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Sulle fonti del diritto nell'organizzazione ministeriale dei beni culturali

In tema di ordine delle fonti nell'organizzazione ministeriale [*]

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Generalità. - 2. Lo scenario. - 3. I problemi. - 4. Conclusioni.

Sources of Law and Organisation of Government Departments
The article discusses the Decree of the President of the Council of Ministers (DPCM) and the Ministerial Decree (MD) as sources of law in the organisation of ministries. In particular, the article examines the DPCM no. 171/2014 and the MD 23 January 2016 that have recently reorganised the Minister of Cultural Heritage and Tourism (Mibact).

Keywords: Governement Departments; Administrative Reforms; Mibact.

1. Generalità

Alla principale questione posta dall'art. 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (che ha affidato ad un decreto di natura non regolamentare del ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo la riorganizzazione degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del Ministero [1]), ossia quali siano gli spazi che, nel rispetto del quadro costituzionale, la legge può conferire al potere organizzativo del singolo ministro in ordine alle strutture del proprio dicastero, già nel 1966 un 'classico' della scienza giuridica italiana nel campo dell'organizzazione pubblica [2] aveva fornito una indicazione sintetica, ma densa e illuminante. Vero è che si è trattato di un saggio "ormai ingiustamente dimenticato" [3] (non certo, però, da parte degli amministrativisti!), ma è altrettanto indubbio che la sua importanza si rivela anche oggi, nell'epoca della "permanente turbolenza organizzativa" [4] della P.A. o come altri dice dell'"ordine frattalico" delle fonti [5], per la capacità di offrire chiavi di lettura idonee a sistematizzare fenomeni normativi altrimenti destinati ad essere ascritti fra le deviazioni del sistema.

Scrive il Nigro: "Caduta la ragione proposta dal Mortati, non ve ne è alcun'altra, la quale, a giudizio di chi scrive, vieti di limitare il compito della legge (anche per ciò che riguardi le direzioni generali) alla fissazione delle 'forme tipiche' che deve rivestire l'organizzazione interna dei ministeri (...) lasciando ai singoli ministri il potere di ordinare, con il rispetto di queste forme, e nei limiti del bilancio, il proprio ministero" [6].

A parte il rilievo (per la verità non insuperabile) del Mortati [7], dunque secondo il Nigro non emerge nessun motivo per escludere che la legge lasci [8] al ministro il potere di conformare le strutture interne del proprio dicastero, limitandosi essa a fissare le "forme tipiche" dell'organizzazione ministeriale. Detto in termini più estesi, e richiamando la complessiva posizione dell'A. [9], una volta che la legge, in attuazione dell'art. 95, comma 3, Cost., abbia determinato il numero e le attribuzioni dei ministeri nonché i mezzi materiali e personali di ciascuno di essi (ossia la loro "organizzazione") e, ai sensi dell'art. 97, comma 2, abbia fissato i principi fondamentali del loro ordinamento, in quanto "pubblici uffici", non sussiste motivo perché non possa esplicarsi il potere organizzativo del singolo ministro in ordine alle strutture del proprio dicastero.

Il passo richiamato non si diffonde oltre. Nelle riflessioni che seguono si indicheranno le ragioni per le quali, ad avviso di chi scrive, l'indicazione del Nigro sia tuttora condivisibile, sia pure con una integrazione che tuttavia non ne intacca la valenza di fondo.

Prima però pare opportuno 'riavvolgere il filo', ricapitolando per sommi capi la vicenda all'interno della quale si colloca la questione del potere organizzativo del singolo ministro.

2. Lo scenario

Anzitutto può ricordarsi che il tema della titolarità della funzione di organizzazione (essenzialmente riferita all'ordinamento dei ministeri) percorre la vicenda storica del Regno di Sardegna (a partire dal 1848) e dello Stato unitario in Italia, con alterna prevalenza dell'Esecutivo e del Parlamento [10].

La Costituzione intese porre un punto fermo alla questione con i disposti dell'art. 95, comma 3, e dell'art. 97, comma 2, lasciando peraltro agli interpreti il compito del loro coordinamento, operato, secondo la lettura che appare preferibile, nei termini sopra richiamati [11].

La riforma dell'amministrazione centrale dello Stato intervenuta con la legge 15 marzo 1997, n. 59, e con il d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, declinò le indicazioni costituzionali prevedendo una scansione di fonti normative con l'obiettivo di assicurare il passaggio da un'organizzazione ministeriale rigida, fondamentalmente legificata, ad una flessibile in cui accanto a tratti strutturali uniformi trovassero spazio tratti differenziati secondo le esigenze delle singole amministrazioni [12]: una fonte primaria (d.lgs. 300/1999, artt. 1 ss. e Titolo IV), quanto a definizione del numero e delle attribuzioni dei ministeri, indicazione dei modelli delle strutture di primo livello e fissazione del tipo e del numero massimo di queste per ciascun dicastero; regolamenti governativi di delegificazione (ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, legge 23 agosto 1988, n. 400, introdotto dall'art. 13 legge 59/1997), quanto a individuazione e ordinamento per ciascun ministero delle strutture di primo livello e dei relativi compiti e dotazioni organiche nonché a disciplina degli uffici di diretta collaborazione; decreti ministeriali non regolamentari (ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, lett. e), legge 400/1988 e dell'art. 4, comma 4, d.lgs. 300/1999), per l'individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale e per la definizione dei relativi compiti. Infine, atti dirigenziali assunti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro per l'assetto della micro-organizzazione delle strutture ministeriali (ai sensi dell'art. 4, comma 2, d.lgs. 1993, n. 29) [13].

