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L'ordinamento dei beni culturali: le origini, le riforme, le sfide

"Learning by experience"? La riforma del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo [*]

di Lorenzo Casini

Sommario: 1. La lentissima riforma del ministero. - 2. Gli obiettivi della riforma. - 2.1. In principio sono le funzioni... - 2.2. Dalle cose agli istituti: la creazione dei musei statali e il conseguente riordino delle soprintendenze. - 2.3. Razionalizzare la spesa per incrementare le risorse. - 3. Le "leve" della riforma. - 3.1. Il riallineamento tra organizzazione e disciplina sostanziale. - 3.2. Il coordinamento tra normativa di settore e normativa generale. - 3.3. Le risorse. - 3.4. L'internazionalizzazione. - 4. Gli effetti della riforma sul diritto amministrativo. - 4.1. Le fonti dell'organizzazione. - 4.2. Le procedure di nomina dirigenziale. - 4.3. I modelli organizzativi. - 4.4. La contabilità pubblica e gli incentivi fiscali. - 4.5. Il rapporto tra pubblico e privato. - 5. Il futuro della riforma: il diritto del patrimonio culturale quale "bottega" del diritto amministrativo?

"Learning by experience"? The reform of the Italian Ministry for culture and tourism
The article examines the reform of the Italian Ministry for Culture and Tourism started in 2014 and its main developments. The first part deals with the history, design and objectives of such administrative reform. The second part explains what kind of leverages made possible to start and to implement the reform process. The third and final part focuses on how the reform could represent a case study from a dual perspective: on the one hand, it displays all the traditional features - and political and bureaucratic behaviours - which one can find in every administrative reform; on the other hand, the reform has produced significant innovation in cultural property law, and in administrative law more generally, under several aspects: regulation, finance, personnel, public and private relationships. Due to its complexity and variety, therefore, cultural property law may become an "atelier" for whoever decides to study administrative law.

Keywords: Administrative reforms; Ministry for culture and tourism; cultural property law.

1. La lentissima riforma del ministero

"Mentre è giusto e necessario, a livello di scambi informativi e di collaborazione scientifica e di programmazione di attività, un legame tra istituti museali e uffici di ricerca, di tutela e di amministrazione del patrimonio artistico dei relativi territori, è illogico e controproducente affidare le due mansioni agli stessi funzionari, studiosi, tecnici e amministratori. Ben diverse, teoricamente e praticamente, sono le funzioni di un museo da quelle di una "soprintendenza", anche se fra di esse esistono organici rapporti. L'autonomia amministrativa e di lavoro (culturale, conservativo, espositivo, didattico, formativo) dei musei è condizione preliminare di ogni ulteriore riforma" [1].

Questo brano dello storico dell'arte Franco Russoli, celebre direttore della Pinacoteca di Brera, ben sintetizza - con quarant'anni di anticipo - lo spirito della riforma del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact) avviata nel 2014: una riforma "amministrativa", intesa come una serie di azioni, promosse dal corpo politico, per adattare il ministero al cambiamento economico e sociale [2]. Soprattutto, il passo di Russoli identifica uno dei principali problemi su cui per molto tempo, anche prima degli anni Settanta del XX secolo, si è dibattuto, con analisi, studi, commissioni, proposte di legge, ossia il problema di come superare la cronica debolezza delle istituzioni museali all'interno della macchina dello Stato italiano [3]: quale forma giuridica riconoscere ai musei? Quale organizzazione? Quale autonomia?

La riforma del ministero, perciò, va innanzitutto letta nel contesto dei numerosi tentativi o progetti di riorganizzazione che in decenni sono stati suggeriti o portati avanti, senza essere realizzati, dalla politica, dall'amministrazione, dalle organizzazioni sindacali, dalla comunità scientifica [4]. Questi progetti non si sono concretizzati non perché non fossero validi, tutt'altro, ma perché di volta in volta è venuto a mancare un tassello - politico, amministrativo, economico o anche culturale - decisivo. La riforma del 2014 è dunque il risultato di un lungo e lentissimo processo di studio e approfondimenti, di cui l'ultima tappa - che ha rappresentato la base di partenza per riorganizzare in modo profondo il ministero e giungere così alla meta - è stata la Relazione della Commissione di studio presieduta da Marco D'Alberti, nel 2013 [5].

Non è questa la sede, però, per esaminare i contenuti specifici della riforma, su cui peraltro si è già scritto molto [6]. L'intento di questo contributo è, invece, quello di mettere in evidenza come la riforma del ministero e, più in generale, gli interventi normativi realizzati negli ultimi tre anni e mezzo, abbiano prodotto effetti rilevanti non solo sull'amministrazione del patrimonio culturale e sulle sue regole, ma anche sul diritto amministrativo e sulla pubblica amministrazione in generale.

Questo scritto è articolato in tre parti. Nella prima sono sinteticamente richiamati gli obiettivi della riforma del ministero, limitandosi a ricordarne le linee ispiratrici. Nella seconda parte, sono ricostruite le "leve" della riforma, ossia i fattori che ne sono stati e ne sono ancora, al contempo, presupposto e strumento di attuazione. Nella terza parte, infine, vi è il tentativo di mostrare gli effetti sistemici che la riforma ha determinato su alcuni ambiti e istituti del diritto amministrativo: le fonti normative, l'organizzazione, il personale, la finanza e il rapporto tra pubblico e privato.

La conclusione è che la riforma del ministero, da un lato, nasce da un policy-mix, un insieme di interventi di carattere generale e settoriale, che sono riusciti a realizzare quanto progettato da molto tempo, specialmente con riguardo ai musei. Dall'altro lato, la riforma ha sì riconosciuto le specificità dell'amministrazione del patrimonio culturale, senza però tralasciare il fatto che essa è parte integrante dello Stato, condividendo quindi pregi e difetti delle amministrazioni pubbliche. Gli interventi sono stati perciò anche sulle regole generali dell'organizzazione e del personale, così da accompagnare le trasformazioni della macchina ministeriale. Questi caratteri hanno consentito alla riforma di partire, ma la sua attuazione e il suo buon esito dipendono necessariamente dallo sforzo comune di tutti i soggetti coinvolti, prima fra tutti l'amministrazione stessa.

2. Gli obiettivi della riforma

Come spesso avviene nella storia delle istituzioni, e non solo, anche questa riforma nasce da una congiuntura, ossia le misure di revisione e di contenimento della spesa imposte nel 2012 dal c.d. decreto legge sulla "spending review" (d.l. n. 95 del 2012). In una situazione critica per la finanza pubblica, Governo e Parlamento imposero a tutti i ministeri un taglio del 20 per cento delle rispettive dotazioni organiche, dirigenziali e non. Era quindi necessario riscrivere in tempi rapidi i regolamenti di organizzazione, introducendo misure di risparmio (come, ad esempio, la riduzione o l'eliminazione dei c.d. incarichi dirigenziali di studio). Per agevolare il riordino, fu ideata anche una fonte "speciale", con un iter più snello di quello richiesto per il tradizionale regolamento emanato con d.p.r.: la ri-organizzazione dei ministeri fu demandata ad appositi d.p.c.m., da adottare in Consiglio dei ministri, con parere del Consiglio di Stato facoltativo. Ciò nonostante, non tutti i ministeri riuscirono in tempo nell'impresa e così alle amministrazioni venne data un'altra possibilità, con termine al 15 luglio 2014 per l'invio degli schemi di regolamento al ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione e al ministro dell'Economia e delle Finanze.

Da questa seconda possibilità, chiesta e ottenuta dallo stesso Mibact, è nata la riforma. Il Ministro Franceschini, infatti, invece di procedere meccanicamente alla riduzione degli uffici nella percentuale prevista, ha scelto di usare questa opportunità - come in parte aveva tentato di fare anche il suo predecessore, Massimo Bray [7] - per compiere una duplice azione riformatrice: in primo luogo, quella di correggere i vizi originari del ministero, da più parti lamentati sin dal 1974, come la poco chiara definizione delle funzioni o il cronico disallineamento tra disciplina sostanziale e norme di carattere organizzativo [8]; in secondo luogo, quella di tentare di realizzare un disegno organizzativo del ministero che potesse accogliere le numerose - e pressoché unanimi - ipotesi di riforma proposte, senza mai essere attuate, negli ultimi decenni, con particolare riferimento ai musei [9].

