testata
 
numerocorrentehomeindicericerca../risorse%20web

Beni comuni e patti di collaborazione

I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L'esperienza del Comune di Bologna [*]

di Paolo Michiara

Sommario: 1. Premessa. La sussidiarietà alla prova. I cittadini attivi alle prese con "il neocentralismo della legislazione della crisi". - 2. I promotori. Dalle formazioni sociali all'emersione della società civile e quindi dei cittadini attivi. - 3. I contenuti, le materie, la struttura e l'organizzazione. Dalla diversificazione e proliferazione degli interventi all'uniformità del modus procedendi. - 4. Le funzioni, le procedure, i fini. - 5. Le fonti. - 5.1. Il regolamento. - 5.2. Le norme primarie. - 5.2.1. La regione. - 5.2.2. La res publica. - 6. La natura giuridica. Gli accordi a collaborazione necessaria, i contratti e i patti a geometria variabile. - 7. Considerazioni conclusive. La vicinitas solidale e la "funzionalizzazione inversa". Dal pancontrattualismo al neocontrattualismo selettivo.

Collaboration Agreements and Regulation for the Care and Regeneration of Urban Commons. The Experience of City of Bologna
This article analyzes the recent regulation of the City of Bologna for the care of the urban commons and the collaboration agreements which have been concluded after this regulation. First the article describes their legal content and the relation with the secondary and primary sources of law. After the analysis of issues regarding the legal nature of agreements, the Author reflects about the principle of subsidiarity.

Keywords: Commons; Collaboration Agreements; Subsidiarity.

1. Premessa. La sussidiarietà alla prova. I cittadini attivi alle prese con "il neocentralismo della legislazione della crisi" [1]

I profondi mutamenti istituzionali che sta vivendo il nostro Paese si inseriscono in una dialettica che vede contrapposte, a fasi alterne e con un'influenza negativa sulla tenuta del sistema, spinte centrifughe e forze centripete.

La sussidiarietà, orizzontale o verticale che dir si voglia, in tempi di crisi, non sembra del resto facilmente utilizzabile come criterio ordinatore [2]. Alla razionalità si sostituisce, in molti campi, l'urgenza del provvedere e, in questa prospettiva, le costanti e ineludibili frizioni tra globale e locale, tra territori [3] e i conflitti tra gruppi e individui, possono costituire elementi di disturbo circa l'intendimento di organizzare le comunità in modo conforme a quanto richiederebbe l'art. 118 della Costituzione.

Ciononostante - o meglio, proprio per sopperire, per quanto possibile, alle problematiche evidenziate - è bene riprendere la riflessione sulle iniziative delle comunità locali.

È in questa prospettiva, necessariamente empirica e dopo aver lasciato alle spalle la cupa cornice lumeggiata, che si esamineranno i patti di collaborazione del Comune di Bologna [4] ed il relativo regolamento (definito "sperimentale"). Non è del resto possibile, su di una materia così incerta e magmatica, effettuare generalizzazioni; sarebbe come parlare dei commons senza aver esaminato le valli venete da pesca [5], le regole ampezzane [6], le comunalia [7].

Non essendo però compito del giurista provare (testare) gli strumenti, con il presente scritto si cercherà più semplicemente di analizzare, sotto un profilo per quanto possibile formale, i patti in questione. Si proverà a osservare se e come le convenzioni corrispondano, astrattamente, ai modelli giuridici esistenti e, contemporaneamente, agli interessi dichiarati.

Si inizierà quindi, volendo seguire un'ottica "realista", dalla rappresentazione dei patti. Solo dopo si esamineranno le fonti e le basi normative (è la realtà, molto spesso, a promuovere il diritto), a partire da quelle secondarie più vicine al cittadino (il regolamento), per poi passare - seguendo un percorso a sua volta sussidiario - a quelle primarie o comunque sovraordinate. Dopo una breve disamina delle problematiche inerenti alla qualificazione giuridica delle convenzioni, si effettueranno alcune rapide considerazioni.

2. I promotori. Dalle formazioni sociali all'emersione della società civile e quindi dei cittadini attivi

Non essendo possibile, ovviamente, riportare e commentare uno per uno i patti, si è pensato di ordinare la trattazione tenendo conto dei profili rispettivamente soggettivi, strutturali e organizzativi (oggettivi), funzionali, procedurali e teleologici.

Partendo dal primo profilo, si rileva come siano circa 220 i soggetti, denominati proponenti che, negli ultimi anni e stando ai dati forniti dall'amministrazione, hanno trattato, a vario titolo e con diverso esito, con gli uffici comunali. Circa 180 sono i patti stipulati [8].

I proponenti (e quindi i firmatari) sono rispettivamente: cittadini singoli, stranieri organizzati, (mere) associazioni, associazioni di volontariato, onlus di vario genere, associazioni di promozione sociale (laiche o di ispirazione religiosa), cooperative sociali, gruppi informali di cittadini, imprenditori singoli, gruppi informali di imprenditori, scuole, enti pubblici, fondazioni.

Sono evidenti, anche solo a partire da questa prima descrizione, la complessità e i costi di transazione del doversi relazionare con soggetti così diversi, spesso, oltretutto, privi di un unico referente, di un centro di imputazione unitario.

Pur trattandosi sempre di soggetti titolari di diritti (e conseguenti doveri) ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, è indubbio come, in molte casi, potrebbero rilevarsi non facili problematiche inerenti alla legittimazione (specie a fronte di più richiedenti), alla capacità (da intendersi in senso lato) giuridica e di agire.

È, viceversa, da subito individuabile una novità. Si potrebbe infatti affermare come, proprio partendo dall'art. 2 della Costituzione, al centro vi sia il singolo, non le formazioni sociali (che "vengono dopo"). Non solo, ma le formazioni sociali naturali non nascono giuridicizzate, strutturate: ecco l'apertura anche ai gruppi informali.

Estremizzando e "provocando", si potrebbe insomma affermare come l'esperienza dei patti in questione radicalizzi il concetto di sussidiarietà, si ponga nel solco dell'individualismo tipico della società contemporanea (fluida e frammentata) e quindi in controtendenza rispetto alla normazione sul terzo settore che, a partire dagli anni novanta, ha preferito i soggetti strutturati e organizzati secondo cornici predefinite.

Il presupposto logico non dichiarato e le basi teorico normative (evincibili implicitamente, salvo errori, dal contesto documentale reperibile dal sito del Comune) potrebbero essere pertanto le seguenti:

1. Le spinte collettiviste e internazionaliste degli anni 60 e 70 hanno prodotto, come esito, il riconoscimento e la normativizzazione (più o meno forzata, a volte contestata in quanto ritenuta istituzionalizzante e limitante) del terzo settore (anni 90);

2. In base al principio "il tutto è superiore alla parte" [9], si è dato rilievo (favor normativo) alle organizzazioni grandi e strutturate;

3. L'istituzionalizzazione e la conseguente pubblicizzazione del t.s. (la maggior parte dei servizi alla persona, nel sociale, è svolta dalle grandi onlus per conto delle amministrazioni) ha determinato l'affievolimento della spinta propulsiva iniziale;

4. La secolarizzazione e la fine delle ideologie hanno determinato altresì l'indebolimento delle formazioni sociali tradizionalmente intese (cfr. agli artt. 2, 6, 8, 18, 19, 20 29, 33, 34, 39, 45, 49 della Costituzione), decretando la prevalenza del "fatto" sulla formazione "di diritto" (si pensi alla crisi dei sindacati, dei partiti, al dibattito sulle famiglie di fatto);

5. Per promuovere una solidarietà collettiva è pertanto necessario ripartire dall'art. 2, dai diritti degli individui. Ciò al fine di rifondare i corrispondenti doveri;

6. Tutto ciò deve avvenire dal luogo più vicino e quindi dal quartiere (se non dal condominio), dalla città.

3. I contenuti, le materie, la struttura e l'organizzazione. Dalla diversificazione e proliferazione degli interventi all'uniformità del modus procedendi

È possibile ora, dopo aver previamente individuato i proponenti reali, non solo potenziali, e ipotizzato tutto quel che si può ricavare dai profili soggettivi, accennare agli aspetti contenutistici, strutturali e organizzativi (aspetti oggettivi).

I patti, senza seguire un ordine preciso ma cercando di eliminare le ridondanze, si occupano dei seguenti contenuti: tutela e conservazione del verde pubblico vicinale; cura di arredi urbani minuti; riqualificazione di parchi; recupero di giovani disagiati; comunicazione attiva territoriale; tutela e cura di beni comuni in genere; rigenerazione di quartieri degradati; sostegno all'infanzia; attività sportive ed educative; arte e cultura locale; educazione alimentare in un'ottica di sostenibilità ambientale ed equità sociale; difesa non violenta (sicurezza del territorio); integrazione sociale (stranieri, giovani, anziani); creazione di percorsi didattici; educazione al riutilizzo dei beni; distribuzione di beni alla popolazione carceraria; cura e riqualificazione del territorio e degli edifici pubblici in zone degradate; cura e rivitalizzazione di spazi pubblici; interventi di manutenzione di scuole; riconversione urbana; manutenzione e pulizia di aree pubbliche e private; occupazione, utilizzo e gestione di beni dismessi; book crossing; manutenzioni impiantistiche; attività di vario genere presso biblioteche comunali; sportelli informativi e di ascolto per studenti con disturbi specifici di apprendimento.

Non vi è un settore di cura (delle città e delle persone, seguendo le macro-aree, dall'edilizia alla cultura, dall'educativo al sociale) che non sia rappresentato. Non sembra del resto che vi siano preclusioni.

La differenza tra un patto e l'altro, oltre al soggetto proponente e all'oggetto, consiste quindi nel diverso utilizzo degli elementi (quantitativi) spazio-temporali.

