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Tutela del paesaggio e uso del territorio

Identità del paesaggio e ristrutturazione a fini alberghieri dei manufatti [*]

di Cesare Lamberti

Sommario: 1. Il paesaggio e i suoi beni: tutela e conservazione. - 2. Il vincolo alberghiero. - 3. Uso del territorio e tutela del paesaggio. - 4. Le leggi regionali (Umbria Veneto Puglia). - 5. La compatibilità degli interventi con il Codice. - 6. I mutamenti di sagoma e le semplificazioni. - 7. Una sentenza un po' troppo sbrigativa. - 8. Le ragioni del giudice remittente e del giudice delle leggi. - 9. Le conseguenze in termini di tutela. - 10. La tutela sovranazionale del paesaggio. - 11. Conclusioni.

Identity of landscape and renovation of property for hotel uses
After clarifying the effects of the Declaration of Public Interest on Landscape and Panoramic Beauties, the Author examines the effectiveness of the landscape constraints and hotel constraints. The landscape constraint is directed to the conservation of the territory and the hotel chain safeguards the destination of the property to the economy as a whole and allows the productive use of the property. Hotel constraint implies, as a rule, the compliance of the use of the good with the area of destination imposed by the municipal regulation plan. For the most prestigious real estate complexes, hotel constraints may also relate to the interests of respect for cultural and cultural values, not only to the physical preservation of the good and its conformity to urban planning instruments. For the goods of particular value, the hotel connection has similar effect to the landscape constraint and makes it necessary to assess the compatibility of the works with the preservation and devolution of the good for cultural purposes through an express order of the administration. The author investigated the case of the "former Flotta Lauro" building in Naples (now called "Hotel Romeo"), which was transformed and raised without such an assessment of the administration despite the link to the Unesco World Heritage Site. Landscape compatibility assessment of works was deemed necessary by the Administrative Court but not by the Constitutional Court because the Unesco Treaty does not oblige the administration to declare the public interest in the area required for compatibility assessment.

Keywords: Landscape Protection; Landscape Constraint; Hotel Constraint; Raising works.

1. Il paesaggio e i suoi beni: tutela e conservazione

Se per "paesaggio" si intende il territorio espressivo di identità diverso è il significato dell'inciso "identità del paesaggio" a seconda delle modalità con le quali si realizza l'azione e l'interrelazione dei fattori naturali e umani che lo caratterizzano. Dinamicamente inteso, il paesaggio è continua modificazione della natura e delle precedenti opere dell'uomo e la sua tutela consiste nel controllo e nella direzione che la comunità stessa effettua tramite i suoi apparati con interventi che si esplicano sul territorio. Staticamente inteso, il paesaggio non va disgiunto dalla conservazione dell'ambiente esistente, concepito in un momento di unitaria organizzazione concettuale nel dettato dell'art. 9 della costituzione [1]. Conservazione non è identità e l'obbligo di conservare non può essere fisicamente assoluto [2] perché le cose costituenti bellezze naturali vivono pure nel modo moderno e quindi è impossibile che esse non vengano godute in ragione della variazione della tecnica [3]. Vincolare il territorio non significa escludere il manifestarsi di nuove occasioni di investimento [4].

Nell'art. 9 della Costituzione, è il "paesaggio" oggetto di tutela mentre nell'art. 1 del Codice, oggetto di tutela e valorizzazione è il "patrimonio culturale" nelle due componenti dei beni culturali e dei beni paesaggistici, questi ultimi indicati dall'art. 2, comma 3, come gli immobili e aree di notevole interesse pubblico, le aree sottoposte a tutela per legge, gli ulteriori immobili ed aree tipizzati e tutelati dai piani paesaggistici (con rinvio all'art. 134 che a sua volta rinvia all'art. 136).

Quanto al paesaggio, l'art. 2 del Codice nulla dice: quasi a non voler prendere posizione sui due contrastanti indirizzi che ne individuano il carattere nelle sole porzioni del territorio sottoposte a tutela e nella forma e aspetto ma a voler sottolineare la connessione del paesaggio con il patrimonio culturale nazionale e non interferire con la competenza regionale in tema di tutela [5].

Per il paesaggio, la vera e propria tutela è contenuta nell'art. 131 del Codice ma non in maniera assoluta sino a comprendere la conservazione: anche se nella nuova formulazione della norma è accentuata la distinzione fra paesaggio e ambiente, in quanto per la tutela del paesaggio rileva il profilo della conformazione geografica e mentre quella dell'ambiente inerisce al suolo, all'acqua e all'aria, rimane fermo il principio che il paesaggio, più che conservato, va tutelato in quanto espressivo di valori che siano manifestazioni identitarie percepibili facendosi riferimento a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale in quanto espressione di valori culturali [6].

Del patrimonio culturale, lo Stato, gli enti pubblici territoriali e locali e gli altri soggetti pubblici "assicurano e sostengono la conservazione". Gli altri soggetti pubblici assicurano la conservazione e la pubblica fruizione nell'esercizio della loro attività. I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali "sono tenuti a garantire la conservazione" ... in conformità alla normativa di tutela (art. 1, commi da 2 a 6, d.lgs. n. 42/2004). Per il patrimonio culturale l'attività di individuazione dei singoli beni è rivolta alla protezione e la conservazione, a fini di tutela, che costituisce pubblica funzione e si esercita anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti (artt. 3 e 4, d.lgs. n. 42/2004).

Del paesaggio, la tutela è, invece, rivolta a "riconoscere, salvaguardare e ove necessario recuperare" i valori culturali che esso esprime: per lo Stato, le regioni, gli enti territoriali e per gli altri soggetti che intervengono sul territorio a fini pubblici, la tutela non è diretta a conservare quanto a valorizzare il paesaggio e concorrere a promuovere la cultura: concerne perciò ogni intervento umano che operi nel divenire, qualunque possa essere il valore culturale che è stato attribuito quell'area o immobile prima dell'intervento [7]. Trova così logica spiegazione l'efficacia di "parte integrante del piano paesaggistico" attribuita alla dichiarazione di notevole interesse pubblico (art. 140, comma 2, secondo inciso) e la sua estensione alle bellezze panoramiche (e non più solo se "considerate come quadri" secondo l'art. 136, comma 1, lett. d). Nella dichiarazione di notevole interesse pubblico sono contenute anche le "prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi" (art. 138, comma 1, d.lgs. n. 42/2004) che confluiscono nel piano paesaggistico, diversamente dalle aree tutelate per legge di cui, però, il piano paesaggistico "determina le prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e (solo) compatibilmente con essi la valorizzazione" (art. 143, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 42/2004).

Perché preordinati ad assicurare la conservazione degli immobili, dei complessi di cose aventi valore estetico e tradizionale, di bellezze panoramiche che per la loro qualità oggettiva identificano il "paesaggio" con le "bellezze d'insieme" [8], i vincoli ne riconoscono gli aspetti e i caratteri peculiari con riferimento al territorio considerato (art. 135, comma 2) e sono diretti a stabilire "la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato" (art. 140, comma 2, primo inciso) tramite limiti all'utilizzabilità per i titolari dei diritti sui beni fatti oggetto delle misure restrittive in funzione della tutela paesistica [9].

2. Il vincolo alberghiero

Dalla finalità dei vincoli di conservare il valore culturale del paesaggio e dei suoi beni si differenzia il vincolo alberghiero che tutela la destinazione dell'immobile all'economia nel suo insieme [10]. Nel r.d.l. n. 274/1936 [11] il vincolo era diretto a "soddisfare le esigenze del movimento turistico nazionale" ed era strutturato come un peso ob rem: prima di autorizzare la vendita (o la locazione per un diverso uso) degli edifici interamente e prevalentemente destinati ad albergo, pensione o locanda, l'amministrazione doveva accertare l'utilità della destinazione alberghiera che giustificava addirittura l'esercizio della prelazione sul manufatto se la cessazione del vincolo non era autorizzata [12]. Dalla connessione col mercato dipese, a suo tempo, l'illegittimità costituzionale della proroga del vincolo sugli immobili realizzati prima della guerra: fu ritenuta antieconomica l'indisponibilità praticamente sine die dell'immobile destinato ad albergo [13].