Da queste finalità discendono alcuni dei principali obiettivi della riforma: migliorare la identificazione e la distribuzione delle funzioni; creare finalmente i musei dello Stato come istituzioni, secondo gli standard internazionali dell'International Council of Museums (Icom); razionalizzare le risorse a disposizione, al dichiarato scopo di poterle incrementare.

Obiettivi titanici - che si aggiungono ad altri di natura più contingente, quali l'integrazione delle nuove competenze in materia di turismo, trasferite dalla Presidenza del consiglio al ministero nel 2013, nonché appunto il taglio del 20 per cento delle posizioni dirigenziali - ma, in un certo senso, obbligati. Il ministero era ai minimi storici sotto ogni aspetto: bilancio, fermo a 1,4 miliardi di euro, di cui circa la metà per le spese di personale; risorse umane, con una età media di 55 anni con pensionamenti misurabili a settimana, e una pianta organica ferma al 1997, con numeri e uffici non corrispondenti alla realtà; servizi, se solo si pensa alle proroghe pluriennali dei c.d. servizi aggiuntivi.

Era dunque necessaria, e inevitabile, una riforma profonda che, innanzitutto, potesse correggere quello che appariva quale il principale difetto in termini organizzativi, ossia l'assenza dei dati e delle informazioni rilevanti sul personale, sugli uffici, sulle risorse e sulle procedure. Per questa ragione, la riforma è stata preceduta e poi sempre accompagnata da una costante attività di studio e raccolta delle informazioni, soprattutto in materia di personale, che ha inoltre consentito di aggiornare, più di una volta, la distribuzione delle dotazioni organiche.

2.1. In principio sono le funzioni...

Il primo obiettivo è stato quello di seguire uno dei più celebri insegnamenti di Massimo Severo Giannini, ossia "in principio, sono le funzioni". Si è voluto così applicare "una delle regole fondamentali di scienza dell'amministrazione", vale a dire che "i singoli centri organizzativi di cui si compone un apparato abbiano ciascuno una funzione propria, ossia, dal punto delle funzioni, che queste siano assegnate secondo unità di materia ciascuna ad un suo centro di imputazione" [10]. Soprattutto, si sono messi da parte particolarismi e personalismi ed è stato seguito il percorso logico che dovrebbe contraddistinguere l'organizzazione amministrativa, come ricostruito anche da Mario Nigro negli anni Sessanta del XX secolo: si individua una funzione, la si conferisce a un ufficio, si dota quest'ultimo di compiti e poteri per esercitarla [11], e in fine si individua la persona adatta per dirigere l'ufficio. Sotto questo profilo, la riforma dà atto, seppur tardivamente, degli sforzi ripetuti in cui Giannini si profuse per diversi anni negli anni Sessanta e Settanta, anche partecipando a varie commissioni ministeriali, per riformare l'amministrazione delle belle arti, senza tuttavia riuscirci [12].

Ebbene, nel settore del patrimonio culturale da molti anni, in Italia, campeggiano due funzioni, la tutela, la "regina" secolare, e la valorizzazione, più recente e più sfuggente [13]. È possibile separarle in modo netto? Non sempre; né è necessariamente utile farlo. Un museo, ad esempio, innanzitutto tutela il proprio patrimonio, le proprie collezioni, per farle fruire e farle conoscere al pubblico, dunque anche per valorizzarle. Una soprintendenza tutela un prestigioso palazzo cinquecentesco di proprietà privata, ad esempio vigilando sulla sua conservazione, sia per proteggere il valore culturale che esso trasmette, sia per render possibile alla collettività di continuare a fruire di tale valore.

La riforma ha quindi agito non secondo una illogica e irrealizzabile scissione tra tutela e valorizzazione, impossibile in natura, ma ha seguìto quanto indicato all'inizio da Russoli, che parlava da dentro l'amministrazione. È stato semplicemente riconosciuto che tutelare il territorio e i beni di proprietà privata, con i relativi poteri autorizzatori, è funzione diversa rispetto a quella di gestire un museo, specialmente per quel che oggi un museo è diventato, come luogo di ricerca, di educazione e di diletto. La riorganizzazione del ministero, conseguentemente, ha previsto uffici diversi per svolgere queste attività. In estrema sintesi, ha lasciato alle soprintendenze il compito di prendersi cura del patrimonio culturale "diffuso" del Paese e ha creato, come uffici anche dirigenziali del ministero, i musei. Secondo uno schema noto peraltro da tempo sia in altri ambiti, come gli archivi, con archivi di stato e soprintendenze archivistiche, sia nei rapporti tra Stato e altre amministrazioni (si pensi ai numerosi musei civici, soprattutto archeologici).

Risulta allora evidente che l'accusa mossa contro la riforma - in prevalenza sulla stampa, con pezzi a forte connotazione ideologica - di aver reciso in modo netto il cordone che lega tutela e valorizzazione rappresenta un tipico "argomento fantoccio" (straw man argument), perché si attribuisce alla riorganizzazione del ministero qualcosa che non solo non ha cercato di realizzare, ma che è addirittura pressoché impossibile da attuare. E forse proprio la fallacia di tali critiche consente di comprendere perché in Italia sia stato così difficile dotare di una qualche autonomia i musei statali e riconoscerli in quanto istituzioni.

In aggiunta, la riforma ha tentato di meglio definire le funzioni non solo dei musei, ma di tutte le strutture centrali e periferiche del ministero, agendo in vario modo: integrando nell'amministrazione le nuove competenze in materia di turismo; potenziando i compiti di educazione, formazione e ricerca, con un'apposita direzione generale, in diretta attuazione dell'articolo 9 della Costituzione; restituendo visibilità all'arte e all'architettura contemporanee e alle periferie urbane; mantenendo la specificità e l'autonomia di archivi e biblioteche; aggiornando le mansioni in materia di spettacolo e di cinema.

2.2. Dalle cose agli istituti: la creazione dei musei statali e il conseguente riordino delle soprintendenze

Il secondo obiettivo è stato quello di creare i musei, come istituzioni. Il passaggio qui è stato dalle cose agli istituti. Vi erano stati importanti tentativi in passato, come, tra i più recenti, l'atto di indirizzo del 2001 o la Commissione c.d. Montella del 2006, sino alla Commissione D'Alberti nel 2013 [14]. Nulla di cogente, però. I musei statali restavano, fatte salve rarissime eccezioni, come la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, meri uffici non dirigenziali all'interno delle soprintendenze. Uffici quindi privi di regolamento o statuto, di un direttore con pieni poteri di firma e di gestione della cassa, di un consiglio di amministrazione, di un comitato scientifico. Né questi circa 200 musei (su un totale di circa 400 luoghi della cultura) potevano contare su una direzione generale di riferimento.

La riforma ha quindi agito in tre modi. In primo luogo, ha creato una direzione generale Musei al centro, ispirandosi al modello francese. In secondo luogo, ha previsto, quali articolazioni periferiche della direzione generale, 17 poli museali regionali, cui affidare i compiti in materia di musei. In terzo luogo, ha individuato - in più passaggi, tra la fine del 2014 e l'inizio del 2017 - 32 musei e parchi archeologici cui attribuire autonomia speciale, ossia trasformarli - comunque all'interno dei limiti dell'apparato ministeriale - in vere e proprie istituzioni: dagli Uffizi a Capodimonte, da Paestum a Brera, da Pompei alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, dal Colosseo al Museo archeologico di Reggio Calabria [15].

La creazione dei musei e la loro "fuori-uscita" dalle soprintendenze ha anche permesso di riorganizzare queste ultime. In particolare, ha consentito di focalizzare tali strutture sui principali compiti di tutela, inclusa la ricerca e la formazione. E ha portato così, progressivamente, alla scelta di avere soprintendenze uniche archeologia, belle arti e paesaggio, nella prospettiva di meglio coordinare l'azione del ministero sul territorio. Una semplificazione di carattere sia organizzativo, sia procedimentale, come si chiarirà più avanti, attuata, in ogni caso, mantenendo la specificità delle diverse discipline e assicurando una corretta distribuzione dei presidi nelle diverse regioni. Anzi, la ridefinizione delle soprintendenze operata nel 2016 ha permesso di riequilibrare una distribuzione non sempre razionale delle strutture periferiche che si era accumulata in decenni, con uffici collocati senza alcuna corrispondenza con il numero di abitanti, l'estensione territoriale, la consistenza del patrimonio da tutelare, la complessità delle procedure.

