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Patrimonio culturale e discrezionalità degli organi di tutela

Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità

di Giuseppe Severini

Protection of cultural heritage, technical discretion and proportionality principle
The public responsibility for the protection of cultural heritage manifests him through judgments that are of alone technical discretion. Every administrative discretion there is extraneous, because it is not to compare and choose between various interests, but to dose the intervention at the rate of only one interest, that of safeguard of the good. Nevertheless, this dosing is not free, because it must be done according to the rules, now well established, of the proportionality principle: with special regard to the suitability and necessity of the chosen measure.

Keywords: Protection of Cultural Heritage; Technical Discretion; Rules; Proportionality Principle.

1. Tutela del patrimonio culturale e discrezionalità tecnica da sempre, per la giurisprudenza del Consiglio di Stato e per la dottrina, rappresentano un binomio inscindibile. Il giudizio di discrezionalità tecnica inerente a una "disciplina non esatta", qual è nell'esercizio della funzione pubblica di tutela, è stato addirittura assunto a paradigma per indicare che la possibile, fisiologica opinabilità del risultato non converte la valutazione tecnica - da compiere alla stregua delle sole cognizioni tecniche rilevanti - - in ponderazione e scelta tra più interessi, cioè in discrezionalità amministrativa: "malgrado il carattere fortemente valutativo che possiedono siffatti giudizi, essi rimangono nell'ambito dell'apprezzamento tecnico, e non debordano nella potestà discrezionale: abbiamo sempre dei giudizi tecnici, giuridicamente distinti dai giudizi di opportunità e dal momento decisionale" (M.S. Giannini).

La ragione di questo tecnicismo è, al fondo, di ordine costituzionale: l'elevazione della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico a principio fondamentale della Costituzione (art. 9 Cost.) oppone la salvaguardia del patrimonio culturale alla scelta libera tra interessi come alle concrete valutazioni di opportunità e convenienza, proprie rispettivamente delle decisioni politiche o delle scelte amministrative. I cataloghi di principi fondamentali che da quasi un secolo aprono le costituzioni contemporanee hanno l'essenziale funzione di sottrarre il loro oggetto, per l'importanza definitiva che riveste per l'interesse generale, alla disponibilità delle contingenti maggioranze politiche come all'alea delle continue comparazioni con altri interessi.

A una tale indeclinabile funzione di protezione e di conservazione del lascito collettivo ricevuto presiede un apposito apparato pubblico, incentrato per i suoi interventi su professionalità tecniche e la cui esistenza, capacità ed efficienza sono essenziali per tradurre in realtà il principio fondamentale costituzionale. Alla discrezionalità tecnica presiede la professionalità di questo apparato: e (similmente a quanto, ad esempio, si richiede nella sanità a un chirurgo) la professionalità di suo prescinde dalla commisurazione con interessi altri da quello oggetto della sua tecnica: commisurazione per la quale, del resto, in capo all'apparato non sussistono né espresse legittimazioni istituzionali, né idonee attitudini professionali, né trasparenti parametri oggettivi di giudizio.

La giurisprudenza, dunque, costantemente evidenzia che l'esercizio della tutela è espressione di stretta discrezionalità tecnica (ex multis: Cons. Stato, VI, 7 ottobre 2008, n. 4823; 9 novembre 2011, n. 5921; 20 dicembre 2011, n. 6725; 13 settembre 2012, n. 4872; 14 luglio 2014, n. 3637; 11 marzo 2015, n. 1257; 15 giugno 2015, n. 2903; 14 agosto 2015, n. 3932; 14 ottobre 2015, n. 4750; 3 dicembre 2015, n. 5487). Solo la dimensione tecnica della tutela invera il principio fondamentale dell'art. 9 Cost. e consente una salvaguardia che prescinda dal cedimento per opportunità rispetto ad altri interessi Il corretto esercizio della discrezionalità tecnica nella cura del patrimonio culturale è essenziale per la realizzazione del precetto del secondo comma dell'art. 9. Realizza l'indefettibile funzione pubblica richiesta da questa eredità collettiva (il "patrimonio") e ne assicura la rispondenza al suo - come dice la giurisprudenza costituzionale - "valore primario e assoluto".

Ai sensi dell'art. 9 Cost. la tutela è per definizione - anche in rapporto alla legislazione del 1939 che ne fu "costituzionalizzata" (Cassese) e alle precedenti costituzioni tedesca (1919), spagnola (1931) e portoghese (1934), e all'intera successiva legislazione del settore - orientata alla preservazione della caratterizzazione storica dell'oggetto tutelato e si estrinseca ne "la protezione e la conservazione" del patrimonio culturale: cfr. art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e l'intitolazione della sua Parte II, Titolo I; Capo III. Solo uno stretto giudizio tecnico, libero da diuturne comparazioni e scelte di opportunità o convenienza con altri interessi, può esservi funzionale. La ragione di questo ordinamento di settore risiede, per i beni culturali, nella preservazione della storicità dei manufatti (non concerne gli immobili con meno di settant'anni, i mobili con meno di cinquanta: art. 10, comma 5), per i beni paesaggistici del preesistente dato della forma del territorio plasmata da natura e storia (Predieri).

