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Testimonianze

Il design quale testimonianza della civiltà italiana nel mondo

di Antonio Leo Tarasco

Design like testimony to Italian civilization in the world
Opening Speech of the "Off-Road Series" exhibition held at the National Museum of China in Beijing on April 25, 2017.

Keywords: Design; Culture; Cultural heritage.

La mostra "Serie fuori Serie" costituisce il quarto evento cinese realizzato dall'Italia grazie al Memorandum d'intesa "Italia-Cina" sottoscritto il 7 ottobre 2010, poi seguito dal Forum culturale Italia-Cina il cui statuto - dopo il primo colloquio italo-cinese svoltosi a Roma il 4 giugno 2014 - è stato adottato il 20 luglio 2016 tra il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, on. Dario Franceschini, e il Ministro della cultura della Repubblica popolare cinese, Luo Shugang.

Come si ricorderà, nello "spazio Italia" del Museo nazionale cinese di Pechino l'Italia ha realizzato tre importanti eventi.

Nel luglio 2012, la mostra "Il Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti"; nell'aprile 2014 "La Roma del XVII secolo. Verso il Barocco" e, in ultimo, all'indomani della riforma organizzativa ministeriale che ha visto l'istituzione della nuova Direzione generale Musei, la mostra dedicata alla Scuola artistica veneta "Gloria di luce e colori: quattro secoli di pittura veneziana" (inaugurata il 24 marzo 2016).

Si sono trattate di mostre importanti non solo sul piano culturale ma, deve ritenersi, anche per i benefici rilievi economici che ne sono seguiti: ciascuna delle tre mostre italiane ospitate nel Museo nazionale cinese sono state visitate da circa 300.000 visitatori paganti.

Correlativamente, presso lo "spazio Cina" nel Museo di Palazzo Venezia in Roma previsto dal Memorandum del 2010, l'Italia ha ospitato - dal giugno 2013 al marzo 2014 - la mostra dedicata al neolitico cinese "La Cina arcaica" cui ha fatto seguito - dal luglio 2014 al febbraio 2015 - la mostra su "Le leggendarie tombe di Mawangdui"; il 16 luglio 2015 è stata così inaugurata l'esposizione "Capolavori dell'arte cinese nel periodo tra le dinastie Han e Tang" mentre l'ultima, risalente al 23 giugno 2016, è stata dedicata alle opere provenienti dallo Shangai Museum sul tema delle antiche porcellane cinesi tra il X e il XIX secolo.

Profondamente diversa da quelle appena ricordate è la mostra che oggi inauguriamo la quale presenta almeno tre singolarità che, ad un osservatore superficiale, potrebbero apparire una deminutio rispetto alle precedenti mostre qui organizzate in Cina e, in genere, a quelle ordinariamente e frequentemente organizzate dall'Italia su suolo italiano ed internazionale. Cercherò di spiegare come, al contrario, costituiscono elementi che impreziosiscono l'importanza dell'evento odierno e che rendono uniche, sotto tale profilo, le relazioni italo-cinesi.

In primo luogo non si tratta di una mostra avente ad oggetto beni culturali: ad eccezione di soli tre pezzi (due porcellane - del 1925 e del 1935 - provenienti dalla collezione Richard-Ginori o, meglio, Ginori-Richard, e La sedia per l'ingresso della casa di Fiammetta Sarfatti, disegnata dall'architetto Marcello Piacentini nel 1933, proveniente dalla collezione Wolfosoniana di Genova) l'esposizione che oggi ammiriamo non ha ad oggetto beni culturali in senso stretto.

Ad eccezione dei tre beni sopra descritti, nessun altro pezzo dei 111 complessivi qui esposti costituisce una cosa dichiarata di interesse culturale dal ministero italiano; e ciò non perché di cattiva qualità o perché prive di qualsiasi astratto interesse estetico o storico ma perché, il più delle volte, non sono trascorsi più di cinquant'anni dalla loro esecuzione o dalla morte del loro autore. Trattasi, prevalentemente, di opere contemporanee. E la produzione contemporanea, dalla legge n. 364 del 1909 al vigente Codice del 2004, acquista rilevanza solo se sia opera di autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant'anni (requisiti, questi, interpretati come necessariamente cumulativi e non disgiuntivi dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti).

L'altra singolarità che vale a costituire un'eccezione rispetto al novero delle mostre ordinariamente organizzate consiste nel fatto che tutti i 111 pezzi costituiscono non oggetti unici, come i beni culturali tradizionali, ma prodotti di una serie industriale. Da qui tra l'altro la ragione del titolo della mostra "Serie fuori serie": trattasi di oggetti prodotti in serie ma dotati di grande originalità; seriali, sì, ma non comuni.

Se l'implicito presupposto per la dichiarazione di interesse culturale di una cosa, nell'ordinamento italiano, è che si tratti di una cosa non riprodotta in serie (con una minima eccezione per le collezioni di monete, che comunque devono evidenziare, come tali, un "interesse culturale eccezionale"), oggi siamo in presenza di una mostra che presenta oggetti originali ma riprodotti in serie industriale.