2.3. Razionalizzare la spesa per incrementare le risorse

Il terzo obiettivo è stato quello di razionalizzare la spesa, soprattutto in termini di distribuzione delle risorse, con il preciso scopo di aumentarle. In questo caso il principale ostacolo da superare è stato, e rimane, quello delle risorse umane. Si partiva da una pianta organica ferma al 1997, con migliaia di carenze, frutto di un periodo di tagli seguìto a irrazionali politiche assunzionali.

L'obiettivo è stato quello di ridisegnare le strutture e di redistribuire conseguentemente l'organico, così da mettere in evidenza i vuoti ed essere più incisivi e forti nelle richieste al Governo di reclutare nuovo personale. Qualsiasi riforma presuppone investimenti e l'unico modo per assicurarli, in questo caso, era quello di eliminare la confusione organizzativa che la stratificazione di uffici e di ripetute riorganizzazioni avevano prodotto in una struttura risalente al XIX secolo (è sufficiente comparare l'attuale organigramma del Mibact con quello precedente la riforma). In questo senso, il lavoro compiuto, con le inevitabili imperfezioni, è stato davvero improbo, soprattutto per recuperare le informazioni e i dati necessari: si è iniziato senza sapere quante e quali persone lavoravano in un ufficio, mentre ora almeno esiste un organico, con i diversi profili, per ogni struttura. Proprio questo intenso lavoro ha messo in luce le condizioni critiche in cui si trovano diverse strutture, rendendo finalmente possibile conoscerle: il che, paradossalmente, ha alimentato gli attacchi contro la riforma, quando quest'ultima non può essere la causa di disfunzioni di lunga data, ma semmai ne ha consentito l'emersione. Ed è questa emersione delle carenze e dei problemi, determinata dal processo di riforma, che ha favorito la ripresa - e il potenziamento - delle misure assunzionali. Ma è solo il principio, evidentemente.

A conferma di quanto appena scritto, è sufficiente comparare il bilancio del ministero prima e dopo la riforma, verificando i centri di responsabilità amministrativa e i diversi programmi: prima, vi erano ripetute sovrapposizioni tra le strutture, con sacche di inefficienza e dispersione di risorse; oggi - nei limiti dati dalle regole generali della contabilità e del bilancio dello Stato - la identificazione per funzioni è chiara e i programmi sono agevolmente riconducibili ai diversi centri di responsabilità, senza duplicazioni.

3. Le "leve" della riforma

Quali sono allora i fattori, interni ed esterni, che hanno reso possibile la riforma? Ve ne sono diversi, come è ovvio, di carattere storico, socio-culturale, politico-economico, nonché giuridico. Alcuni fattori sono stati addirittura drammatici, come il sisma. Le esigenze di ricostruzione, infatti, hanno comportato la creazione di uffici speciali, soprintendenze ad hoc, prima a L'Aquila, nel 2014, poi a Rieti nel 2016. E da ultimo hanno condotto alla previsione di un'apposita Unità per la sicurezza del patrimonio culturale, con relativo incremento della dotazione di uffici dirigenziali di livello generale da 24 a 25 posizioni [16].

Tra le c.d. "leve" della riforma, dunque, possono qui essere esaminate: 1) il riallineamento tra organizzazione amministrativa e disciplina sostanziale del patrimonio culturale; 2) il coordinamento tra normativa di settore e normativa generale sulle amministrazioni pubbliche; 3) le risorse umane e finanziarie; 4) l'internazionalizzazione.

3.1. Il riallineamento tra organizzazione e disciplina sostanziale

La prima leva è stata correggere un vizio antico della disciplina del patrimonio culturale, ossia il disallineamento tra norme organizzative e norme sostanziali: questa tendenza si manifestò già nel 1939, quando il riordino delle soprintendenze non fu coordinato con le due leggi di sistema (la n. 1089 e la n. 1497) [17].

La riforma ha invece operato grazie e a séguito di interventi legislativi mirati a consentire, potenziare e correggere la riorganizzazione. Ad esempio, il d.l. n. 83 del 2014, c.d. decreto "artbonus", ha tracciato alcune linee della struttura ministeriale, con riguardo, ad esempio, alla distribuzione degli uffici centrali e periferici, alla Commissione regionale e ai musei. Le diverse leggi di bilancio hanno anche introdotto varie disposizioni finalizzate a potenziare l'organizzazione, come, per citarne solo alcuni, la fusione tra la società Arcus e Ales, la possibilità per i musei e luoghi della cultura autonomi di conferire incarichi professionali, i correttivi del disegno organizzativo tramite l'autorizzazione in via legislativa alla emanazione di decreti ministeriali, la risoluzione dell'annoso problema dei compensi al personale per attività svolte in conto terzi (ora ricondotte nel cedolino unico come indennità accessoria).

Al settore del patrimonio culturale vanno aggiunti quelli del cinema e dello spettacolo, con altrettante leggi quadro (la legge n. 220 del 2016 per il cinema e l'audiovisivo e la n. 175 del 2017 per lo spettacolo). In entrambi i casi, è stato previsto un apposito Consiglio superiore, quale organo consultivo del ministero, agendo quindi sulla sua organizzazione.

La riforma, in sintesi, ha ricollegato le politiche del ministero con la struttura organizzativa, recuperando uno iato pluridecennale divenuto ormai insostenibile. Si è così realizzato quel felice "legislative-cum-administrative process" che, in altri ordinamenti, ha reso possibile realizzare importanti mutamenti di governo e organizzazione della macchina pubblica, mediante un modello fondato sul "learning by experience" [18].

3.2. Il coordinamento tra normativa di settore e normativa generale

La seconda importante leva è stata quella di coordinare la riforma, e la disciplina del patrimonio e delle attività culturali e del turismo, con gli interventi più generali sulla pubblica amministrazione e sulle sue regole. Si tratta di un altro problema antico del ministero. Basti ricordare quando, nel 1998, in piena attuazione della delega di riordino di tutti i ministeri poi realizzata con il d.lgs. n. 300 del 1999, il Mibact si riorganizzò in solitudine, subendone poi le conseguenze per diversi anni, perché si operarono scelte poi non confermate dalle norme generali (ad esempio sul ruolo del segretario generale) [19].

Anche qui ci si può limitare ad alcuni esempi.

Un primo esempio è la creazione della c.d. soprintendenza unica - altro tema non nuovo, dato che Andrea Carandini ne parlava negli anni Settanta negli anni Venti vi furono i primi tentativi - che è stata anche una pronta risposta al nuovo regime dei procedimenti e delle conferenze di servizi disegnato dalla legge n. 124 del 2015 [20].

Un secondo esempio è la disciplina dei contratti pubblici. In particolare, la sponsorizzazione è stata regolata in modo analogo per i beni culturali e per gli altri settori, proprio su impulso del ministero [21].

Un terzo esempio è dato dalle misure di semplificazione amministrativa, come il d.lgs. n. 222 del 2016, c.d. "Scia 2", dove la tutela dei centri storici ha trovato espressa menzione [22]. Così come la semplificazione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica ha ricevuto una nuova disciplina [23].

Un quarto esempio, infine, è il d.l. n. 146 del 2015, grazie al quale la fruizione dei luoghi della cultura è stata finalmente inclusa tra i servizi pubblici essenziali di cui alla legge n. 146 del 1990 in materia di sciopero [24]. È evidente, infatti, il collegamento di tale misura con le scelte organizzative compiute con la riforma, dirette a dare vita ai musei come istituti di cultura dedicati alla promozione dello sviluppo della cultura della collettività.

Gli esempi potrebbero continuare numerosi. In definitiva, si può affermare che negli ultimi anni, in pressoché ogni intervento legislativo di portata generale, il Mibact e il settore della cultura hanno potuto ricevere una speciale attenzione, così da consentire un efficace coordinamento tra norme di settore e norme di portata più generale.

