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Il punto sulla tutela paesaggistica

Per un approccio integrato al patrimonio culturale

di Paola Capriotti

Sommario: 1. Gli input della comunità internazionale all'integrazione tra patrimonio culturale e ambiente. - 2. Dalle "cose" al loro contesto: le aperture della normativa nazionale. - 3. Il piano paesaggistico, possibile volano dell'integrazione?

Toward an integrated approach to cultural heritage
The Italian legislation on cultural heritage protection has long been characterized by a focus point to the individual objects of cultural interest, neglecting the complex relationships existing between the assets and their environment. The article, starting from the tendency of the international community to adopt an integrated approach to cultural heritage, traces the openings of the Italian legislation towards considering the impact of the environment on cultural heritage. Finally, the "landscape plan" is proposed as a vehicle for such integrated approach, which is currently being upgraded within the Code of cultural heritage and landscape.

Keywords: Cultural heritage; Landscape plan; Integration; Environment.

1. Gli input della comunità internazionale all'integrazione tra patrimonio culturale e ambiente

Patrimonio culturale e ambiente costituiscono in Italia componenti indissolubili, l'una poggia sull'altra in un incastro unico nel suo genere. Pochi ma autorevoli esempi bastano ad evocare la pienezza dell'intreccio: Venezia e la sua laguna, I Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri di Matera, le Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata [1]. Alle motivazioni della Commissione per il Patrimonio Mondiale che ha scelto di inserirli tra i siti Unesco [2] non sfugge sottolineare la sbalorditiva armonia tra natura e cultura posta a fondamento della tutela universale. Un'interdipendenza che si ritrova sorprendentemente dispersa su tutto il territorio italiano e di cui i recenti eventi sismici ci rammentano la portata non certo limitata alla prospettiva estetica ma relativa alla stessa permanenza dei beni.

Particolare attenzione alla valorizzazione delle interconnessioni tra il patrimonio culturale e il suo ambiente è stata posta recentemente dalla comunità internazionale, che ha riconosciuto il ruolo strategico del patrimonio culturale per lo sviluppo sostenibile [3], sancendo il bisogno di un nuovo connubio tra tradizione (intesa come patrimonio culturale materiale e immateriale) e innovazione per la resilienza delle comunità ai disastri ambientali e ai cambiamenti climatici [4] e invitando quindi gli Stati ad adottare un approccio integrato alle politiche che riguardano la diversità culturale, biologica, geologica e paesaggistica [5]. Il patrimonio culturale è visto dunque come driver per lo sviluppo sostenibile, muovendo dall'assunto che la salvaguardia delle aree storiche urbane e rurali e delle relative conoscenze e pratiche tradizionali riduca le impronte ambientali delle società, promuovendo modelli ecologicamente più sostenibili. Quello tra patrimonio culturale e ambiente viene così delineato come un rapporto di reciprocità tale per cui la tutela dell'uno è funzionale alla salvaguardia dell'altro.

Proprio con l'obiettivo di valutare gli impatti del patrimonio culturale è stato intrapreso il progetto europeo Heritage Culture Counts for Europe [6] volto a "mappare e analizzare una vasta gamma di studi, realizzati in Europa e nel resto del mondo, che presentassero evidenze concrete, documentate e accessibili degli impatti positivi del patrimonio culturale su economia, società, ambiente e cultura" [7] e quindi "su come il patrimonio culturale - sia qualitativamente, sia quantitativamente - rappresenti un contributo chiave alla strategia Europa 2020. Una Strategia Europea per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, in vista della sua revisione" [8]. Il progetto ha messo in evidenza che "al momento attuale, i tre principali attori di riferimento - ossia le pubbliche amministrazioni/agenzie governative, le organizzazioni culturali e gli istituti di ricerca - continuano a non utilizzare un approccio integrato al patrimonio" [9].

Per verificare in quale misura il nostro ordinamento risponda all'invito all'integrazione è bene ripercorrere brevemente come la legislazione nazionale abbia concepito le funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale in relazione al suo contesto ambientale.

