ed. 1986, 1, pag. 585; l'Antica Farmacia di Piazza del Campo di Siena, Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 1993, n. 741, in Riv. giur. ed., 1994, 1, pag. 133; La Libreria del Teatro di Reggio Emilia, Cons. St., sez. VI, 23 marzo 1998, n. 358, in Cons. Stato, 1998, II, pag. 454; Il Caffè Genovese di Cagliari Cons. St., sez. VI, 28 novembre 1992, n. 964, in Cons. Stato, 1992, pag. 1725.

[48] Così G. Sciullo, I beni culturali quale risorsa collettiva da tutelare - una spesa, un investimento, in Aedon, 2017, 3, par. 3.

[49] Così A.L. Tarasco, Diversità e immaterialità del patrimonio culturale nel diritto internazionale e comparato: analisi di una lacuna (sempre più solo) italiana, in Foro amm. - Cons. Stato, 2008, 7-8, pag. 2261.

[50] A. Bartolini, L'immaterialità dei beni culturali, in Aedon, 2014, 1.

[51] Così L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, cit., pag. 50.

[52] In tal senso S. Cassese, Problemi attuali dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2001, pag. 1064, il quale evidenzia che nella definizione di museo fornita dall'ICOM si fa riferimento a testimonianze materiali e immateriali dell'uomo e del suo ambiente.

[53] In tal senso, G. Sciullo, La difesa del patrimonio culturale delle scuole, cit., pag. 158.

[54] S. Fantini, Beni culturali e valorizzazione della componente immateriale, in Aedon, 2014, 1.

[55] Tribunale di Milano del 9 novembre 1992, in Giur.it., 1993, II, pag. 747.

[56] C. Barbati, Commento all'art. 6 del Codice dei beni culturali e del Paesaggio, in Commento al Codice dei beni culturali e del Paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2007, pag. 75; Corte Cost. 16 giugno 2005, n. 232, in http://www.giurcost.org.

[57] In tal senso G. Sciullo, La difesa del Patrimonio culturale delle scuole, cit., pag. 157.

[58] "La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica funzione".

[59] Corte cost., sent. 28 marzo 2003, n. 94.

[60] Sul punto cfr. M. Giampieretti - B. Barel, Spunti per una legge regionale sul patrimonio culturale immateriale, cit., pag. 233.

[61] Così si legge nel documento della Rete ecomusei Piemonte, Gli ecomusei, vivaci testimoni del patrimonio immateriale di un territorio, 2, il quale riprende i contenuti della Convenzione di Faro, laddove afferma che le norme di tutela del patrimonio culturale sono poste a garanzia del diritto collettivo all'identità e alla sua salvaguardia e che esista un diritto all'eredità culturale. Sul punto cfr. S. Baldin, I beni culturali immateriali e la partecipazione della società nella loro salvaguardia: dalle convenzioni internazionali alla normativa in Italia e Spagna, in DPCE online, n. 3/2018, 594 e L. Zagato, Intangible Cultural Heritage and Human rights, in Il Patrimonio culturale intangibile nelle sue diverse dimensioni, (a cura di) T. Scovazzi, B. Ubertazzi, L. Zagato, Milano, 2012, pag. 45.

[62] In tal senso il Disegno di legge n. 4484: "Disposizioni concernenti la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale", presentato alla Camera dei Deputati il 12 maggio 2017.

[63] In tal senso la Dichiarazione dei Ministri della Cultura del G7, in occasione della riunione "La cultura come strumento di dialogo tra i popoli", Firenze, 30 marzo 2017, in http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_961554379.html.

[64] Sul punto cfr. l'art. 8 del progetto di legge n. 4486 del 2017.

[65] P. Clemente, L'Europa delle culture e dei progetti europei: dall'Europa all'Unesco; il contributo dell'antropologia tra cosmo e campanile, in L. Zagato, M. Vecco (a cura di), Le culture dell'Europa, l'Europa della cultura, Milano, 2011, pagg. 135 - 162.