3.3. Le risorse

La terza leva è quella delle risorse umane e finanziarie. Si tratta del presupposto indispensabile per qualsiasi riforma. E questi anni hanno registrato importanti passi in avanti. Il bilancio annuo del Mibact è salito da 1,5 a 2,4 miliardi di euro. A cui vanno aggiunti fondi speciali europei e nazionali per circa 2 miliardi di euro, una tantum, per la tutela. Le assunzioni autorizzate dal 2015 al 2018 sono ormai oltre 1.500, recuperando decenni di mancati concorsi.

A queste misure se ne possono aggiungere altre. Per il personale, basta menzionare la costituzione di segreterie tecniche a Pompei e negli istituti autonomi [25], le norme ad hoc sul personale a tempo determinato [26], il potenziamento di Ales, la società in house del Mibact [27].

Per le risorse finanziarie, si possono ricordare, tra le numerose iniziative; l'introduzione del beneficio fiscale del c.d. "artbonus", allineando l'Italia al resto del mondo; il Fondo per la tutela del patrimonio culturale di 100 milioni di euro creato nel 2014 [28]; il piano Grande progetti beni culturali (creato nel 2014 e reso permanente nel 2015 con 65 milioni di euro annui) [29]; la nuova disciplina delle sponsorizzazioni; l'apertura alle forme di partenariato pubblico-privato; lo stanziamento di risorse aggiuntive mediante crediti di imposta dedicati al settore del cinema, dalle musica, delle librerie e del turismo, per un totale complessivo di oltre 200 milioni di euro annui; lo stanziamento di 150 milioni di euro in tre anni per estinguere i debiti pregressi verso i proprietari di beni culturali privati e il ripristino dei contributi dello Stato per i medesimi, per 10 milioni di euro nel 2019 e per 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.

A chi ancora parla o scrive di riforma a costo zero perché semplicemente scaturita dalla congiuntura delle politiche di spending review, può dunque rispondersi che con la riforma le risorse per il patrimonio culturale sono state incrementate in modo significativo e superiore a quanto sia mai avvenuto negli ultimi quarant'anni; anche perché la razionalizzazione della spesa è stata unicamente l'occasione - e il primo consapevole atto - per impiegare meglio le risorse esistenti e acquisire le informazione necessarie per decidere per cosa fosse necessario e urgente chiederne altre. Questo è quel che la riforma del Mibact ha prodotto - naturalmente con tutte le enormi difficoltà e resistenze che una vera riforma porta con sé - e i dati non possono essere smentiti.

3.4. L'internazionalizzazione

La quarta e ultima leva della riforma è stata la internazionalizzazione. Tale fattore - molto frequente quando si tratta di riforme amministrative [30] - si è manifestato in almeno tre modi.

In primo luogo, era divenuto improcrastinabile per l'Italia allinearsi agli standard internazionali in materia museale. Prima del 2014, di fatto nessun museo dello Stato rientrava nella definizione di museo dell'Icom, in quanto privo di autonomia. Sotto questo profilo, la riforma rappresenta un interessante esempio di recepimento di regole ultrastatali nell'ordinamento nazionale: il codice etico dell'Icom è ora menzionato più volte negli atti organizzativi del ministero e la definizione di museo è stata "codificata" nella normativa italiana. E l'apertura delle strutture verso il mondo non poteva non portare con sé anche l'apertura delle relative posizioni dirigenziali.

In secondo luogo, il ruolo del ministero in ambito internazionale è progressivamente cresciuto in questi ultimi anni, come confermano iniziative quali i c.d. caschi blu della cultura, la Risoluzione Onu n. 2347/2017 in materia di sicurezza del patrimonio culturale e il primo G7 Cultura di Firenze. Tutto ciò ha avuto anche riflessi sull'organizzazione del ministero, con l'istituzione, ad esempio, di un ulteriore ufficio dirigenziale presso il segretariato generale, dedicato alle relazioni internazionali [31]. D'altra parte, va ricordato che il patrimonio culturale, e in particolare la disciplina dei siti Unesco, è ormai oggetto di studio di rilievo nella letteratura in materia di diritto amministrativo globale [32].

In terzo luogo, sia nelle scelte di tipo organizzativo, sia nell'azione riformatrice delle politiche culturali, il ministero ha adottato un metodo comparativo, prendendo spunto dalle migliori pratiche internazionali sviluppate in Europa e nel mondo. Ne sono esempi, oltre alla riforma dei musei, quella del cinema e la recentissima liberalizzazione nel settore della raccolta dei diritti d'autore.

4. Gli effetti della riforma sul diritto amministrativo

Si può a questo punto trattare la terza e ultima parte, quella, per certi versi, più impegnativa. La tesi che qui si sostiene, infatti, è che la riforma ha prodotto importanti effetti anche su istituti del diritto amministrativo generale, agendo sulle fonti dell'organizzazione, sulle procedure delle nomine dirigenziali, sui modelli organizzativi, sulla contabilità pubblica e sul rapporto pubblico/privato.

4.1. Le fonti dell'organizzazione

La vicenda delle fonti dell'organizzazione del ministero è stata oggetto anche di due recenti sentenze del Consiglio di Stato, relative al Parco archeologico del Colosseo [33]. Tali pronunce ricostruiscono in modo accurato lo speciale quadro normativo che il legislatore ha previsto per il Mibact dal 2014 ad oggi, riconoscendone la piena legittimità. Ci si limita, in questa sede, a evidenziare due aspetti.

In primo luogo, il Mibact ha anticipato uno dei criteri di delega della legge n. 124 del 2015, su questo oggetto poi non esercitata, ossia quello di introdurre un tipo di fonte più flessibile per l'organizzazione dei ministeri [34]: non un d.p.r. o un d.p.c.m., bensì un semplice decreto ministeriale. Si rimanda alle citate sentenze del Consiglio di Stato per la questione della compatibilità di tale assetto con gli articoli 95 e 97 della Costituzione, che il giudice amministrativo ha risolto favorevolmente. D'altra parte, l'assetto delle fonti organizzative comunque richiede, inevitabilmente, una interpretazione evolutiva e al passo con le tempistiche oggi imposte anche dai progressi tecnologici. Altrimenti, la conseguenza è quella di avere un'attrazione verso l'alto di alcune scelte organizzative anche puntuali, in atti di rango primario, più rigidi, ma paradossalmente, spesso, più rapidi da adottare: non pochi sono stati infatti i casi in cui è stata direttamente la legge a modificare la struttura dei ministeri, talora intervenendo anche sui rispettivi regolamenti di organizzazione [35].

In secondo luogo, il Mibact - proprio per aver realizzato quanto ipotizzato dalla legge n., 124 del 2015 - si pone oggi quale possibile modello per una disciplina più flessibile delle fonti organizzative che, nel rispetto delle garanzie di tutela dei dirigenti nei confronti di meccanismi di spoils system, può rappresentare una soluzione più efficiente ed efficace per rispondere ad esigenze di buon andamento. D'altra parte, a conferma di questa tendenza verso l'innovazione del sistema delle fonti, oltre ai decreti ministeriali di riorganizzazione adottati nel 2016 e nel 2017, già nel 2014, per le aree colpite da calamità naturali, il Governo aveva previsto, con il d.l. n. 83 del 2014, la possibilità per il ministero di adottare decreti di riordino degli uffici dei territori interessati (è quanto avvenuto nell'ottobre 2016, ad esempio, con la creazione dell'Ufficio del Soprintendente speciale per la ricostruzione post-sisma del 24 agosto 2016). Infine, come anticipato, con il decreto legge n. 50 del 2017 è stata nuovamente prevista, "al fine di accelerare le attività di ricostruzione nelle aree colpite dagli eventi sismici verificatisi a partire dal 24 agosto 2016 e di rafforzare le interazioni con le amministrazioni locali interessate, nonché di potenziare le azioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della nazione", la procedura semplificata di modifica del d.p.c.m. n. 171 del 2014 di cui al citato decreto legge n. 66 del 2014 [36].

La riforma del ministero, quindi, ha messo in evidenza un tema d'ordine generale attuale e complesso, correttamente identificato dalla legge n. 124 del 2015, relativo alla necessità di un ripensamento, in termini di maggior flessibilità, della disciplina delle fonti dell'organizzazione ministeriale. La riorganizzazione del Mibact è stata possibile, con questi tempi serrati, anche grazie all'uso di decreti ministeriali autorizzati dalla legge, per completare e correggere in corso - e rapidamente - il processo di riordino.