Nel corso degli anni mentre non è mutato fondamentalmente [14] il 'ruolo' della fonte primaria - ma solo la disciplina dettata (ad es. in tema di numero e attribuzioni dei ministeri, strutture di primo livello e agenzie [15]) e la sua 'unità' (atti normativi quali i d.l. 18 maggio 2006, n. 181, e 16 maggio 2008, n. 85, sono intervenuti senza novellare il d.lgs. 300/1999) -, si sono verificate modifiche nell'assetto delle fonti secondarie [16], e precisamente in tre direzioni.

Anzitutto si è previsto che i decreti ministeriali di natura non regolamentare potessero derogare al regolamento governativo di organizzazione (comma 4-bis dell'art. 4 d.lgs. 300/1999 introdotto dall'art. 41, comma 10 d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, conv. dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, tema di distribuzione degli uffici di livello non generale fra le strutture di livello dirigenziale generale) [17].

In secondo luogo si è ammesso che il regolamento organizzativo potesse essere assunto con decreto del Presidente del Consiglio (d'ora in avanti DPCM) invece che con il regolamento governativo di cui all'art. 17, comma 4-bis legge 400/1988 e all'art. 4, comma 1, d.lgs. 300/1999 [18]. Si è trattato di una previsione 'a tempo', in genere dettata ai fini della più celere adozione di misure di riduzione degli assetti organizzativi nel quadro della c.d. spending review e contenuta in molteplici atti normativi primari negli anni 2008-2014 [19]. Secondo la formulazione più compiuta [20], "i regolamenti di organizzazione dei Ministeri, ivi inclusi quelli degli uffici di diretta collaborazione, possono essere adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio dei ministri. I decreti previsti dal presente comma sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 3, commi da 1 a 3, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Sugli stessi decreti il Presidente del Consiglio dei ministri ha facoltà di richiedere il parere del Consiglio di Stato. A decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il Ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente" [21].

Talora la previsione secondo la quale a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di organizzazione sono abrogate le disposizioni dettate da fonti primarie (cfr. in origine art. 4, comma 6, d.lgs. 300/1999) è da intendersi riferita, in virtù dell'accennata normativa, anche al regolamento di organizzazione adottato con d.p.c.m. [22].

Da ultimo è da menzionare quanto disposto dall'art. 1, comma 327, legge 208/2015 da cui si sono prese le mosse, che abilita, nel rispetto del termine stabilito, il ministro per i beni e le attività culturali e il turismo, a provvedere con decreto (d'ora in avanti DM), da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, lett. e), e dell'art. 4, commi 4 e 4-bis, d.lgs. 300/1999, ossia "di natura non regolamentare", alla riorganizzazione degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, ambito quest'ultimo affidato dall'art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988 e dall'art. 4 d.lgs. 300/1999 al regolamento governativo di organizzazione.

Come risulta dal suo tenore, la disposizione anticipa l'attuazione dell'art. 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, che al comma 1, lett. c), n. 7, indica, fra i principi e criteri direttivi dettati per i decreti legislativi di riordino dell'amministrazione centrale dello Stato, la "introduzione di maggiore flessibilità nella disciplina relativa all'organizzazione dei Ministeri, da realizzare con la semplificazione dei procedimenti di adozione dei regolamenti di organizzazione, anche modificando la competenza ad adottarli".

Il decreto ministeriale emanato in applicazione del comma 327 (d.m. 23 gennaio 2016) è stato sottoposto al controllo preventivo della Corte dei conti e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (n. 59 dell'11 marzo 2016).

3. I problemi

La previsione del DPCM e del DM come strumenti in grado di disciplinare l'organizzazione ministeriale solleva taluni interrogativi in ordine: all'essere tali strumenti in linea con la riserva di legge (art. 95, comma 3 e art. 97, comma 2, Cost.) in tema di organizzazione ministeriale; alla loro natura e al conseguente regime giuridico; in ragione di questi, alla esistenza di impedimenti o limiti di impiego derivanti da altre disposizioni costituzionali; nonché alla loro relazione con i regolamenti governativi di organizzazione di cui all'art. 14, comma 4-bis, legge 400/1988.

Iniziando dal primo interrogativo, può senz'altro affermarsi la compatibilità in astratto di tali strumenti con la riserva di legge. Se essi non sono abilitati ad intervenire né sul numero, denominazione e risorse materiali o personali fissati dalla legge ex art. 95, comma 3, né sui principi fondamentali organizzativi da questa determinati ex art. 97, comma 2, la riserva di legge appare rispettata. Questa, invero, non postula né che l'Esecutivo debba far uso in via prioritaria e prevalente del potere normativo nelle forme 'tipiche' (o 'ordinarie') che lo caratterizzarono (in questo caso nelle forme del regolamento governativo di organizzazione ex art. 14, comma 4-bis, legge 400/1988) né prim'ancora che debba far uso necessariamente di potere normativo per esercitare i poteri ad esso affidati in tema di organizzazione [23].

