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Gli scenari delineati dalla giurisprudenza costituzionale

Corte costituzionale e nuovi scenari per la disciplina del patrimonio culturale [*]

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Premessa. - 2. La sentenza n. 140/2015. - 3. La sentenza n. 251/2016. - 4. Approfondimenti. - 5. Scenari.

Constitutional Court and new prospects for the protection of cultural heritage
The article discusses the prospects open from the sentences 140/2015 and 251/2016 of the Constitutional Court. Such sentences fix the principle that an agreement between the State and the territorial autonomies is necessary when state norms apply in equal measure to the competences of such entities. The future norms of the State in the field of protection of cultural heritage must take account of this principle.

Keywords: Constitutional Court; Protection of cultural heritage.

1. Premessa

In questi mesi l'attenzione di quanti si interessano alle vicende dell'ordinamento del patrimonio culturale si è largamente polarizzata sugli effetti derivanti dalla riforma Madia, effetti in parte prodotti immediatamente, in misura più ampia affidati ai decreti delegati da questa previsti [1]. In proposito a circa un anno e mezzo dall'entrata in vigore della legge n. 124/2015 è ormai disponibile un quadro ampio di elementi di valutazione, ancorché esso non possa considerarsi completo, legato com'è alle vicende dell'attuazione tuttora in corso della delega. A parte le ricadute sul piano organizzativo derivate dal Tu in materia delle società a partecipazione pubblica o che potranno derivare dal relativo decreto correttivo e dai decreti legislativi in tema di pubblico impiego, servizi pubblici locali di interesse economico generale e soprattutto di riordino dell'assetto amministrativo dello Stato (gli ultimi due peraltro di ormai dubbia emanazione [2]), la riforma ha inciso sulla disciplina sostanziale e procedurale del patrimonio culturale attraverso le modifiche apportate all'autotutela amministrativa, la previsione del silenzio assenso fra amministrazioni e la riscrittura della conferenza di servizi (rispettivamente artt. 21-quinquies e e 21-nonies, art. 17-bis, artt. 14 ss. della legge 241/1990).

Su questi ultimi riflessi, ampiamente (e variamente) commentati dalla dottrina [3] e approfonditi (con equilibrio) in sede consultiva [4], la Rivista si è già occupata in termini generali [5]. Sulla disciplina della conferenza di servizi - per l'essenziale davvero nuova solo per il ruolo 'attivo' che richiede alle amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi sensibili ai fini dell'esperimento del rimedio oppositivo [6] - converrà in futuro peraltro ritornare, ma alla luce di verifiche ex post sui risultati. Attente analisi di recente condotte su dati empirici hanno invero non confermato la "fuga verso l'alto" con conseguente lesione del principio di separazione fra amministrazione e politica [7] che la pregressa disciplina in tema di conferenza di servizi avrebbe comportato [8]. Inoltre, e per ricollegarmi a una discussione aperta su questa Rivista circa la discrezionalità dell'amministrazione di tutela, il nuovo ruolo 'attivo' richiesto all'apparto tecnico-scientifico del ministero nel caso di non condivisione degli esiti della conferenza mal si concilia con quello di 'testimonianza non dialettica' che questo apparato dovrebbe rivestire nelle valutazioni di compatibilità degli interventi sul patrimonio culturale. Del pari occorrerà attendere qualche applicazione del decreto in tema di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi [9] per valutarne la reale incidenza sugli interessi culturale e paesaggistico.

Questa nota intende invece occuparsi di due recenti sentenze della Corte costituzionale, diverse per i temi considerati e una sola concernente la materia dei beni culturali, ma che per le soluzioni elaborate con carattere di innovatività rispetto alla pregressa giurisprudenza consentono di prospettare, specie se lette in 'combinato disposto', probabili o almeno possibili scenari di ampio raggio per il futuro assetto disciplinare del patrimonio culturale.