Ulteriore profilo sulle fonti, infine, è quello prima evocato dell'aver richiamato, in più decreti, regole e standard internazionali in materia museale. Ciò potrà porre interessanti profili in termini di legittimità degli atti, laddove una evidente violazione di tali norme ultrastatali da parte dell'amministrazione potrebbe rappresentare un indice di eccesso di potere.

4.2. Le procedure di nomina dirigenziale

Altro ambito su cui la riforma ha profondamente innovato è quello delle modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali. Qui, grazie a due norme speciali inserite in sede di conversione del d.l. n. 83 del 2014 e del d.l. n. 50 del 2017, il Parlamento ha consentito al ministero e al Governo di adottare, per la scelta dei direttori di istituti e luoghi della cultura statali aventi natura di ufficio di livello dirigenziale, procedure di selezione internazionale e di poter rinnovare i relativi incarichi per un ulteriore quadriennio, previa valutazione positiva motivata dei risultati ottenuti.

Anche su questo aspetto si sono avute diverse pronunce, di vario tenore, del giudice amministrativo e, in questa sede, si rinvia ai commenti a tali sentenze [37]. Ci si limita, perciò, a ricordare solo tre aspetti di carattere generale.

In primo luogo, la proposta di riforma della dirigenza del 2016, attuativa della delega della legge n. 124 del 2015, poi non emanata a séguito del discusso intervento della Corte costituzionale, aveva mantenuto intatta la procedura speciale di selezione pubblica internazionale - così era definita nel testo - dei direttori di istituti e luoghi della cultura. Ma, soprattutto, la procedura selettiva seguita dal Mibact, con lettere di motivazione, commissione di valutazione e colloqui, era stata sostanzialmente presa a modello per costruire la procedura generale di tutte le nomine dirigenziali.

In secondo luogo, dovrebbe essere evidente che le nomine dei direttori dei musei statali rimangono nomine di dirigenti ai sensi all'articolo 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, con tutto ciò che ne discende in termini di regime contrattuale e di relativa giurisdizione. E ciò non può venire meno per il fatto di prevedere una procedura selettiva aperta e più trasparente, come del resto già avviene in altri ambiti, quali la dirigenza locale o la dirigenza di ricerca [38].

In terzo luogo, le vicende dei direttori degli istituti e luoghi della cultura statali hanno consentito di far emergere il ritardo della amministrazione italiana - e in particolare del Parlamento e del Governo - nel dare corretta applicazione ai principi di libera circolazione dei lavoratori nell'Unione europea, come la Commissione Ue ha rilevato in più occasioni [39].

In materia di nomine dirigenziali, dunque, la riforma ha introdotto una novità dirompente nel sistema amministrativo italiano, con procedure mutuate dalle migliori pratiche internazionali nella selezione di direttori di musei. Anche in questo caso, vi è un modello che le altre amministrazioni possono seguire, per taluni aspetti - come la richiesta di una lettera di motivazione, ad esempio - anche senza la necessità di una legge speciale. Non può sorprendere, allora, che una novità di tale portata abbia trovato enormi resistenze e difficoltà ad ogni livello, politico, amministrativo e giudiziario.

4.3. I modelli organizzativi

La riforma ha prodotto innovazioni importanti anche con riferimento alle figure organizzative. I 32 istituti autonomi - cui possono aggiungersi le 2 biblioteche nazionali, l'Archivio centrale dello Stato e altri istituti del Mibact dotati di autonomia speciale, come l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro o l'Opificio delle pietre dure - sono ora una componente importante dell'amministrazione statale italiana.

Il punto di partenza è stato la soprintendenza speciale di Pompei, creata nel 1997, ma poi potenziata e resa più autonoma. Il d.m. 23 dicembre 2014 ha infatti disegnato un modello organizzativo più articolato, con uno statuto, un consiglio di amministrazione composto di esterni, un comitato scientifico, un collegio dei revisori. Soprattutto vi è autonomia contabile, con proprio bilancio al di fuori del bilancio del ministero (che continua però a sostenere i costi del personale).

Come avvenuto in passato per le aziende sanitarie locali, gli enti parco o le istituzioni scolastiche, esiste ora una nuova figura organizzativa statale dotata di autonomia, il museo (o, più propriamente, l'istituto o luogo della cultura, nel caso dei 7 parchi archeologici di rilevante interesse nazionali, tra i quali quelli di Pompei e del Colosseo). Questa è una delle più importanti creazioni della riforma. Si tratta ora di vedere quale percorso seguiranno questi uffici, se verso l'entificazione pubblica - scelta auspicabile, seppur in tempi non brevissimi, come fu per il Louvre in Francia - o privata - soluzione molto complicata da attuare, specialmente per il regime giuridico del personale, nonché comunque da valutare con attenzione caso per caso, anche per evitare gli errori commessi in passato in altri ambiti (per es. per gli enti lirici) [40]. Tali riflessioni evidenziano che la riforma ha considerato anche altre opzioni, ma ha poi puntato sulla soluzione di minor impatto e in continuità con i modelli già esistenti, anche tenuto conto dello strumento a disposizione, ossia un regolamento di organizzazione.

4.4. La contabilità pubblica e gli incentivi fiscali

L'autonomia contabile dei musei richiama un altro ambito in cui la riforma ha prodotto effetti importanti, quello della disciplina della contabilità pubblica.

Anche qui gli esempi non mancano. Innanzitutto, vi è la speciale disciplina dell'autonomia di entrata data dai biglietti di ingresso degli istituti e dei luoghi della cultura. Per gli istituti autonomi, le entrate vanno direttamente in cassa. Per gli altri, è stato stabilizzato un apposito capitolo nel bilancio del ministero, così da consentire la rapida riassegnazione dei proventi agli istituti che li hanno effettivamente prodotti (il che sino al 2014 non avveniva...).

Sempre legata agli istituti e ai luoghi della cultura, vi è l'istituzione del Fondo per il sostegno del sistema museale nazionale, alimentato con una quota parte - il 20 per cento - degli introiti da bigliettazione dei diversi istituti e luoghi della cultura [41]. Si tratta di un innovativo meccanismo di solidarietà, centralizzato e trasparente, che ha sostituito la casualità e l'incertezza, talora anche l'arbitrarietà, con cui dal centro potevano essere prese ad libitum le risorse dei siti più visitati, come Pompei o il Colosseo, per essere poi distribuite ad altri luoghi della cultura.

Altro esempio interessante è il Fondo per il cinema e l'audiovisivo, istituito presso il ministero per un importo non inferiore ai 400 milioni, ma di cui una quota parte di circa 220 milioni, in quanto destinata alla copertura dei crediti di imposta, è su capitoli del ministero dell'economia e delle finanze [42]. Uno strumento quindi più flessibile, ripartito annualmente tra le diverse esigenze previste dalla legge n. 220 del 206, la c.d. legge cinema (incentivi fiscali, contributi automatici, contributi selettivi, promozione).

Infine, vanno ricordati, nell'ambito delle misure comunque legate all'azione riformatrice di questi anni, gli incentivi fiscali. Il c.d. artbonus, ad esempio, rappresenta una speciale forma di credito di imposta, senza plafond ma "coperto" come una normale detrazione, tanto efficace da essere stato imitato in altri ambiti (ad esempio il c.d. school bonus [43] o anche il c.d. social bonus introdotto dal Codice del terzo settore [44], entrambi costruiti ricalcando i meccanismi previsti per l'artbonus). Vanno infine richiamati gli incentivi fiscali in materia di turismo e di cinema, nonché i recenti crediti di imposta per le imprese culturali e creative - che vengono anche per la prima volta definite dal legislatore italiano - e per le librerie, introdotti dalla legge di bilancio 2018.

In altri termini, la riforma ha innescato una serie di innovazioni nella disciplina contabile e degli incentivi fiscali che hanno rappresentato un modello anche per altri settori. Sotto questo aspetto, l'Italia ha recuperato decenni di ritardo rispetto agli altri Paesi, come ad esempio la Francia, in cui le misure fiscali sono sempre state un asse portante delle iniziative in materia di cultura.