Nella legge quadro sul turismo n. 217/1983 è enunciata la connessione fra l'utilità collettiva e la devoluzione a fini turistici: dopo avere classificato le strutture ricettive suscettibili di vincolo, la legge ne demanda alle regioni l'apposizione "ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo, in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale". Sempre alle regioni è attribuita la competenza di fissare "con proprie leggi" criteri e modalità per la rimozione del vincolo di destinazione, le sanzioni per i casi di inadempienza ed i raccordi con le norme ed i piani urbanistici [14]. Ai comuni è riservata la potestà di "individuare le aree destinate ad attività turistiche e ricettive e di determinare la disciplina di tutela e utilizzazione di tali aree", tenendo conto dei piani di sviluppo predisposti dalle regioni.

È incerta la sorte del vincolo alberghiero [15]. Scompare con la seconda legge quadro di riforma del settore turistico, n. 135/2001 e con il Codice del turismo di cui al d.lgs. n. 79/2011 [16] seguiti alla riforma del titolo V ed è stato formalmente abrogato, dopo ripetute proroghe [17], dal cd. "taglia leggi" [18]. Il succitato "pacchetto" normativo fu dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale in quanto realizzava un accentramento di funzioni, che spettano in via ordinaria alle regioni, sulla base della natura residuale della competenza legislativa regionale in tema di classificazione delle strutture alberghiere [19]. Il vincolo alberghiero ha, in ogni caso, continuato ad essere oggetto di attenzione in giurisprudenza [20] per la diversa finalità assunta nel tempo: quella di intervento pubblico tendente ad indirizzare un'attività economica nell'ambito regionale, in relazione alle esigenze sussistenti in quel medesimo contesto [21]. A livello urbanistico, il vincolo opera a mò di sindacato della conformità delle opere con la destinazione di zona impressa dal piano regolatore [22] e dimostra effettiva utilità per la corretta pianificazione e l'ordinato sviluppo del territorio [23].

3. Uso del territorio e tutela del paesaggio

In un quadro normativo non chiarissimo, le regioni hanno regolato con proprie leggi il movimento turistico interno, muovendo dalla nozione di impresa alberghiera e disciplinando, in conformità alla "cornice" stabilita nella legge-quadro, le strutture ricettive sotto l'aspetto organizzativo ed edilizio (artt. 5 e 6 legge n. 217/1983) [24].

È evidente la stretta dipendenza della destinazione d'uso dalla produttività del bene: l'affermazione, sebbene propria del vincolo alberghiero, può essere riferita a tutti i vincoli di piano regolatore dipendenti da presupposti mutevoli nel tempo: nel che il loro carattere "ontologicamente cedevole" a seconda delle condizioni cui sia subordinata la devoluzione dell'immobile o dell'area a fini produttivi. L'affermazione della rimovibilità del vincolo alberghiero in ipotesi di accertata, sopravvenuta impossibilità o non convenienza produttiva della precedente destinazione [25] diviene così una caratteristica di tutti gli immobili o le aree collocate in zone con destinazione produttiva una volta che il presupposto sia venuto a mancare per qualche ragione esogena o impediente.

In questa trasformazione si inquadra la destinazione alberghiera o comunque ricettiva di edifici o di parte di essi anche di valore storico, di appartamenti, di casolari di campagna, divenuta più semplice dopo l'abrogazione/indebolimento del vincolo alberghiero, considerato un'occasione per una rilettura del turismo in chiave dinamica, dove la destinazione d'uso non è presa in considerazione solo come fenomeno sociale, ma opera come generatore di attività d'impresa, capace di produrre ricchezza, creare posti di lavoro e rendere competitivo il Paese: quando genera attività d'impresa, la destinazione d'uso opera in forma che potremo "definire" impropria perché non ha il solo fine di individuare le condizioni per assoggettare il bene ad un determinato regime ma ad evidenziarne particolari caratteristiche intrinseche che lo rendono idoneo a fini produttivi.

L'impatto sul territorio delle trasformazioni ai fini ricettivi è diverso a seconda dell'entità: di regola, un affittacamere o un bed and breakfast pesano sugli standard urbanistici sicuramente meno di un agriturismo o di un intero edificio la cui trasformazione ad uso ricettivo comporti opere più o meno rilevanti o muti la destinazione d'uso. Rispetto alla situazione preesistente, una ristrutturazione a fini ricettivi è comunque tale da trasformare un manufatto in misura più o meno significativa.

Così, la destinazione del manufatto ad agriturismo è soggetta alla destinazione agricola della zona e all'insieme dei limiti previsti dalle leggi regionali sull'agriturismo e ancora diversa è la condizione degli immobili destinati ad esercizio del bed and breakfast, la cui attività è soggetta al possesso da parte dell'esercente di regolare attestato d'idoneità per lo svolgimento dell'attività, per condizioni igienico-sanitarie, per numero di posti letto, per la categoria catastale dell'immobile. Per il bed and breakfast e analoghe strutture ricettive, l'esistenza di eventuali vincoli riguarda in prevalenza i rapporti con l'ente locale, essendo rimessi alla commissione comunale per la tutela del paesaggio e solo in seconda battuta, al potere di annullamento del nulla osta paesaggistico della soprintendenza ai beni artistici e paesaggistici.

4. Le leggi regionali (Umbria Veneto Puglia)

Diversa è la condizione delle strutture ricettiva ubicate in complessi immobiliari di particolare pregio la cui trasformazione ad albergo appare in contraddizione con la conservazione dei valori paesaggistico-culturali e con la nozione di paesaggio identitaria ma diviene relativa di fronte alla conservazione fisica del bene.

Per queste residenze, la conformità alla legge n. 42/2004 è oggetto di diverso atteggiamento da parte della legislazione regionale.

La regione Umbria ha disciplinato autonomamente l'ospitalità nelle residenze d'epoca nella legge n. 13/2013, definendone l'inserimento in contesti ambientali di particolare valore storico, naturale o paesaggistico, dotate di mobili e arredi d'epoca o di particolare interesse artistico. La legge ne afferma l'idoneità ad una accoglienza altamente qualificata e obbliga a mantenere l'originaria fisionomia architettonica e strutturale sia all'esterno che all'interno, anche a seguito di interventi di restauro, consolidamento e conservazione [26].

La regione Veneto aveva in un primo tempo adibito ad albergo anche le residenza storiche. Nel testo unico in materia di turismo (l.r. n. 13/2013) è definita una specifica disciplina per la classificazione delle strutture ricettive alberghiere o complementari situate in Ville venete o in altri edifici di pregio storico oggetto dei vincoli del d.lgs. n. 42/2004. La Giunta regionale, anche in deroga alle prescrizioni dettate per le strutture turistico ricettive di cui alla presente legge regionale, detta i parametri di carattere urbanistico, edilizio, igienico sanitario e di sicurezza degli impianti delle strutture ricettive alberghiere o complementari situate nelle Ville venete, negli altri edifici di pregio storico di cui al comma 1-bis nonché in ogni altro edificio soggetto a specifiche forme di tutela, nel rispetto della vigente normativa statale.

La regione Puglia con l'art. 4 della l.r. n. 11 del 1999, qualifica fra le strutture ricettive gli ''alberghi dimora storica-residenza d'epoca'' come quelli "ubicati in complessi immobiliari di particolare pregio storico-architettonico o di particolare livello artistico, dotati di mobili o arredi d'epoca idonei ad un'accoglienza altamente qualificata, con servizi riferiti minimo alla classe a quattro stelle" [27]. Aggiunge l'art. 11 della legge regionale, che "i castelli, le ville e gli altri complessi immobiliari in possesso dei requisiti di cui all'art. 4, comma 5, da destinare in tutto o in parte alla ricettività̀ turistica, devono essere complessi monumentali in ottimo stato di conservazione, che non abbiano subito interventi lesivi della loro destinazione e i cui interventi (di restauro, consolidamento e conservazione non ne abbiano alterato, sia all'esterno che all'interno, l'originaria fisionomia architettonica e strutturale, fermo restando, per i beni soggetti al vincolo monumentale, le prescrizioni dei competenti organi statali) [28].