Peraltro, tanto il DPCM quanto il DM qui in esame sono da qualificarsi come fonti-atto. Seguendo il percorso che porta ad individuare le fonti del diritto anzitutto in base a criteri formali e, in mancanza, a criteri sostanziali può invero osservarsi quanto segue. Nel caso del DPCM è la stessa disposizione legislativa che ne evidenzia la natura parlando di "regolamenti dei Ministeri ... [che] possono essere adottati con decreto del Presidente del Consiglio". Si tratta di regolamenti organizzativi il cui procedimento di formazione segue, per scelta della legge, modalità diverse da quelle previste dall'art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988. Come indice sostanziale poi, tanto per il DPCM che per il DM, può indicarsi la possibilità ad essi affidata di dettare una disciplina innovativa rispetto a quella stabilita, nell'ordine, dal regolamento governativo ex art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988 e dal DPCM preesistenti.

Soprattutto va segnalata la ripetibilità indefinita [24] dei precetti che essi sono destinati a contenere. Come è stato autorevolmente osservato, l'esperienza normativa offre un'ampia gamma di figure che si allontanano dallo schema della norma "nella sua forma pura" [25], ossia connotata dalla generalità e astrattezza. E questo è proprio quanto ricorre nelle norme organizzative, in cui, a differenza di quelle di comportamento, il criterio della generalità e dell'astrattezza non è sempre applicabile, potendo esse risolversi nell'istituzione di un singolo ufficio, ma l'esistenza del quale "sarà poi assunta presupposto nella fattispecie di ulteriori norme che regolano le attribuzioni e i rapporti con altri soggetti e norme" [26]. Conseguentemente anch'esse presentano il carattere della ripetibilità e fungono da valido indice della 'giuridicità' degli atti che le contengono. In conclusione, tanto il DPCM che il DM sono da considerarsi tipi di fonti secondarie adottabili da autorità del Governo, ulteriori rispetto ai regolamenti [27], e si inquadrano nell'ampio fenomeno della dilatazione dei poteri normativi affidati ad autorità amministrative riscontrabile nella legislazione degli ultimi decenni [28].

Al riguardo è appena il caso di notare che, essendo il sistema delle fonti 'chiuso' a livello primario, ma che altrettanto non potendosi dire per le fonti secondarie [29], la configurazione del DPCM e del DM in esame appunto come fonti secondarie non incontra ostacoli di ordine costituzionale.

Dunque l'utilizzo del DPCM e del DM da parte del legislatore, in astratto, sotto nessun profilo può ritenersi 'non coerente' con la riserva di legge prevista dagli artt. 95, comma 3, e 97, comma 2, Cost. Si tratta ora di vedere se in concreto, nella conformazione normativa ricevuta dai due atti, la riserva sia stata rispettata. La risposta è senz'altro affermativa, giacché dal tenore delle disposizioni sopra richiamate che hanno previsto i due atti non emerge nessun elemento che induca a pensare al conferimento ad essi del potere di intervenire sul numero, sulla denominazione e sulle risorse personale e materiale dei ministeri, o di andare in violazione della disciplina fondamentale dettata dal d.lgs. 300/1999. Il DPCM, quindi, è solo una 'nuova forma' per emanare il regolamento di organizzazione, fermo restando i limiti sostanziali dello strumento fissati dall'art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988. A sua volta il DM richiama esplicitamente i vincoli delle risorse personali e finanziarie date. Dunque anche in concreto la riserva di legge è stata osservata.

Passando alla ulteriore disciplina giuridica, può osservarsi che nel caso del DPCM essa risulta quasi completamente delineata dalla norma primaria. L'adozione avviene su proposta del ministro competente, di concerto con quelli per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio dei ministri, con sottoposizione al controllo preventivo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 3 legge 14 gennaio 1994, n. 20. Rispetto al procedimento di formazione dei regolamenti del Governo si riscontrano alcune diversità: concerto/intesa anche con il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, non previsione della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e, in particolare, facoltatività dell'acquisizione del parere del Consiglio di Stato, elemento questo per così dire caratterizzante tale atto (a parte ovviamente il non coinvolgimento nella procedura del Presidente della Repubblica) e che già connotava, ai sensi dell'art. 12 d.l. 8 luglio 2002, n. 138, conv. dalla legge 8 agosto 2002, n. 187, i decreti del Presidente del Consiglio in materia di organizzazione della Presidenza del Consiglio di ministri.

Poiché il DPCM costituisce solo una variante formale rispetto al decreto del Presidente della Repubblica per l'adozione di "regolamenti di organizzazione dei Ministeri", i contenuti previsti per tali regolamenti dalle lett. a)-e) del comma 4-bis dell'art. 17 legge 400/1988 sono da ritenersi riferibili anche al DPCM. Lo stesso è da dirsi per la sua forza giuridica, come conferma del resto la esplicita previsione della norma primaria, secondo cui "a decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il Ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente"  [30]. L'identità di forza giuridica trova un ulteriore riscontro nel caso del d.p.c.m. 171/2014 (di riorganizzazione del Mibact), la cui entrata in vigore, in forza dell'art. 14, comma 3, d.l. 83/2014 (e come esplicita l'art. 41 dello stesso d.p.c.m.) ha determinato la cessazione di vigenza degli artt. 7 e 8 d.lgs. n. 368/1968 [31], ossia anche di disposizioni di rango primario.

Stante la natura di atto normativo, è da ritenere che trovino applicazione gli artt. 7 e 15, comma 1, lett. d), d.p.r. 28 dicembre 1985, n. 1092 (pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione).

In sintesi può dirsi che il DPCM, rispetto al d.p.r. previsto dall'art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988, è fonte-atto distinto sotto il profilo formale, ma equiordinato sotto quello della forza giuridica e identico quanto ad aspetti sostanziali (ruolo e contenuti).