4.5. Il rapporto tra pubblico e privato

Da ultimo, va considerato l'ambito che forse più di tutti in passato ha consentito al diritto del patrimonio culturale di svilupparsi maggiormente, ossia la declinazione dei rapporti tra pubblico e privato. Basti ricordare la stagione delle esternalizzazioni alla fine degli anni Novanta e agli inizi degli anni Duemila [45]. Un periodo in cui il diritto del patrimonio culturale non solo è stato talvolta pionieristico, ma è stato anche richiamato dalla scienza giuridica in diversi studi di carattere più ampio: ciò con riferimento non solo alla tradizionale tematica della proprietà pubblica, ma anche ad ambiti di teoria generale come il monismo e il dualismo nel diritto amministrativo [46], la dialettica tra pubblico e privato [47] e la codificazione normativa [48].

In questo caso, la riforma ha compiuto una scelta precisa, che alcuni attendevano con trepidazione da così tanto tempo da non essersi forse accorti che è stata compiuta. Ossia lo Stato, nel 2014, si è "ripreso" i musei. Ma non per cacciare i mercanti dal tempio o per sottrarli al privato che spesso, in passato, ha supplito alle carenze della parte pubblica ingessata anche da limiti assunzionali e assenza di autonomia, bensì per consentire alle istituzioni museali di attrezzarsi e scegliere consapevolmente quale forma di gestione adottare e quale servizio eventualmente esternalizzare.

La riforma, dunque, rifugge un approccio ideologico per cui pubblico e privato debbano essere contrapposti a favore dell'uno o dell'altro "polo", ma si fonda sul presupposto che, senza una parte pubblica "forte", allora nessun modello di partenariato potrà mai funzionare in modo efficiente. Ne sono una prova i risultati dell'artbonus, sorprendenti in termini assoluti (quasi 200 milioni raccolti), ma con ancora enormi margini di crescita proprio per gli istituti e i luoghi della cultura del ministero.

E vanno letti in questa ottica anche gli strumenti aggiornati o introdotti con il Codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 50 del 2016, ossia la sponsorizzazione e il partenariato di cui all'articolo 151.

5. Il futuro della riforma: il diritto del patrimonio culturale quale "bottega" del diritto amministrativo?

Giunti alla conclusione, è bene precisare, ancora una volta, che i problemi non mancano, ovviamente. La riforma ha portato alla luce una serie infinita di "malanni" che, in precedenza, non erano stati minimamente individuati o, peggio, erano stati talvolta artatamente occultati. Lo sforzo per incrementare le unità di personale e rafforzare le capacità, poi, è immane, in termini non solo economici. Perché è un problema non del solo Mibact, ma della Nazione. E in questa prospettiva il progetto della nuova Scuola del ministero è cruciale, in quanto diretto finalmente a creare un centro permanente statale per la conoscenza e la formazione per studiosi e professionisti del patrimonio culturale, italiani e non.

La riforma del Mibact si pone quindi come interessante caso di studio in cui è possibile rintracciare le dinamiche proprie delle riforme amministrative, dal disegno alla loro attuazione. In questi anni si sono infatti registrati, da parte dell'apparato amministrativo, tutti i comportamenti tipici innescati da tali occasioni [49]. Ciò in termini sia di resistenza e "freno", sia di "massimizzazione" di ipotetici vantaggi: basti vedere la tendenza di dirigenti e funzionari, spesso a parità di stipendio, a "migrare" verso poli museali e musei spostandosi dalle soprintendenze.

Da questo punto di vista, anche la teoria volta ad attribuire alla riforma il disegno di realizzare, all'interno del ministero, delle good companies, ossia i musei, a danno di bad companies, ossia le soprintendenze, altro non è che un ulteriore argomento "fantoccio". La distribuzione del personale tra gli uffici avviene in base a criteri di mobilità volontaria nel quadro dei posti disponibili in organico, sicché l'ipotetico fenomeno "migratorio" di personale verso i musei avverrebbe in ogni caso per scelte personali e non della politica. Ma, dato più rilevante, in questi anni le risorse umane e finanziarie destinate alle soprintendenze sono aumentate e cresceranno, anche grazie agli introiti realizzati dai musei e dai luoghi della cultura: basti citare il modello costruito a Roma, in cui la Soprintendenza speciale potrà disporre ogni anno del 30 per cento degli incassi del Parco archeologico del Colosseo, oltre ad altri finanziamenti ministeriali.

Ciò non implica, naturalmente, che la riforma del ministero non abbia difetti, anzi. È indubbio che alcune cose potevano anche essere realizzate in modo diverso, ad esempio quanto al ruolo dei segretariati regionali e al loro collegamento con il segretario generale. E non può né deve escludersi che occorrerà intervenire ancora su alcune componenti della macchina. I poli museali stentano a collocarsi tra musei-aggregati o, come più correttamente dovrebbero essere, soggetti facilitatori della attivazione di musei non dotati di autonomia speciale, ma comunque musei. Il connubio tra tutela dei beni archivistici e tutela dei beni librari, nelle soprintendenze archivistiche e bibliografiche, non è ancora stato realizzato. Il settore degli archivi potrebbe meritare soluzioni anche più radicali, come l'istituzione di una apposita agenzia. Gli istituti centrali del ministero presentano forti disomogeneità organizzative e potrebbero essere resi più simili ai nuovi istituti dotati di autonomia speciale. Va attivato il sistema museale nazionale, in stretta cooperazione con regioni ed enti locali, con i relativi livelli uniformi di qualità per i musei [50]. E la lista non può ovviamente terminare qui.

Mai come in questo caso, il learning by experience di matrice anglosassone si rende necessario [51]. Una legislazione occasionale non è sufficiente, perché occorrono un processo continuo di regulation e un'amministrazione capace di far fronte ai problemi che via via si presentano. C'è bisogno, quindi, di un dinamismo interno all'amministrazione, fondato sulla pratica amministrativa di ogni giorno, nella quale gli agenti del cambiamento sono, primi fra tutti, i tecnici sul campo: un modello in cui i funzionari divengono essenziali per verificare il funzionamento delle cose e proporre correttivi, in quanto i cambiamenti della macchina amministrativa sono "natural answers to concrete day-to-day problems, pressed eventually to the surface by the sheer exigencies of the case" [52]. Come si è mostrato, è proprio grazie alla "concatenazione tra legislazione e amministrazione e [al]l'importanza del corpo professionale dei funzionari" [53] - quest'ultima riferita sia all'altissima esperienza e alle posizioni anche critiche espresse dal personale del ministero, sia all'innesto di elevate competenze dall'esterno, anche straniere, ottenuto anche grazie alla selezione pubblica internazionale dei direttori dei musei - che è stato possibile far partire e portare avanti il processo di riforma. Così come il successo del suo prosieguo dipenderà anche dal ruolo della "opinione pubblica" [54]: e su questo, fatta eccezione per pochi attacchi spesso costruiti, come visto, su argomenti fallaci, la risposta è stata largamente positiva. A conferma di ciò, vi sono, ad esempio, il crescente numero di visitatori degli istituti e dei luoghi della cultura e l'incremento delle attività didattiche, di studio e di ricerca svolte dai musei - anche grazie alle nuove politiche di apertura al pubblico [55].

I tempi di assestamento, perciò, non saranno brevi e gli aggiustamenti andranno calibrati con attenzione, migliorando tutto ciò che dovesse richiedere interventi correttivi. È indubbio, come anticipato, che alcune scelte potevano essere fatte in modo differente, così come il processo di riforma non è stato privo di adeguamenti in corsa: ne è un esempio quanto avvenuto per l'organizzazione e il funzionamento dei musei e i loro rapporti con le soprintendenze, la cui disciplina è stata via via raffinata dal 2014 al 2017, anche alla luce di quanto emergeva durante la fase attuativa della riorganizzazione. Ma la direzione della riforma era per certi versi obbligata, salvo voler sconfessare decenni di studi e proposte, tutte concordi nel voler creare musei statali quali istituzioni autonome.

Quel che allora l'Italia merita è che l'attenzione del Paese per il patrimonio culturale continui a rimanere alta come in questi ultimi anni, confermati anche da un intensificarsi della produzione scientifica dedicata a tali temi [56]. E, sotto questo aspetto, anche le critiche più accese rivolte contro la riforma hanno avuto il duplice positivo effetto, per un verso, di sensibilizzare l'opinione pubblica su temi per troppo tempi rimasti oscuri ai più - come ad esempio chi sono e come sono nominati i direttori dei principali musei italiani; per altro verso, di indurre comunque politica e amministrazione a verificare passo dopo passo le scelte operate con la riforma, apportando aggiustamenti, ove necessario, o rafforzando le decisioni già prese per superare, quando non giustificate da problemi reali, le resistenze verso il cambiamento.