Anche in sede consultiva è consolidato che nell'autorizzare opere su beni di interesse storico-artistico, l'amministrazione deve guardare al mantenimento del bene e del suo valore storico-artistico, che è il solo interesse pubblico affidato alla sua cura, e non è tenuta a sindacare i particolari interessi del proprietario (cfr. per tutte Cons. Stato, II, 15 giugno 2011, n. 1260/10).

Da ultimo lo sottolinea in dettaglio, pur senza innovare alcunché a quanto consolidato (e lasciando ad una successiva, sede di governo l'eventuale comparazione con altri interessi), Cons. Stato, VI, 23 luglio 2015, n. 3652 in tema di autorizzazione paesaggistica: "Alla funzione di tutela del paesaggio ... è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: tale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dare minor tutela, malgrado l'intensità del valore paesaggistico del bene, quanto più intenso e forte sia o possa essere l'interesse pubblico alla trasformazione del territorio". E ancora: "per quanto concerne il ruolo del Mibac nel procedimento, le valutazioni di comparazione e ponderazione di interessi, proprie della discrezionalità amministrativa, restano del tutto estranee alla fattispecie di legge e, ove di fatto introdotte, rendono l'atto viziato per eccesso di potere. Come ben evidenziato in dottrina, la discrezionalità tecnica, a differenza di quella amministrativa, si concentra su un unico interesse, nel caso quello paesaggistico, attraverso la verifica in fatto della sua configurazione e trasformazione nel caso concreto. Diversamente dalla discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica non può dar luogo ad alcuna forma di comparazione e valutazione eterogenea. Nell'esercizio della funzione di tutela spettante al Mibac, l'interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal Mibac stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni".

Come ricorda questa sentenza, la discrezionalità tecnica è caratterizzata dal perimetro dell'unicità dell'interesse: la valutazione dell'amministrazione secondo canoni scientifici e tecnici esclude la presa in considerazione e la comparazione con altri interessi in modo di individuare la soluzione più conveniente: la scelta di convenienza già è fatta a monte, dalla legge, all'amministrazione resta solo di rilevare le cose e modularvi adeguatamente l'intensità del proprio intervento specialistico.

L'amministrazione preposta alla tutela non deve prendere in considerazione e calcolare gli altri interessi toccati, quale ne sia la natura o la meritevolezza, la convergenza o il conflitto. Non le compete, altrimenti il suo non sarebbe più un giudizio tecnico ma un esercizio di discrezionalità amministrativa, quando la sua struttura organizzativa e le sue professionalità non sono finalizzate a quello. Essa si deve muovere unidirezionalmente, come lungo una monorotaia, dove una volta rilevata la situazione in fatto deve contenersi a calibrare - in base a regole e cognizioni di scienze e arti - l'intensità e l'adeguatezza delle misure da assumere per intervenire in congrua cura dell'interesse affidatole. Non può cioè uscire dalla monorotaia, deve valutare in concreto dove sensatamente arrivarvi per evitare che l'interesse affidatole sia compromesso o messo in pericolo. È fuori dal compito degli organi tecnici la comparazione e valutazione, diretta o indiretta - vale a dire, la commisurazione - con altri interessi, pubblici o privati.

Non il Mibact, dunque, ma altri livelli di governo - se la legge lo prevede, come è in base all'art. 14-quater (oggi art. 14-quinquies) legge 7 agosto 1990, n. 241 per la successiva devoluzione della questione al Consiglio dei ministri dopo l'infruttuosa conferenza di servizi - si potranno fare carico di una valutazione che a quel punto è di discrezionalità mista: pur senza dimenticare le ragioni del vincolo (es. Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039; 15 gennaio 2013, n. 220, che dice quella del Consiglio dei ministri successiva alla conferenza di servizi con il Mibact dissenziente, essere "un'eventuale riconsiderazione governativa ... al contempo frutto di una valutazione di discrezionalità tecnica e di una valutazione di alta amministrazione": quella è "una valutazione che non può disapplicare i parametri del giudizio tecnico (ad es. il vincolo, che non può per l'occasione essere messo nel nulla), che perciò non può prescindere dalla medesima natura tecnica di quella di base confutata; ma che nemmeno si esaurisce in un giudizio tecnico com'è per l'atto di base, perché comporta - in ragione dell'organo costituzionale chiamato alla decisione e della sua funzione di massima sintesi amministrativa - l'adozione, in deroga a quel dissenso, di un apprezzamento che ... è di alta amministrazione (per quanto debba tenere in considerazione, in questa sua comparazione di interessi, l'incidenza concreta sul principio fondamentale di tutela del paesaggio da parte della Repubblica, posto dall'art. 9 della Costituzione). La deliberazione sulla "questione" da parte del Consiglio dei Ministri sintetizza ... non un procedimento di riesame del dissenso qualificato, che resta comunque legittimamente ... espresso, ma un'eventuale e dominante riconsiderazione dei suoi effetti, che possono essere così impediti. In questo si realizza una manifestazione di potere governativo riferibile, se del caso, a quello sostitutivo ordinario e al rammentato art. 120 Cost.").

