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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro [*]

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 844 - Pres. Virgilio, Est. Taormina- In tema di tutela delle bellezze naturali e del patrimonio culturale.

I beni costituenti bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato, con la duplice conseguenza che la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con quella urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti, distinti interessi pubblici, e che il comune conserva la titolarità, nella sua attività pianificatoria generale, della competenza ad introdurre vincoli o prescrizioni preordinati al soddisfacimento di interessi paesaggistici.

Il patrimonio culturale complessivamente inteso, costituendo un bene intrinsecamente comune e refrattario ad arbitrarie frantumazioni, è affidato alla cura della Repubblica nelle sue varie articolazioni, dovendosi pertanto individuare una ideale contiguità tra le funzioni di tutela (intesa come l'individuazione, la protezione e la conservazione dei beni che costituiscono il patrimonio culturale), affidate alla competenza esclusiva dello Stato, e quelle di valorizzazione (intesa come la migliore conoscenza, fruizione e utilizzo dei medesimi), assegnate invece alla competenza concorrente di Stato e regioni.

Costituisce finalità istituzionale ascrivibile alle amministrazioni comunali quella di salvaguardia dei caratteri tradizionali dei centri storici, contrastando il rischio di degrado e snaturamento (soprattutto con riferimento alle cosiddette città d'arte).

Gli artt. 4 e 5 d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali), impongono la cooperazione con lo Stato quale presupposto per l'esercizio da parte delle regioni di funzioni amministrative di tutela, nella parte in cui si riferiscono (non solo alla gestione o alla valorizzazione, ma anche) alla tutela del patrimonio storico-culturale ed architettonico o di quello archeologico, storico, artistico e culturale (in tal senso, anche Corte cost. 9 luglio 2015, n. 140, 17 luglio 2013, n. 194 e 4 giugno 2010, n. 193).

Cons. St., sez. VI, 7 marzo 2016, n. 905 - Pres. Caringella, Est. D'Alessio - In tema di autorizzazione agli interventi per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici di particolare interesse paesaggistico o storico artistico.

Gli interventi di natura edilizia volti a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche, negli edifici privati che sono sottoposti a disposizioni di tutela per il loro particolare interesse paesaggistico o storico artistico, possono essere non consentiti, dalle amministrazioni cui spetta l'esercizio delle funzioni di tutela, solo se recano un "serio pregiudizio" al bene tutelato. Per mitigare gli effetti degli interventi resi necessari per eliminare le barriere architettoniche e per rendere ancora più lieve la (non seria) alterazione del bene tutelato, il legislatore, per i beni di interesse storico artistico, ha assegnato agli organi di tutela anche il potere di imporre "apposite prescrizioni" sulle opere da realizzare.

L'amministrazione, quando si esprime in modo negativo sulla autorizzazione richiesta per gli interventi necessari per eliminare le barriere architettoniche negli edifici privati vincolati per il loro particolare interesse paesaggistico o storico artistico, deve indicare gli elementi che caratterizzano il pregiudizio e la sua serietà, in concreto e in rapporto alle caratteristiche proprie del bene culturale in cui l'intervento andrebbe a collocarsi (in termini, Consiglio di Stato. Sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 682).

Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2016, n. 1396 - Pres. de Francisco, Est. Mele - Sull'autorizzazione all'alienazione di beni di interesse storico - artistico.

L'art. 55 d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali) prevede, tra l'altro, che l'autorizzazione all'alienazione di immobili del patrimonio culturale stabilisce le condizioni di fruizione pubblica, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso.

Tale previsione va però letta in relazione alla prima parte della norma, laddove essa prescrive che nella richiesta di autorizzazione all'alienazione sia indicata la destinazione d'uso prevista, nonché alla disposizione successiva (comma 3-bis), secondo cui l'autorizzazione può non essere rilasciata "quando la destinazione proposta sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o comunque risulti non compatibile col carattere storico-artistico del bene".

Cons. St., sez. VI, 26 luglio 2016, n. 3363 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Buricelli- Sugli effetti del mancato esercizio del diritto di prelazione da parte della p.a. in relazione a beni di rilevante valore storico artistico.

Il diritto di prelazione è previsto dal legislatore a tutela della p.a. allo scopo di garantire a quest'ultima la possibilità di acquisire beni di rilevante valore storico artistico ma ciò non implica, nel caso di mancato esercizio del diritto, la decadenza del vincolo imposto sul bene in questione (artt. 60, 61 d.lg. n. 42/2004, Codice dei beni culturali).

Il giudizio, che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale, è caratterizzato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, in quanto implica l'applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura) caratterizzati da margini di opinabilità.

Ne consegue che l'apprezzamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo restando però il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all'esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l'imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), del d.lg. n. 42 del 2004 , è prerogativa esclusiva dell'amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnica compiuta (v., in tale senso, "ex plurimis", le sentenze nn. 4747 e 1000 del 2015, 3360, 2019 e 1557 del 2014).