Vi sono patti di breve durata (o comunque di modestissimo rilievo economico), riferibili ad un territorio assai limitato (a volte il condominio), per arrivare invece a veri e propri accordi di trasformazione urbana. Anche in questo senso non sembra che vi siano preclusioni. Un patto potrebbe riguardare una piccola zona, un quartiere, un insieme di quartieri.

Contribuiscono a differenziare i patti anche gli elementi ibridi (qualitativi e quantitativi allo stesso tempo): la diversa graduazione degli oneri, la ripartizione dei rischi tra pubblico e privato, l'attribuzione o meno di ausili, facilitazioni o contributi.

In tutti i casi nell'attribuzione dei compiti non è comunque rinvenibile una corrispettività, una sinallagmaticità tipica dei tradizionali contratti di diritto privato (anche se speciale). Le cause dei patti sono infatti tendenzialmente, ragionando in termini privatistici, contrassegnate da un animus donandi variamente declinato.

Riferendoci agli aspetti pubblicistici, gli interessi tutelati sono quindi tanto di tipo partecipativo e solidale (la facilitazione nell'espletamento di doveri civici), quanto di ordine più propriamente amministrativo (i casi nei quali i cittadini organizzati, per esempio, contribuiscono ad assicurare la sicurezza di un quartiere).

La diversificazione è riscontrabile altresì nel diverso grado di ingerenza e incidenza rispettivamente della direzione e dei controlli pubblici di tipo sostanziale. Pare ovvio che in rapporti complessi (per esempio ristrutturazione di un immobile pubblico) le verifiche in itinere ed ex post (collaudo) debbano essere effettuate con lo stesso livello di garanzie proprie degli interventi ordinari.

Sennonché non sembra facile (al di là di quel che può essere scritto nei patti e a maggior ragione nel caso in cui nulla sia previsto) stabilire quali debbano essere le conseguenze nel caso di verifica negativa. Si può parlare d'inadempimento nel caso in cui un cittadino attivo non riesca a portare a termine quanto si era impegnato a fare? E in caso affermativo, quali potrebbero e/o dovrebbero essere le conseguenze?

Non è agevole rispondere, specie a fronte della predetta diversità dei contenuti e degli interessi tutelati e, fermo restando che sull'argomento si ritornerà nei successivi paragrafi, si anticipa come detta problematica, se non adeguatamente gestita, potrebbe costituire, a fronte di un'esplosione numerica delle convenzioni, anche un elemento di conflitto non solo tra pattisti e amministrazione, ma anche tra aspiranti pattisti rifiutati e/o con soggetti che, non avendo i requisiti per aderire ad una convenzione, si sentissero oggetto di una sorta di disparità di trattamento.

La struttura dei patti è invece, tendenzialmente, unitaria. L'uniformità degli stessi è assicurata da una modellizzazione (predisposizione di alcuni schemi standard) per materie e per tipologie che, predisposta inizialmente per scopi meramente sussidiari (aiutare funzionari e privati a ragionare liberamente, seppure attorno ad una sorta di campitura facilitata, predefinita), potrebbe portare, nel futuro, a una sorta di tipizzazione di alcune figure differenziate.

La dialettica tra uniformità e differenziazione, l'evidente complessità dei variegati contenuti menzionati e l'interdisciplinarietà degli aspetti ha comportato, venendo da ultimo agli aspetti organizzativi interni alla struttura comunale, alla necessità di una cabina di regia con competenze plurisettoriali.

È significativo che, seppur coordinato (ma non appunto diretto) dal Direttore Generale del Comune, il "gabinetto" sia stato a sua volta costituito mediante un patto di collaborazione, nell'ambito di un rapporto aperto con un soggetto no profit (Fondazione bancaria) e quindi in uno spirito tipicamente sussidiario (e paritario). I mezzi sono stati insomma adeguati ai fini.

4. Le funzioni, le procedure, i fini

È opportuno, prima di esaminare le dinamiche procedurali inerenti ai patti in esame, effettuare una brevissima premessa.

L'attività amministrativa, come è noto, si sviluppa, almeno secondo la miglior tradizione e volendo conservare un'impostazione razionale, secondo la sequenza potere, funzione, procedimento [10]. Il tutto dovrebbe: - svolgersi tenendo conto (nella fase istruttoria) delle reti di interessi pubblici, collettivi, diffusi e privati di contorno, evitando di aggravare in modo ingiustificato tanto la procedure quanto le eventuali posizioni di privati controinteressati; - essere finalizzato al soddisfacimento degli interessi pubblici primari di pertinenza.

A tale impostazione dovrebbe corrispondere una strutturazione gerarchica, tanto delle fonti quanto degli aspetti più propriamente organizzativi (dall'organo all'ufficio). Per moderare il potere, soccorre la legge; per contenere il "principale", sono rilevanti l'organizzazione pre-definita secondo parametri normativi e la standardizzazione delle procedure (modus agendi prevedibile, lineare, tipico).

La procedimentalizzazione e l'organizzazione insomma (con tutto ciò che di gerarchico possono con sé trascinare), lungi dal costituire un mero retaggio del passato o l'espressione di un modo di procedere "burocratico", servono quindi per effettuare una corretta ponderazione degli interessi e per contenere l'eccesso di discrezionalità degli organi e dei funzionari.

Nell'ambito degli enti locali, non a caso detti autonomi, inclini all'autoproduzione normativa secondaria, all'innovazione e all'atipicità [11], diventa invece sempre più arduo, se non impopolare, procedere secondo i predetti sentieri di legalità "lineare" [12]. Ciò specialmente - e ovviamente - in relazione all'attività non autoritativa, a maggior ragione nel caso di iniziative inerenti a quelli che vengono definiti beni comuni (esperimenti di cittadinanza attiva) [13].

Non solo, ma nell'ambito dell'agire sussidiario orizzontale manca forse proprio il presupposto e cioè la possibilità di identificare facilmente un vero e proprio potere pubblico, essendo il tutto demandato - volendo estremizzare - ai poteri (doveri) dei cives.

Ciò premesso, al solo fine di giustificare la non facile descrizione del percorso procedimentale inerente ai patti e nella consapevolezza dell'estrema delicatezza della materia, si effettueranno ora alcune riflessioni riguardanti la dinamica degli accordi in questione.

In primo luogo si rileva come il regolamento si sia posto i problemi sopra evidenziati. Nel capo II, intitolato appunto disposizioni di carattere procedurale, l'art. 10, comma 1, evidenzia infatti l'esistenza di una specifica "funzione di gestione della collaborazione con i cittadini attivi". Si tratta di una "funzione istituzionale dell'ente ai sensi dell'art. 118 ultimo comma Costituzione".

Secondo l'articolato, "L'organizzazione di tale funzione deve essere tale da garantire la massima prossimità al territorio dei soggetti deputati alla relazione con il cittadino, il massimo coordinamento con gli organi di indirizzo politico amministrativo ed il carattere trasversale del suo esercizio".

La linea di indirizzo è chiara e adeguata ai presupposti e alle finalità sussidiarie. Per quanto possibile, si parte dal Quartiere, si prevede l'interdisciplinarietà delle materie e quindi si considera come l'esercizio della funzione e l'organizzazione siano trasversali (pertanto da coordinare).

Parimenti importante è la funzione di coordinamento, a fronte, come si è visto, del possibile intervento, nell'ambito dei patti, di settori comunali assai diversificati per materia e competenza: si passa dalla polizia municipale all'edilizia, dalla scuola al sociale, dai tributi (per le agevolazioni) all'urbanistica. Il tutto si complica nel momento in cui si debbano coordinare anche enti altri rispetto al Comune, quali ad esempio quelli deputati alla tutela di interessi pubblici non negoziabili (beni culturali, sanità).

La trasversalità non impedisce il fatto che ci si appelli anche al principio gerarchico, pure se "moderato". Quello che viene definito interlocutore unico (art. 10, comma 2), presente presso i quartieri, aiutato e seguito in modo collaborativo e paritario dall'ufficio Cittadinanza attiva e dal Medium civico [14], dovrebbe infatti rispondere, in ultima istanza, all'Unità di Governance composta da un Presidente di Quartiere (designato dai Presidenti stessi), dal Direttore generale o suo delegato, da un Direttore di Quartiere (designato tra i Direttori), dal Responsabile Ufficio Promozione Cittadinanza Attiva [15].

In secondo luogo è riscontrabile come l'iter procedurale descritto negli art. 11 e ss. sia, corrispondendo ai canoni tradizionali, trifasico, suddividendosi in iniziativa (pubblica o privata), istruttoria e, da ultimo, decisione (contrattualizzata nel patto) [16].

Bisogna pertanto ritenere come la disciplina di riferimento, anche se non richiamata, sia quella di cui alla legge 241/1990, specialmente per quanto concerne gli assetti e le decisioni interne, quali pareri od altro. In ogni caso è nell'istruttoria che dovrebbe essere prevista, attraverso audizioni, meccanismi vari di partecipazione e l'acquisizione di eventuali pareri, la composizione degli interessi: primari, secondari, pubblici e privati, di fatto o meno.

In terzo luogo si rileva come non siano escluse forme di pubblicità o concorsuali. L'art. 10, comma 7, del regolamento prevede infatti che "Nel caso in cui vi siano più proposte di collaborazione riguardanti un medesimo bene comune, tra loro non integrabili, la scelta della proposta da sottoscrivere viene effettuata mediante procedure di tipo partecipativo". Analoghe disposizioni sono contenute negli artt. 15 e 16.

Tutto ciò per aumentare le potenzialità collaborative e per consentire l'emersione di interessi e diritti di terzi.

I principi di cui sopra potrebbero essere definiti concorrenziali nel senso letterale del termine, essendo preordinati non tanto a suscitare una competizione (rispetto ad un ipotetico mercato delle disponibilità sociali), quanto a favorire, oltre alla trasparenza, la capacità e la disponibilità a correre insieme.