2. La sentenza n. 140/2015

La prima pronuncia che viene in rilievo è la n. 140/2015, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 1-bis e 1-ter dell'art. 52 del Codice nella parte in cui "non preved[evano] l'intesa a garanzia della leale collaborazione fra Stato e Regioni" [10]. La prima disposizione stabiliva che i comuni, sentito il soprintendente, individuassero a fini di promozione e salvaguardia i locali in cui si svolgono attività di artigianato o di commercio tradizionali, rilevanti ai sensi delle convenzioni Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la promozione delle diversità culturali, mentre la seconda affidava agli organi periferici del ministero la possibilità di adottare, sentiti gli enti locali, determinazioni volte a vietare usi non compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione nelle aree pubbliche aventi particolare valore culturale o paesaggistico, legittimando al contempo le medesime amministrazioni ad avviare, previa intesa, procedimenti di riesame delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico in precedenza rilasciate.

Si tratta di una pronuncia per più aspetti non condivisibile [11], ma della quale in questa sede si assumono come dati l'iter argomentativo e le conclusioni. La sentenza muove da una lettura già presente nella giurisprudenza costituzionale: le comuni finalità generali desumibili dall'art. 9 Cost. ed esplicitate dall'art. 1, comma 2, del Codice ("preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura") implicano "una sorta di ideale contiguità" fra tutela e valorizzazione [12], ancorché esse esprimano ambiti funzionali e di contenuto specifici [13]. Inoltre il dato finalistico presente in entrambe porta a considerarle "materie-attività" [14] in cui assume pregnante rilievo il profilo teleologico della disciplina [15] e per le quali conseguentemente la "coesistenza di competenze normative rappresenta la generalità dei casi" [16].

Tuttavia la pronuncia opera una diversa accentuazione. Tutela e valorizzazione continuano sì ad esprimere aree di intervento diversificate - nell'un caso, "la disciplina e l'esercizio unitario delle funzioni destinate all'individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione", nell'altro, "la disciplina e l'esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio" - ma si sottolinea "la natura unitaria delle esigenze di tutela e di valorizzazione" e si precisa che, "nonostante tale diversificazione, l'ontologica e teleologica contiguità delle suddette aree determina, nella naturale dinamica della produzione legislativa, la possibilità (come nella specie) che alla predisposizione di strumenti concreti di tutela del patrimonio culturale si accompagnino contestualmente, quali naturali appendici, anche interventi diretti alla valorizzazione dello stesso". Il che comporta, secondo la pronuncia, "una situazione di concreto concorso della competenza esclusiva dello Stato con quella concorrente dello Stato e delle Regioni" [17].

In aggiunta la Corte rileva che le previsioni dei commi 1-bis e 1-ter "incidono direttamente sulla regolamentazione di attività riconducibili alle materie del 'commercio' ed 'artigianato', appartenenti alla competenza residuale delle Regioni" [18]. Di qui la conclusione che "nella specie, va (...) ravvisata una situazione di 'concorrenza di competenze', comprovata dalla constatazione che le norme censurate si prestano ad incidere contestualmente su una pluralità di materie, ponendosi all'incrocio di diverse competenze ('tutela dei beni culturali', 'valorizzazione dei beni culturali', 'commercio', 'artigianato') (...), senza che (in termini 'qualitativi' o 'quantitativi') sia individuabile un ambito materiale che possa considerarsi prevalente sugli altri".

A sua volta "l'impossibilità di comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, in assenza di criteri contemplati in Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria delle esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie". Tanto più, soggiunge la Corte, che "il legislatore costituzionale del 2001 ha tenuto conto delle caratteristiche diffuse del patrimonio storico-artistico italiano, disponendo espressamente, al novellato terzo comma dell'art. 118 Cost., che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni proprio nella materia della tutela dei beni culturali" [19].