Altre volte un giudizio di moderato bilanciamento con altri interessi essenziali può essere modellato dalla legge, come eccezionalmente avviene per l'art. 4, legge 9 gennaio 1989, n. 13, (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati) secondo cui il diniego può essere opposto "solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio del bene tutelato": "serio pregiudizio" il cui livello per il diniego di autorizzazione "è richiesto soltanto quando si tratta di equiparare con nuove opere l'accessibilità delle persone con disabilità a quella, già materialmente esistente, delle persone senza disabilità. Non già per innalzare, con innovazioni ... essenzialmente di uso generale, il livello materiale di accessibilità di entrambe" (Cons. Stato, VI, 12 febbraio 2014, n. 682). O come avviene per le opere di difesa nazionale "che incidano su immobili o aree sottoposti a tutela paesaggistica": che, non a caso, postulano il confronto procedimentale con l'amministrazione titolare dell'altra discrezionalità tecnica (art. 147 del Codice). Ma si tratta, comunque, di casi che fanno eccezione alla regola generale che si è detta.

2. La particolarità delle "tecniche" da spendere in questo settore - storia, storia dell'arte, architettura, scienze del paesaggio e del territorio, ecc. - è di un marcato carattere di "non - scienza esatta" delle conoscenze specialistiche necessarie alla ricognizione per la dichiarazione di bene culturale o paesaggistico, ovvero alla stima di compatibilità dell'intervento concretamente immaginato.

Più in particolare - come rileva Paolo Carpentieri - a usare una terminologia oggi in uso per quanto non universalmente condivisa, non si tratta di hard sciences dai dati sperimentali, oggettivamente quantificabili, controllabili e ripetibili com'è invece per la fisica, la chimica e altre scienze naturali o formali; ma di soft sciences, com'è appunto delle "discipline non esatte".

Mentre nel campo delle hard sciences l'opinabilità è per sua natura contenuta (anche se non si arriva all'assenza di opinabilità, come invece nel caso delle misurazioni da accertamento tecnico) e i risultati della valutazione sono conseguenti e vincolati, nel campo delle soft sciences l'opinabilità, anche ampia, rappresenta un'eventualità naturale e fisiologica e il risultato delle ricognizioni e delle valutazioni è normalmente discutibile.

Non basta: tra le stesse discipline non esatte ve ne sono alcune i cui risultati, ex post, possono offrire un'effettiva dimostrazione della bontà, o della non bontà, della valutazione tecnica a suo tempo compiuta (si pensi ai giudizi sanitari, agronomici, concorsuali, economici o anticoncorrenziali); e altre (come per le discipline umanistiche, le c.d. scienze sociali e appunto le ricordate scienze e tecniche della tutela) dov'è del tutto normale che, anche dopo, l'assunto seguito resti comunque non dimostrabile e oggettivamente non da tutti condivisibile nei risultati.

Questo elemento, che è nella natura delle cose e perciò insopprimibile, accentua la rammentata caratteristica di opinabilità - cioè di assenza di certezze oggettive e di sicurezze anticipate - della singola valutazione specialistica che in varia misura resta intrinseca a qualsivoglia valutazione tecnica: la quale valutazione permane dunque inevitabilmente soggettiva, personale e infine discutibile. Se non fosse così, quella stessa valutazione non potrebbe esistere e tutto si ridurrebbe a stima dell'opportunità: il che proverebbe troppo.

È dunque fuor di logica, e fa torto alla realtà e alla categoricità dei fatti, trarre argomento da questa residua opinabilità per giungere a negare in radice la portata del tecnicismo di questa valutazione e affermare che si tratta comunque una valutazione che, all'ultimo, è di opportunità.

La pertinenza ai principi del settore nella ricognizione e nella valutazione degli esperti dell'amministrazione costituisce piuttosto il presupposto e il limite intrinseco dell'uso legittimo del potere. Il margine di confutabilità resta ampio e non suffragabile con dimostrazioni.