In tale prospettiva la funzione degli uffici comunali, specialmente di quello più tipicamente sussidiario che è l'ufficio cittadinanza attiva, vero "fulcro" dei patti, è anche quella "pacificatoria" e di integrazione sociale. Si tratta di favorire l'ordinato svolgersi di attività che, pur se votate ad una disinteressata partecipazione, non sono immuni, specie se praticabili da soggetti diversi e plurimi, da conflitti a volte anche accessi.

Da ultimo, succintamente descritta la procedura, è possibile delineare il profilo teleologico e cioè le finalità che, direttamente e indirettamente, regolamento e patti intenderebbero realizzare.

A tal proposito soccorre l'art. 5, comma 1, del regolamento secondo il quale i patti di collaborazione sono gli strumenti "con cui Comune e cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura e rigenerazione dei beni comuni". Significativi sono quindi gli art. 7, 8 e 9 dove si promuovono l'innovazione sociale, la collaborazione nei processi generativi di beni comuni materiali, immateriali e digitali e la creatività urbana

Da tutto quanto sopra esposto, è facilmente ricavabile come i patti non abbiano una sola finalità, ma siano piuttosto degli strumenti preordinati a risolvere, in modo consensuale (senza pertanto utilizzare il tradizionale sistema di command and control), tanto problemi minuti e circoscritti (piccoli interventi di cura occasionali, che si possono esaurire in una sola prestazione o fornitura episodica), quanto questioni di grande rilevanza e ampiezza. Si pensi alla gestione condivisa, di durata novennale, di edifici ed immobili di vario genere di cui all'art. 17.

Ecco allora che lo strumento, da meramente ausiliario, può assumere una valenza alta, "costituzionale"; non a caso nell'art. 1 del regolamento sono citati gli artt. 114, 117 e 118 della Costituzione, essendo invece la legge 241 menzionata solo in modo residuale ed "escludente" (in relazione alle sovvenzioni alle associazioni, che restano disciplinate dall'art. 12 della legge 241 e non dal regolamento).

I patti insomma, da meri "attrezzi", diventano, secondo quanto riportato nel manuale operativo (pag. 4), il modo per riformare, a partire dal basso, l'amministrazione e la governance della città [17].

Nasce insomma, secondo l'intenzione degli estensori, una nuova funzione amministrativa ("gestione della cura condivisa dei beni comuni urbani"), "sganciata" dai tradizionali principi dell'amministrare (pur non essendo contraria agli stessi), che dovrebbe essere in grado di informare, per quanto possibile, tutte le altre funzioni. In un percorso a ritroso, inverso, sussidiario, la funzione dovrebbe quindi modificare e trasformare anche il "potere" (ma l'argomento ci porterebbe lontano).

Se si considera che le comunità locali hanno finalità generali e che la nozione di beni comuni è particolarmente estesa (si tratta di un concetto aperto, non di una definizione) [18], ne consegue comunque come, anche a prescindere da prospettive ideologiche pancontrattualiste, vi sia un grande potenziale per i patti in esame (non a caso in pochi anni, a Bologna, il numero è ingente, come già evidenziato).

Si tratta di un potenziale che, se adeguatamente comunicato e moderato, gestito, non può in ogni caso (anche qualora dovesse subire flessioni negative) evitare di condizionare - almeno - l'intero contesto metropolitano. Senza delle finalità alte, i costi di transazione (si pensi anche al semplice costo della struttura a ciò dedicata) non sarebbero del resto giustificabili.

5. Le fonti

Dopo aver esaminato i soggetti, il contenuto e le procedure, si provvederà ora ad analizzare le fonti, tenendo conto che, come già accennato, i patti in questione, probabilmente, avrebbero potuto essere stipulati anche a prescindere da una specifica fonte normativa.

L'autonomia dei comuni, gli articoli citati della Costituzione, la capacità generale di diritto privato degli enti, l'art. 1 comma 1-bis della legge 241/1990 (ma anche l'art. 11), i principi ricavabili dall'ordinamento e il coacervo di norme (primarie e secondarie) afferenti al terzo settore, potrebbero insomma essere considerati sufficienti per fondare la potestà esercitata dal Comune unitamente ai cittadini attivi.

È in questa prospettiva, appunto sussidiaria, che si partirà dal regolamento per poi arrivare alle fonti primarie (nazionali e regionali), se e in quanto astrattamente riferibili al caso esaminato. Non verranno invece esaminate, per la loro notorietà, le norme costituzionali e le disposizioni citate della legge 241.

5.1. Il regolamento

Nel Comune di Bologna sono sempre state presenti numerose esperienze di azione diretta dei cittadini, singoli o associati, per la cura della città (si pensi agli addobbi civici) [19] e le forme di collaborazione hanno trovato un riconoscimento apposito all'interno dello statuto comunale [20].

L'amministrazione ha quindi ritenuto di regolamentare il tutto dopo un lungo percorso di partecipazione "condivisa", aiutata dalla Fondazione del Monte di Bologna, da uno specifico patto in tal senso sottoscritto, dall'impegno di studiosi, funzionari comunali e cittadini. Il frutto positivo di detta partecipazione è riscontrabile nel fatto che il regolamento sia stato approvato all'unanimità dal Consiglio Comunale (maggio 2014).

La struttura del regolamento è ambiziosa, di impronta "statutaria", non trattandosi di un mero regolamento procedurale, posto che sono identificati e previsti fini generali e ampi (capo I), definizioni impegnative (sono enunciate le nozioni di "beni comuni urbani", di "cittadini attivi", di "gestione condivisa" ed altro) e principi di grande portata destinati ad informare l'intera vita cittadina (tra i quali fiducia, pubblicità e trasparenza, responsabilità, inclusività, sostenibilità, adeguatezza e differenziazione, informalità). Solo nel capo II sono previste delle disposizioni di carattere procedurale e, nei capi III e IV, il dettaglio degli interventi. Nel capo VI sono inoltre esposte le possibili forme di sostegno alla cittadinanza attiva e cioè le esenzioni e agevolazioni in materia di canoni e tributi locali, l'accesso agli spazi comunali, la possibilità di utilizzare materiali di consumo, l'affiancamento nella progettazione, la possibilità di attribuire il rimborso di costi sostenuti, le forme di riconoscimento per le azioni realizzate e le agevolazioni amministrative. Nel capo VII sono identificate le forme di comunicazione, trasparenza, valutazione e sono quindi previsti strumenti di rendicontazione sociale. Non manca poi un capo (VIII) sulla responsabilità, sulla vigilanza e sulla conciliazione dei conflitti.

Si tratta, nel complesso, di un regolamento ben strutturato, tipicamente autonomo e indipendente, non essendo dettato in esecuzione di norme sovraordinate (come si è detto sembrerebbe essere emanato in diretta attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà) che, almeno all'apparenza, riesce ad identificare in modo compiuto il who does what, gli obiettivi attesi, le modalità della collaborazione e la risoluzione dei casi problematici.

Il tutto è stato quindi ulteriormente dettagliato in un manuale denominato "Attuazione del regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani", manuale redatto a cura di quattro distinti gruppi di lavoro riguardanti rispettivamente gli aspetti giuridici, gli aspetti organizzativi, la comunicazione interna ed esterna e la rendicontazione civica. Il regolamento insomma, lungi dal costituire la mera ricopiatura di quanto oramai è facilmente reperibile in rete, sembra essere stato l'esito di un iter organizzato, complesso, partecipato e non breve.

Si tratta quindi di una produzione sicuramente molto interessante. All'analista spetta però il compito di evidenziare gli aspetti critici che sono, oltre a quelli già evidenziati nel corso della trattazione, essenzialmente riconducibili a tre distinte problematiche.

1. Il regolamento, come si è detto, non menziona la normativa nazionale e regionale sul volontariato e sul terzo settore (disciplina di cui, in un'ottica "sussidiaria", si darà conto dopo, nei paragrafi successivi). Questo significa come il regolamento possa prescindere dalle norme in questione, disciplinando casi diversi, o che invece i patti possano costituire la cornice lessicale entro la quale inserire i contenuti delle diverse forme partecipative previste dalle norme sul t.s.? [21]. In altre parole: per stipulare una convenzione con una associazione di volontariato il Comune utilizzerà la legge regionale relativa o seguirà, non dettando, nella sostanza, norme difformi (salvo più attenta verifica), quanto previsto dal regolamento?

La preoccupazione deriva dal fatto che, come si è detto, i patti interferiscono con tutti i settori della vita sociale della città e quindi, almeno potenzialmente, potrebbero intersecarsi con tante altre norme, anche primarie, dettate per le diverse materie. Può essere che non esistano conflitti normativi di sorta, ma appunto, come previsto del resto dallo stesso regolamento, solo la sperimentazione potrà essere di riscontro e ausilio in tal senso.

Si rileva, in ogni caso, come la peculiarità della disciplina comunale, rispetto ad altre fonti normative, consista nel fatto che grande spazio è dato anche al singolo cittadino, quando invece, come noto, le normative sul terzo settore favoriscono le organizzazioni strutturate. In tal senso il regolamento opererebbe non in conflitto con le norme sul terzo settore (che non impediscono certo l'apporto anche del singolo individuo), ma in modo suppletivo-integrativo rispetto a detta normativa.

2. Il capo VI del regolamento contiene una serie di agevolazioni (in materia di canoni e tributi, di accesso agli spazi comunali, di riconoscimenti vari per le azioni realizzate ed altro). Così come avviene per il terzo settore, dette agevolazioni potrebbero essere considerate distorsive da parte di soggetti profit, soggetti che magari stiano svolgendo iniziative similari (anche se in modo lucrativo e non per animus donandi) a quelle condotte dai cittadini attivi.