3. La sentenza n. 251/2016

Tutt'altri temi sono quelli affrontati dalla recente e più nota pronuncia n. 251/2016 [20], ma con un approccio comparabile con quello seguito nell'altra sentenza. Il punto di partenza è costituito dalla considerazione che gli interventi del legislatore statale possono riguardare fenomeni sociali complessi rispetto ai quali si delineano "interessi distinti 'che ben possono ripartirsi diversamente lungo l'asse delle competenze normative di Stato e Regioni' (sentenza n. 278 del 2010), corrispondenti alle diverse materie coinvolte". In tali casi, prosegue la sentenza, "occorre valutare se una materia si imponga sulle altre, al fine di individuare la titolarità della competenza. Talvolta la valutazione circa la prevalenza di una materia su tutte le altre può rivelarsi impossibile e avallare l'ipotesi, diversa da quella in precedenza considerata, di concorrenza di competenze, che apre la strada all'applicazione del principio di leale collaborazione. In ossequio a tale principio, il legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a difesa delle loro competenze".

La pronuncia continua rilevando che la Corte, "nel corso degli anni, ha sempre più valorizzato la leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. 1 del 2016). Quel principio è tanto più apprezzabile se si considera la 'perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi' (sentenza n. 278 del 2010) e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre più complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori" [21].

Fin qui il giudice costituzionale si muove nell'alveo della sua giurisprudenza. La soluzione di continuità, o se si preferisce il dato di novità, è nel conclusivo passaggio: "È pur vero che questa Corte ha più volte affermato che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo. Là dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost. Tali decreti (...) finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze" [22].

Senza entrare nel merito di una valutazione che non rientra negli obiettivi di questa nota, non può non rilevarsi che, nella nota pronuncia 303/2003, un'innovativa affermazione del principio dell'intesa fu supportata da un impianto argomentativo senz'altro più articolato e denso.

Va ad ogni modo sottolineato che, come risulta dal complesso della motivazione e come evidenziano altri passaggi della sentenza, la necessità del ricorso all'intesa (anche) nel caso di legislazione delegata sorge allorché si tratti di "concorso di competenze, inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente" [23].

4. Approfondimenti

Prima di prospettare gli scenari che le due pronunce appena considerate schiudono alla futura legislazione statale in materia di tutela e agli interventi di riordino del Codice, è opportuno un approfondimento di taluni aspetti presenti nelle due pronunce.

Anzitutto c'è da chiedersi se ogni intervento del legislatore statale nella materia "tutela" si rifletta necessariamente sulla materia "valorizzazione", dando luogo costantemente a una concorrenza di competenze fra Stato e regioni oppure se questo effetto riposi sulle caratteristiche (in particolare l'oggetto e la finalità) del singolo intervento, che potrebbe anche non coinvolgere l'area della valorizzazione, considerato che tutela e valorizzazione presentano ambiti funzionali e contenuti distinti. Impiegando l'ordine di concetti presente nella pronuncia n. 251/2016 il quesito potrebbe essere formulato nei seguenti termini: un intervento legislativo statale in tema di tutela comporta sempre un'"inestricabile connessione" fra competenze statali e regionali?

Naturalmente il quesito può essere formulato con riguardo anche a materie di competenza regionale diverse dalla valorizzazione, quali in particolare il commercio, l'artigianato, il turismo e il governo del territorio.

La risposta al primo quesito sembra dover essere quella di un (almeno tendenziale) costante concorso di competenze. Vero è che nella pronuncia n. 140/2015 si parla di "possibilità" che alla predisposizione normativa di strumenti di tutela del patrimonio culturale si accompagnino contestualmente, "quali naturali appendici", anche interventi diretti alla valorizzazione dello stesso [24]. Tuttavia la "natura unitaria delle esigenze di tutela e valorizzazione" e la "ontologica e teleologica contiguità" fra le due aree, sottolineate dalla Corte, depongono in senso diverso. La tutela e la valorizzazione esprimono aree di intervento diversificate, ma proprio la unitarietà delle esigenze cui esse rispondono e la loro contiguità in termini finalistici (teleologica) e di essenza (ontologica) sembra doversi riflettere in un quantomeno normale coinvolgimento congiunto delle due materie e quindi in un concorso di competenze dello Stato e delle regioni.