Ciò che deve attenuarlo o contenerlo è la qualità professionale e la preparazione tecnico-scientifica dei funzionari preposti all'esercizio della funzione: ma confondere questo aspetto soggettivo di apparato - che effettivamente presenta sue specifiche e importanti problematiche - con le caratteristiche oggettive del tipo di potere esercitato significa non solo introdurre ulteriori questioni, ma anche portare in risonanza le eventuali distorsioni che oggi possono emergere nella pratica amministrativa.

Per queste discipline non esatte - ci riguarda la valutazione tecnica dell'amministrazione preposta alla tutela del patrimonio culturale - si pone il tema della sua latitudine e del limite di accettabilità di questa naturale opinabilità. È dato di esperienza e comunque è intuitivo che possono esistere situazioni di manifesto difetto o eccesso, di incontestabile incongruenza dell'uso del potere rispetto al suo oggetto e alle sue finalità: vuoi nel senso di un'applicazione inibita e sostanzialmente dismissiva del potere stesso, vuoi nel senso di un'applicazione smisurata ed esorbitante dalle buone e dovute ragioni di salvaguardia.

È noto che la giurisprudenza ha abbandonato il criterio del sindacato meramente formale dell'esercizio della discrezionalità tecnica ed è pervenuta alla sua sindacabilità intrinseca mediante il parametro dell'inattendibilità della valutazione tecnica compiuta dall'amministrazione nelle operazioni tecniche, vuoi in punto di criterio prescelto vuoi in punto di sua applicazione (a muovere dalla nota Cons. Stato, IV, 9 aprile 1999, n. 601). Nondimeno tende a far salvo, in rispetto del principio di separazione dei poteri, il margine di opinabilità della valutazione, vedendovi un'espressione del merito amministrativo e perciò considerandolo insindacabile perché non altrimenti sovrapponibile che da una diversa e opposta opinabilità. L'opinabilità è infatti, come si è detto, una fisiologica caratteristica delle alternative tecniche.

Questa conclusione ben vale nel caso delle hard sciences - i cui assunti per Karl Popper sono i soli suscettibili di "falsificazione" - ma nel caso delle soft sciences può dar paradossalmente luogo ad un'eccessiva contrazione del sindacato di legittimità: se l'opinabilità supera certi accettabili livelli si rischia infatti di creare uno spazio vuoto di diritto tra i separati poteri giudiziario e amministrativo, dunque di denegare tutela giurisdizionale.

Resta dunque fuori da questo campo libero dal sindacato del giudice il caso della valutazione tecnica che esuli dall'opinabilità. Questo superamento, occorre precisare, dev'essere complessivo e non secondario rispetto al bene: occorre cioè che, per infirmare nel complesso la validità delle conclusioni raggiunte, concerna non soltanto alcuni parametri del carattere di bene del patrimonio culturale, perché "è necessario che la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo competente" (Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894; 13 settembre 2012, n. 4872).

La giurisprudenza in tema di patrimonio culturale si confronta spesso proprio con il profilo dell'opinabilità della valutazione tecnica: vuoi per riconoscerne la dimensione fisiologica e ineliminabile (es. Cons. Stato, VI, 19 giugno 2009, n. 4066, caso del vincolo della facciata di un immobile novecentesco di Milano), vuoi per indicarne l'avvenuto superamento in concreto (es. Cons. Stato, VI, 10 settembre 2009, n. 5455, caso del vincolo di una palestra esempio di architettura razionalista degli anni '30 del Novecento; 3 luglio 2014, n. 3360, caso del vincolo di un antico sentiero di montagna di pellegrinaggio; 11 marzo 2015, n. 1257, che sottolinea che l'atto va annullato qualora "risulti che il risultato raggiunto dall'Amministrazione, a prescindere dalla sua fisiologica opinabilità, fuoriesce dai limiti di naturale elasticità sottesi al concetto giuridico indeterminato, che l'Amministrazione è tenuta ad applicare": caso del vincolo di una statua sacra lignea ottocentesca, anni prima totalmente alterata da un restauro ricostruttivo e stilistico).

Qual è allora in concreto il limite di accettabilità dell'opinabilità? La risposta va ricercata negli spazi del superamento logico di ogni plausibilità tecnica.

L'esame della giurisprudenza rileva che il sindacato giurisdizionale supera gli stessi margini dell'opinabilità mediante il riscontro del superamento dei parametri generali di congruenza, proporzionalità e ragionevolezza: questi sono utilizzati per censurare un uso su basi tecniche del potere che in realtà fuoriesce dalle ragioni per cui il potere stesso è dato dalla legge; casi dove l'opinabilità cessa di essere tale o di esser assistita dall'immunità ed entra nello spazio correzionale del sindacato del giudice amministrativo.

3. Ci si può qui limitare alla seconda tipologia di casi, cioè quella di un uso esorbitante della discrezionalità tecnica. Sono del resto quelli che in giustizia si presentano più frequentemente perché la struttura del processo amministrativo non prevede un potere di azione in capo a un organo di cura dell'interesse generale, ma solo in capo agli interessati, che usualmente sono quanti domandano l'intervento.