Nel caso di specie, il conflitto potrebbe anche essere tra formazioni sociali spontanee (ammesse dal regolamento) e soggetti strutturati. Come noto, per esempio, per diventare onlus, bisogna sottoporsi a tutta una serie di verifiche e adempimenti burocratici che, molto spesso, scoraggiano i cittadini attivi. Quelli che, sopportando i relativi costi, dovessero arrivare in fondo all'iter previsto, acquisendo la qualifica di onlus, potrebbero dolersi del fatto che al medesimo risultato (riconoscimento di agevolazioni) possa arrivare anche un soggetto che non abbia gli obblighi e i costi di cui alla normativa.

Si pensi, ulteriormente, all'art. 27, secondo il quale: "- 1. Il patto di collaborazione può prevedere facilitazioni di carattere procedurale in relazione agli adempimenti che i cittadini attivi devono sostenere per l'ottenimento dei permessi, comunque denominati, strumentali alle azioni di cura o di rigenerazione dei beni comuni urbani o alle iniziative di promozione e di autofinanziamento. - 2. Le facilitazioni possono consistere, in particolare, nella riduzione dei tempi dell'istruttoria, nella semplificazione della documentazione necessaria o nella individuazione di modalità innovative per lo scambio di informazioni o documentazione tra i cittadini attivi e gli uffici comunali". Ebbene, un imprenditore potrebbe ritenere che anche la sua attività, meritoria ai sensi dell'art. 41 della Costituzione, debba essere favorita e agevolata allo stesso modo.

3. Il Regolamento promuove essenzialmente il ruolo dei cittadini attivi. Non pone, in termini di corrispettività/sinallagmaticità, le eventuali agevolazioni che potrebbero essere assegnate. Sennonché, come detto, le facilitazioni ci sono e quindi (anche se si tratta di evenienza remota) le previsioni in questione potrebbero indurre i volontari a ragionare in termini di "baratto" [22], disincentivando altresì coloro che abbiano sempre effettuato il tutto in modo assolutamente gratuito.

5.2. Le norme primarie

5.2.1. La regione

Le norme primarie astrattamente riferibili e sovrapponibili a quanto previsto dal regolamento possono quindi essere ripartite secondo la tradizionale divisione stato/ regione; che si tratti di leggi generali o settoriali non importa, non essendo del resto sempre facile operare una chiara distinzione.

Venendo quindi alla normativa regionale, che, in un'ottica sussidiaria (oggi non particolarmente di moda), potremmo considerare "prevalente", si rileva, limitandoci ovviamente all'ambito emiliano romagnolo, come le norme potenzialmente interferenti con il regolamento siano essenzialmente le seguenti:

- Norme per la valorizzazione delle associazioni di promozione sociale oggetto della l.r. n. 34/2002. Nell'art. 8 si prevede la concessione in uso di beni pubblici e "comuni", la manutenzione ad opera dei privati anche attraverso la forma di patti di solidarietà territoriali. Negli artt. 12 e 13 si disciplina l'argomento convenzionale e, negli articoli 15 e 16, sono previste la riduzione di tributi, agevolazioni e semplificazioni per le sedi anche in relazione agli aspetti urbanistici ed edilizi.

- Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla l.r. n. 2/2003. In particolare, l'art. 9 prevede agevolazioni tariffarie e di imposta in favore di coloro che danno accoglienza ed aiuto a persone in difficoltà (in particolare disabili, minori ed anziani). L'art. 15 prevede poi che agevolazioni tariffarie o fiscali siano riconosciute anche a famiglie con specifiche responsabilità di cura. L'art. 44 dispone infine che gli enti locali valorizzino l'apporto del volontariato alla realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, anche mediante la stipula di convenzioni.

- Legge regionale per la valorizzazione delle organizzazioni di volontariato n. 12/2005. Si prevedono agevolazioni sotto forma di "abbattimento" di standard (articolo 11) in modo simile a quanto previsto nel regolamento. Nell'art. 13 vi è quindi la disciplina delle convenzioni, nell'art. 14 sono contenute le procedure inerenti alle selezioni comparative (nel caso in cui vi siano i soggetti che vogliano convenzionarsi) e nell'art. 15 si delinea il concetto di sussidiarietà;

- Legge di semplificazione della disciplina regionale in materia di volontariato, associazionismo di promozione sociale, servizio civile. Istituzione della giornata della cittadinanza solidale di cui alla l.r. n. 8/2014. Tale normativa, oltre a modificare alcune delle leggi sopra citate, riguarda anche la rigenerazione urbana e i beni comuni (cfr. art. 1) e consente l'apporto dei singoli, non solo delle formazioni sociali organizzate (art. 2).

- Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale di cui alla l.r. n. 12/2014. Gli artt. 5 e ss. trattano del raccordo rispettivamente con le attività socio-sanitarie ed educative, le politiche attive del lavoro, le attività di formazione professionale. Gli artt. 12 e ss. ineriscono alle procedure per il convenzionamento.

Si tratta, come è agevole verificare da una semplice lettura dei testi normativi, di elaborazioni assai composite e differenziate secondo diversi profili soggettivi e oggettivi. L'impianto complessivo è simile a quello di cui alla normativa comunale in esame e così pure gli strumenti. In tutti i testi il principio base invocato, a volte in modo esplicito altre volte mediante richiami impliciti, è quello di sussidiarietà (una sorta di leit motiv, se non proprio una grund norm).

Le norme, almeno quelle relative al consenso e alla collaborazione (dalla partecipazione al convenzionamento), sono in gran parte coincidenti - non sembra vi siano palesi conflitti - con lo spirito ed il contenuto di quanto previsto dal regolamento.

Quest'ultimo, come detto nel precedente paragrafo, non cita però dette norme tra le fonti e, pertanto, potrebbero in ogni caso permanere dei dubbi circa alcune problematiche applicative. Specie nel caso in cui si dovesse trattare non di divergenze, bensì di sovrapposizioni.

È insomma, almeno a parere di chi scrive, più un problema "amministrativo" di efficienza (le ridondanze e le complicazioni allungano i tempi) che di legittimità, posto che, in quest'ultimo caso e cioè nell'evenienza di reali conflitti tra regolamento e leggi varie, dovrebbero soccorrere gli usuali criteri "ordinatori".

5.2.2. La res publica

Per quanto concerne le norme di portata più propriamente generale si segnalano, almeno, quelle relative ai seguenti settori: volontariato, cooperazione sociale, onlus, promozione sociale, servizi alla persona, impresa sociale, agricoltura sociale, terzo settore [23]. Di ampio respiro sono anche le leggi (di impronta più settoriale) sulla tossicodipendenza e sulla disabilità. Un capitolo a parte dovrebbe essere quindi dedicato alla normativa sui beni culturali, che pure prevede l'importanza dell'apporto privato e volontario (ma sul punto Aedon non ha pari).

Ebbene, in tutte queste leggi sono contenute apposite disposizioni volte a disciplinare il convenzionamento tra privato non profit e pubblica amministrazione [24]. Anche a prescindere dai citati articoli 1 e 11 della legge n. 241/1990, vi è quindi una vastissima gamma di produzione legislativa inerente all'amministrazione consensuale [25] riguardante i beni e/o i servizi "comuni", non economici.

A quanto sopra, andrebbe aggiunto quanto portato da alcune norme statali specifiche.

Si allude all'art. 23 d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2 (Decreto Anticrisi) relativo alla detassazione dei microprogetti di arredo urbano o di interesse locale operati dalla società civile nello spirito della sussidiarietà [26], recentemente abrogato ad opera del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (nuovo codice dei contratti pubblici) e all'apparentemente ancora vigente art. 24 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 (cosiddetto "Sblocca Italia") concernente misure di agevolazione (quali riduzioni o esenzioni di tributi) della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio [27].

Il quadro normativo si è ulteriormente modificato nel momento in cui, senza abrogazioni espresse, il codice dei contratti pubblici ha comunque riscritto gran parte delle norme sopra richiamate.

Nell'ambito del codice citato le disposizioni astrattamente "tangenti", rispetto ai patti di collaborazione e alla materia in questione, potrebbero essere gli artt. 19 (contratti di sponsorizzazione), 20 (opera pubblica realizzata a spese del privato), 142 e ss. (procedure semplificate per gli affidamenti sociali), 151 (sponsorizzazioni e forme speciali di partenariato), 164 (oggetto e ambito di applicazione dei contratti di concessione), 166 (principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche), 190 (baratto amministrativo e interventi di sussidiarietà orizzontale).

Naturalmente, con questo non si vuol dire che ai patti di collaborazione debbano (necessariamente) applicarsi le norme codicistiche di cui sopra. Si è solo voluto evidenziare come vi potrebbero essere dei casi (si pensi alla gestione pluriennale di un immobile di notevole importanza, con conseguenti obblighi anche di pubblico servizio) che potrebbero ricadere, direttamente o indirettamente, nell'ambito normativo sopra rapidamente accennato.

Ciò, unitamente al fatto che l'ANAC ha iniziato, a torto o a ragione, ad occuparsi anche di terzo settore (cfr. Linee guida per l'affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, ove vi è un apposito paragrafo sulla coprogettazione sociale) [28], dovrebbe insomma indurre l'analista ad effettuare una seria riflessione sull'impatto che potrebbe avere l'applicazione del codice dei contratti anche solo ad alcuni dei patti esaminati.

Si tratterebbe di una vis attractiva derivata non facilmente arginabile; nel dubbio, il funzionario diligente tende infatti ad applicare le norme nazionali considerate, a torto o a ragione, più rigorose (la logica, nel dubbio, del "tutto in gara").

Se insomma la trasparenza è non solo necessaria ma anche fondamentale per la promozione della cittadinanza attiva, come chiaramente espresso dal regolamento, è pur vero che un'attrazione dei patti nell'ambito della contrattualistica non farebbe altro che depotenziare gli stessi, aggravarli, renderli, alla fin fine, poco appetibili, se non addirittura privi di significato.