Meno profilata dalla norma primaria è la disciplina giuridica del DM in esame. Quello che è chiaro è che ad anticipazione del riordino del procedimento di adozione dei regolamenti di organizzazione dei ministeri (ex art. 8 legge 124/2015), ma con ambito settoriale (per le sole strutture del Mibact) e ad assunzione limitata nel tempo (entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge della legge) il decreto ministeriale previsto dall'art. 17, comma 4-bis, lett. e), legge 400/1988, con "natura non regolamentare" è stato abilitato, nel rispetto delle vigenti dotazioni organiche e senza maggiori oneri per la finanza pubblica, alla "riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale" del Ministero, possibilità quest'ultima, come sopra accennato, preclusa in via ordinaria, in quanto rimessa al regolamento di organizzazione.

Secondo un'autorevole indicazione, il riferimento alla "natura non regolamentare" contenuto nella citata lett. e), avrebbe il solo significato di sottrarre tale tipo di atto alle regole fissate dai commi 3 e 4 dell'art. 17 legge 400/1988, "comportanti il parere del Consiglio di Stato, la registrazione della Corte dei Conti e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale" [32]. La tesi non persuade completamente. La natura di atto normativo affermata a proposito del DM in esame - ma propria dell'atto anche nella configurazione dell'art. 17 legge 400/1988- comporta sia la sottoposizione al controllo della Corte dei conti sia la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (rispettivamente ex art. 3 legge 20/1994 e art. 15, comma 1, d.p.r. 1092/1985) [33]. La sottrazione alla disciplina procedurale prevista dai commi 3 e 4 dell'art. 17 concerne la sola obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato. Conforta tale opinione il fatto che il d.m. emanato in attuazione del citato comma 327 (d.m. 23 gennaio 2016) è stato sottoposto a registrazione e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (n. 59 dell'11 marzo 2016).

In breve, come nel caso del DPCM, il dato caratterizzante il DM in esame è quello della non necessaria acquisizione del parere del Consiglio di Stato.

Se la ricostruzione della disciplina procedurale non presenta eccessive difficoltà, assai più incerto è il ruolo e di conseguenza il rapporto con il preesistente regolamento di organizzazione, assunto con il d.p.c.m. 171/2014. Nell'economia dell'art. 17 legge 400/1988 e dell'art. 4 d.lgs. 300/1999 il rapporto fra il decreto ministeriale e il regolamento di organizzazione è impostato in termini di "competenza" (al regolamento spetta la individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale e la definizione dei relativi compiti, al decreto ministeriale la individuazione e la definizione di compiti degli uffici di livello dirigenziale non generale nonché la distribuzione di detti uffici fra le strutture di livello dirigenziale generale). Ma ciò avviene solo in via tendenziale, potendo il regolamento rimettere al decreto una parte delle scelte che ad esso competono e potendo il decreto rideterminare la distribuzione degli uffici di livello dirigenziale non generale eventualmente operata dal regolamento in sede di definizione delle strutture di primo livello.

Il criterio della competenza è però chiaramente superato nella disciplina detta dal citato comma 327, dal momento che al decreto ministeriale è demandata la "riorganizzazione degli uffici dirigenziali, anche di livello generale". Il che però pone un problema di fondo sul ruolo rivestito dal decreto ministeriale nella configurazione ricevuta dal citato comma 327, esprimibile nella seguente alternativa: il DM, sia pure con riguardo al solo Mibact è stato (stante la sua temporalmente limitata possibilità di adozione) una 'nuova forma' del regolamento di organizzazione di questo Ministero (e in questa chiave la previsione del comma 327 avrebbe anticipato la eventuale scelta da parte dei decreti legislativi previsti dalla legge c.d. Madia di superare il binomio regolamento-decreto ministeriale presente nell'art. 17 legge 400/1988 e nell'art. 4 d.lgs. 300/1999); o, all'opposto, pur essendo abilitato ad intervenire sulla disciplina dettata dal preesistente regolamento di organizzazione, il DM non ne ha assorbito il ruolo, dovendo esso rispettarne le linee di fondo, i principi organizzativi ispiratori.

Per motivi di sistematicità dell'esposizione, la questione verrà ripresa più avanti. Al momento è opportuno interrogarsi se dalla disciplina del DPCM e del DM, appena precisata, emergano profili di eventuale incostituzionalità, diversi da quello in precedenza considerato a proposito della riserva di legge.

Può anzitutto rilevarsi che i dubbi sollevati a proposito dei regolamenti di delegificazione (e che hanno investito anche il regolamento di organizzazione di cui all'art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988, come è noto anch'esso di delegificazione ex comma 6 della stesso articolo) [34] non si pongono, di massima, per il DPCM (come del resto il DM), giacché questo è stato chiamato ad operare in un'area già delegificata (appunto da regolamenti emanati con d.p.r.). Pertanto sarebbe del tutto improprio prospettare il problema se la sua previsione abbia o meno rispettato i principi della delegificazione fissati dal comma 2 dell'art. 17 legge 400/1988. Peraltro il problema può porsi con riferimento ad ambiti limitati, oggetto ancora di disciplina primaria, sui quali tale atto è intervenuto. È il caso appunto della materia oggetto degli artt. 7 e 8 d.lgs. 368/1998, cessati di vigenza per effetto del d.p.c.m. 171/2014. In questa ipotesi però - ma lo stesso si sarebbe potuto osservare a proposito di tutti i regolamenti di organizzazione emanati ex art. 17, comma 4-bis, legge 400/1988- il rilievo secondo cui farebbero difetto la "disciplina generale della materia" e l'"individuazione delle disposizioni soggette ad abrogazione" (come invece richiesto dal comma 3 dello stesso art. 17) [35], non pare cogliere nel segno: le disposizioni soggette ad abrogazione sono puntualmente individuate [36] e la disciplina generale della materia non manca perché è quella contenuta nel d.lgs. 300/1999, alla cui osservanza l'art. 4, comma 1, di tale decreto esplicitamente richiama il regolamento di organizzazione.