2. Dalle "cose" al loro contesto: le aperture della normativa nazionale

Il patrimonio culturale è composto, secondo l'art. 2, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 42/2004 (d'ora in avanti solo Codice) dai beni culturali e paesaggistici di cui agli artt. 10 e 134 del Codice. Nonostante questi siano ricompresi all'interno della medesima nozione presentano un differente grado di apertura al contesto territoriale, che risulta decisamente sbilanciato a favore dei beni paesaggistici.

Infatti, già la legge n. 1497/1939, introducendo le cosiddette bellezze d'insieme (complessi di cose immobili e bellezze panoramiche) di cui all'art. 1, nn. 3 e 4 e inserendo la facoltà ex art. 5 di predisporre piani territoriali paesistici per la loro gestione, dimostrava un'innovativa sensibilità per il contesto [10]. Una sensibilità ulteriormente affinata dalla legge Galasso, la n. 431/1985, che ha comportato un'emancipazione della disciplina paesaggistica "rispetto a quella dei beni culturali, con la quale fino a quel momento aveva integralmente condiviso strumenti e finalità della tutela" [11]. La legge, nell'ampliare gli oggetti di tutela, segna in effetti il passaggio da una dimensione prettamente estetica a una geografica, facendo perno essenzialmente su dati geografici derivanti da fattori naturali e umani, e perciò meglio definibili come storico-ambientali. Sulla valenza paesaggistica di tali categorie territoriali si è espressa favorevolmente la Corte Costituzionale affermando che "la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali" [12]. La vigente disciplina contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, impone a Stato e regioni l'elaborazione del piano estesa a tutto il territorio regionale e la ricognizione e vestizione dei beni paesaggistici. II piano paesaggistico viene dunque a sovrapporsi spazialmente ai piani di governo del territorio e ne assume peraltro la fisionomia proponendosi "la guidata trasformazione del territorio" [13].

Con riferimento ai beni culturali - l'altra faccia del patrimonio culturale - invece le disposizioni contenute nel Codice che si spingono oltre il perimetro dell'oggetto di tutela riguardano la prevenzione definita dall'art. 29, comma 2, del Codice come "il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto" e la tutela indiretta che, ex art. 45, consiste nella facoltà per il ministero di "prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro". L'oggetto di tutela può estendersi quindi alla "cosiddetta cornice ambientale" affinché sia preservata, "la cura e l'integrità del bene culturale" [14]. La tutela indiretta riguarda esclusivamente i beni immobili, "è infatti connaturale alle cose immobili l'avere una propria collocazione spaziale che contribuisce a conferire loro un particolare significato; esse non possono essere considerate come avulse dalla realtà che le circonda giacché questa influisce sul loro aspetto esteriore e sulla capacità di conservare un valore artistico o storico e che anzi contribuisce spesso ad esaltare tale valore" [15]. Il contesto territoriale viene inoltre preso in considerazione dagli accordi di valorizzazione ex art. 112, comma 4, del Codice, nell'ambito della funzione di valorizzazione, che ha il preciso obiettivo "di stimolare le potenzialità del bene culturale, realizzando la mise en valeur di tutto ciò che lo circonda, in termini di promozione, organizzazione, gestione e fruizione" [16]. La loro stipula, che vede protagonisti Stato, regioni ed enti pubblici territoriali, è legata a specifici ambiti territoriali prevedendo altresì la promozione nel processo di integrazione delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati.

Il Codice, se da un lato sfuma il concetto di paesaggio fino a farlo coincidere con tutto il territorio, riconoscendone in tal modo l'interdipendenza, dall'altro pone un'enfasi assai contenuta, o meglio solo eventuale, attraverso la tutela indiretta e gli accordi di valorizzazione, sui fattori ambientali che influiscono o possono influire sui beni culturali.