A prendere gli esempi degli ultimi anni, può essere rammentata la vicenda limite di cui a Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2010, n. 9578 di annullamento soprintendentizio di un parere paesaggistico favorevole a un condono di un una sopraelevazione abusiva del 1960 circa in una zona (il Viale dei Pini, in Capodimonte, Napoli) dove l'intero abitato circostante da allora era stato trasformato in modo così affollato, intenso e sistematico da rendere quel luogo radicalmente diverso e la bellezza naturale assoggettata a vincolo definitivamente sminuita rispetto alle forme pregresse in tutta l'area. La sentenza, in patente riferimento alla realtà fattuale, osservò che la prevenzione di ulteriori deturpamenti "deve essere effettiva e non solo teorica. Perciò la valutazione dell'Amministrazione deve essere riferita alla circostante, anche se circoscritta, realtà. Perché l'azione amministrativa risulti ragionevole, deve avere per obiettivo un'effettiva tutela del paesaggio e non l'inutile evocazione di un valore astratto ed irreale". E così affermò che - benché normalmente la situazione di compromissione della bellezza naturale a opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino esteriormente l'ambito protetto - in un tal caso estremo l'amministrazione ha ormai il dovere di tener presente la realtà attuale dell'area e di valutare la reale offensività dell'innovazione su quanto davvero persiste dei valori paesistici protetti. Quella valutazione andava allora rapportata alla considerazione del sistematico degrado dei valori paesaggistici naturali originariamente tutelati, sedimentato per effetto di numerosissime costruzioni del tipo e del genere di quella di cui si discute, nel cui stretto contesto questa è collocata.

Significativi casi di applicazioni esorbitanti si registrano in tema di paesaggio agrario, dove il limite di ragionevolezza è già implicitamente codificato dalla legge e dove sembra frequentemente sconoscersi la dinamica biologica delle colture. Ma se non si considera l'ineludibile dato della realtà fattuale del ciclo biologico delle piante si sviluppa un esercizio incongruo della discrezionalità tecnica. Così, considerata la caducità naturale e la possibilità di reimpianto, Cons. Stato, VI, 8 ottobre 2013, n. 4932 ha affermato che non può essere di ostacolo alla realizzazione di un parcheggio interrato la preesistenza in loco di vigneto, agrumi ed olivi non di particolare interesse agronomico e botanico, da poi reimpiantare sopra il parcheggio, posto che il ciclo di vita dei vigneti e degli alberi da frutta è comunque limitato nel tempo.

Analogamente Cons. Stato, VI, 10 febbraio 2015, nn. 717 e 718 per interventi agricoli sulle due sponde del Lago di Garda, hanno fatto riferimento al limite di ragionevolezza già intrinseco al vincolo paesaggistico ed espresso dall'art. 149 (Interventi non soggetti ad autorizzazione), lett. b) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il primo caso concerneva lo spostamento provvisorio di alcune centinaia di piante di olivo, messe a dimora temporaneamente altrove per poi essere ripiantate in loco per ornamento. L'altro caso riguardava addirittura non l'espianto, ma l'impianto di un vigneto nelle colline attorno al lago.

Ancora, per Cons. Stato, VI, 29 marzo 2013, n. 1851, la presenza artificiale di alcuni filari malati di pino romano, impiantati in monocoltura ornamentale da alcuni decenni all'interno dell'ex area industriale di Bagnoli, è estranea al concetto di "bosco" che rileva ai fini del vincolo paesaggistico ex lege dell'art. 142, lett. g) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. È dunque incongruo rispetto al fine di tutela paesaggistica far riferimento acritico alla nozione silvicolturale di bosco, cui pur rinvia la norma.

4. Come si vede anche da questi casi, si può registrare non solo un difetto dei presupposti di fatto per l'esercizio del potere (si pensi al caso reale della protezione di un noto paesaggio letterario con riferimento alla trasformazione di un manufatto che ancora non esisteva quando fu composto il brano che lo rese celebre) o l'inattendibilità dei criteri tecnici assunti e applicati (che di loro sono causa di eccesso di potere); ma anche la rilevazione di un'irragionevolezza che affonda nella sproporzione tra l'uso concreto della discrezionalità tecnica e la realtà della situazione da preservare.