Viceversa, un tema che può porsi in termini generali è quello della sottrazione tanto del DPCM quanto del DM all'obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato. Tuttavia, mentre per l'eventuale non previsione del controllo della Corte dei conti si sarebbe potuto dubitare dell'osservanza dell'art. 100, comma 2, Cost. [37], parrebbe di assai incerta consistenza un analogo dubbio con riferimento alla omessa obbligatorietà dell'apporto consultivo dell'altro organo. La norma desumibile dell'art. 100, comma 1, Cost. sembra lasciare invero al legislatore ampi margini per la individuazione dei casi di necessaria acquisizione del parere del Consiglio di Stato [38].

Altro tema prospettabile con riguardo al DM in esame è se dalla disciplina concernente il procedimento di formazione sia stata salvaguardata in modo idoneo l'unità dell'indirizzo politico e amministrativo il cui mantenimento è affidato dall'art. 95, comma, Cost. al Presidente del Consiglio [39]. Non a caso l'art. 17, comma 3, legge 400/1988 prevede che i regolamenti ministeriali "debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione", previsione questa la cui ratio è stata individuata nell'esigenza di mettere il Presidente del Consiglio nella condizione di esercitare i poteri (cfr. in particolare l'art. 5, comma 2, lett. c), legge 400/1988) finalizzati al mantenimento dell'unità dell'indirizzo politico e amministrativo del Governo [40]. Viceversa nella disciplina dettata dal comma 327 non si fa cenno alla necessità della previa comunicazione al Presidente del Consiglio dello schema del DM.

In questa sede non occorre soffermarsi sullo stretto legame esistente fra l'indirizzo politico e l'indirizzo amministrativo [41] e fra questo e la funzione di organizzazione [42], legame che giustifica l'intervento del Consiglio dei ministri nel procedimento di formazione del regolamento di organizzazione dei singoli ministeri.

Per i decreti ministeriali di cui all'art. 17, comma 4-bis, lett. e), legge 400/1988 e all'art. 4, commi 1, 4 e 4-bis, d.lgs. 300/1999, il tema peraltro non si pone considerato che la materia ad essi demandata (disciplina delle strutture di livello dirigenziale non generale) non è tale da coinvolgere l'indirizzo politico e amministrativo del Governo. Ha però ragione di porsi nella disciplina prevista dal comma 327 più volte citato, dal momento che al DM è stata assegnata una portata più ampia (la possibilità di intervenire anche sulle strutture di livello generale).

È in ragione di questa considerazione che, sciogliendo l'alternativa sopra prospettata sul ruolo assegnato al DM, è da pensare che lo stesso DM fosse tenuto ad osservare le linee di fondo del regolamento di organizzazione vigente (nella specie il d.p.c.m. 171/2014). In tal modo sarebbe stato garantita la coerenza fra del DM con l'indirizzo politico e amministrativo del Governo come espresso con la delibera di approvazione dello schema del citato d.p.c.m.

Nell'attuazione che il d.m. 23 gennaio 2016 ha dato alla previsione del comma 327 si può ritenere peraltro che le linee di fondo del d.p.c.m. 171/2014 siano state rispettate nonostante le significative innovazioni introdotte in uffici anche di primo livello (in particolare con l'istituzione della direzione generale e delle soprintendenze 'uniche'). Il d.m. in questione si è infatti mosso nella direzione dell'accorpamento degli uffici deputati alla tutela e al contempo del potenziamento di quelli preposti alla valorizzazione, direzione che era stata già imboccata in misura importante dal d.p.c.m. 171/2014 [43].

4. Conclusioni

Fin qui la riflessione condotta sul piano della legittimità, al termine della quale si può concludere che l'indicazione da cui si è partiti ha trovato fondamentalmente conferma: l'organizzazione ministeriale, anche per gli assetti più elevati, affidata ad atti non regolamentari e in particolare a decreti del ministro non contrasta in linea di principio con la riserva di legge fissata al riguardo dalla Costituzione, purché rispetti la 'logica' del meccanismo della riserva e salvaguardi le competenze che la Costituzione affidata ad altri organi, di garanzia e di indirizzo politico e amministrativo.

Sul piano delle scelte di politica legislativa la valutazione, viceversa, può essere differente. Ha senz'altro fondamento rilevare che gli interventi legislativi negli anni recenti in tema di organizzazione degli apparati dello stato scontano il fatto di essere stati dettati dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica, anche se occorre non dimenticare che ormai il soddisfacimento di tali esigenze è entrato a far parte dei criteri fondamentali di riferimento delle pubbliche amministrazioni (nuovo comma 1 dell'art. 97 Cost.) [44].