Eppure la necessità di un approccio integrato del patrimonio culturale al proprio contesto ambientale era stata richiamata con forza, oltre 30 anni or sono, da Giovanni Urbani che auspicava il riconoscimento al patrimonio artistico del suo essere "una componente ambientale antropica altrettanto necessaria al benessere della specie umana delle componenti ambientali naturali" [17] e quindi sosteneva l'affermazione di un'"ecologia culturale", col fine di spostare l'attenzione dai problemi del restauro come terapia d'urto a quelli della conservazione preventiva, cioè di un'azione di tutela che ponga al proprio centro la prevenzione e messa in sicurezza di monumenti e opere dai rischi ambientali. Un approccio che certamente risulta ampliamente condiviso, soprattutto all'indomani dei disastrosi eventi sismici, come quelli che hanno recentemente martoriato l'Italia centrale, ma che fatica a trovare strumenti concreti di implementazione come dimostra la fragilità del patrimonio esposto a molteplici fattori tra i quali il rischio idrogeologico ma anche la "perdita di continuità d'uso e quindi di azione manutentiva" [18].

3. Il piano paesaggistico, possibile volano dell'integrazione?

La prima fase operativa per arrivare a un approccio integrato al patrimonio culturale riguarda l'organizzazione delle informazioni. Per quanto concerne i beni culturali, la funzione di catalogazione è affidata, ex art. 17 del Codice, al ministero dei Beni e le Attività culturali e del Turismo con il concorso delle regioni e degli enti pubblici territoriali. Un sistema che, sebbene condivisibile sul piano delle intenzioni - consentire una mappatura capillare e partecipativa del patrimonio di cui il coordinamento ministeriale avrebbe dovuto garantire l'integrazione - viene percepito dagli operatori come frammentario, disomogeneo e con scarsa visibilità [19]. In primo luogo infatti le schede non sono redatte seguendo un unico criterio, il dibattito interno all'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione [20] (Iccd) tra la predisposizione di un catalogo - che garantisse una conoscenza profonda del bene e per ciò stesso con un'attenzione alla qualità delle informazioni più che alla loro quantità - e un inventario - caratterizzato al contrario dalla speditezza - ha determinato un'oscillazione "tra picchi di sofisticazione e abissi di approssimazione" [21]. In secondo luogo a lungo non si è concretizzata l'interoperabilità tra le banche dati. Solo recentemente la costituzione del sistema "Vincoli in rete" ha determinato una spinta all'integrazione, mettendo a fattor comune gli sforzi di ricognizione statale [22] relativi ai beni immobili tutelati, e collegando, attraverso un sistema di georeferenziazione i beni al territorio.

Sul fronte paesaggistico, oltre al Sistema Informativo Territoriale Ambientale e Paesaggistico sono stati istituiti, ex art. 133, comma 1, del Codice, Osservatori per il paesaggio (nazionale e regionali) chiamati a promuovere studi e analisi per la formulazione di proposte idonee alla definizione delle politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio di cui ministero e regioni sono chiamati a tener conto. Meritano di essere menzionati altresì gli ecomusei che più di una regione [23] ha scelto di disciplinare e che rispondono al bisogno delle comunità locali di conoscere e valorizzare il patrimonio materiale e immateriale di un dato luogo.

I dati che vengono prodotti sul patrimonio culturale sono dunque ingenti ma, nella prospettiva dell'integrazione, non è sufficiente la loro semplice elaborazione, è altresì necessario che questa sia incrociata con le informazioni di carattere paesaggistico, ambientale e territoriale che ne condizionano la permanenza. Un esempio in questo senso è il lavoro sperimentale compiuto dall'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (IsCR) che ha condotto all'elaborazione del Sistema Informativo Territoriale della Carta del Rischio, una banca dati in grado di esplorare informazioni sui potenziali fattori di rischio che investono il patrimonio culturale e quindi la: vulnerabilità individuale (V), ossia una funzione che indica il livello di esposizione di un dato bene all'aggressione dei fattori territoriali ambientali e la pericolosità territoriale (P), una funzione che indica il livello di potenziale aggressività di una data area territoriale, indipendentemente dalla presenza o meno dei beni.

Ma per una visione d'insieme che prenda in considerazione la complessità dei fattori economici, sociali e ambientali che interagiscono con il patrimonio culturale, così come auspicato dalla comunità internazionale, non è forse la pianificazione territoriale lo strumento a cui bisogna attingere e su cui bisogna operare per una possibile sintesi?