Delle leggi regionali esaminate, quella pugliese è l'unica ad essere stata emanata prima della riforma del titolo V mentre divide con le altre l'essere anteriore alle semplificazioni in materia di ristrutturazione degli edifici.

5. La compatibilità degli interventi con il Codice

In linea di massima la devoluzione ad albergo non confligge con la nozione di paesaggio e di bene paesaggistico: il "notevole interesse pubblico" che sta a fondamento della nozione di bene paesaggistico non contrasta con l'uso dell'immobile a fini ricettivi. L'uso produttivo del bene non contrasta con la sua testimonianza culturale: accogliendo persone che si muovono da luoghi diversi giova all'economia e favorisce la diffusione del bene che è l'obiettivo ultimo della sua conservazione.

Più complessa è la compatibilità con "l'originaria fisionomia architettonica e strutturale sia all'esterno che all'interno" degli "interventi di restauro, consolidamento e conservazione". Sono ristrutturazione edilizia gli interventi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportano l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi. Sono, invece, interventi di restauro e di risanamento conservativo gli interventi volti al recupero abitativo di edifici preesistenti e quindi idonei a conservare l'organismo edilizio e garantire la funzionalità, rispettando gli elementi tipologici formali e strumentali dell'edificio senza alcuna modifica dell'identità, della fisionomia e della struttura interna dello stesso, oltre che delle superfici delle singole unità immobiliari e dei volumi. Gli interventi edilizi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile, che comportino l'inserimento di nuovi impianti e ne modifichino la distribuzione dei volumi non si configurano né come manutenzione straordinaria né come restauro e risanamento conservativo ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia [29].

Restrittivamente considerato, il concetto di ristrutturazione si manifesta antitetico a quello di conservazione: il mantenimento del rapporto tra l'edificio preesistente quello ristrutturato - dopo le rime affermazioni giurisprudenziali dell'art. 31 della legge 457/78 - è venuto via via sempre più dilatandosi sino ad essere confinato con riferimento sulle strutture essenziali dell'opera oggetto d'intervento. Proprio la costante meno rigorosa prassi giurisprudenziale è stata, forse, definitivamente elevata al rango normativo con l'eliminazione del vincolo di rispetto della sagoma a seguito di interventi demolitori ricostruttivi che ha di fatto autorizzato l'introduzione di un aliquid novi nell'edificio risultante dalla ristrutturazione.

In tale prospettiva va rilevato come il mutamento nella destinazione d'uso che consegue alla ristrutturazione non è incompatibile con la conservazione della destinazione dell'immobile a fini culturali, sempre che venga assicurato il rispetto della sua devoluzione. La diversa utilità del bene a seguito dell'aliquid novi è da cogliersi non con riferimento ai vantaggi per il proprietario ma sulla base dell'utilità al sistema economico nazionale.

Un significativo principio generale è stato elaborato in relazione al risultato finale dell'attività edificatoria e consistente nella trasformazione autorizzata di un fabbricato esistente: in questa prospettiva la ristrutturazione può consistere in una modifica fisica o strumentale dell'esistente con un edificio in tutto o in parte nuovo oppure in una particolare modalità di esecuzione dei lavori quando risulti necessario e conforme alle regole di buona tecnica e come nel caso di demolizione e ricostruzione del fabbricato la stessa sagoma e volumetria.

6. I mutamenti di sagoma e le semplificazioni

Anche se di regola le problematiche più frequenti si sono verificate in giurisprudenza con riferimento alle controversie condominiali, non di rado è accaduto che il cambio di destinazione d'uso abbia determinato la "cancellazione di fatto di un quadro paesaggistico di rilevante interesse a causa della entità delle superfici impegnate sia dalle aree pertinenziale (parcheggi e viabilità) che del manufatto medesimo". Con annullamento da parte dell'Autorità statale del nullaosta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconoscendo ad essa un controllo di sola legittimità che, peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l'eccesso di potere [30].

Oltre a quella residenziale e rurale, sono categorie funzionali idonee a costituire mutamento rilevante della destinazione d'uso ai sensi dell'art. 23-bis T.U. edilizia, quella turistico-ricettiva, produttiva e direzionale e commerciale nelle quali si inquadrano buona parte delle ristrutturazioni che recentemente sono state attuate nelle periferie e nei centri storici [31]. È sempre più frequente la riqualificazione di importanti complessi produttivi dismessi con ricavo di unità abitative e commerciali accompagnate da nuovi spazi pubblici destinati a parcheggi o la riqualificazione di interi edifici con mutamenti nella destinazione d'uso cui devono essere commisurati gli standard esistenti ricostituendo in tal modo l'equilibrio che rende la trasformazione stessa sostenibile all'interno di un bilancio ambientale di costì sopportati e benefici ottenuti [32].

Nel paesaggio urbano, la tutela va intesa come insieme non solo di territorio ma di individui e di abitudini in cui si identifica l'identità di un qualcosa. La nozione è polivalente contrasta l'espansione e la disarticolazione del tessuto urbano ed i connessi fenomeni di dispersione abitativa caratterizzanti le problematiche relative alle città ed ai governi locali [33]. Una volta che la disciplina del paesaggio si attagli al tessuto urbano e alle zone di espansione, comprende i territori degradati, assume funzioni di interesse generale e benessere sociale, assurge a progetto di trasformazione territoriale.

È quindi inevitabile considerare la città e i requisiti che la distinguono dotate di caratteristiche che sembrano fatte per farla entrare di diritto nell'estetica contemporanea: a partire dai problematici rapporti che questa intrattiene con la bellezza. Opera tipicamente aperta tempo del divenire e della rappresentazione continua [34]: il paesaggio urbano è perciò un aspetto specifico della più generale accezione di paesaggio legato a fattori prevalenti molto differenti che hanno dinamiche e valori propri e in generale intersecantisi su piani diversi, compresa la conservazione dei manufatti esistenti, adibiti ad un diverso uso [35]. Sotto questo aspetto, il paesaggio urbano è parte di una definizione onnicomprensiva che non può non essere culturale [36].

In questa ottica vanno inquadrate sia le semplificazioni progressive nella destinazione d'uso degli edifici, sia le potestà dello Stato e delle regioni, nel quadro della cooperazione stabilita dalle convenzioni internazionali in materia di conservazione e valorizzazione del paesaggio sia i mutamenti introdotti nel al T.U. edilizia, ultimo dei quali con l'art. 23ter, aggiunto del decreto legge "Sblocca Italia" in tema di destinazione "urbanisticamente rilevante" [37].

Alla nuova norma va riconosciuto di avere per la prima volta qualificato a livello statale e di principio se e quando il quid novi nell'uso della proprietà sia rilevante a fini urbanistici e non lo sia: è però altrettanto evidente la perplessità che suscitano le difficoltà applicative nei rapporti con la legislazione regionale, la libertà del cambio d'uso attuato all'interno della stessa categoria funzionale solo perché espressione dello jus utendi e l'enumerazione delle categorie funzionali di utilizzo dell'immobile (o della singola unità immobiliare) diverse da quella originaria, idonee a concretare la rilevanza della destinazione d'uso [38].