Mette allora conto soffermare l'attenzione sul rapporto che appare concretamente esorbitante riguardo alla misura effettiva della relazione tra i due termini dati (il potere da esercitare e la salvaguardia del bene). La giurisprudenza (es. Cons. Stato, VI, 3 agosto 2007, n. 4322; 6 giugno 2011, n. 3354; 3 luglio 2012, n. 3893; 4 novembre 2013, n. 5293; 27 dicembre 2013, n. 6241; 9 gennaio 2014, n. 32; 3 luglio 2014, n.3355; 2 marzo 2015, n. 999; 11 marzo 2015, n. 1275; 15 aprile 2015, n. 1928; 7 marzo 2016, n. 914) usa a questi propositi parlare di rapporto incongruo, sproporzionato, irragionevole: criteri "tra loro strettamente connessi e [che] si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l'atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto" (Cons. Stato, VI, 27 luglio 2015, n. 3669: caso del vincolo indiretto su Piazza del Plebiscito, Napoli, limitativo dell'utilizzo dello spazio antistante la basilica di S. Francesco di Paola per l'apposizione di sedie e tavolini per ristoro, riconosciuto legittimo perché non nega qualsiasi fruizione della piazza ma modula la tutela in proporzione alla necessità di mantenerla all'uso naturale di luogo di aggregazione e di incontro). Infatti "una volta stimato che il vincolo indiretto risulta una misura necessaria ed inevitabile, malgrado i sacrifici che la scelta di un tale strumento può comportare, per proteggere il contesto complementare del bene direttamente tutelato - il che costituisce l'obiettivo prefissato in via primaria -, senza di che la stessa tutela diretta sarebbe amputata dell'insieme spaziale che conferisce valore al bene principale, alla sua valutazione tecnica e realizzazione pratica diviene estranea un'attenuazione dell'interesse pubblico causata da quello all'edificazione: la quale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dare minor tutela, malgrado l'intensità del valore culturale del bene principale, quanto più intenso e forte sia o possa essere l'interesse alla trasformazione delle cose.// La proporzionalità qui rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all'oggetto principale da proteggere: per cui l'azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va cioè posta in rapporto all'esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell'oggetto materiale di quello. È connessa alla ragionevolezza, e questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo. Ne consegue che il potere va esercitato in modo che ... sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto e non ad esso eccessivo" (così Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893: caso del vincolo culturale, diretto e indiretto, sul sistema dei laghi di Mantova).

Ciascuna di queste tre caratterizzazioni del rapporto, spesso richiamate in trinomio (incongruenza, sproporzione, irragionevolezza), sta a significare una relazione concretamente inadeguata tra due termini: convergenza mancata, commisurazione squilibrata, rapporto irrazionale. Insomma, registra la violazione di una clausola generale dell'azione amministrativa; quella del principio di proporzionalità, recepito in via pretoria in Italia dalla giurisprudenza tedesca e poi da quella eurounitaria a muovere dalla sentenza Cons. Stato, V, 14 aprile 2006, n. 2087 (su altra materia) e oggetto ormai di numerose indagini: principio generale dell'ordinamento, canone ormai generalizzato dell'azione amministrativa come del giudizio amministrativo, presupposto implicito per la legittimità dell'azione dell'amministrazione pubblica.

Si discute in dottrina se, visto l'innesto per il ricordato effetto di espansione (spill over) da oltralpe, il difetto di proporzionalità sia altra cosa dalle tradizionali irragionevolezza e incongruenza sintomatiche di eccesso di potere: ma non pare qui il caso, perché la giurisprudenza sul patrimonio culturale usa queste promiscuamente per additare un difetto di proporzione nell'uso del potere di tutela. Del resto, ragionevole deriva da ratio, cioè rapporto, misura; e congruo da cum gruere, incontrare, corrispondere, allinearsi: in entrambi i casi si evoca un giusto e proporzionato rapporto tra due termini. Ed è ciò cui ci si riferisce nelle sentenze (es. Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893, cit. sul sistema dei laghi di Mantova - che evidenzia che la proporzionalità è "connessa alla ragionevolezza, e questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo"; Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2013, n. 6241, 3 luglio 2014, n. 3355, entrambe circa vincoli indiretti a tutela di compendi storico-monumentali; la seconda evidenzia che "la proporzionalità qui rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all'oggetto principale da proteggere: per cui l'azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va posta in rapporto all'esigenza conservativa del vincolo diretto e alle caratteristiche dell'oggetto materiale di quello" -; Cons. Stato, VI, 11 marzo 2015, n. 1257, cit.; 15 aprile 2015, n. 1928 sull'uso di un bene culturale pubblico per una mostra privata; 7 marzo 2016, n. 914, caso di vincolo paesaggistico di un ambito destinato a ospitare una centrale a biomasse).

Anche se ha la sua applicazione naturale "nel caso in cui l'azione amministrativa coinvolga interessi diversi" (Cons. Stato, VI, 26 febbraio 2015, n. 964: v. infra), il principio di proporzionalità non è riservato a quell'ambito: e ben si applica anche alla concreta allocazione del risultato del giudizio tecnico lungo la "monorotaia" dell'unico interesse, vale a dire dell'identificazione tecnica del corretto mezzo relazionato al fine (il ricordato "conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo"). La proporzionalità è insomma intrinseca alla ragione del potere di tutela e alle sue valutazioni. Non la trasforma in una comparazione tra interessi, piuttosto rappresenta un uso del potere pubblico conforme alla sua causa giustificativa, di raggiungere la reale salvaguardia della qualità pubblica che - secondo la ricostruzione strutturale enunciata da M.S. Giannini - nel bene culturale coesiste con quella privata.