Viceversa, per ambiti materiali di competenza regionale diversi dalla valorizzazione il concorso di competenze si atteggia diversamente. Dalla configurazione della tutela come "materia-attività" discende senz'altro la possibilità che gli interventi legislativi che la concernono si riflettano su altre materie, ma, mancando la "ontologica e teleologica contiguità" con la tutela, l'effetto appare strettamente legato alle caratteristiche dell'intervento che opera la legge statale.

Perché operi il principio di leale collaborazione (ossia la necessità della previa intesa) ambedue le sentenze considerano necessario, in linea con la precedente giurisprudenza, che nell'intervento legislativo statale non si rintracci un ambito materiale interessato in via prevalente. C'è da chiedersi se, quando siano coinvolte la tutela e la valorizzazione da sole o insieme con altre materie, possa o meno individuarsi un ambito materiale prevalente. Anche per questo interrogativo la sentenza n. 140/2015 spinge ad articolare la risposta.

Al riguardo va anzitutto detto che la pronuncia non utilizza come criterio un'eventuale gerarchia sussistente sul piano costituzionale fra le materie coinvolte (o meglio fra gli interessi da esse sottesi). Il che appare corretto perché nel concorso di competenze la prevalenza si riferisce non alle materie in quanto tali, ma all'afferenza del nucleo disciplinare contenuto nella legge statale: a rilevare è se tale nucleo vada ascritto prevalentemente ad un materia oppure se tocchi in misura non significativamente difforme più materie. Nel caso oggetto della sentenza n. 140/2015 la Corte ha reputato che in relazione alle materie toccate dall'intervento normativo statale (tutela, valorizzazione, commercio e artigianato) non si configurasse un'afferenza prevalente.

Questa conclusione però non appare sempre valida nel concorso fra tutela e altre materie diverse dalla valorizzazione, nel senso che ben possono immaginarsi nuclei di disciplina normativa che afferiscono prevalentemente alla tutela e solo marginalmente a materie regionali diverse dalla valorizzazione. Anche in questo caso risultano decisive le caratteristiche (oggetto e finalità) dell'intervento dello Stato.

Meno agevole è la valutazione nel concorso fra tutela e valorizzazione. L'impressione che si ricava dalla pronuncia n. 140/2015 è che l'enfasi posta dalla Corte sui tratti di convergenza fra le due funzioni (natura unitaria e contiguità ecc.) abbia dispensato dalla ricerca dell'ambito materiale prevalente, nel caso specifico pur praticabile, e che lo stesso esito almeno tendenzialmente dovrebbe prodursi in futuro.

5. Scenari

È possibile a questo punto indicare gli scenari che delineano le due sentenze prese in esame. Dalla pronuncia n. 140/2015 emerge una sorta di 'competenza di esecuzione' in capo alle regioni (necessità della loro intesa sul piano amministrativo) tutte le volte in cui un intervento legislativo dello Stato in tema di tutela interessi materie affidate alla legislazione concorrente o residuale regionale, in particolare la valorizzazione dei beni culturali, e non sia utilizzabile il criterio della prevalenza. Per quello che si è detto, i presupposti richiesti perché operi il principio di leale collaborazione sembrano presentare il carattere della normalità: l'intervento sulla tutela pare riflettersi in genere sulla valorizzazione, inoltre senza che risulti utilizzabile il criterio della prevalenza. Al limite non è da escludersi che il principio debba valere, in forza della lettura operata dalla Corte dell'art. 118, comma 3, Cost., anche se l'intervento della legge statale concerna solo la materia della tutela. Si tratta di uno scenario che avvicina i beni culturali ai beni paesaggistici, in cui il principio ha ampia applicazione, ancorché sconti difficoltà non lievi ed esiti non certo esaltanti.