Il piano che fra tutti si distingue per il forte potenziale nell'interpretazione territoriale altamente integrata è quello paesaggistico. Ciò si deve a molteplici dei suoi caratteri. In primo luogo ai contenuti con particolare riferimento all'"analisi delle caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni" nonché all'"analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità" e alla "comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo" (art. 143, comma 1, lett. a e f). Rilevano inoltre la sua estensione - l'intero territorio regionale (art. 135, comma 1) e quindi la nazione intera - e la procedura di elaborazione - che vede coinvolte necessariamente regioni e ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per quanto riguarda i beni paesaggistici e, facoltativamente anche il ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare (artt. 135, comma 1 e 143, comma 2) -. In ultimo risultano strategiche in una logica integrata le forme di raccordo - il piano può prevedere "strumenti di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico" (art. 145, comma 2) - e le ricadute - cogenza sugli strumenti urbanistici e prevalenza rispetto ai piani ad incidenza territoriale compresi quelli di settore (art. 145, comma 3) -.

La fase di adeguamento dei piani paesaggistici al Codice tuttora in corso [24], potrebbe dunque candidarsi a divenire occasione per sperimentare quadri conoscitivi di sintesi, forme di raccordo con altri piani e programmi e modalità innovative di cooperazione interistituzionale che ricomprendano, oltre i beni paesaggistici, anche quelli culturali.

A questo proposito tra le innovazioni che i piani di nuova generazione finora elaborati presentano vi sono l'integrazione del patrimonio culturale a livello analitico, in questo senso compare tra i documenti del PPTR pugliese la Carta dei beni culturali che ambisce ad affrontare il tema del patrimonio culturale, non come mero censimento, ma con un approccio olistico. E ancora il ruolo assunto dai progetti regionali per il paesaggio che contribuiscono a collegare la pianificazione paesaggistica alla programmazione regionale e quindi all'accesso a finanziamenti per dare gambe agli scenari ipotizzati contribuendo così a creare una visione del piano quale motore di sviluppo sostenibile. La l.r. Toscana n. 65/2014 affida al PIT, a cui è riconosciuto valore paesaggistico, l'elaborazione di specifici progetti di territorio riferiti a tematiche e ambiti territoriali individuati come strategici dal programma regionale di sviluppo (art. 88, comma 5, lett. c) che sono chiamati ad attuare il piano (art. 89, comma 1).

Infine la copianificazione può essere l'occasione per testare il nuovo assetto organizzativo del Mibact e le novelle soprintendenze uniche concepite proprio per agevolare un "approccio al patrimonio storico, artistico, architettonico, etnoantropologico, paesaggistico e archeologico italiano, globale, integrato sul piano disciplinare, "territorialista" [25]. Finora infatti, proprio difficoltà organizzative e culturali hanno impedito agli organi periferici del ministero di svolgere un ruolo di fattiva collaborazione rimanendo ancorati alla tradizionale posizione di controllo [26].

 

Note

[1] Inserita tra i siti italiani del patrimonio UNESCO rispettivamente dal 1987, 1993 e 1997.

[2] Come affermato da L. Casini, Il patrimonio culturale e le sue regole. Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 2, lo stesso "sistema della Convenzione Unesco del 1972 è costruito sul concetto di sito che porta con sé un'accezione del patrimonio culturale integrato con il paesaggio e la natura".

[3] Il patrimonio culturale come chiave per lo sviluppo sostenibile è richiamato dalla Hangazou Declaration adottata il 17 maggio 2013 sotto gli auspici dell'Unesco ma anche dalle Conclusioni del Consiglio d'Europa del 21 maggio 2014 relative al patrimonio culturale come risorsa strategica per un'Europa sostenibile che invita gli stati membri in particolare a "potenziare il ruolo del patrimonio culturale nello sviluppo sostenibile, concentrando l'attenzione sulla pianificazione urbana e rurale e su progetti di riconversione e di recupero".

[4] The Hangazou Declaration in particolare afferma che "The appropriate conservation of the historic environment, including cultural landscapes, and the safeguarding of relevant traditional knowledge, values and practices, in synergy with other scientific knowledge, enhances the resilience of communities to disasters and climate change".