È, questo, un aspetto, che impreziosisce questa mostra e che la rende unica in quanto contribuisce a fare dell'Italia non solo uno dei principali Paesi al mondo esportatori di testimonianze culturali del passato (quando si tratti di beni culturali in senso stretto) ma anche, in questo caso, del presente e, oserei dire, del futuro, nel senso di capacità di anticipare stili e mode in cui anche altri popoli siano in grado, successivamente, di identificarsi. In tutti questi casi, il filo conduttore è sempre e solo rappresentato dall'esposizione di cose che costituiscono "testimonianza avente un valore di civiltà"; e tale è, ai sensi dell'art. 2 Codice italiano dei beni culturali e del paesaggio, la definizione di "bene culturale". Pertanto, anche se la mostra che oggi si inaugura non riguarda in senso stretto "beni culturali" come le tre precedentemente realizzate a partire dal 2012, nondimeno nel rendere omaggio al design italiano, nel farlo su suolo cinese e, dunque, in uno scenario, per noi, internazionale, non stiamo negando l'essenza della missione istituzionale del ministero dei beni culturali: stiamo semplicemente realizzandola in una chiave più moderna e non legata al solo omaggio dell'arte antica, così come abbiamo fatto nelle tre mostre dedicate al Rinascimento, al Barocco e alla pittura veneziana qui realizzate a Beijing. Stiamo, cioè, dimostrando come la civiltà italiana si sia espressa non solo in un glorioso (lontano) passato ma anche in un presente in cui l'intramontabile creatività ed originalità tipicamente italiane continuano a rigenerarsi e a stupire, esprimendosi con segni diversi.

Sarebbe, infatti, assai malinconico adorare il solo passato di una civiltà se questa non sapesse riprodurre nuove forme ugualmente apprezzabili, identicamente elevate, analogamente geniali.

È per questo che il ministero italiano ha voluto avvalersi della collaborazione della Fondazione Triennale di Milano (fondata nel 1931 e di cui è socio di diritto) e del Triennale Design Museum (il primo nel settore, istituito nel 2007): grazie a questi due Enti abbiamo voluto rappresentare le relazioni tra progettazione e produzione, cioè tra ideazione del progetto e produzione industriale finale, che in Italia si sono concretizzate in una fitta rete di collaborazioni tra architetti, designer e industriali.

Una relazione nuova e diversa rispetto a quelle tradizionali tra committente ed artista che ha consentito nei secoli di produrre e accumulare l'immenso patrimonio culturale materiale oggi posseduto dall'Italia; una relazione che esprime in forma diversa l'identico fatto di continuare a produrre civiltà e a testimoniarla nel mondo intero.

Vi è un altro aspetto che mi piace sottolineare e che costituisce un ulteriore sviluppo delle considerazioni sopra svolte.

Nel valutare se dichiarare o meno una cosa del passato come "bene culturale" non sempre vi è identità di vedute tra i giudizi dell'Amministrazione e il sentire autentico della società; analoga frattura si registra, ma molto più di frequente, nella valutazione dell'arte contemporanea in cui vi è spesso un solco (che neanche si tenta di colmare) tra i giudizi aulici dei critici e le concrete reazioni emotive del pubblico (spesso infastidite e non esaltate).

Al contrario, l'altro "miracolo" che si realizza nella mostra "Serie fuori serie" consiste nella tendenziale coincidenza tra giudizi critici e concreti giudizi delle persone.

Proprio perché i beni qui esposti sono stati prodotti industrialmente per un pubblico di clienti-intenditori, la loro larga diffusione nella società italiana testimoniata dagli acquisti e dal vasto collezionismo confermano sul concreto piano esperienziale che quelle stesse cose costituiscono effettivamente una "testimonianza avente valore di civiltà", al di là di ogni ragionevole dubbio, e pur a prescindere dalla dichiarazione di interesse culturale che, come sopra spiegato, è tecnicamente assente: si pensi alla scarpa Superga risalente al 1934 (che ha raggiunto la produzione di tredici milioni di paia all'anno nel momento di maggiore successo); alla bottiglietta della Campari Soda disegnata nel 1932 dall'artista Fortunato Depero, tipica per l'assenza di etichetta e per la stampa in rilievo sul vetro; alla Moka Express della Bialetti prodotta ininterrottamente dal 1933 con vendite che hanno superato i 280 milioni di esemplari; al cappello da uomo Borsalino, risalente al 1932; al televisore della Brionvega Algol 11, disegnato da Zanuso e Sapper nel 1964, superato solo dall'evoluzione tecnologica e non certo per le forme; alla mitica Lambretta 125 c.c. della Piaggio, costruita nel 1951, primo esempio italiano di motorizzazione di massa.

In questi 111 oggetti di design industriale, cioè, il concetto astratto di "testimonianza avente valore di civiltà" diventa esperienza concreta, quotidiana e diffusa e prescinde da giudizi tecnico-amministrativi, fa a meno di provvedimenti amministrativi. La gratificazione della produzione industriale attraverso gli acquisti su vasta scala del pubblico dei clienti e dei collezionisti costituisce la dimostrazione sul campo che quegli stessi beni "sono già" dei "beni culturali" proprio perché esprimono un profilo della civiltà italiana; in essi la società italiana si rispecchia, così convergendo con il giudizio dei tecnici. Quei beni costituiscono, in altri termini, anche una prova (non astratta ma reale) di democrazia.

Per questo siamo oggi qui, in Cina; di tale opportunità ringraziamo le Autorità cinesi.

 

 



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