Cons. St., sez. VI, 12 agosto 2016, n. 3624 - Pres. Patroni Griffi, Est. Filippi- In materia di vincolo storico-artistico su palazzi storici.

I palazzi storici, che usualmente identificano un complesso unitario, quand'anche formato da successive stratificazioni e addizioni, devono presumersi (salvo che non sia diversamente stabilito) vincolati nel loro insieme, stante l'esigenza che tali beni siano assoggettati a tutela nella loro interezza, a prescindere dal maggiore o minore pregio storico e artistico delle loro singole parti. Diversamente, la storicità del vincolo - che si riferisce al valore testimoniale dell'unità complessiva del manufatto - perderebbe ragione." (Cons. Stato, VI, 16 aprile 2015, n. 1942).

Beni paesaggistici

Cons. Stato Sez. VI, 23-03-2016, n. 1201 - Pres. Santoro, Est. Castriota Scanderbeg- Sull'autorizzazione paesaggistica relativa ad opere funzionali agli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile di pubblica utilità.

Ai sensi del d.lg. 29 dicembre 2003, n. 387 (recante Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) le opere funzionali agli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono espressamente qualificate dalla legge come opere di pubblica utilità, in quanto la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell'ambiente e dell'eco-sistema. Anche in vista del più proficuo raggiungimento di tale finalità, l'art. 12 del citato decreto legislativo ha introdotto un procedimento unico semplificato per il rilascio delle autorizzazioni necessarie alla implementazione delle infrastrutture strumentali alla produzione dell'energia pulita da fonti rinnovabili.

Ciò induce a ritenere che le motivazioni dell'eventuale diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica. Ogni nuova opera d'altronde ha una qualche incidenza sul paesaggio (che è costituito, secondo una delle definizioni più appropriate, dalla interazione tra le opere dell'uomo e la natura), di tal che il giudizio di compatibilità paesaggistica non può limitarsi a rilevare l'oggettività del novum sul paesaggio preesistente, posto che in tal modo ogni nuova opera, in quanto corpo estraneo rispetto al preesistente quadro paesaggistico, sarebbe di per sé non autorizzabile.

In caso di richiesta di un'autorizzazione per la realizzazione di un per gli impianti di produzione da fonti rinnovabili (nella specie un impianto fotovoltaico), l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve dunque farsi carico della complessità degli interessi coinvolti, favorendo la soluzione che consenta ove possibile la realizzazione dell'intervento con il minor sacrificio dell'interesse paesaggistico nella sua declinazione meramente estetica (fornendo se del caso indicazioni conformative sulle modalità allocative dell'impianto).

Cons. St., sez. VI, 4 luglio 2016, n. 2959 - Pres. Baccarini, Est. Pannone. In tema di tutela di un'area vincolata parzialmente compromessa dallo stato di degrado.

Il parziale degrado di un'area sottoposta a tutela piuttosto che autorizzare l'amministrazione a tollerare ulteriori abusi, rilasciando pareri favorevoli alla sanatoria di opere che comprometterebbero ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe indurre questa ad adottare provvedimenti volti a salvaguardare il residuo valore paesistico delle zone ancora non del tutto compromesse, salva restando ovviamente la possibilità di attivare il procedimento per la rimozione del vincolo al fine di adeguare lo strumento di pianificazione paesistica, ormai divenuto obsoleto, alle modifiche ambientali sopravvenute, qualora l'effettivo stato dei luoghi sia, a giudizio degli organi competenti, irrimediabilmente compromesso.

In altri termini, l'avvenuta, parziale compromissione di un'area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti, atti a comportare un ulteriore degrado, fermo restando l'obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi "secundum ius", ove materialmente possibile" (Cons. Stato, VI, 3 settembre 2013, n. 4390). "Lo stato di degrado di un'area sottoposta a tutela può legittimare le autorità competenti a promuovere la revisione dello strumento pianificatorio, di rango superiore ai piani urbanistici, ormai non più corrispondente all'effettivo stato dei luoghi, non giustificandosene la disapplicazione, mediante provvedimenti di sanatoria concernenti sporadici interventi abusivi commessi da singoli individui, per cui l'avvenuta parziale compromissione di un'area vincolata avrebbe dovuto impedire il rilascio di provvedimenti atti a comportarne l'ulteriore degrado, esigendo, semmai, una maggiore attenzione da parte degli enti preposti alla tutela del vincolo, al di là di una non ravvisabile disparità di trattamento, configurabile solo in casi macroscopici e di assoluta identità delle situazioni poste a confronto" (Cons. Stato, VI, 27 febbraio 2012, n. 1096).

[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.

 

 

 

 

 



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