[5] Art. 8, comma 1, lett. b) della Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società, Faro 27 ottobre 2005, art. 8, comma 1, lett. b) ma anche la Comunicazione "Verso un approccio integrato per il patrimonio culturale in Europa" adottata il 22 luglio 2014 dalla Commissione Europea.

[6] Il Report finale è disponibile al seguente link: http://www.encatc.org/culturalheritagecountsforeurope/wp-content/uploads/2015/06/CHCfE_FULL-REPORT_v2.pdf.

[7] V. Azzarita, Quanto conta il patrimonio culturale per l'Europa?, in Il giornale delle Fondazioni, 2016, 12.

[8] Traduzione italiana della Sintesi esecutiva e raccomandazioni strategiche del progetto Culture Haritage Counts for Europe.

[9] V. Azzarita, Quanto conta il patrimonio culturale per l'Europa?, cit.

[10] G. Melis, Il Mibact: dalle origini ad oggi. Dal Risorgimento a Bottai e a Spadolini. La lunga strada dei beni culturali nella storia dell'Italia unita, in Aedon, 2016, 3.

[11] P. Chirulli, Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 1, pag. 51. L'autrice richiama a questo proposito lo scritto di P. Stella Richter, La nozione di patrimonio culturale, in Foro amm. - CdS, 2004, pag. 1280 ss.

[12] Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367.

[13] C. Videtta, Interessi pubblici e governo del territorio: l'"ambiente" come motore della trasformazione, in Riv. giur. ed., 2016, 4, pag. 393 ss.

[14] Cons. St., VI, 27 luglio 2015, n. 3669.

[15] T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Giuffrè, 2001.

[16] S. Giardini, La valorizzazione integrata de beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 2, pag. 403.

[17] B. Zanardi, Strategia d'un disastro, in www.patrimoniosos.it, 5 ottobre 2010.

[18] P. Petraroia., Carta del rischio: linee guida e normativa recente, in Economia della cultura, 2014, 3-4, pag. 305.

[19] Ibidem, pag. 419.

[20] Per un excursus storico dell'Istituto e un'analisi delle criticità attuali si veda L. Moro, Il catalogo del patrimonio culturale italiano. Nuova centralità e prospettive future, in Economia della cultura, 2015, 3-4, pagg. 419-432.

[21] Ibidem, pag. 420.

[22] Nel dettaglio si tratta del Sistema informativo Carta del Rischio contenente tutti i decreti di vincolo su beni immobili emessi dal 1909 al 2003 (ex lege 364/1909, 1089/1939, 490/1999) presso l'Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro; Sistema Informativo Beni Tutelati presso la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio; Sistema informativo SITAP presso la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio; Sistema Informativo SIGEC Web presso l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.

[23] A titolo esemplificativo si richiama qui la l.r. della regione Puglia che affida all'ecomuseo la promozione dello "studio e la ricerca scientifica relativi alla storia e alle tradizioni del territorio" (art. 2, comma 3, lett. g) e il presidio locale dell'osservatorio regionale per il paesaggio (art. 2, comma 3, lett. n). Oltre alla Puglia hanno provveduto alla regolamentazione degli ecomusei le regioni Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana e Umbria.

[24] Nonostante il termine fissato dall'art. 156 del Codice al 31 dicembre 2009 sono solo due i piani giunti all'adeguamento ai sensi del Codice, quelli di Puglia e Toscana, mentre la Sardegna ha approvato il primo stralcio, quello costiero. Oltre ai piani approvati, ve ne sono tre adottati dalle regioni Piemonte, Calabria e Veneto. Per una sintesi sui contenuti dei processi di piano in corso si rinvia a A. Magnaghi (a cura di), La pianificazione paesaggistica in Italia. Stato dell'arte e innovazioni, Firenze University Press, 2016.

[25] G. Sciullo, Il completamento della riforma organizzativa del Mibact. Direzione generale "unica" e soprintendenze "uniche", in Aedon, 2016, 1.

[26] Questo è quanto ha apertamente affermato Anna Marson nel volume che restituisce l'esperienza dell'elaborazione del piano paesaggistico della regione Toscana mettendo in evidenza che il ruolo del Ministero si è risolto nella proposta di integrazioni e correzioni, A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio, Editori Laterza, 2016 pag. 9.



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