7. Una sentenza un po' troppo sbrigativa

A questo substrato ideologico sembra contravvenire, quantomeno in parte, la vicenda dello stabile della via Colombo a Napoli, noto come edificio "ex Flotta Lauro" e attualmente denominato "Hotel Romeo", la cui trasformazione e sopraelevazione è sfuggita a qualsiasi valutazione di compatibilità nonostante l'evidente incidenza sul paesaggio urbano: la deroga al regime del vincolo legale dell'area contenuta nel comma 2 dell'art. 142 del Codice perché ricadente in zona omogenea classificata "B" dal P.R.G. di Napoli, conduce "alla conseguenza paradossale di consentire una sopraelevazione, nel perimetro dei 300 mt. dalla battigia, ove insistono significative testimonianze della storia di Napoli e del suo paesaggio identitario" [39].

Il manufatto era destinato ad albergo e vincolato come tale. L'intera zona era nella "Lista del patrimonio mondiale dell'Unesco" [40]. Nonostante le opere realizzate al nono piano per aumentare la funzionalità economica del fabbricato ne comportassero la sopraelevazione, erano state assentite con semplice dia [41]. Essendo l'area ove il fabbricato ricadeva ricompreso nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco, era stata ipotizzata la necessità della valutazione paesaggistica, così integrando l'elenco delle aree tutelate per legge o reinterpretando la deroga al vincolo paesaggistico nei confronti delle zone territoriali omogenee [42].

"Pietra dello scandalo" era la sopraelevazione realizzata, nel quadro del mutamento di destinazione ad uso alberghiero, all'ottavo e al nono piano dello stabile che costituiva "un'evidente rottura del preesistente equilibrio paesaggistico a causa del notevole aumento di cubatura dell'ultimo piano" nonostante l'immobile fosse inserito nella lista Unesco del centro storico di Napoli, e in particolare dell'area, adiacente al vecchio porto su cui insiste l'albergo Romeo, evidenziandosi che l'importanza di tale area risiede anche nella "unicità di immagine percepita" sia in caso di arrivo via mare che di osservazione dagli "infiniti punti di insediamento lungo la costa".

Da una consulenza tecnica acquisita durante il procedimento giudiziale, era emerso che lo stabile di via Colombo, sebbene compreso fra i territori costieri in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia vincolati ex lege dal comma 1, lett. a) dell'art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004, ricadeva in zona omogenea classificata "B" dal P.R.G. di Napoli alla data del 6 settembre 1985, di entrata in vigore della legge Galasso: ricadeva perciò nella deroga prevista dal comma 2 dell'art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004 per le aree delimitate, negli strumenti urbanistici vigenti, come zone territoriali omogenee A e B del d.m. n. 1444 del 1968 [43].

Il Tar della Campania, investito del ricorso avverso l'ordine di ripristino e demolizione delle opere perché realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica, rinviene la violazione dell'art. 9 Cost., nel comma 2 dell'art. 142 del Codice, in quanto non esclude dalla deroga al regime delle aree tutelate per legge le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio Unesco.

Sempre nei confronti dell'art. 142 d.lgs. n. 42/2014, il giudice remittente ravvisa l'ulteriore violazione dell'art. 9 Cost., nella parte in cui non prevede tra i beni paesaggistici sottoposti a vincolo ex lege, i siti tutelati dalla Convenzione Unesco né prescrive, per i medesimi, l'obbligo in capo all'amministrazione di apposizione in via provvedimentale del vincolo paesaggistico.

Ambedue le questioni sono state dichiarate inammissibili da una sentenza della Corte costituzionale risalente ai primi dello scorso anno rimasta un po' in sordina [44], perché rivolte, nel loro insieme, ad ottenere una pronuncia "additiva e manipolativa" del dettato normativo: è stato, in particolare ritenuta rimessa alla discrezionalità del legislatore la materia delle aree sottratte al vincolo legale mentre è stata considerata ancipite, cioè proposta in termini di alternatività irrisolta, la questione dell'apposizione del vincolo ex lege per i siti tutelati dalla Convenzione Unesco ovvero dell'obbligo di apporre il vincolo paesaggistico con provvedimento ad hoc dell'amministrazione.

8. Le ragioni del giudice remittente e del giudice delle leggi

Secondo il giudice amministrativo, la deroga al regime del vincolo legale condurrebbe "alla conseguenza paradossale di consentire, nel perimetro dei 300 mt. dalla battigia, ove insistono significative testimonianze della storia di Napoli e del suo paesaggio identitario, trasformazioni del territorio senza alcuna valutazione di compatibilità paesaggistica".

Compatibilità, la cui valutazione appariva ancor più necessaria dato l'eccezionale pregio artistico e storico dell'immobile, incluso come tale nei siti tutelati dall'Unesco, situato nel centro edificato nel comune di Napoli e all'interno dell'area di rispetto (cd. buffer zone area) in base alla cartografia allegata al riconoscimento Unesco, rilevabile dal sito internet comunale.

Più che la classificazione dell'area come zona territoriale omogenea "B" nel PRG del comune di Napoli del 1972 (totalmente o parzialmente edificata ex art. 2 d.m. n. 1444/1968) è oggetto di contestazione la deroga alla tutela "comunque" riservata alle aree comprese nell'elenco dell'art. 142, in forza dell'interesse paesaggistico ex lege, nonostante l'area ricadesse, secondo la cartografia allegata al riconoscimento Unesco, all'interno della zona cuscinetto fosse delimitata in funzione del valore di Patrimonio dell'Umanità.

Secondo la Corte costituzionale, le questioni sono, nel loro insieme, "additive e manipolative" dell'art. 142 del codice, perché l'estensione della tutela ex lege ai siti di preminente valore Unesco, comporterebbe il carattere "interposto" del trattato rispetto alle norme interne [45], perché il trattato non obbligata l'amministrazione a dichiarare il notevole interesse dell'area [46], perché l'assoggettamento del bene al vincolo implica la specificità delle relative ipotesi [47].

Rispetto alla deroga all'interesse paesaggistico ex lege delle aree qualificate come zone territoriali omogenee "A" e "B" alla data del 6 settembre 1985, la primarietà del paesaggio tutelato dal trattato Unesco non è stata ritenuta "in alcun modo costituzionalmente necessitata, essendo riservata al legislatore la valutazione dell'opportunità di una più cogente e specifica protezione dei siti in questione e delle sue modalità di articolazione".

9. Le conseguenze in termini di tutela

Nelle tre ipotesi in cui è prevista dall'art. 142, comma 2 del Codice (zone omogenee negli strumenti urbanistici, aree ricomprese nei p.p.a., oppure ricadenti nei centri edificati perimetrati), la deroga alla tutela paesaggistica ex lege prescinde dalla possibile differenziazione in relazione alle specifiche condizioni dei settori omogenei territoriali presi in considerazione, ossia dei diversi paesaggi riconosciuti e descritti nella parte ricognitiva della pianificazione [48].

La deroga è stata ritenuta espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale/paesaggistica prevista dall'art. 117, comma 2, lett. s), Cost. di individuare le aree che presentavano, alla data del 6 settembre 1985, le caratteristiche insediative e funzionali delle Zone A e B di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, e le aree a destinazione pubblica incluse nel territorio urbanizzato individuato in base al medesimo art. 142, comma 2 [49].

Anche se la tutela ex lege dei beni paesaggistici suscita non pochi problemi quanto alla corretta individuazione e delimitazione del vincolo, anche la deroga non va esente da critica perché sottrae al vincolo le singole aree, indipendentemente dall'interesse paesaggistico solo perché individuate dallo strumento urbanistico vigente alla data di entrata in vigore della legge Galasso, così eludendo la possibilità affermata dalla Corte costituzionale di attribuire agli enti locali poteri diretti di pianificazione del paesaggio.

Affermare che anche per i beni compresi nei siti Unesco, la tutela di fonte legale dell'art. 142, comma 1 può essere attribuita se e nella misura in cui questi siano riconducibili alle relative categorie tipologiche, non suscettibili di interpretazione estensiva, significa azzerare ogni tutela senza considerare le caratteristiche culturali del territorio ma solo perché urbanizzato e compreso in zona omogenea dalla disciplina urbanistica alla data del 6 settembre 1985 [50].