Dalla pronuncia n. 251/2016 emerge come ulteriore scenario quello di una sorta di 'competenza normativa attuativa (di leggi statali di delega)' delle regioni (anche in questo caso consistente nella necessità della previa intesa), tutte le volte in cui siano coinvolte in aggiunta alla tutela (di beni culturali e/o paesaggistici) materie di spettanza regionale, senza che sia individuabile un ambito materiale prevalente. Anche in questo caso, se si tiene conto dell'ordine di concetti delineato dall'altra pronuncia, i presupposti richiesti sembrano presentare i caratteri della normalità. Al limite detta competenza normativa dovrebbe darsi anche quando fosse coinvolta la sola materia della tutela.

I due scenari possono sul piano logico integrarsi, nel senso che il decreto legislativo attuativo della delega è nel suo farsi soggetto all'intesa (dai caratteri precisati nella pronuncia n. 251/2016, ossia 'debole'), ma altresì nella sua fase applicativa è tenuto ad assicurare il principio di leale cooperazione (ancora l'intesa, ma dai contorni non specificati dalla pronuncia n. 140/2015).

Margini di incertezza sussistono sul fatto se tale principio, tanto nel momento 'attuativo' che in quello 'amministrativo' concerna sempre anche le autonomie locali (oltre a quelle regionali). Sulla scorta della pronuncia n. 251/2016 è da pensare che la questione vada risolta in rapporto al coinvolgimento o meno da parte della legge statale di competenze spettanti agli enti locali.

Ambedue gli scenari interessano direttamente la normativa oggi racchiusa nel Codice del 2004. Per gli interventi sulla disciplina di tutela immediatamente operati dal legislatore statale, troverà spazio la sola competenza 'di esecuzione' prevista dalla pronuncia n. 140/2015. Al contrario un eventuale riordino complessivo del Codice, o al limite l'emanazione di un nuovo codice, non si sottrarrà anche a quanto disposto dalla pronuncia n. 251/2016. La connessione fra competenze statali, regionali e locali, nessuna delle quali risulta prevalente, pare indubitabile, sicché sarà richiesta l'intesa a livello 'normativo-attuativo' con la Conferenza unificata. Anche a trascurare il nesso fra tutela e valorizzazione, fortemente sottolineato nella sentenza n. 140/2015, è chiaro che la disciplina di tutela contenuta nel Codice intersechi nel suo complesso materie, quali il commercio, l'artigianato, il turismo, il governo del territorio, di spettanza regionale con esiti di "inestricabile concorso di competenze" almeno pari a quelli che le due pronunce considerate hanno ritenuto non suscettibili di essere sciolti dalla (pur aurea) regola del 'discernimento'.

Si tratta di prospettive inedite fino a qualche tempo fa, ma che la "perdurante assenza di una trasformazione (...) dei procedimenti legislativi" sottolineata dalla Corte, come pure - pare doversi aggiungere - l'incerto federalismo/regionalismo delineato dall'attuale Titolo V, spiegano e rendono presenti.

Se si vuole un altro frammento dell'inestricabile 'caso Italia'.

 

Note

[*] Ringrazio Marco Cammelli e Lorenzo Casini per le osservazioni.

[1] Riforma intesa come comprensiva non solo della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia), ma anche delle previsioni dell'art. 25, comma 1, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

[2] Nel momento in cui si redige il presente scritto le deleghe per il Tu dei servizi pubblici locali di interesse economico generale e per il riordino dell'amministrazione statale sono scadute. La possibilità del loro esercizio è legata al conferimento di una nuova delega, che a sua volta è strettamente connesso vicende della legislatura in corso.