In realtà, sono consapevoli delle possibili interferenze anche gli estensori del regolamento, tant'è che nell'articolo 15 si fanno espressamente salve (anche se in modo generico) le norme sulle "procedure pubbliche, trasparenti, aperte" nel caso in cui sia l'amministrazione, nell'ambito dei patti, ad assumere l'onere degli interventi di rigenerazione. Resta ferma, in ogni caso (anche nell'ipotesi in cui sia il privato ad assumere in via diretta l'esecuzione degli interventi di rigenerazione), la necessità di avere operatori qualificati; certo è quindi l'obbligo (ovvio) di sottostare alla soprintendenza competente nel caso in cui si dovesse intervenire su beni tutelati [29].

Ciò nonostante, l'aver segnalato il problema non equivale ad averlo risolto.

Si pensi alla difficile gestione di un immobile, magari sottoposto anche alla vigilanza della sovrintendenza, nel momento in cui si debbano confrontare con il privato figure previste dalla normativa nel caso in cui l'appalto sia pubblico (dal r.u.p., al direttore dei lavori e/o del servizio), ma non propriamente qualora l'intervento sia privato (nel nostro caso "regalato" ed eseguito dal privato). Quest'ultimo, se contribuisce gratuitamente, potrebbe voler donare un'opera dallo stesso diretta o realizzata sotto la propria responsabilità (seguendo il principio "oneri e onori") e mal potrebbe sopportare la direzione pubblica. Si tratta insomma di un conflitto non solo e non tanto normativo, ma anche di ruoli e motivazioni.

In estrema sintesi si può rilevare come la normativa statale sia ancora improntata al principio gerarchico (dalla legge statale a quella regionale) e come, in ogni caso, lo stato tenda ulteriormente a riappropriarsi anche di istituti che avrebbe potuto lasciare alle autonomie territoriali (il caso del "baratto amministrativo").

Sennonché i cittadini attivi, unitamente alle amministrazioni locali, non sembrano essere intenzionati a demandare allo stato la disciplina di ciò che viene ritenuto un bene comune delle comunità territoriali: si pensi a tutti i regolamenti sui commons rinvenibili in rete nei siti dei vari comuni.

Ecco allora che sono riscontrabili i potenziali conflitti tra spinte centripete e forze centrifughe di cui in premessa, tra visioni autonomiste tiepide e concezioni radicali della sussidiarietà.

6. La natura giuridica. Gli accordi a collaborazione necessaria, i contratti e i patti a geometria variabile

L'esame dei contenuti, della struttura, delle funzioni, del regolamento e la descrizione delle fonti astrattamente - direttamente o indirettamente - utilizzabili, almeno come parametri (anche negativi) di riferimento, rende ora possibile ‎effettuare alcune considerazioni circa la natura dei patti.

Dal regolamento non è del resto evincibile, in modo chiaro e sotto il profilo formale, a quale modello normativo possano corrispondere. O meglio, ovvio è il riferimento all'attività non autoritativa e consensuale, ‎ma si tratta di inquadramento un po' troppo largo (e tautologico).

Se insomma è indubbio che i patti appartengano alla grande famiglia degli accordi e delle convenzioni, è altresì vero come non ci si possa esimere dal provare ‎a calare gli stessi in un genere (e magari in una specie) più aderente alla concretezza e al diritto positivo.

A tal proposito potrebbe essere utile, sempre in via generale, riprendere la risalente nozione di attività amministrativa di diritto privato, che sembrerebbe essere, anche se inconsapevolmente, valorizzata dal citato art. 1 della legge 241 [30]. La definizione potrebbe ancora servire per evidenziare come non ci si trovi davanti ad un'attività privata (meramente strumentale) della p.a., bensì di fronte a relazioni aventi rilievo pubblicistico (si gestiscono beni e interessi comuni, non privati) [31].

Fatto questo primo passo, bisognerebbe poi ‎individuare appunto la natura del patto: accordo ex art. 11 della legge 241 [32] o negozio/contratto di diritto privato, magari atipico, secondo gli stilemi del codice civile?

Non si tratta (purtroppo, vista la difficoltà di una risposta) di domanda oziosa, stante la rilevanza pratica della questione. Nella prima ipotesi infatti, in caso di contenzioso, il patto sarebbe sottoposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nella seconda invece, almeno per la fase esecutiva del rapporto (non per un'eventuale fase preliminare ad evidenza pubblica), le controversie verrebbero demandate al giudice ordinario.

Se è pur vero che, in entrambi i casi, verrebbe comunque applicato il diritto privato, potrebbe in ogni modo risultare differente l'atteggiamento, se non proprio il parametro di giudizio, stante il fatto che il giudice amministrativo, come è noto ed anche in base alle recenti riforme, conserva pur sempre un certo favor, magari anche solo formale, nei confronti della p.a. [33]; ciò sulla base dell'idea antica di una possibile coincidenza fra interesse pubblico e interesse dell'amministrazione.

Vediamo quindi le due ipotesi, a partire dalla prima.

A) L'accordo amministrativo

I patti hanno come oggetto la disciplina di ‎interventi e servizi aventi rilievo pubblicistico e che comunque eccedono, per quanto concerne la regolamentazione degli interessi, la dimensione privata. La funzione economico - sociale (la causa) non è quella tipica dei contratti di scambio (l'utilizzo del termine baratto è infatti fuorviante), bensì quella di favorire la condivisione dei beni comuni e dei doveri e diritti civici corrispondenti.

Le iniziative, di mera collaborazione (non esiste un rapporto di affidamento tra p.a. e pattisti), non sono "messe sul mercato" (non si opera del resto in un settore rilevante per la concorrenza) e non occorrono quindi le gare pubbliche tipiche dei contratti di diritto privato speciale (la pubblicità e la trasparenza sono sufficienti). L'animus, essenzialmente partecipativo, del cittadino attivo, non coincide con l'animus donandi di cui al codice civile e i diritti nascenti dal rapporto non sono negoziabili e cedibili.

Vi sono insomma gli estremi per invocare l'art. 11 citato. Senonché non sarebbe facile, in tale prospettiva, rinvenire l'atto amministrativo da integrare o sostituire. Sarebbe quindi più agevole richiamare l'antica nozione di contratto di diritto pubblico e/o ad oggetto pubblico [34], o trincerarsi dietro la generalizzazione operata dall'art. 1, comma 1-bis, della legge 241 [35].

B) Il negozio/contratto di diritto privato

È possibile in realtà costruire i patti anche seguendo lo schema del diritto comune, ordinario, partendo dalla nozione di negozio.

Il negozio giuridico (richiamando in questa sede solo le nozioni pertinenti al nostro caso) è l'atto, espressione dell'autonomia privata, mediante il quale il privato è autorizzato dall'ordinamento a regolare interessi/diritti nei rapporti con altri soggetti. È espressione di autonomia, stante la libertà di determinare il contenuto della regolamentazione degli interessi. Lo scopo (elemento essenziale) deve rispondere, oltre che a un intento pratico individuale, anche a una funzione sociale. La funzione sociale non è esterna al negozio giuridico, ma implicita nello schema legale. Nel porre in essere il negozio per perseguire fini individuali, il privato deve insomma adeguarsi agli interessi sociali impliciti nello schema legislativo. Il discorso non cambia per il contratto che, pur potendo essere atipico, deve comunque essere "meritevole di tutela". Elementi essenziali del negozio giuridico sono altresì la volontà, l'oggetto e la forma (quando risulti prescritta dalla legge sotto pena di nullità). Elementi accidentali la condizione, il termine, il modo. I negozi possono, inoltre, essere a titolo oneroso o a titolo gratuito, bilaterali o plurilaterali [36].

Dalle semplici nozioni sopra riportate, si potrebbe ricavare la nozione di patto di collaborazione come di un negozio bilaterale, (ovviamente) volontario, bilaterale e a collaborazione necessaria, a forma scritta, volto a regolare, secondo i principi del diritto comune e tendenzialmente a titolo gratuito, iniziative di valorizzazione territoriale in modo partecipativo. La funzione economico sociale sarebbe implicita nella previsione regolamentare e l'autonomia consentirebbe l'utilizzo ampio (non si tratterebbe di actus legitimus) degli elementi accidentali: condizioni, termini, modo.

La nozione in questione potrebbe essere utilizzata in termini generali e quindi anche prescindendo da un inquadramento privatistico o meno dei patti.

Nel caso in cui dovesse venir meno l'aspetto partecipativo/collaborativo e si fuoriuscisse dalla gratuità, ci si potrebbe spostare verso un modello impostato secondo lo schema relazionale intercorrente tra principale e agente, con le conseguenti problematiche inerenti ai costi di agenzia, alle asimmetrie informativa, alla selezione avversa e all'azzardo morale. Sotto il profilo formale si entrerebbe poi in un rapporto di committenza, facilmente assimilabile al contratto di diritto privato (anche se speciale) [37] che, presumibilmente, dovrebbe essere assoggettato al codice dei contratti pubblici.

La ricostruzione privatistica in questione sconta però una serie di emergenze problematiche (che sono tali solo peraltro nel caso in cui si voglia adottare un'ottica prudenziale e conservativa) rispetto alle quali, in questa sede, non è possibile dar conto se non in modo sommario.

Le questioni ineriscono alla difficoltà di ipotizzare negozi atipici che non siano deputati a regolare interessi individuali.

Sennonché si potrebbe considerare la fonte regolamentare idonea, unitamente alle norme statali rilevate (specie quelle "anticrisi" o "sblocca Italia"), a fondare una singolare tipicità.