Siffatta conclusione se può avere una sua logica per quanto attiene alle zone "A" dell'art. 2 d.m. 1444/1968 (agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi) ne è del tutto priva con riguardo alle zone "B" concernenti le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone "A", alle zone ricomprese nei piani pluriennali di attuazione.

La deroga alla tutela per legge diviene praticamente illimitata sia perché l'elencazione del comma 1 dell'art. 142 non è suscettibile di integrazione a mezzo dei trattati sia perché la disciplina di zona è quella a suo tempo imposta dallo strumento urbanistico, senza possibilità di emendamenti o integrazioni [51]. Il comma 2 riproduce infatti il regime di deroga al vincolo generalizzato imposto sulle indicate tipologie territoriali che rimane datata alla situazione esistente al momento di entrata in vigore della legge Galasso.

Un ruolo di "ricognizione" decisivo è stato attribuito dal legislatore ai piani paesaggistici. Ai sensi dell'art. 143, comma 1, lett. c), tra le funzioni essenziali dei piani, vi è quella di procedere alla "ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell'articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione".

Nello stesso ambito è altresì prevista la possibilità che il piano individui le aree soggette a tutela ai sensi dell'articolo 142 e non interessate da specifici procedimenti o provvedimenti ai sensi degli articoli 136, 138, 139, 140, 141 e 157, nelle quali la realizzazione di interventi può avvenire previo accertamento, nell'ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, della conformità degli interventi medesimi alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico comunale.

Nelle aree soggette a tutela a tutela ai sensi dell'articolo 142 sono perciò comprese quelle oggetto di deroga per cui l'interesse paesaggistico può prevalere sullo strumento urbanistico comunale.

10. La tutela sovranazionale del paesaggio

È stato evidenziato come, sottraendo idealmente il paesaggio in senso culturale dal paesaggio in senso generale, residua un paesaggio che va considerato ai fini della delimitazione per "ambiti" del territorio regionale anche in relazione al quale la pianificazione paesaggistica è tenuta a fissare "adeguati obiettivi di qualità" e a individuare "linee di sviluppo urbanistico ed edilizio". L'esigenza di tutela dei siti Unesco nell'ordinamento nazionale, obbligherebbe il legislatore alla luce della "presunzione ex lege di culturalità" [52] a valutare "la più cogente e specifica protezione dei siti" e individuare "i provvedimenti giuridici, scientifici, tecnici, amministrativi e finanziari adeguati per l'identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e rianimazione di questo patrimonio" [53].

La definizione di "paesaggio in senso culturale" è propria della Convenzione Unesco con la compilazione (dal 1992), sulla base delle proposte provenienti dagli Stati firmatari, di una lista di siti che si distinguano per il loro eccezionale valore paesaggistico. Alla Convenzione Unesco si deve la possibilità di invocare l'assistenza internazionale, attingendo ad un fondo costituito ai sensi della Convenzione medesima, in funzione di supporto per la protezione di tali siti rispetto alle risorse impiegate dalla Stato nel cui territorio si trova il bene paesaggistico [54].

L'effetto di tale inserimento consiste in un generico obbligo "di garantire l'identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale" dei siti di eccezionale valore paesaggistico senza che possa ipotizzarsi, neppure in astratto la possibilità di superare l'urbanizzazione delle zone "B" come cristallizzata all'epoca di entrata in vigore della legge Galasso.

La conclusione non è diversa per la Convenzione europea del paesaggio [55] che fonda il proprio dettato normativo su due principi basilari: a) il paesaggio deve essere giuridicamente riconosciuto e tutelato indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli: con la conseguenza che, al recepimento dei principi della Convenzione, lo Stato dovrà riconoscere una rilevanza paesaggistica all'intero territorio posto sotto la sua sovranità; b) le popolazioni devono essere attivamente e costantemente coinvolte nei processi decisionali pubblici relativi che riguardano il paesaggio: con riferimento ai principi di sussidiarietà e di autonomia, le responsabilità pubbliche in materia di paesaggio devono quindi, di preferenza, essere decentrate a livello territoriale [56].

Sta alla Convenzione avere individuato, nel quadro della nozione generale, le tre azioni esperibili sul paesaggio: la protezione, la gestione e la pianificazione. Il piano paesaggistico assume le fattezze di "possibile punto di confluenza e di articolazione delle tre azioni" in un contesto in cui "territorio e paesaggio si intrecciano sempre più strettamente in quell'unicum sintetizzato dalla dimensione paesaggistica necessaria del territorio e che trova nei beni vincolati il nucleo forte espressivo del valore paesaggistico del territorio, ma non si esaurisce in questi" [57].

11. Conclusioni

Si deve senz'altro alla Corte costituzionale il distacco del paesaggio dalla protezione delle bellezze naturali [58] non più considerate immodificabili perché legate ai valori di un specifico momento storico, ma tutelate nel dinamismo proprio dello sviluppo socio economico del Paese [59] nel quale il valore paesaggistico è legato a scelte di civiltà di più ampio respiro [60].

L'humus sul quale appoggiava la legge Galasso dopo avere impresso alla stessa giurisprudenza della Corte (dalla sent. n. 151/1986) "una riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale" [61] diviene causa di quella che è stata definita la "tragedia dei comuni" inevitabilmente derivante da principi collettivisti o pubblici ma frutto in un'indebita espansione di forma di appropriazione privata [62].

La stessa Corte, nella successiva giurisprudenza, attribuisce sempre maggior rilievo all'essere ed all'agire individuale [63]; cosicché il paesaggio, trasformato dalla presenza operosa dell'uomo, perde fissità ed alterità per ammantarsi di valenze (ulteriori rispetto a quella estetica, che è intrinseca) acquisibili solo grazie all'interazione con l'esterno. La cifra culturale, quella urbanistica e quella sanitaria, in particolare, diventeranno caratteristiche ineludibili di una concezione ulteriormente rinnovata [64] in cui l'ordinamento di fronte alla natura pubblica del bene, risolve di volta in volta il complesso problema del dosaggio dei poteri da attribuire al titolare del bene e dei diritti che possono devono essere riconosciuti sul bene medesimo [65].

D'altro canto, il riconoscimento del valore estetico-culturale come primario [66] implica la necessità di "conciliare una concezione assiologica del paesaggio con le esigenze di bilanciamento originate dal confliggere di diversi interessi" [67]. L'insieme di questi elementi suggerisce di invertire il tradizionale percorso concettuale, che va dai regimi ai beni, per adottarne uno che vada, invece, dai beni ai regimi: è infatti l'analisi della rilevanza economica e sociale che dovrebbe individuare i beni medesimi come oggetti, materiali o immateriali, con diversi fasci di utilità; i beni possono essere così classificati in base alle utilità prodotte, collegandole alla tutela dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali [68].

Nel caso delle ristrutturazioni di beni a fini produttivi, è necessario che la loro previsione sia oggetto di un processo di economicità ove la disciplina dei procedimenti di formazione degli atti e provvedimenti amministrativi incida sul valore di "qualità della vita" riferito all'utilizzazione del territorio [69].

Con la scomparsa del vincolo alberghiero, la ristrutturazione a fini ricettivi pur rimanendo soggetta alle regole dell'urbanistica non può prescindere dall'esistenza di contemperare la precarietà dell'uso, legato a momentanee esigenze del mercato, con la pubblicità della valorizzazione pubblica.

 

Note

[*] Relazione tenuta nel corso del XIX Convegno AIDU tenutosi a Bari - Matera nei giorni 30 settembre - 1° ottobre 2016 "Governo del Territorio e patrimonio culturale".

[1] T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, III, Milano 1995, pag. 57.

[2] A. Predieri, voce "Paesaggio" Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, pag. 512.

[3] M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, pag. 132, anche V. Caputi Iambrenghi, Premesse per una teoria dell'uso dei beni pubblici, Napoli, 1979, spec. capitoli I e X.