[66] Molte sono le critiche che in dottrina sono state sollevate nei confronti dell'elaborazione del principio di sussidiarietà orizzontale in particolare per la sua connotazione piuttosto "generica", tanto da configurare l'art. 118, c. 4 "una blanda disposizione programmatica", in tal senso. G. D'Atena, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, cit., pag. 32 e nello stesso senso R. Bin, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, pag. 365 ss.; M. Massa Pinto, Il principio di sussidiarietà, profili storici e costituzionali, Napoli, 2003, pag. 150 ss.

[67] In tal senso G. Pastori, Amministrazione pubblica e sussidiarietà orizzontale, in Studi in onore di G. Berti, vol. 2. Napoli, 2005, pag. 1759.

[68] In tal senso G. Sciullo, La difesa del patrimonio culturale delle scuole, cit., pag. 161.

[69] Organo disciplinato dall'art. 5 della Convenzione Unesco del 2003.

[70] M. Giampieretti - B. Barel, Spunti per una legge regionale sul patrimonio culturale immateriale, cit., pag. 237.

[71] La nozione "comunità patrimoniale" è stata coniata dalla Convenzione quadro del Consiglio d'Europa del 2005, la quale all'art. 2 b, la definisce come l'insieme di persone che apprezzano specifici aspetti del patrimonio culturale che vogliono sostenere e trasmettere alle generazioni future, nel quadro di un'azione pubblica.

[72] In tempi recenti (febbraio 2018) è stato siglato un protocollo d'intesa tra il direttore generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del Miur e l'Unione Nazionale delle Pro Loco d'Italia, volti ad inserire anche nel percorso scolastico, azioni per la trasmissione intergenerazionale di saperi e conoscenze alla base dei patrimoni culturali immateriali; la promozione dell'accoglienza turistica e della valorizzazione delle peculiarità culturali, ambientali e paesaggistiche dei territori; la diffusione dei valori dell'amicizia e della leale collaborazione attraverso la cultura del volontariato giovanile. E invero "La capillare diffusione delle sedi delle pro-loco territoriali e la loro vocazione alla tutela del patrimonio culturale immateriale favorirà senza dubbio percorsi di alternanza scuola-lavoro di qualità, orientati alla narrazione e alla valorizzazione delle tradizioni culturali dei vari territori e alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, punti di forza del patrimonio immateriale italiano". "L'intesa certifica l'importante azione delle Pro Loco per la salvaguardia, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale e rappresenta il punto di partenza per l'attuazione di iniziative comuni".

[73] Si rammenta che per Partenariato pubblico privato il Libro verde, par. 2.2., intende forme di cooperazione tra autorità pubbliche e il mondo delle imprese mirate a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio.

[74] C. Favella, Per una valorizzazione della cultura immateriale, relazione al Convegno "Prospettive e problemi per la tutela di una cultura dimenticata", Il Piccolo di Milano, 3 febbraio 2009, in paper.

[75] Nozione coniata da Hugues de Varine nel 1971, con il quale egli voleva indicare un museo dedicato al territorio nel suo complesso "un qualcosa che rappresenta ciò che un territorio è, e ciò che sono i suoi abitanti, a partire dalla cultura viva delle persone, dal loro ambiente, da ciò che hanno ereditato dal passato, da quello che amano e che desiderano mostrare ai loro ospiti e trasmettere ai loro figli".

[76] Così, il Documento della Rete ecomusei Piemonte, cit., 4.

[77] A oggi dodici sono le regioni o province autonome nelle quali esiste una normativa specifica sugli ecomusei: Piemonte (1995), Trento (2000), Friuli Venezia Giulia (2006), Sardegna (2006), Lombardia (2007), Umbria (2007), Molise (2008), Toscana (2010), Puglia (2011) Veneto (2012), Calabria (2012) e Sicilia (2014).

[78] Così si legge nel Manifesto strategico degli ecomusei.

[79] Relativamente al legame turismo e cultura, cfr. il Piano strategico del turismo 2017 - 2022 adottato dal Mibact, laddove si afferma che la valorizzazione del "patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico" è ritenuta strumento idoneo per "l'ampliamento e l'arricchimento delle destinazioni dell'offerta turistica".

[80] L'espressione è utilizzata da G. Sciullo, a proposito dei beni culturali, in, I beni culturali quali risorsa collettiva per lo sviluppo socioeconomico del Paese, cit., par. 1.

 

 



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