[3] Cfr., come contributo più recente, l'ampio saggio di P. Carpentieri, La tutela dei beni culturali, paesaggistici e ambientali nelle riforme della legge n. 124/2015, in Riv. giur. ed., 2016, 3, pag. 40 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti.

[4] Cfr. Cons. St., comm. spec., 7 aprile 2016, n. 890, e 13 luglio 2016, n. 1640, per i profili concernenti i c.d. 'interessi sensibili'.

[5] Cfr. il mio Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura, su questa Rivista, 2015, 3.

[6] Sul nuovo art. 14-quinquies ("Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo espresso il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza") cfr. per tutti, G. Vesperini, La nuova conferenza di servizi, in Gior. dir. amm., 2016, 5, pag. 584.

[7] Cfr., ad es., F. Cortese, Il coordinamento amministrativo, Franco Angeli, Milano 2012, pag. 55.

[8] Tali analisi, contenute nel volume I nodi della pubblica amministrazione, a cura di L. Torchia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, hanno rilevato "lo scarso ricorso ai poteri sostitutivi" (previsti dal pregresso art. 14-quater, comma 3, legge 241/1990) e il fatto che, "paradossalmente, la moneta pesante dei poteri sostitutivi viene utilizzata per decisioni minute e marginali", mentre nel caso di procedimenti più rilevanti "i poteri sostitutivi non vengono esercitati (...) proprio per la rilevanza della decisione da prendere, che avrebbe effetti diretti sulla comunità locale" (p. 24-25). Cfr. anche pag. 225, 230 s. e 233.

[9] Cfr. d.p.r. 12 settembre 2016, n. 194.

[10] Punto 6.4 del Diritto.

[11] In senso critico cfr. P. Carpentieri, Il decoro dei monumenti deve attendere le intese con le Regioni: come subordinare la tutela (art. 9 Cost.) al commercio e alla "leale collaborazione" interistituzionale, in Giur. cost., 2015, pag. 1246 ss., G. Sciullo, Concorrenza di competenze in tema di beni culturali, in Riv. giur. urb., 2015, pag. 379 ss. e di recente C.P. Santacroce, Le limitazioni all'esercizio del commercio nelle aree di interesse culturale, in Riv. giur. urb., 2016, pag. 97 ss. Valutazioni altresì critiche, ma con una lettura diversa (peraltro non persuasiva) della pronuncia in S. Mabellini, Un caso di "non prevalenza" della competenza statale che segna un ulteriore passo indietro per la potestà legislativa delle Regioni, in Giur. cost., 2015, pag. 1237 ss.

[12] Sentenza n. 194/2013.

[13] Cfr. sentenze nn. 9 e 26 del 2004 e 194/2013.

[14] Sulle 'materie-attività' o 'materie trasversali', che non presentano "i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti" (sentenza n. 14/2004) per un riferimento generale cfr. F.S. Marini, La chiamata in sussidiarietà e le materie trasversali, in Le materie di competenza regionale. Commentario, a cura di G. Guzzetta, F.S. Marini, D. Morana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2015, XVIII ss.

[15] Cfr. sentenze nn. 26/2004 e 232/2005.

[16] Sentenza n. 232/2005

[17] Punto 6.1 in Diritto.

[18] Punto 6.2 in Diritto.

[19] Punto 6.3 in Diritto.

[20] Su tale pronuncia per condivisibili rilevi critici cfr. J. Marshall, La Corte costituzionale, senza accorgersene, modifica la forma di Stato?, in Gior. dir. amm., 2016, pag. 705 ss.; G. D'Amico, La sentenza sulla legge Madia, una decisione (forse) troppo innovatrice, in www.questionegiustizia.it, gennaio 2017, al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti. Anche in questo caso si assumono come dati l'iter argomentativo e le conclusioni della pronuncia.

[21] Punto 3 in Diritto.

[22] Punto 3 in Diritto.

[23] Punto 4.2.1 e analogamente punto 6.1 in Diritto.

[24] Punto 6.1 del Diritto.



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