[4] P. Urbani, Urbanistica solidale, Torino, 2011, pag. 42.

[5] M.A. Sandulli, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, pag. 33.

[6] M.A. Sandulli, Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 992. Sugli stessi temi cfr. diffusamente A. Angiuli, Postfazione alla parte III del Codice. Beni paesaggistici e codificazione; Id., Postfazione sul paesaggio, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Le nuove leggi amministrative, vol. 3°, Torino, 2005, pag. 323 ss. e pag. 463 ss.

[7] A. Predieri, voce "Paesaggio" Enc. dir., cit., pag. 512.

[8] M.S. Giannini, I beni pubblici, cit., pag. 132.

[9] A.M. Sandulli, Natura ed effetti dell'imposizione di vincoli paesistici, Riv. trim. dir. pubbl. 1961, pag. 809 ss.

[10] P. Virga, Diritto amministrativo, I principi; Vol. 1, IV Ed. Milano, 1995, pag. 411.

[11] R.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274, contenente norme per la vendita e la locazione degli immobili adibiti ad uso alberghiero, conv. legge 24 luglio 1936, n. 1692. Con la legge di conversione, i sette articoli di cui constava in origine decreto legge furono riuniti in un unico articolo.

[12] Al ministero per la stampa e la propaganda era infatti attribuito un sindacato "di merito" sulla necessità della destinazione alberghiera al movimento turistico nazionale che, qualora riconosciuta attribuiva al ministero il diritto di prelazione a giusto prezzo entro tre mesi dall'invio dell'istanza, secondo le modalità previste nell'articolo precedente, a favore dell'ente o della persona che assuma di mantenere, almeno per dieci anni, la destinazione alberghiera, fissando all'uopo convenienti garanzie.

[13] Corte cost., 28 gennaio 1981, n. 4, secondo cui l'incidenza del vincolo alberghiero sui soli immobili adibiti a tale uso prima del 1945 trovava fondamento nell'immediato dopoguerra, nell'esigenza di non diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche, venute progressivamente ad affievolirsi, con l'accrescersi e l'ammodernarsi del patrimonio alberghiero, mentre la discriminazione introdotta nel regime vincolistico, troppo a lungo perpetuatasi, aveva sconfinato oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa.

[14] Secondo l'art. 8, comma 5, legge n. 217/1983 "Il vincolo di destinazione può essere rimosso su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economica-produttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato". Lo stesso l'art. 8 stabiliva un'elencazione delle tipologie di strutture alberghiere sottoposte al vincolo e ne prevedeva - per la prima volta - la decadenza ex lege qualora il proprietario - unico legittimato a richiederlo - avesse dimostrato la non convenienza economico produttiva della struttura ricettiva fermo l'obbligo di restituire tutti i finanziamenti pubblici eventualmente percepiti.

[15] Secondo G. Visconti, è discutibile se la legge quadro sul turismo n. 217 del 1983 sia attualmente in vigore o non lo sia: essa sembrerebbe essere stata esplicitamente abrogata dal comma 6 dell'art. 11 della legge 135/2001 "a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 2, comma 4" della stessa legge 29 marzo 2001, n. 135 anteriore alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che ha riformato nel senso visto sopra l'art. 117 della Costituzione, lo Stato, in forza di essa, mantiene la competenza a riformare unilateralmente ed in maniera omogenea per tutto il territorio nazionale la legislazione turistica italiana vigente (problema molto importante per lo sviluppo del turismo italiano ma mai, finora, affrontato seriamente), emanando il d.p.c.m. previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 2 della legge 135/2001, anche se un atto simile troverebbe, molto probabilmente, la forte opposizione delle regioni e delle province autonome. La sempre valida competenza legislativa dello Stato in materia dovrebbe però spronare le regioni a raggiungere finalmente la "riforma condivisa" auspicata dal d.p.c.m. 13 settembre 2002.

[16] Nel codice del turismo, seguito all'attribuzione alle regioni della competenza legislativa esclusiva in ambito turistico anche in relazione alla trasformazione turistico alberghiera dei fabbricati, il vincolo alberghiero è stato sostituto dalla suddivisione delle strutture ricettive nelle quattro categorie individuate dall'art. 8 del d.lgs. n. 79/2011 nel più ampio quadro dall'esercizio dell'attività ricettiva, diretta "alla produzione di servizi per l'ospitalità esercitata nelle strutture ricettive". Alla definizione delle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere provvede il successivo art. 9, mentre alla definizione degli standard minimi nazionali per le imprese turistiche ricettive avrebbe dovuto provvedere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La devoluzione ad albergo degrada, nell'art. 10 a "tipologia delle strutture" che entra a comporre il "sistema nazionale di rating" diretto a misurare la qualità del servizio reso ai clienti.

[17] Cfr. art. 5 d.l. 27 giugno 1967, n. 460, conv. legge 28 luglio 1967, n. 628, secondo cui "il vincolo alberghiero già prorogato con l'art. 3 del d.l. 23 dicembre 1964, n. 1357, conv. legge 19 febbraio 1965, n. 33, è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1969".

[18] D.l. 25 giugno 2008, n. 112, art. 24.

[19] Corte cost., 5 aprile 2012, n. 80, in quanto ridonda nella lesione della competenza legislativa residuale regionale in materia di turismo, eccedendo in tal modo la delega contenuta nella legge 28 novembre 2005, n. 246, preordinata al coordinamento formale ed alla ricomposizione logico-sistematica di settori omogenei di legislazione statale, mediante la creazione di testi normativi coordinati, tendenzialmente comprensivi di tutte le disposizioni statali per ciascun settore, snelli e facilmente consultabili.

[20] Tar Liguria Genova, sez. I, 26 marzo 2015, n. 344, secondo cui il vincolo alberghiero, laddove manchi una specifica copertura a livello legislativo, può comunque rappresentare legittima espressione delle scelte urbanistiche operate a livello locale (Foro amm. (Il) 2015, 3, 885).

[21] A. Cicchetti, Il vincolo "turistico-alberghiero" strumento di conservazione o trasformazione del territorio? in Riv. giur. edil., 2014, 4, pag. 150.

[22] Tar Lazio, Roma, Sez. II-quater, 20 aprile 2007, n. 3518.

[23] Cons. St., Sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 672.

[24] Secondo l'art. 6, legge n. 217/1983 Sono strutture ricettive gli alberghi, i motels, i villaggi-albergo, le residenze turistico-alberghiere, i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli esercizi di affittacamere, le case e gli appartamenti per vacanze, le case per ferie, gli ostelli per la gioventù, i rifugi alpini. Gli alberghi sono esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile.

[25] Né siffatto vincolo può essere introdotto con il regolamento urbanistico su un singolo edificio, in quanto in tal modo l'impressa destinazione d'uso non sarebbe pertinente alla pianificazione urbanistica e concreterebbe uno sviamento del potere amministrativo dalla sua causa tipica. Tar Toscana Firenze, sez. I, 11/06/2015, n. 893.

[26] La legge stabilisce che l'accoglienza turistica nelle residenze d'epoca può essere esercita in forma non imprenditoriale quando è a carattere saltuario e senza la fornitura di servizi accessori e l'esercizio dell'attività in forma non imprenditoriale non comporta il cambio di destinazione d'uso dell'immobile che può essere adibito in tutto o in parte a ricettività L'esercizio dell'attività ricettiva nelle residenze d'epoca è subordinata alla conformità delle strutture alle norme in materia di igiene e sanità, sicurezza, urbanistica e edilizia. È istituita presso la competente struttura della giunta regionale la commissione per le residenze d'epoca composta da sei esperti nominati dalla giunta regionale. Ai componenti della commissione, non dipendenti regionali, spetta il rimborso delle spese sostenute per l'espletamento delle funzioni.