In conclusione, al di là delle soluzioni specifiche adottate dalla riforma del ministero, si è cercato di mostrare come il diritto del patrimonio culturale possa davvero rappresentare un laboratorio d'eccellenza, una "bottega d'artista" per il diritto amministrativo. Non è un caso che molti Maestri se ne siano occupati (basti qui ricordare M.S. Giannini e A.M. Sandulli); e che uno dei fondatori del settore di studio su Art and the Law, John H. Merryman, sia stato innanzitutto un Maestro della comparazione giuridica.

L'auspicio, allora, è che le persone, gli studenti, gli studiosi e i professionisti interessati al patrimonio culturale siano sempre più numerosi, e che sempre più giuristi scelgano di andare "a bottega" ricostruendo le complessità del diritto pubblico e privato dei beni culturali e del paesaggio.

 

Note

[*] Questo testo approfondisce e sviluppa la relazione tenuta al Convegno annuale dell'Unione nazionale degli avvocati amministrativisti (UNAA) su "I beni culturali tra diritto ed economia e tra centro e periferia" (Ravello 27-29 ottobre 2017).

[1] F. Russoli, Musei: che cosa fare subito (1974), in Id., Senza utopia non si fa la realtà. Scritti sul museo (1952-1977), Milano, 2017, pag. 195 ss., qui pagg. 195-196.

[2] Riprendendo la definizione di S. Cassese, L'età delle riforme amministrative (2001), in Id., Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, pag. 163 ss., qui pag. 163. In materia, si veda, da ultimo, B.G. Mattarella, Burocrazia e riforme. L'innovazione nella pubblica amministrazione, Bologna, 2017.

[3] Su questi problemi, sono ancora attuali le riflessioni di D. Jalla, Il museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano, Torino, 2000.

[4] L'esempio più importante restano i documenti e gli scritti raccolti nei tre volumi Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma, Colombo, 1967.

[5] Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa, formata da esperti esterni e da funzionari del ministero. La relazione finale del 31 ottobre 2013 - risultato di 8 riunioni e di 29 audizioni (di dirigenti del ministero, associazioni di professionisti e organizzazioni sindacali - è pubblicata in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2014, pag. 161 ss., e in Aedon.

[6] Si vedano i numerosi articoli pubblicati in Aedon, a partire dal 2014, e la relativa bibliografia ivi menzionata.

[7] La sovrapposizione tra il termine previsto dal decreto legge n. 95 del 2012 e l'insediamento di un nuovo Governo resero impossibile completare il percorso di riorganizzazione avviato: nel caso del Mibact, lo schema inviato entro la fine del 2013 conteneva novità importanti frutto del lavoro della Commissione D'Alberti - quali, ad esempio, la creazione di un'unica direzione per la tutela del patrimonio culturale - fortemente osteggiate, però, dai diversi settori dell'amministrazione, pur coinvolti e ascoltati nel processo di riforma. Nel febbraio 2014, il nuovo Ministro, dopo un primo immediato tentativo di dare attuazione alle misure di spending review con una mera riduzione delle direzioni regionali (con un d.p.c.m. successivamente ritirato), chiese e ottenne che, nel decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, conv., con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, fossero "riaperti" i termini per l'adozione dei regolamenti di organizzazione mediante procedura semplificata, tramite d.p.c.m. (articolo 16, comma 4, d.l. n. 66 del 2014).

[8] Basti qui ricordare i rilievi di S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Rass. Arch. St., 1975, pag. 116 ss. (anche in Id., L'Amministrazione dello Stato, Milano, 1976, pag. 152 ss.).

[9] Lo evidenziava già G.C. Argan, La crisi dei musei italiani (1957), in Per la salvezza dei beni culturali in Italia, cit., III, pag. 466 ss.

[10] M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amm. civ., 1959, II, pag. 11 ss., ora in Id., Scritti. IV. 1955-1962, Milano, 2004, pag. 721 ss., qui pag. 723.

[11] M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, dove l'Autore ricostruisce la corrispondenza tra il concetto di organizzazione e il concetto di funzione amministrativa: le funzioni costituiscono uno degli elementi, insieme a uffici e poteri, dell'organizzazione stessa. Si instaura infatti "un processo continuo organizzazione-attività-interessi nel quale maggiormente risalta la strumentalità [...] dell'organizzazione"; strumentalità nel senso di "partecipazione attiva, cooperazione al movimento, avvio del movimento nella direzione scelta: la decisione organizzativa si rivela, quindi, necessariamente come decisione d'indirizzo dell'attività" (pag. 118 ss.).

[12] Come racconta egli stesso, con toni anche molto aspri verso l'amministrazione, in M.S. Giannini, Uomini, leggi e beni culturali (1971), ora in Id., Scritti, VI, Milano, 2005, pag. 281 ss.

[13] Sul punto, si rinvia al capitolo Valorizzazione e gestione, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata e G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2017.

[14] Per una ricostruzione di quanto avvenuto sino alla riforma, nella letteratura giuridica, si vedano il volume G. Morbidelli e G. Cerrina Feroni (a cura di), I Musei. Discipline, gestioni, prospettive, Torino, Giappichelli, 2010, e, tra gli articoli M. Ainis, Lo statuto giuridico dei musei, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, pag. 393 ss., e P. Forte, I musei statali in Italia: prove di autonomia, in Aedon, 2011, 1.

[15] L'elenco aggiornato e la disciplina di tali istituti è nel decreto del ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo 23 dicembre 2014, e successive modificazioni.

[16] Istituita con il d.p.c.m. 1 dicembre 2017, emanato in attuazione dell'articolo 22-quinquies del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, che ha modificato il d.p.c.m. n. 171 del 2014.

[17] Come rilevò M. Grisolia, La tutela delle cose d'arte, Roma, 1952, pag. 515.

[18] Il riferimento è al modello britannico del XIX secolo descritto da O. MacDonagh, The Nineteenth-Century Revolution in Government: A Reappraisal, in Hist. J., 1958, I, pag. 56 ss., qui pag. 58, su cui si tornerà più avanti.

[19] Su questi aspetti, si rinvia a L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, 2016, in particolare pag. 157 ss.

[20] A. Carandini, Archeologia e cultura materiale, Bari, 1975, pag. 189; su questi temi, si v. ora Id., La forza del contesto, Roma-Bari, 2017.

[21] Sul punto, si leggano i commenti di F. Albisinni, L. Carbonara, P. Carpentieri e L. Casini, in La nuova disciplina dei contratti pubblici, (a cura di) R. Garofoli e G. Ferrari, II ed., Molfetta, 2017, pag. 969 ss.

[22] L'articolo 1, comma 4, prevede infatti che "Per le finalità indicate dall'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il comune, d'intesa con la regione, sentito il competente soprintendente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, può adottare deliberazioni volte a delimitare, sentite le associazioni di categoria, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, l'esercizio di una o più attività di cui al presente decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. I Comuni trasmettono copia delle deliberazioni di cui al periodo precedente alla competente soprintendenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e al ministero dello sviluppo economico, per il tramite della Regione. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il ministero dello sviluppo economico assicurano congiuntamente il monitoraggio sugli effetti applicativi delle presenti disposizioni". In prospettiva più ampia, una lucida ricostruzione dei rapporti tra patrimonio culturale e riforma della pubblica amministrazione è in G. Sciullo, Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura, in Aedon, 2015, 3.

[23] Su questi profili, P. Carpentieri, Autorizzazione paesaggistica semplificata, Rimini, 2017.

[24] C. Zoli, La fruizione dei beni culturali quale servizio pubblico essenziale: il decreto legge 20 settembre 2015, n. 146 in tema di sciopero, in Aedon, 2015, 3, e G. Piperata, Sciopero e musei: una prima lettura del d.l. n. 146/2015, ivi.