Per quanto concerne la formulazione degli accordi come contratti di diritto privato (schema che sembra essere preferito dai pattisti, anche per l'evidente possibilità, in tal caso, di usufruire della più ampia libertà, compresa quella di fuoriuscire da qualsiasi schema tipico), resterebbe quindi il delicato aspetto - controverso anche nel diritto privato - della patrimonialità [38].

C) L'assetto a geometria variabile

È troppo presto, considerato il poco tempo avuto per la sperimentazione e pertanto il non consolidamento delle iniziative in questione, per assumere una determinazione decisa e definitiva concernente la natura dei patti.

Non solo. Si potrebbe anche prefigurare, per gli stessi, un assetto a geometria variabile. Posto infatti che per esaminare un rapporto, un contratto, di diritto pubblico o privato non importa, occorre esaminare la sostanza e non il nomen iuris, l'individuazione della natura del negozio potrebbe insomma essere demandata a un'analisi da effettuarsi caso per caso.

Alcuni patti, del resto, potrebbero essere considerati per esempio come accordi (in senso lato) urbanistici (i patti per la rigenerazione di un quartiere) [39] o comunque, in senso lato, pubblicistici (la concessione di beni, magari condizionata); altri potrebbero essere assimilabili a negozi di diritto privato (donazioni modali).

Vi sarebbe poi pur sempre la possibilità di integrare i patti nell'ambito di figure nominate (dagli accordi di sponsorizzazione alle convenzioni con il terzo settore).

Il nuovo codice dei contratti pubblici prevede quindi, come si è detto, tante figure similari, quali il partenariato per l'innovazione (art. 65), le "forme speciali di partenariato" (art. 151), il baratto amministrativo e gli "interventi di sussidiarietà orizzontale" (art. 190), le concessioni di servizi sociali [40].

In questi casi il regolamento comunale costituirebbe la cornice (veramente sussidiaria) e i patti sarebbero la famiglia, all'interno della quale individuare i generi (ad esempio "intervento di sussidiarietà orizzontale", concessione, baratto) e la specie (culturale, sociale, in senso lato urbana).

Naturalmente quanto sopra non sarebbe ininfluente circa la possibilità (o meno) di seguire determinate procedure e/o negoziare clausole e condizioni. Il tutto avrebbe altresì delle potenziali e diverse conseguenze in relazione alla fase esecutiva del rapporto (inadempimenti, risoluzione, recesso).

La difficoltà, per un cittadino attivo, di portare a termine un'iniziativa intrapresa in modo spontaneo e gratuito, non potrebbe comunque essere stigmatizzata come un inadempimento nell'ambito di un contratto similconcessorio.

I principi di cooperazione e buona fede, applicabili a tutti i contratti, dovrebbero essere poi diversamente declinati e applicati, nelle diverse ipotesi, a seconda del tipo di rapporto e della natura dei soggetti. Lo stesso dicasi per l'allocazione dei rischi.

Da ultimo non si può escludere che il regolamento e i relativi patti, una volta invertita la tendenza centripeta in atto e valorizzando il principio di sussidiarietà, assumano una valenza di diritto"singolare" [41].

7. Considerazioni conclusive. La vicinitas solidale e la "funzionalizzazione inversa"

Dal pancontrattualismo al neocontrattualismo selettivo.

Non è agevole, come esposto in premessa, trarre delle considerazioni finali. Le esperienze specifiche sono infatti, anche se ormai numerose (vi è una sorta di vis espansiva, contagiosa), ancora poco studiate. Se sono frequenti le analisi, anche sistematiche, sui beni comuni, ancora pochi sono gli studi sulle modalità giuridiche di gestione degli stessi beni [42].

È in tale prospettiva che, nel paragrafo riguardante la natura giuridica, pur avendo cercato di fornire una ricostruzione unitaria della nozione, non si è arrivati a un inquadramento definitorio certo.

Si sarebbe pertanto tentati di allontanare ciò che non è facilmente conoscibile - e soprattutto inquadrabile - e di minimizzare l'importanza del regolamento e dei patti. Si tratterebbe, in una prospettiva riduzionista, della regolazione di interventi da sempre spontaneamente effettuati, minimali e di scarso rilievo giuridico, per i quali non si è mai resa necessaria (almeno per gli interventi minori) la predisposizione di un regolamento o la stipula di alcunché.

I formalisti più radicali potrebbero quindi arrivare a negare la possibilità di un'autosufficienza concettuale dei patti: tutte le fattispecie potrebbero essere fatte rientrare, anche se in modo forzato ma a "fin di bene", per assicurarne una più facile tutela, in ipotesi nominate.

Sennonché la proliferazione degli stessi (non solo a Bologna ma in tutt'Italia), la dimensione non solo quantitativa ma anche qualitativa di molti accordi, lo sforzo e l'intelligente impegno organizzativo profusi, il buon esito (non siamo forse tutti propugnatori di un'amministrazione di risultato?), ci inducono a considerare positivamente non solo (ovviamente) l'esperienza esaminata, ma anche la possibilità che, nel futuro, i patti possano assumere, sotto il profilo giuridico, una sorta di autonomia concettuale.

Nella valutazione non bisognerebbe, in ogni caso, farsi condizionare (negativamente) dalla difficoltà della materia, derivante dal fatto che sono implicate - visto che i patti possono riguardare le più svariate attività di cura delle città - tutte le diverse discipline pubblicistiche: dall'urbanistica all'edilizia, dai beni culturali ai servizi alla persona, dalle finanze al diritto tributario, dal diritto degli enti locali al codice dei contratti, oltre ovviamente al diritto privato.

Ciò premesso, ragionando anche in termini prospettici, potrebbero essere quindi individuati, riassuntivamente, i seguenti aspetti peculiari (si tratta di opportunità alle quali sono ricollegabili corrispondenti rischi) che, per comodità espositiva, delineeremo medianti sintetici punti.

A. A fronte del recupero, da parte del centro, di materie e funzioni e della riaffermazione del principio gerarchico nella relazione con i territori, le periferie (specie le più innovative, forti e resistenti) si stanno attrezzando per utilizzare, al massimo grado, il principio autonomistico.

B. La tendenza, per legittimarsi e consolidarsi, necessita di elementi fondanti che non siano meramente derivati ed attuativi. In tal senso il regolamento esaminato, per quanto concerne le fonti, si appella direttamente alla Costituzione (il principio di sussidiarietà).

C. Il regolamento ed i patti, nella misura in cui sono indubbiamente strumenti di sussidiarietà (nascono per lo più dalla società civile, dagli studiosi, ferma restando la forte regia del Comune), determinano un fenomeno che potremmo chiamare di funzionalizzazione inversa. Se, estremizzando il principio, il potere e le capacità sono del "singolo" (art. 2 della Costituzione), quindi del popolo (sottomesso alla Costituzione), e se ha ancora appunto un senso - in orizzontale e in verticale - la sussidiarietà, ne deriva come siano gli apparati amministrativi (serventi) ad essere ora funzionalizzati dai cittadini attivi, non viceversa.

D. Non potendo i cittadini dettar direttamente legge, stipulano patti per creare regolamenti (nel caso di Bologna, come si è visto, l'esperimento è stato aiutato pattiziamente dalla locale Fondazione del Monte) e per realizzare interventi di cura della città. Ma, visto che l'ente locale ha proprio il generale scopo di rappresentare e curare tutti gli interessi della comunità, ne deriva come, con una proliferazione ed estensione dei patti (il contenuto degli stessi, di per sé, non ha limiti), si arriverebbe addirittura alla creazione di una nuova forma di governance (neocontrattualista).

E. Anche senza arrivare necessariamente ad una visione complessiva ed estrema (il ribaltamento del concetto di potere, la nascita - ipotizzata, come si è visto, nel regolamento - di una nuova funzione amministrativa), non vi è dubbio che ci si trovi comunque di fronte - almeno - a un nuovo modo di amministrare. Se, infatti, il contrattualismo non è un fenomeno nuovo (essendosi esteso da tempo anche in campi delicati come quello dell'urbanistica), è pur vero che solo negli ultimi anni si sono sviluppati, non solo a Bologna, tanti esperimenti (normativi e pattizi) riconducili, direttamente o indirettamente, ad un modello unitario.

F. Se è così, potrebbe davvero delinearsi l'occasione per ri-fondare un nuovo diritto per le città, al quale farebbe seguito un nuovo diritto amministrativo o comunque un "nuovo diritto alternativo a quello statale" [43]. Rivedendo il tutto in un'ottica ulteriormente sussidiaria, si potrebbe parlare, considerato che la maggior parte delle persone vive appunto nelle città e che i diritti fondamentali non possono che essere collegati alla realtà urbana, a un diritto alla città [44], da conquistare anche attraverso i patti, mediante i quali il forte dovrebbe occuparsi del debole, nel caso in cui il pubblico non dovesse essere d'ausilio.

G. Quanto sopra, in ogni caso, ci potrà essere utile per comprendere come, a fronte del declino strutturale in cui versa buon parte del Paese e dell'impossibilità per le finanze pubbliche di sopperire alle carenze emergenti dalla crisi, si dovrà per forza aprire una nuova stagione. Dall'età dei diritti (tutto a tutti) occorrerebbe insomma ripartire dai doveri [45], a partire da quelli degli individui (art. 2 della Costituzione) per arrivare a quelli collettivi.

H. Il concetto di vicinitas, ormai radicato nel diritto amministrativo per fondare interesse e legittimazione a contendersi - in modo oppositivo - gli spazi vitali, utile insomma per "legittimare" la sindrome nimby, potrebbe quindi essere utilizzato per radicare il diritto/dovere di impegnarsi nei quartieri e la conseguente legittimazione ad interloquire con il pubblico (chi decide se un bene deve essere gestito in modo solidale o invece affidato ad un ricco sponsor?).