[27] Secondo la legge regionale ... sono ''residenze turistico-alberghiere'' le strutture ricettive aperte al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate, costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina.

[28] Sempre a mente dell'art. 1 l.r. n. 11/1999 alla classificazione di tali strutture provvede la provincia competente per territorio, su domanda degli interessati, previo conforme parere della sovrintendenza per i Beni ambientali, architettonici e storici della Puglia. Le residenze d'epoca sono assoggettate agli obblighi amministrativi e alle sanzioni previste per gli alberghi.

[29] La persistenza di un manufatto edilizio sul quale intervenire rappresenta invece il più immediato discrimine tra intervento di ristrutturazione intervento di nuova costruzione. L'elemento che in linea generale contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio mediante edificazione di cui si conservi la struttura fisica sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere che possono portare un organismo edilizio del tutto nuovo in parte diverso dal precedente. L'unica deroga all'esigenza di mantenere immutata volumetria e sagoma per potersi mantenere nell'ambito della ristrutturazione edilizia, o con riguarda alle sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.

[30] Cfr. Tar Campania, Napoli, Sez., sent. 4731/08.

[31] R. Invernizzi, Art. 23ter, in Testo Unico dell'edilizia (a cura di) M.A. Sandulli, Milano 2014, pag. 621.

[32] A. Calegari, La (tuttora incompiuta) disciplina statale del cambio d'uso funzionale degli immobili esistenti, in Pianificazione urbanistica e attività economiche, (a cura di) P. Stella Richter, Milano, 2015, pag. 195.

[33] M. Cammelli, Governo delle città: profili istituzionali, in Le grandi città italiane. Società e territori da ricomporre, cit., pag. 336 ss.

[34] E. Piroddi, Le regole della ricomposizione urbana. Milano 2000, pag. 61.

[35] S. Cancellieri, Il paesaggio urbano: i centri storici e la condivisione delle scelte nella pianificazione paesaggistica. Seminario annuale diritto e paesaggio. Castelnuovo Berardenga (Siena) 2-4 ottobre 2008. Università degli studi di Siena - Dipartimento di diritto dell'economia. ministero per i Beni e le Attività culturali. Direzione generale per la tutela e la qualità del paesaggio, l'architettura e l'arte contemporanee.

[36] R. Reali, Il paesaggio culturale, Seminario annuale diritto e paesaggio, cit. che, ne evidenzia il legame a fattori prevalenti molto differenti che hanno dinamiche e valori propri e in generale intersecantisi su piani diversi.

[37] Inserito dall'art. 17, comma 1, lett. n), d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv. dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

[38] A. Calegari, La (tuttora incompiuta) disciplina statale del cambio d'uso funzionale degli immobili esistenti, cit., pag. 204.

[39] Tar Campania, Napoli, 13 marzo 2014, n. 86, sul ricorso proposto da Romeo Alberghi Srl contro comune di Napoli ed altri.

[40] Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (Convenzione Unesco), firmata a Parigi il 23 novembre 1972 e recepita in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, firmata a Parigi il 23 novembre 1972).

[41] Cfr. punto 4 dell'Ordinanza n. 86 del 13 marzo 2014 del Tribunale amministrativo regionale per Campania sul ricorso proposto da Romeo Alberghi Srl contro comune di Napoli ed altri.

[42] Secondo il commento dell'ance alla sentenza della Corte cost., 11 febbraio 2016, n. 22, i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco, nel nostro ordinamento giuridico, non godono di una tutela a sé stante, ma, anche a causa della loro notevole diversità tipologica (siti culturali, siti naturali, ecc.), beneficiano di forme di protezione differenziate a seconda della loro tipologia; i siti Unesco sono assoggettati alle misure di tutela paesaggistica solo nel caso in cui siano vincolati e cioè siano riconducibili ai beni tutelati per legge ai sensi dell'art. 142, comma 1 del d.lgs. 42/2004 (cd. aree ex Galasso) ovvero sia intervenuto un apposito provvedimento di vincolo (artt. 136 ss. del d.lgs. 42/2004 ovvero ancora il vincolo sia apposto dal piano paesaggistico regionale (art. 134, comma 1, lett. c, del d.lgs. 42/2004) Da ciò consegue che, in assenza di vincolo, gli interventi sugli immobili ricompresi all'interno dei siti Unesco non sono soggetti al previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

[43] Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367 Non è fondata la q.l.c. dell'art. 12 d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, il quale sostituisce l'art. 142 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, censurato, in riferimento agli art. 117comma 3 e 118 cost. nonché per violazione del principio di leale collaborazione, "nella parte in cui reintroduce l'illimitata vigenza del vincolo paesaggistico per le categorie di beni tutelate ai sensi della legge n. 431 del 1985, nonché, con particolare riferimento al comma 3 dello stesso art. 142, nella parte in cui preclude alle regioni di individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del paesaggio".

[44] Corte cost., 13 gennaio-11 febbraio 2016, n. 22, in Aedon, 2016, 1, e in Federalismi.it, 2016, n. 4.

[45] Ordinanza n. 176 de 13 marzo 2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Sarubbi Giuseppe contro comune di Napoli ed altri. Il Collegio ritiene che la medesima norma dell'art. 142, comma 2, d.lgs. 42/2004, possa porsi in contrasto anche con l'art. 117, comma 1, Cost., che impone l'osservanza della Convenzione Unesco, e segnatamente gli artt. 4 e 5 della Convenzione medesima, integrano, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui stabilisce l'obbligo per la legislazione interna di rispettare i vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali", che pertanto risulterebbe violato.

[46] Ordinanza n. 239 del 13 marzo 2014 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Romeo Alberghi Srl contro comune di Napoli ed altri. In senso analogo, la disciplina generale per l'individuazione degli immobili ed aree di notevole interesse pubblico, assoggettati alla specifica tutela delle disposizioni di cui al d.lgs. 42/2004 demanda alla discrezionalità tecnica dell'amministrazione l'individuazione dei beni da dichiarare di notevole interesse pubblico, senza che vi sia alcun obbligo nel caso in cui un sito rientri nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco. Una censura di costituzionalità può riguardare, sempre per le ragioni indicate, anche le norme di cui agli art. 134, 136, 139, 140 e 141 d.lgs. n. 42/2004, nella parte in cui non impongono all'amministrazione di adottare la dichiarazione di notevole interesse, con la conseguente disciplina di tutela, per i siti riconosciuti Patrimonio Mondiale Unesco.

[47] Ordinanza del 13 marzo 2014, n. 86 del Tribunale amministrativo regionale per Campania sul ricorso proposto da Romeo Alberghi Srl contro comune di Napoli ed altri. in tal senso il riconoscimento di tutela Unesco, con l'inserimento nella relativa lista, dovrebbe essere ricompreso, come ipotesi aggiuntiva, trai casi previsti nel medesimo comma 1, dell'art. 142.

[48] P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, Riv. trim. dir. pubbl. 2004, 2, pag. 363. Il quale ipotizzava una pianificazione a cerchi concentrici, che abbracci dunque l'intero territorio regionale, sul piano ricognitivo e descrittivo, ma che, attraverso l'individuazione di ambiti paesaggistici omogenei, focalizzi i contenuti prescrittivi di tutela e di valorizzazione su aree comunque caratterizzate dal notevole interesse pubblico paesaggistico [...], differenziando gli strumenti di tutela medesima in relazione ai diversi obiettivi di qualità a ciascuna area assegnati.

[49] La Corte ha considerato costituzionalmente illegittima la disposizione regionale, ritenendo che essa violasse nel testo la Corte Costituzionale, con la sentenza 23 marzo 2012, n. 66, si è pronunciata sull'art. 12 della legge della regione Veneto 26 maggio 2011, n. 10, che assimilava alle aree escluse dal vincolo paesaggistico, ai sensi dell'art. 142, comma 2, d.lgs. 42/2004, le aree che presentavano, alla data del 6 settembre 1985, le caratteristiche insediative e funzionali delle Zone A e B di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, e le aree a destinazione pubblica incluse nel territorio urbanizzato individuato in base al medesimo art. 142, comma 2. La Corte ha considerato costituzionalmente illegittima la disposizione regionale, ritenendo che essa violasse.