Naturalmente, l'indagine sulla proporzionalità è preceduta da quella sulla presenza dei presupposti e sull'attendibilità dei criteri tecnici prescelti e del loro uso.

A questi propositi, la razionalità del modo di procedere dell'amministrazione non può prescindere dalle esatte rilevazioni preliminari dei termini della successiva proporzione, segnatamente per quanto compone la situazione su cui andrebbe ad intervenire. Altrimenti il giudizio circa il rapporto sarà intrinsecamente viziato. Perciò i passaggi che in sequenza debbono segnare lo sviluppo del ragionamento tecnico (es. Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4899; 10 maggio 2013, n. 2535; 23 dicembre 2013, n. 6223) sono, nel caso di autorizzazione:

(a) la rilevazione della consistenza materiale attuale del bene e dei contenuti degli atti di vincolo.

(b) la rilevazione in fatto delle sue tutelate caratteristiche culturali, storico-artistiche o paesaggistiche.

(c) la considerazione degli effetti della trasformazione ipotizzata.

(d) il giudizio tecnico sulla compatibilità della stessa trasformazione.

Gli elementi sub (a), (b) e (c) poggiano, appunto, su una relazione tecnica che indaghi partitamente per ciascun elemento. Dal che il tema della proporzione.

Inoltre, specie per il profilo sub (d), la giurisprudenza in materia paesaggistica afferma che un giudizio concreto di compatibilità deve considerare se l'innovazione non rappresenti un elemento d'inaccettabile rottura per visibilità (cioè posizione, prominenza, coesione con il contesto, ecc.), forme, materiali e colori dell'effettiva consistenza del manufatto (cfr. Cons. Stato, VI, 11 settembre 2013, n. 4493; 4 ottobre 2013, n. 4899; 23 dicembre 2013, n. 6223; 6 maggio 2013, n. 2410; IV, 9 maggio 2013, n. 1905; VI, 10 maggio 2013, n. 2535; 20 giugno 2013, n. 3355; 4 ottobre 2013, n. 4899; 5 marzo 2014, n. 1034; 26 marzo 2014, n. 1472; 27 luglio 2014, n. 3966; 28 ottobre 2015, n. 4925; 23 febbraio 2016, n. 727). Sicché ciascuno di questi ultimi elementi dev'essere oggetto delle rilevazioni tecniche sub (a), (b) e (c). La mancanza o il vizio di questi passaggi - ferma la pur opinabile conclusione, che attiene al merito - dà luogo a un eccesso di potere che, a seconda dei casi, è identificato nel difetto dei presupposti, nell'insufficienza dell'istruttoria, in illogicità, incongruenza, irragionevolezza: precede comunque il giudizio di proporzionalità e lo vizia. Non è necessario rifarsi alla categoria dell'inattendibilità.

Per tornare al proprium del rapporto di proporzionalità, i fattori principali per identificare la corretta misura di applicazione della discrezionalità tecnica sono la sua idoneità e la sua necessità. In questo tecnicismo, rispettano il principio di proporzionalità le valutazioni di tutela che corrispondono al mezzo idoneo necessario e adeguato per assicurare l'effettività della salvaguardia dei valori protetti mediante il vincolo sulla cosa, senza provvedere "mit Kanonen": perché l'azione sia in rapporto con la finalità perseguita, l'amministrazione deve insomma contenere le sue conclusioni in quanto è adatto e necessario per davvero raggiungere l'effettività della tutela.

Dal punto di vista della verifica, dunque, tra i tre usuali test del principio di proporzionalità, quelli che qui più incidono sono quello di idoneità (l'utilità concreta della misura prescelta) e quello di necessarietà (la non insufficienza della misura più mite per il raggiungimento dello scopo), mentre quello di proporzionalità in senso stretto (la non eccessiva gravosità della misura) svolge un ruolo sussidiario anche perché non si tratta di comparare interessi, posto nella struttura giuridica del patrimonio culturale l'interesse pubblico coesistente ha titolo autonomo rispetto al diritto del proprietario (nondimeno questo aspetto eccezionalmente si profila nelle situazioni emergenziali - ad esempio, nei casi di dopo terremoto - in ragione del c.d. diritto pubblico dell'emergenza, che interferisce con la disciplina di tutela del Codice dei beni culturali e del paesaggio e che richiede con appositi procedimenti di valutare in concreto e con la necessaria prudenza che non vi sia una sproporzione insostenibile, rispetto agli obiettivi propri della tutela, per l'onere di recupero di un bene culturale danneggiato al punto della perdita dell'identità e gravemente pericolante).