Così come potrebbe notarsi la 'singolarità' di una disposizione (il comma 327 dell'art. 1 legge 208/2015) che riguardo ad un solo ministero ha indicato una possibile soluzione per semplificare "i procedimenti di adozione dei regolamenti di organizzazione, anche modificando la competenza ad adottarli" [45], ma sarebbe pure da ricordare che è nelle vicende dell'organizzazione del Mibact l'aver anticipato soluzioni di riordino rispetto agli altri ministeri [46].

Piuttosto è senz'altro da condividersi la critica di 'autoreferenzialità' cui si espone la eliminazione dell'obbligatorietà del parere spettante al Consiglio di Stato [47]. In tal modo implicitamente si carica il controllo della Corte dei conti di una valenza più estesa, non propria, ma soprattutto si privano le scelte organizzative dell'Esecutivo di un apporto consulenziale che, come dimostra la vicenda dei decreti legislativi predisposti in attuazione della legge 124/2015, è risultato di assoluto rilievo.

Nella prospettiva della "introduzione di maggiore flessibilità nella disciplina di organizzazione dei Ministeri" indicata da tale legge è possibile ipotizzare anche il superamento del binomio 'regolamento di organizzazione-decreti ministeriali', che attualmente caratterizza le fonti dell'assetto dei ministeri, con l'assegnazione del potere organizzativo al solo ministro. Ma questo dovrebbe avvenire a condizione che sia preservata l'unità dell'indirizzo politico e amministrativo del Governo [48] e senza rinunciare all'apporto, obiettivamente importante, del Consiglio di Stato. È possibile, anche se non scontato [49], che ciò andrebbe a scapito di una maggiore speditezza nell'adattamento degli apparati alle dinamiche dell'indirizzo politico e amministrativo, ma è da pensare che in termini qualitativi le scelte non ne soffrirebbero, anzi se ne avvantaggerebbero.

Sempre in una prospettiva di riforma un'altra considerazione. Quando si discorre, come si è fatto in questo scritto, di organizzazione ministeriale, l'attenzione si focalizza sullo Stato e i suoi apparati. Come si sa, però, l'ordinamento repubblicano non si esaurisce nello Stato. Non di rado, poi - e questo è proprio il caso del Mibact - l'organizzazione ministeriale si articola in un'amministrazione periferica per storia, dimensione e ruolo, di importante rilievo e che, per la natura delle funzioni che esplica, interagisce con sistemi territoriali ordinati secondo il principio dell'autonomia. In questo caso, sia che il singolo dicastero si proponga nel settore di competenza come autorità essenzialmente di coordinamento, sia che intenda svolgere un forte ruolo gestionale, pare indubbio che ogni riconfigurazione, specie se incisiva, delle strutture ministeriali, centrali ma soprattutto periferiche, è destinata ad avere ripercussioni sui sistemi territoriali e sulle politiche svolte dalle autonomie locali.

Il dato pone allora l'esigenza che nella determinazione dei nuovi assetti entri a far parte anche la considerazione degli 'effetti esterni' all'organizzazione statale che essi determineranno. A richiederlo è il precetto, di cui si è di recente richiamata la pressoché non applicazione [50], dell'art. 5 Cost., come pure un evidente canone di razionalità organizzativa desumibile dall'art. 97, comma 2, Cost.

Sul piano procedurale, l'esigenza si traduce nell'ipotizzare un 'passaggio di attenzione' degli schemi dei nuovi assetti nelle sedi deputate al confronto fra lo Stato e le autonomie territoriali, passaggio questo, quando non fissato direttamente dalla legge, da attivarsi su impulso del Presidente del Consiglio.

Anche in questo caso, sul certo, anche se non soverchio, appesantimento procedurale è da pensare che farebbe premio una valutazione più attenta dei nuovi assetti, con possibili positive ricadute sulla loro efficacia.

 

Note

[*] Sono grato a Marco Cammelli e a Lorenzo Casini per le osservazioni allo scritto.

[1] Il testo completo del comma 327 è il seguente: "Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 4, commi 4 e 4-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, si provvede, nel rispetto delle dotazioni organiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui alle tabelle A e B del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del medesimo Ministero".

[2] M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano 1966.

[3] Cosi F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, Cedam, Padova 2004, pag. 251, nt. 39.

[4] L. Torchia, Il riordino delle amministrazioni centrali: dalla riforma alla turbolenza organizzativa, in Il sistema amministrativo a dieci anni dalla "riforma Bassanini", (a cura di) G. D'Alessio e F. Di Lascio, Giappichelli, Torino 2009, pag. 132 ss.

[5] M. Pedrazza Gorlero, L'ordine delle fonti fra crisi del 'sistema' e rischio casistico, ora nel volume dello stesso A., Congetture costituzionali, Esi, Napoli 2015, pag. 583.

[6] Studi, cit., pag. 219, nt. 112.

[7] Il Mortati colloca fra i fenomeni rilevanti per la posizione del singolo ministero nel quadro dell'organizzazione amministrativa complessiva anche la ripartizione interna delle competenze, con la conseguenza di ritenerla compresa nell'area della "organizzazione dei ministeri" di cui all'art. 95, comma 3, e pertanto riservata alla legge. Al che però il Nigro persuasivamente obietta che la "la struttura interna del ministero (compresa la ripartizione in direzioni generali) non ha niente a che fare con la posizione di esso [ministero] nel quadro dell'organizzazione complessiva e pertanto è soggetta ai criteri generali di ripartizione generale delle competenze organizzatorie fra parlamento ed apparato esecutivo desumibili dall'art. 97".