[50] G. Sciullo, Il patrimonio culturale e le sue regole I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, in Aedon, 2012, 1-2.

[51] La Corte non pone in discussione né carattere identitario di bene culturale costituito dal "paesaggio urbano o dall'edificio ex Flotta Lauro" né l'inclusione nei siti Unesco ma afferma la mancanza di una sua tutela diversa da quella che la legge prevede anche quando nella stessa legge non sia contenuta alcuna tutela.

[52] M. Cammelli, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dall'analisi all'applicazione, in Aedon, 2004, 2.

[53] Del "paesaggio" il Codice Urbani presenta molteplici nozioni a) una nozione "generale", espressa dall'art. 131, comma 1, riportabile nella sostanza a quella della Convenzione europea sul paesaggio; b) due nozioni "particolari" che definiscono il paesaggio "in senso culturale": b.1) l'una in rapporto alla "funzione di tutela", comprensiva dei beni paesaggistici e delle caratteristiche paesaggistiche o contesti paesaggistici non individuati (né individuabili) come beni paesaggistici (art. 135, comma 4, lett. c), e art. 143, comma 1, lett. e); b.2) l'altra in rapporto alla "funzione di valorizzazione", comprendente anche i nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati (artt. 6, comma 1, e 131, comma 5).

[54] L. Uccello Barretta, Quale tutela per i siti patrimonio dell'Unesco?, in A.I.C. Associazione italiana costituzionalisti, Osservatorio costituzionale 30 gennaio 2016. In altri termini, pertanto, gli obblighi ricadenti sugli Stati firmatari riguardano specificamente i siti di eccezionale valore paesaggistico e consistono in un dovere (generico) di protezione, conservazione e valorizzazione di essi: ciò significa che, se appare condivisibile che tali aree non possano rimanere completamente prive di tutela, pena la violazione della Convenzione, la determinazione dello strumento e dell'intensità della protezione e della valorizzazione è lasciata alla volontà degli Stati.

[55] La Convenzione è stata adottata il 19 luglio del 2000 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sulla base di un progetto elaborato dal Congresso dei poteri locali e regionali. La Convenzione è entrata in vigore, in questi Stati, il 1° marzo 2004. La Convenzione è stata sottoscritta da altri 13, tra cui l'Italia. La Convenzione si compone di un Preambolo e si compone di 18 articoli ed è suddivisa in 4 capitoli. Questi capitoli comprendono le Disposizioni generali (I), i Provvedimenti nazionali (II), la Cooperazione europea (III) e le Clausole finali (IV). Il capitolo relativo alle Disposizioni generali riguarda le definizioni, il campo di applicazione e gli obiettivi; quello riguardante i Provvedimenti nazionali si riferisce alla ripartizione delle competenze, ai provvedimenti generali e alle misure specifiche. Il capitolo concernente la cooperazione europea comprende le politiche ed i programmi internazionali, l'assistenza reciproca e lo scambio di informazioni, i paesaggi transfrontalieri, il Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa e il controllo dell'applicazione della Convenzione. L'ultimo capitolo contiene le clausole finali relative ai rapporti della Convenzione con altri strumenti giuridici, la firma, la ratifica, l'entrata in vigore, l'adesione, l'applicazione territoriale, la denuncia, gli emendamenti e le notifiche.

[56] Nell'articolo della Convenzione europea relativo alle definizioni, l'aggettivo "culturale" è stato quindi volutamente evitato. A questo riguardo, la Relazione esplicativa della Convenzione europea - paragrafo 78 - riferendosi alla relazione della Convenzione con altri strumenti giuridici, spiega le ragioni di questa apparente contraddizione mettendo in luce che i due trattati hanno vocazioni ben distinte, al pari delle due Organizzazioni internazionali sotto i cui auspici sono stati elaborati. Gli obiettivi della Convenzione europea, come visto, sono diversi.

[57] A. Serritiello, L'amministrazione del paesaggio nel Codice dei beni culturali, in attesa della sua riforma Verso la revisione del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Profili critici e punti di forza del sistema di amministrazione del paesaggio, in Aedon, 2013, 3.

[58] Corte cost., 29 dicembre 1982, n. 239, e prima ancora n. 65 del 1959, n. 56 del 1968, n. 141 del 1982.

[59] Corte cost., 1 aprile 1985, n. 94.

[60] Corte cost., 21 dicembre 1985, n. 359.

[61] R. Fattibene, L'evoluzione del concetto di paesaggio tra norme e giurisprudenza costituzionale: dalla cristallizzazione all'identità, in Federalismi.it, 2016, n. 10.

[62] G. Napolitano, Analisi economica e diritto amministrativo. in Atti del convegno annuale AIPDA, Milano, 2007, pg. 149.

[63] Il canone interpretativo del dettato costituzionale che prevalse inizialmente fu quello estetico, avvalorato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: fino agli anni 70, la norma rimase oggetto di una generalizzata mancata assimilazione. Furono la progressiva e sempre più visibile alterazione del paesaggio e l'ingresso delle questioni ambientali nel mondo del diritto a determinare la chiusura di quella fase. Del resto, il paesaggio appare come dimenticato dallo stesso Costituente nella riforma del titolo V della parte II della Costituzione che ha attribuito alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali [nuovo art. 117, comma 2, lett. s)] ed ha inserito nella potestà legislativa concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali (nuovo art. 117, comma 3), ma non ha fatto uso del termine 'paesaggio', che pure è contenuto tra i principi fondamentali della Costituzione.

[64] R. Fattibene, L'evoluzione del concetto di paesaggio tra norme e giurisprudenza costituzionale, cit.

[65] V. Caputi Iambrenghi, Premesse per una teoria dell'uso dei beni pubblici, cit., pag. 190.

[66] Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196.

[67] R. Fattibene, L'evoluzione del concetto di paesaggio tra norme e giurisprudenza costituzionale, cit., par. 2.

[68] L. Mercati, Beni pubblici, Diritto on line, 2012, con ampi accenni alla proposta della Commissione Rodotà, incaricata di redigere uno schema di delegazione legislativa per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici. Nello schema è ravvisabile, innanzitutto, il riavvicinamento concettuale tra beni pubblici in senso giuridico e in senso economico, con la previsione della categoria dei "beni comuni" (i fiumi, i laghi, l'aria, i lidi, i parchi naturali, le foreste, i beni ambientali, la fauna selvatica, i beni culturali), beni le cui utilità sono collegate all'esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo delle persone e per i quali si prescinde, anche sotto il profilo della protezione, dalla considerazione della appartenenza pubblica o privata. In secondo luogo, si codifica il superamento della distinzione tra demanio e patrimonio indisponibile; i "beni pubblici", intesi come quelli che appartengono a soggetti pubblici, si distinguono in beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali, beni pubblici fruttiferi, a seconda degli interessi che sono chiamati a soddisfare: interessi generali fondamentali i primi (ad es.: sicurezza, libera circolazione e dunque opere destinate alla difesa, autostrade, ferrovie); esigenze corrispondenti ai diritti civili e sociali i secondi (ad es.: sanità, istruzione e dunque ospedali, scuole); interessi di carattere economico/finanziario per gli ultimi, che possono essere venduti o messi a reddito nel rispetto delle regole della pubblicità e della libera concorrenza. Diversi, per conseguenza, i regimi giuridici e, cioè, le forme di protezione: inalienabilità e tutela in via amministrativa e inibitoria per i primi; rispetto del vincolo di destinazione per i secondi, gestione con strumenti privatistici per i beni fruttiferi.

[69] V. Caputi Iambrenghi, Premesse per una teoria dell'uso dei beni pubblici, cit., pag. 190.

 

 



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