I. Ecco che, sotto un altro e diverso profilo, si potrebbe verificare un possibile conflitto. In base al regolamento (art. 16) è la giunta infatti che, sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio "anche all'esito di procedure partecipative e deliberative", ha la potestà programmatoria/decisionale in relazione ai beni da sottoporre a patti. Questo significa che spetta alla stessa e all'amministrazione la discrezionalità (an, quid, quando, quomodo) inerente ai processi di valorizzazione dei beni. Il potere politico, eletto, ha del resto il compito di governare il territorio in base al programma votato dai cives. Sennonché, nel caso in cui un facoltoso sponsor (si pensi a un privato o a una Fondazione) dovesse offrire la possibilità di restaurare e gestire un bene (per esempio un parco) che, magari, il Comune o altri cittadini attivi avessero inteso condurre in modo diverso, in quale modo si potrebbe risolvere il conflitto? Dovrebbe essere applicato, per quanto concerne la potestà decisionale, il principio sussidiario ricollegabile alla vicinitas (il quartiere all'interno del quale è il parco), quello gerarchico tradizionale (il Comune, il potere politico amministrativo) o invece il principio di responsabilità (decide colui che si assumesse interamente i relativi oneri, come avveniva a Roma in epoca imperiale)?

L. Questo ci induce a ritenere come il fenomeno, se generalizzato, potrebbe avere anche dei rischi. Si dovrebbe insomma rifuggire un'eventuale logica pancontrattualista per arrivare ad un neocontrattualismo selettivo, "ben temperato". Ciò per conseguire, in un'ottica cooperativa, un risultato per tutti soddisfacente (logica win-win), per evitare l'insorgenza di contrasti non solo formali tra pubblico e privato, ma anche sostanziali tra poteri (pubblici e privati insieme) e cittadini (che potrebbero sentirsi schiacciati in una sorta di patrocinium, sentendosi meri clientes).

Ma per fare questo, e anche per transitare da una vicinitas conflittuale a una solidale, occorre un forte investimento pubblico in formazione, comunicazione, organizzazione. La regia pubblica deve altresì provenire non già da "funzionari medi", bensì da personale ad hoc vocato.

Tutto ciò sembra essere stato effettuato dal Comune di Bologna (anche grazie all'apporto scientifico e pattizio, come si è visto, della locale Fondazione del Monte).

 

Note

[*] Il presente contributo è frutto di un intervento svolto al convegno Bologna Città Collaborativa. Il regolamento sui beni comuni urbani, tenutosi a Bologna il 22 marzo 2016. Si ringraziano il Prof. Marco Cammelli e la Presidente Prof.ssa Giusella Finocchiaro per l'invito, i Prof.ri Christian Iaione e Giuseppe Piperata per i confronti. Proficui sono stati gli scambi con il relatore Dott. Giorgio Calderoni e con i rappresentanti del Comune Dott.ri Giacomo Capuzzimati, Donato di Memmo, Anna Rita Iannucci, Luca Rizzo Nervo. Interessanti sono quindi stati gli spunti provenienti dalla società civile (Annabella Losco e Stefano Brugnara). Al sottoscritto è addebitabile ogni errore.

[1] La nozione è presa da G. C. De Martin, Il disegno autonomistico disatteso tra contraddizioni e nuovi scenari problematici, in Istituzioni del federalismo, 2014, 1, pag. 29.

[2] Sull'argomento si veda quanto affermato in modo critico da G. Gardini, Crisi e nuove forme di governo territoriale, in Istituzioni del federalismo, 2015, 3, pag. 533 ss.

[3] Si rimanda, per un concetto ampio di territorio (in relazione alla problematica del governo locale, ma non solo), al completo volume di M. Cammelli (a cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, 2007. Cfr. altresì. C. Barbati e G. Endrici, Territorialità positiva. Mercato, ambiente e poteri subnazionali, Bologna, 2005.

[4] Il regolamento del Comune di Bologna Sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani è stato approvato con delibera PG. n. 45010/2014 in data 19 maggio 2016. Tale regolamento definisce i patti di collaborazione come gli accordi attraverso i quali "Comune e cittadini attivi definiscono l'ambito degli interventi di cura o rigenerazione dei beni comuni urbani" (art. 2, lett. e).

[5] L'argomento è ormai noto. Cfr., sull'argomento e fra i tanti, F. Cortese, Dalle valli da pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici? in Giorn. dir. amm., 2011, pag. 1170 ss.; G. Morbidelli, Sulla natura privata delle valli da pesca morte della Laguna Veneta, in Dir. maritt., 2009, pag. 783 ss.

[6] Cfr. www.regole.it.

[7] Si tratta di "domini collettivi" (si veda www.comunalie.com).

[8] I patti di collaborazioni conclusi sono rinvenibili al link http://www.comune.bo.it/cittadinanzaattiva. I patti ed i relativi regolamenti sono stati studiati e promossi, in particolar modo e in via generale, da Labsus, diretto da Gregorio Arena, che ha diffuso il concetto di cittadinanza attiva (cfr. le note successive).

[9] Lo spunto è ripreso dall'Evangelii Gaudium (Papa Francesco), analizzato in senso critico da L. Zanatta, Un papa peronista?, in Il Mulino, 2016, 2, pag. 240 ss.

[10] I riferimenti d'obbligo sono (almeno) a F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, pag. 118 ss.; M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, Milano, 1993, Vol. 2, pag. 155. Sull'argomento cfr. altresì E. Chiti, La dimensione funzionale del procedimento, in AA.VV., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme, Milano, 2008, pag. 211 ss. Una compiuta ricostruzione dei modelli negoziali nel passaggio dal potere alla funzione è contenuto in P. Portaluri, Potere amministrativo e procedimenti consensuali, Milano, 1998, pag. 68 ss.

[11] Sull'argomento cfr. per quanto concerne i profili pubblicistici, G. Piperata, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali, Milano, 2005. In relazione ai contratti si rimanda a F. Mastragostino, curatore del volume Tipicità e atipicità nei contratti pubblici, Bologna, 2007 e ivi, in particolare, a M. Dugato, I contratti misti come contratti atipici tra attività e organizzazione amministrativa. Dal global service all'in house providing, pag. 69 ss. Di quest'ultimo Autore si veda altresì Atipicità e funzionalizzazione nell'attività amministrativa per contratti, Milano, 1996.

[12] Circa i percorsi tortuosi e la crisi della legalità cfr. F. Merusi, Sentieri interrotti della legalità, Bologna, 2007. Cfr. altresì, dello stesso autore, Nuove avventure e disavventure della legalità amministrativa, in AA.VV., Scritti in onore di P. Stella Richter, Napoli, 2013, pag. 325 ss.

[13] Per una disamina relativa ai beni comuni e alla loro definizione cfr. C. Iaione, La città come bene comune, in Aedon, 2013, 1; C. Donolo, I beni comuni presi sul serio, in L'Italia dei beni comuni, (a cura di) G. Arena e C. Iaione, Roma, 2012. In relazione ad una prospettiva storica si veda P. Maddalena, I beni comuni nel codice civile, nella tradizione romanistica e nella Costituzione della Repubblica italiana, in Federalismi.it. Sull'argomento cfr. altresì M. Olivi, Beni demaniali ad uso collettivo - conferimento di funzioni e privatizzazione, Padova, 2005 e, del medesimo Autore, Beni pubblici tra privatizzazioni e riscoperta dei beni comuni, in Amministrazione in Cammino, 2014, 1; P. Chirulli, I beni comuni, tra diritti fondamentali, usi collettivi e doveri di solidarietà, in www.giustamm.it; F. Giglioni, L'unione europea per lo sviluppo dei beni comuni, in www.labsus.it, 2015. I beni comuni sono ora al centro di un ampio dibattito, come rilevato recentemente anche da V. Cerulli Irelli e L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi. Riflessioni de iure condendo su un dibattito in corso, in AA.VV., Scritti in onore di Franco Bassi, 2015, pag. 1131 ss.

[14] Il medium civico, secondo la definizione data all'art. 2 lett. m), è "il canale di comunicazione - collegato alla rete civica - per la raccolta, la valutazione, la votazione e il commento di proposte avanzate dall'Amministrazione e dai cittadini".

[15] Dall'esame del regolamento e del relativo manuale illustrativo (pag. 7) emergono i seguenti ruoli: - Interlocutore Unico; - Unità di Governance, ha il ruolo generale di Process Owner; - Dirigente, Responsabile, Referente formalmente incaricato dal Direttore, è indicato dall'Unità di Governance per la co-progettazione e la sottoscrizione del patto, ha funzione di supporto agli attori del processo per le istruttorie tecniche e i monitoraggi dei progetti, ha funzione di facilitatore/divulgatore all' interno della propria struttura di appartenenza.

[16] Il citato art. 11, relativo alle proposte di collaborazione, prevede i distinti casi in cui l'iniziativa sia del privato o dell'amministrazione. È quindi disciplinata l'istruttoria.

[17] Si precisa infatti, a pag. 4 del manuale, che l'obiettivo di fondo del regolamento è quello di "impostare e attuare il principio di Amministrazione condivisa riformando l'amministrazione stessa, le sue regole, la sua struttura organizzativa, il suo modo di comunicare, affinché risulti debitamente attrezzata per proporsi ai cittadini come alleato credibile nella cura condivisa dei beni comuni".

[18] L'art. 2 lett. a) definisce i beni comuni urbani come "i beni, materiali, immateriali e digitali, che i cittadini e l'Amministrazione, anche attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell'art. 118 ultimo comma Costituzione, per condividere con l'amministrazione la responsabilità della loro cura o rigenerazione al fine di migliorarne la fruizione collettiva".

[19] È dal Settecento che la festa relativa è diventata l'occasione per promuovere una vera e propria una gara di restauri e abbellimenti.