[25] Articolo 2, comma 5, del d.l. n. 83 del 2014, conv., con modificazioni, nella legge n. 106 del 2014, per Pompei, e articolo 22, comma 6, del d.l. n. 50 del 2017, conv., con modificazioni, nella legge n. 96 del 2017, per gli istituti e luoghi della cultura statali dotato di autonoma speciale.

[26] Articolo 8 del d.l. n. 83 del 2014, conv., con modificazioni, nella legge n. 106 del 2014.

[27] Articolo 1, commi 322 ss., della legge n. 208 del 2015.

[28] Articolo 1, commi 9 ss., della legge n. 190 del 2014.

[29] Articolo 7 del d.l. n. 83 del 2014, conv., con modificazioni, nella legge n. 106 del 2014.

[30] S. Cassese, L'età delle riforme amministrative, cit., pag. 168.

[31] Decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo 12 gennaio 2017, "Adeguamento delle soprintendenze speciali agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura, ai sensi dell'articolo 1, comma 432, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208".

[32] Si v., tra gli altri, S. Battini, Amministrazioni nazionali e controversie globali, Milano, 2007, pag. 69 ss.

[33] Cons. St., sez. VI, n. 3665 e 3666 del 2017.

[34] Il riferimento è all'articolo 8, comma 1, lettera c), numero 7), della legge n. 124 del 2015, che prevedeva, con riferimento alla sola amministrazione centrale, anche la "introduzione di maggiore flessibilità nella disciplina relativa all'organizzazione dei Ministeri, da realizzare con la semplificazione dei procedimenti di adozione dei regolamenti di organizzazione, anche modificando la competenza ad adottarli; introduzione di modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, per consentire il passaggio dal modello dei dipartimenti a quello del segretario generale e viceversa in relazione alle esigenze di coordinamento; definizione dei predetti interventi assicurando comunque la compatibilità finanziaria degli stessi, anche attraverso l'espressa previsione della partecipazione ai relativi procedimenti dei soggetti istituzionalmente competenti a tal fine". Non a caso l'articolo 8 della legge n. 124 del 2015 è stato espressamente richiamato dall'articolo 1, comma 327, della legge n. 208 del 2015, a conferma del collegamento tra norme di carattere generale e misure organizzative adottate dal Mibact.

[35] Proprio con riguardo al Mibact, ad esempio, l'articolo 1, comma 9, del decreto legge n. 91 del 2013, conv., con modificazioni, nella legge n. 112 del 2013, aveva modificato direttamente l'allora regolamento di organizzazione del ministero, d.p.r. n. 233 del 2007, con riguardo alla denominazione e alla competenza territoriale delle soprintendenze di Napoli e di Pompei.

[36] Modifiche poi introdotte con il d.p.c.m. 1 dicembre 2017, di prossima pubblicazione in G.U.

[37] Si leggano i commenti di M. Gnes, M.P. Monaco e F.G. Albisinni alle sentenze Tar Lazio, sez. II-quater, nn. 6170 e 6171 e nn. 6719 e 6720 del 2017, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 493 ss.

[38] L'articolo 110, comma 1, del d.lgs. n. 167 del 2000 (TUEL), ad esempio, prevede espressamente una "selezione pubblica" per il conferimento di incarichi dirigenziali a esterni, senza che ciò abbia messo in discussione la giurisdizione del giudice ordinario (come ripetutamente affermato dalla Cassazione Sezioni Unite). Su questi aspetti, si v. M.P. Monaco, L'annullamento della nomina dei direttori dei musei: la vicenda processuale, cit., pag. 500 ss., e la giurisprudenza ivi citata.

[39] Sul punto, M. Gnes, L'apertura della direzione dei musei italiani ai cittadini europei, cit., pag. 493 ss., e F.G. Albissini, I direttori dei musei: funzioni europee o solo domestiche?, cit., pag. 508 ss.

[40] Su questi aspetti, ancora valide sono le riflessioni di S. Baia Curioni, A proposito di Grande Brera, in Aedon, 2012, 3, il quale ricorda che i "progetti fondazionali" non sono "una panacea". E "andrebbero inquadrati in una doppia dimensione: - Da una parte come completamento, ma anche complessivo ripensamento dei percorsi sperimentali di autonomia ed efficientamento avviati dallo stesso ministero attraverso la costituzione delle soprintendenze speciali. [...] - Dall'altra come occasione per dare vita a forme di responsabilizzazione e coordinamento delle politiche culturali a livello locale allargato (area metropolitana)".

[41] Decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo 19 ottobre 2015, "Sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura statali".

[42] Articolo 13 della legge n. 220 del 2016, dedicato al Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell'audiovisivo. Il complessivo livello di finanziamento dei predetti interventi è parametrato annualmente all'11 per cento delle entrate effettivamente incassate dal bilancio dello Stato, registrate nell'anno precedente, e comunque in misura non inferiore a 400 milioni di euro annui, derivanti dal versamento delle imposte ai fini Ires e Iva, nei seguenti settori di attività: distribuzione cinematografica di video e di programmi televisivi, proiezione cinematografica, programmazioni e trasmissioni televisive, erogazione di servizi di accesso a internet, telecomunicazioni  fisse, telecomunicazioni mobili.

[43] Art. 1, comma 145, della legge 13 luglio 2015, n. 107.

[44] Art. 81 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117.

[45] Sulle esternalizzazioni in materia di beni culturali, si rinvia, per tutti, a M. Cammelli, Decentramento e 'outsourcing' nel settore della cultura: il doppio impasse, in Dir. pubbl., 2002, pag. 261 ss., e, in precedenza, E. Bruti Liberati, Il ministero fuori dal ministero (art. 10 del d.lg. 368/1998), in Aedon, 1999, 1.

[46] M.P. Chiti, Monismo o dualismo in diritto amministrativo: vero o falso dilemma?, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, pag. 301 ss., specialmente pag. 305 s.

[47] G. Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003, pag. 108 ss.

[48] S. Cassese, Codici e codificazione: Italia e Francia a confronto, in Giorn. dir. amm., 2005, pag. 95 ss., e B.G. Mattarella, La codificazione del diritto dei beni culturali e del paesaggio, ivi, pag. 793 ss.

[49] S. Cassese, L'età delle riforme amministrative, cit., pag. 177 s.

[50] Sul punto, si veda la documentazione prodotta, da ultimo, dalla Commissione di studio per l'attivazione del sistema museale nazionale (http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1405601034.html).

[51] Il riferimento è qui al modello costruito negli anni Cinquanta del XX secolo da Oliver MacDonagh per spiegare la genesi della cd. "governmental revolution" britannica durante la metà del XIX secolo (O. Mac Donagh, The Nineteenth-Century Revolution in Government: A Reappraisal, cit.). Tale modello è stato in più occasioni richiamato dalla scienza giuridica del diritto amministrativo: per tutti S. Cassese, La costruzione del diritto amministrativo in Francia e nel Regno Unito, in Trattato di diritto amministrativo, (a cura di) S. Cassese, Diritto amministrativo generale, I, Milano, 2000, pag. 24 s., e, più di recente, B. Sordi, Revolution, Rechtstaat and the Rule of Law. Historical Reflections on the Emergence of Administrative Law in Europe, in Comparative Administrative Law, ed. by S. Rose-Ackerman and P. Lindseth, Yale, 2010, pag. 23 ss., in particolare pag. 30.

[52] O. MacDonagh, The Nineteenth-Century Revolution in Government: A Reappraisal, cit., pag. 65

[53] Così S. Cassese, Lo stato come problema storico, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, pag. 183 ss., qui pag. 204, nel descrivere il modello britannico ricostruito da MacDonagh.

[54] Il richiamo qui è a A.V. Dicey, Legge e opinione pubblica nell'Inghilterra dell'Ottocento (1905), Bologna, 1997, analizzato da MacDonagh.

[55] I dati sono disponibili su http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_2128864006.html. Quanto alle politiche di apertura, si segnalano i due interventi di modifica del decreto n. 507 del 1997, realizzate nel 2015 e nel 2016, tra le quali l'introduzione della prima domenica del mese gratuita, e il decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo 30 giugno 2016, sui criteri di apertura e sulla vigilanza di musei e luoghi della cultura.

[56] Come emerge dall'analisi di F.G. Albisinni, Il diritto del patrimonio culturale: scritti recenti, in Giorn. dir. amm., 2017, 5, pagg. 687-688.

 

 



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