[8] Non è il caso di approfondire in questa sede se la legge 'debba' o 'possa' lasciare l'anzidetto potere di conformazione in capo al singolo ministro, questione questa la cui soluzione discende dalla configurabilità (cfr., ad es., V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Cedam, Padova 1984, pag. 73 ss. e lo stesso Nigro, Studi, cit., pag. 173 ss. e 182 ss.) o meno di una 'riserva di amministrazione' nell'art. 97 Cost.

[9] Cfr. Studi, cit., pag. 210 ss.

[10] Cfr. ancora M. Nigro, Studi, cit., pag. 40 ss.

[11] Per indicazioni cfr. L. Carlassare, voce Ministeri, in Enc. dir., vol. XXVI, Giuffrè, Milano 1976, pag. 480 s., P. Caretti, Art. 97, 1° comma, parte I, in La pubblica amministrazione. Artt 97-98, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca, Zanichelli-Società ed. del Foro italiano, Bologna-Roma, 1994, pag. 13, nt. 8, e il mio L'organizzazione amministrativa. I principi, Giappichelli, Torino 2013, pag. 47 s.

[12] Cfr., ad es., L. Torchia, Il nuovo ordinamento dei ministeri: le disposizioni generali (articoli 1-7), in La riforma del Governo, (a cura di) A. Pajno, L. Torchia, Il Mulino, Bologna 2000, pag. 129 ss.

[13] Cfr., ad es., il mio Alla ricerca del centro, Il Mulino, Bologna 2000, pag. 45 s. Scansione in gran parte analoga conobbero le agenzie (cfr. art. 8, comma 4, alinea e lett. f) e l), d.lgs. 300/1999).

[14] In qualche caso la fonte primaria è entrata nel dettaglio dell'organizzazione del singolo ministero (ad es. cfr. art. 1 del d.l. 8 agosto 2013, n. 91, conv. dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, a proposito del Mibac.

[15] Su questi aspetti sia consentito rinviare ai miei Amministrazione statale centrale e periferica, in Enc. giur., vol. II (aggiornamento XVIII, 2010), pag. 2 ss. e 9 s., e L'organizzazione, cit., pag. 141 ss. e 153 s.

[16] Per accurate indicazioni anche sugli orientamenti manifestati dal Consiglio di Stato in sede consultiva cfr. C. Martini, La riforma dei ministeri nell'ambito della "spending review", in questa Rivista, 2014, 2, par. 2.

[17] Va peraltro notato che già nel testo dell'art. 4 d.lgs. 300/1999 era prevista una certa 'sovrapposizione' fra regolamento di organizzazione e decreti ministeriali. Secondo l'interpretazione che appare preferibile dell'equivoco disposto dell'art. 4, c. 1, d.lgs. n. 300, il regolamento può rimettere ai decreti ministeriali, nel rispetto delle previsioni contenute nello stesso regolamento, una parte delle scelte ad esso affidate (e dunque quelle in tema di uffici di livello dirigenziale generale), cfr., per tutti, N. Lupo, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003, pag. 244 ss.).

[18] Cfr. C. Martini, La riforma, cit., par. 3.2.

[19] Cfr. art. 1, comma 20, d.l. 16 maggio 2008, n. 85, conv. dalla legge 14 luglio 2008, n. 121, con termine di adozione di sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione; art. 41, comma 10, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, conv. dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, con termine di adozione 31 maggio 2009; art. 2, comma 10-ter d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, con termine di adozione 31 dicembre 2012, prorogato dall'art. 1, comma 406, legge 24 dicembre 2012, n. 228, e successivamente dall'art. 2, comma 7 d.l. 31 agosto 2013, n. 101, conv. dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, al 28 febbraio 2014; art. 16, comma 4, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, con termine di adozione (rectius di trasmissione del relativo schema ai ministri concertanti) 15 luglio 2014, prorogato dall'art. 2, comma 4-bis, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, al 15 ottobre 2014.

[20] Art. 16, comma 4, d.l. 66/2014.

[21] Risultano adottati: per il Ministero dell'economia e delle finanze, il d.p.c.m. 27 febbraio 2013, n. 67; per il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il d.p.c.m. 27 febbraio 2013, n. 105; per il Ministero dello sviluppo economico, il d.p.c.m. 5 dicembre 2013, n. 158; per il Ministero della salute, il d.p.c.m. 11 febbraio 2014, n. 59; per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il d.p.c.m. 11 febbraio 2014, n. 72; per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il d.p.c.m. 11 febbraio 2014, n. 98; per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il d.p.c.m. 14 febbraio 2014, n. 121; per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il d.p.c.m. 10 luglio 2014, n. 142, per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171 e, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il d.p.c.m. 20 gennaio 2015, n. 77.

[22] È questo quanto ricorre nell'art. 14, comma 3, d.l. 31 maggio 2014, n. 83, conv. dalla legge 24 luglio 2014, n. 106, secondo cui "dalla data di entrata in vigore del regolamento del Ministro dei beni e delle attività culturali sono abrogati gli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 [come è noto, di istituzione del Ministero]". In forza della previsione dell'art. 16, comma 4 d.l. 66/2014 il regolamento di organizzazione è stato adottato con il d.p.c.m. 171/2014, il cui art. 41, comma 1, recita "a decorrere dall'entrata di efficacia del presente decreto cessano di avere vigore (...) gli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368".