La commisurazione in concreto della valutazione, per essere idonea e necessaria, va posta in relazione agli elementi su cui indagare in concreto per identificare, lungo quella "monorotaia", anzitutto l'esatto oggetto della salvaguardia e le soluzioni tecniche alternative e le ragioni e modalità di scelta al loro interno.

In particolare, in materia di beni culturali il test dell'idoneità va rapportato alla funzione del vincolo o del provvedimento: perciò non alla mera preservazione acritica della materialità della res, ma alla doverosa salvaguardia degli elementi che ne costituiscono l'interesse - con le gradazioni di legge - che è all'origine della sua condizione di bene culturale dichiarata mediante il vincolo. Si tratta di una distinzione essenziale al fine del corretto esercizio della discrezionalità tecnica. L'oggetto del vincolo, infatti, non è la cosa in sé, ma il bene culturale che essa rappresenta e di cui costituisce il supporto: il che significa che al bene culturale possono restare estranei alcuni elementi materiali marginali della cosa stessa. La prova di idoneità porterà dunque a normalmente escludere dall'azione di tutela la preservazione di elementi aggiuntivi alla res, non intrinseci al suo pregio storico-artistico e dunque all'identità storica del manufatto che ha condotto al vincolo (ad esempio, una pur apprezzabile pavimentazione novecentesca in un palazzo barocco non appare un valore salvaguardato dal vincolo e perciò non si addice alla sua tutela). Una preservazione che, travalicando le ragioni e l'oggetto stesso del vincolo, si riferisse a tali inessenziali particolari sarebbe inidonea - perché non funzionale al vincolo - e perciò si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità. Analogamente, in tema di circolazione in ambito internazionale l'idoneità del controllo sull'uscita definitiva va nella valutazione concreta rapportata all'importanza del singolo bene per la territorialità del patrimonio nazionale.

Similmente - e qui il giudizio di idoneità sfuma in quello di necessarietà - sarebbe per una preservazione che prescindesse, con "una astrazione pericolosa per la stessa sopravvivenza in concreto della cosa che costituisce il bene culturale, dalla considerazione delle concrete coordinate di spazio e di tempo in cui esso è calato"; infatti "la concreta sopravvivenza della testimonianza culturale deve inevitabilmente collegarsi alla necessità di preservare, con il valore culturale, la stessa esistenza materiale e la vitalità del contesto del quale il bene stesso è parte integrante", perciò occorre anche considerare "l'esigenza della vitalità del bene considerato" perché "un'insostenibilità economica della utilizzazione ... va ... in ultimo a contraddire la stessa salvaguardia materiale del bene, cui la legge di tutela è orientata" (Cons. Stato, VI, 2 marzo 2015, n. 1003).

Perciò, ai fini dell'idoneità prima ancora che della necessarietà, è essenziale la presa in considerazione degli elementi sopra indicati sub (a) (la rilevazione della consistenza materiale attuale del bene e dei contenuti degli atti di vincolo) e sub (b) (la rilevazione in fatto delle sue tutelate caratteristiche culturali, storico-artistiche o paesaggistiche) e su quelle basi svolgere, nel caso di autorizzazione, il giudizio tecnico di compatibilità di cui sub (c) e (d).

La questione della discrezionalità tecnica, specie per le soft sciences che rilevano per la tutela del patrimonio culturale, consiste dunque nella gradazione di questa intensità, per modo che il risultato concreto sia quello sufficiente e comunque adeguato alla esigenza di cura del patrimonio. Non c'è invece in tema di tutela del patrimonio alcun bilanciamento con interessi diversi da quello della tutela stessa, perché ci si muove esclusivamente lungo la "monorotaia" dell'unico interesse in cui questa consiste (il bilanciamento si coniuga al principio di proporzionalità solo quando si tratta di discrezionalità amministrativa, non di discrezionalità tecnica: "nel caso in cui l'azione amministrativa coinvolga interessi diversi" - cioè quando si esercita una discrezionalità amministrativa - allora occorre "un'adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio [di proporzionalità] rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell'esercizio del potere discrezionale in relazione all'effettivo bilanciamento degli interessi": Cons. Stato, IV, 26 febbraio 2015, n. 964).

Così stando le cose, ne viene che l'eccesso alle due ali si presenta come indebita e insostenibile sproporzione della tecnica di tutela. Il tema riporta al rilievo che ha il concetto stesso di proporzione per la storia dell'arte e l'architettura come in genere per le arti plastiche e figurative, e che non va dimenticato come tecnica di esercizio del suo potere di legge dall'amministrazione che vi è istituzionalmente preposta.

 

 

 



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