[23] Come è stato efficacemente affermato, le riserve (relative) richiedono soltanto che la legge detti una disciplina "di principio, in modo da circoscrivere la discrezionalità delle autorità amministrative nell'esercizio dei poteri (normativi e di concreta amministrazione) ad esse attribuite dalla legge stessa", così V. Crisafulli, Lezioni, cit., pag. 56, mentre F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 34, ricorda che nella giurisprudenza della Corte costituzionale l'istituto della riserva di legge è inteso come "diretto a circoscrivere la discrezionalità dell'amministrazione ed in genere degli organi e dei soggetti chiamati a dare applicazione alla legge".

[24] Per la precisazione cfr. U. Rescigno, L'atto normativo, Zanichelli, Bologna 2003, pag. 15.

[25] Cfr. V. Crisafulli, Lezioni, cit., pag. 26.

[26] V. Crisafulli, op. loc. ult. cit. L'A. precisa inoltre (pagg. 23-24): "anche la disposizione che regola una serie indefinita di situazioni in cui può venire a trovarsi un soggetto individualmente determinato è generale-astratta, nel senso della ripetibilità, poiché quello che conta e, in definitiva, che il precetto abbia ad oggetto una "classe" di azioni (e più largamente, di situazioni), pur se il loro "protagonista" sia una singola persona (fisica o giuridica). Da richiamare anche l'affermazione recisa di F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 257 ("la definizione dei compiti degli uffici amministrativi non può non essere esercizio di funzione normativa").

[27] A proposito dei decreti ministeriali di cui al comma 4-bis dell'art. 17, legge 400/1988, U. Rescigno, L'atto, cit., pag. 33, parla di "atti normativi (...) che però non vanno trattati come regolamenti".

[28] Cfr., ad es., P. Caretti, U. De Siervo, Diritto costituzionale e pubblico, Giappichelli, Torino 2014, pag. 577. Fenomeno questo, proprio perché generato dal legislatore, concettualmente diverso dalla c.d. "fuga dal regolamento" da parte dell'Esecutivo (sulla quale ad es., R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino 2011, pag. 387 s.

[29] Cfr. P. Caretti, U. De Siervo, Diritto, cit., pag. 575, R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto, cit., pag. 387, F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 40 e 234, e ancor prima V. Crisafulli, Lezioni, cit., pag. 126.

[30] Art. 16, comma 4, ultimo periodo, d.l. 66/2014.

[31] Vero è che in questo caso si parla di "cessazione di vigenza" e non di "abrogazione" come nel caso del regolamento adottato con Decreto del Presidente della Repubblica (art. 4, comma 6, d.lgs. 300/1999), ma la differenza semantica (dovuta probabilmente all'incertezza della natura e della forza giuridica del DPCM), non può far velo sulla identità sostanziale del fenomeno.

[32] F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 257.

[33] Come pure l'applicazione della vacatio legis ex art. 7 dello stesso d.p.r.

[34] Cfr., ad es., F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 245 ss.

[35] F. Sorrentino, Le fonti, cit., pag. 248.

[36] Negli altri casi le disposizioni erano quelle che disciplinavano al momento di entrata in vigore del regolamento (emanato con decreto del Presidente della Repubblica) l'organizzazione del ministero interessato.

[37] Come è noto, analoga questione, sollevata dalla Corte dei conti riguardo al comma 7, primo periodo, dell'art. 9 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303 (in tema di decreti del Presidente del Consiglio di organizzazione della Presidenza del Consiglio) non fu affrontata dalla Corte costituzionale, che pronuncio l'illegittimità costituzionale della disposizione per difetto di delega.

[38] Né in proposito sembra emergere un'indicazione difforme da parte della dottrina, cfr., ad es., G. Carbone, Art. 100, in L. Ventura, G. Carbone, Artt. 99-100, Gli organi ausiliari, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca, Zanichelli-Soc. ed. del Foro italiano, Bologna-Roma 1994, pag. 79 ss.

[39] Sul punto cfr., ad es., R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto, cit., pag. 180.

[40] Cfr., ad es., P. Caretti, U. De Siervo, Diritto, cit., pag. 282, e R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto, cit., pag. 383.

[41] Cfr. M. Nigro, L'azione dei pubblici poteri. Lineamenti generali, in Manuale di diritto pubblico, (a cura di) G. Amato, A. Barbera, Il Mulino, Bologna 1984, pag. 812.

[42] Cfr. M. Nigro, Studi, cit., pag. 47 ss. e 152 ss.

[43] Al riguardo sia consentito rinviare al mio Direzione generale "unica" e soprintendenze "uniche", in questa Rivista, 2016, 1.

[44] Cfr. C. Martini, La riforma, cit., par. 5.

[45] Art. 8, comma 1, comma 1, lett. c), n. 7, legge 124/2015.

[46] Si allude al d.lgs. 368/1998 relativo al Mibac, emanato sulla base della delega conferita dall'art. 11 della legge 59/1997, successivamente esercitata con portata complessiva dal d.lgs. 300/1999.

[47] Cfr. ancora C. Martini, La riforma, cit., par. 5.

[48] I meccanismi possono essere diversi, ad esempio la previa comunicazione dello schema al Presidente del Consiglio, il concerto con il ministro della pubblica amministrazione e della semplificazione.

[49] Cfr. la riflessione di C. Martini, La riforma, cit., par. 5.

[50] Cfr. M. Cammelli, Amministrazione e mondo nuovo: medici, cure, riforme, nel volume Il mondo nuovo del diritto. Per gli 80 anni di Sabino Cassese, in corso di pubblicazione presso Il Mulino, Bologna 2016.

 

 



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