[20] L'art. 2 dello Statuto Comunale, dedicato agli Obiettivi Programmatici, dispone, al comma 3-bis, che "Il Comune ispira la propria azione al principio di sussidiarietà orizzontale e di collaborazione con le istanze sociali ed economiche, favorendo la crescita sostenibile e la diffusione dell'iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale e di cura dei beni comuni".

[21] In tal senso sembra essere l'intervento del Dott. Giorgio Calderoni nel convegno che ha dato origine al presente articolo.

[22] Si sono schierati contro la nozione di baratto gli studiosi di Labsus. Si veda, in particolare, F. Giglioni, Le ragioni per dire no al "baratto amministrativo", in www.labsus.it, 2015. In giurisprudenza, vi sono state alcune pronunce critiche nei confronti del baratto amministrativo. Più precisamente, la Corte dei Conti del Molise, con la deliberazione n. 12/2016, ha escluso l'utilizzo generalizzato dell'istituto in esame per realizzare opere pubbliche; per un commento a tale pronuncia si veda S. Usai, No al baratto amministrativo per realizzare opere pubbliche, in La Gazzetta degli enti locali, 17 marzo 2016. La Corte dei Conti dell'Emilia Romagna, con deliberazione n. 27/2016/PAR ha invece escluso che mediante il baratto amministrativo si possa consentire l'adempimento di tributi locali pregressi; tale deliberazione è stata commentata da G. Arena in www.labsus.it.

[23] Da ultimo in data 25 maggio 2016 è stata approvata in via definitiva al Senato la Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale.

[24] Tra quelle citate si vedano, in particolare, la legge 266/1991 (volontariato); la legge n. 381/1991 (Disciplina delle cooperative sociali) e in particolare l'art. 5; l'art. 2 della legge n. 383/2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale); l'art. 5 della legge n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali); l'art. 6 della legge n. 141/2015 sull'agricoltura sociale.

[25] Ci si permette di rimandare a P. Michiara, Le convenzioni tra pubblica amministrazione e terzo settore - Considerazioni sulle procedure selettive a concorrenza limitata nell'ambito dei rapporti a collaborazione necessaria, Roma, 2005. Si veda altresì P. Michiara, Contrattazione e servizi "relazionali" ai sensi delle direttive comunitarie 2014/23/UE e 2014/24/UE. Spunti per un inquadramento, in corso di pubblicazione su Riv. trim. dir. pubbl. com.

[26] Per alcune riflessioni sulla norma citata cfr. C. Iaione, Microprogetti, storia di silenzi tra assensi e rigetti, in www.labsus.it, 5 febbraio 2009.

[27] Prevede la norma in esame che "1. I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché' individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L'esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell'esercizio sussidiario dell'attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute".

[28] Si tratta della delibera n. 32 del 20 gennaio 2016. Il capitolo 5, per l'appunto dedicato alla co-progettazione, conclude nel senso che le amministrazioni devono favorire la massima partecipazione dei soggetti privati alle procedure di co-progettazione, fermo restando che la titolarità delle scelte permane in capo alle amministrazioni, cui compete la predeterminazione degli obiettivi generali.

[29] I commi da 3 a 6 dell'articolo in esame dispongono quanto segue:

3. Il patto di collaborazione può prevedere che i cittadini attivi assumano in via diretta l'esecuzione degli interventi di rigenerazione.

4. Il patto di collaborazione può prevedere che l'amministrazione assuma l'esecuzione degli interventi di rigenerazione. In tal caso l'amministrazione individua gli operatori economici da consultare sulla base di procedure pubbliche, trasparenti, aperte e partecipate.

5. Resta ferma per i lavori eseguiti mediante interventi di rigenerazione la normativa vigente in materia di requisiti e qualità degli operatori economici, esecuzione e collaudo di opere pubbliche, ove applicabile.

6. Gli interventi di rigenerazione inerenti beni culturali e paesaggistici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 sono preventivamente sottoposti alla Soprintendenza competente in relazione alla tipologia dell'intervento, al fine di ottenere le autorizzazioni, i nulla osta o gli atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente, al fine di garantire che gli interventi siano compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene. Le procedure relative alle predette autorizzazioni sono a carico del Comune.

[30] Sui principi dell'attività amministrativa si rimanda a A. Police, Principi e azione amministrativa, in Diritto Amministrativo, (a cura di) F. G. Scoca, Torino, 2015, pag. 199 ss.

[31] Sulla contrastata nozione di attività amministrativa di diritto privato si veda l'antico ma sempre attuale scritto di A. Amorth, Osservazioni sui limiti all'attività amministrativa di diritto privato, in Archivio diritto pubbl., 1938, 465. Ci si permette altresì di rinviare a P. Michiara, L'appalto di opere pubbliche tra diritto comune e diritto speciale. Profili ricostruttivi dell'istituto, Milano, 1997. Sull'argomento si veda altresì C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982 e G. Greco, Provvedimenti amministrativi costitutivi di rapporti giuridici fra privati, Milano, 1977.

[32] Da ultimo si veda, sull'argomento, l'apporto critico e disincantato di P. L. Portaluri, Sugli accordi di diritto amministrativo, in Riv. giur. ed., 2015, 4, pag. 147 ss.

[33] Non è un caso che, nella maggior parte dei TAR, la posizione fisica (la poltrona) dell'Avvocatura sia a fianco di quelle dei magistrati. In materia di appalti, poi, come noto, si tende a non concedere sospensive. Basti pensare al riformato art. 120 c.p.a.: il comma 8-ter, introdotto dal d.lgs. 50/2016, prevede infatti che il Giudice, nella decisione cautelare, "tiene conto ... delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all' esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione".

[34] Ci si permette di rimandare, per una disamina sull'argomento, a P. Michiara, Le convenzioni tra pubblica amministrazione e terzo settore, cit., pag. 64 ss. Cfr. altresì F. Ledda, Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, 1966; G. Greco, I contratti dell'amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986; L. V. Moscarini, Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, Milano, 1988; A. Benedetti, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, 1999; R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2004.

[35] Per un approfondimento relativo all'interazione tra disciplina pubblicistica e principi di diritto comune cfr. A. Maltoni, Considerazioni in tema di attività procedimentali a regime privatistico delle amministrazioni pubbliche, Dir. amm., 2011, 1, pag. 97 ss. In dottrina, sulla norma in questione, cfr. F. Trimarchi Banfi, L'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241/1990, in Foro amm. - CDS, 2005, pag. 947 ss.; D. De Pretis, L'attività contrattuale della p.a. e l'art. 1-bis della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in www.giustamm.it, 2006.

Più in generale sull'argomento cfr. B. G. Mattarella, La nuova legge sul procedimento amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2005, 5, pag. 474 ss.; N. Paolantonio, A. Police, A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2005; G. Pastori, Attività amministrativa e tutela giurisdizionale nella legge 241/1990 riformata, in Le riforme della legge 241/1990 tra garanzia della legalità e amministrazione di risultato, (a cura di) L. Perfetti, Padova, 2008.

[36] Per un excursus relativo alla teoria del "negozio giuridico" negli ultimi 30 anni si rinvia a N. Irti, Destini dell'oggettività. Studi sul negozio giuridico, Milano, 2011. Cfr. altresì G. B. Ferri, Equivoci e verità sul negozio giuridico e la sua causa, in Riv. int. fil. dir., 2008, pag. 171; C. Castronovo, Il negozio giuridico dal patrimonio alla persona, in Europa e dir. priv., 2009, 1, pag. 87 ss.

[37] Si rimanda a P. Michiara, L'appalto di opere pubbliche tra diritto comune e diritto speciale. Profili ricostruttivi dell'istituto, cit., pag. 81 ss.

[38] "La patrimonialità del rapporto non dipende, secondo il criterio desumibile dall'art. 1174, dalla natura dell'interesse perseguito dalle parti, che può essere anche non patrimoniale, ossia non economico, ma si determina in ragione del fatto che le prestazioni, cui le parti si sono obbligate, siano suscettibili di valutazione economica". Così F. Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Vol. II, Tomo I, Le obbligazioni e i contratti, Milano, 1999, Terza Ed., pag. 136 ss. Sul tema della patrimonialità, intesa come suscettibilità di valutazione economica, cfr. C. M. Bianca, Diritto Civile, Vol. 4, L'obbligazione, Milano, 1991, pag. 77 ss. e la dottrina ivi citata.

[39] Gli accordi urbanistici e quindi, più in generale, l'urbanistica contrattata, sono stati esaminati, tra gli altri, da P. Urbani e S. Civitarese Matteucci, Amministrazione e privati nella pianificazione urbanistica: nuovi moduli convenzionali, Torino, 1995; P. Urbani, Urbanistica consensuale, Torino, 2000 e, del medesimo Autore, Dall'urbanistica autoritativa all'urbanistica solidale. Breve viaggio verso le nuove frontiere del governo del territorio, in Riv. giur. ed., 2013, 3, pag. 121 ss.; G. Pagliari, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. giur. ed., 2013, 3, pag. 135 ss. e, dello stesso Autore, La contractualisation dans le droit de l'urbanisme. La situation italienne, in AA.VV., Scritti in onore di P. Stella Richter, Napoli, 2013. Cfr. altresì A. Barone, Urbanistica consensuale, programmazione negoziata e integrazione comunitaria, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001 pag. 261 ss.

[40] Per un commento su tali nuovi istituti ci si permette di rinviare a P. Michiara, Contrattazione e servizi "relazionali" ai sensi delle direttive comunitarie 2014/23/UE e 2014/24/UE. Spunti per un inquadramento, cit.

[41] Secondo F. Merusi, Il diritto sussidiario dei domini collettivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 1, pag. 77 ss., "sembra dunque che, riconoscendo l'autonoma iniziativa dei cittadini, il principio di sussidiarietà riconosca anche una fonte di produzione normativa proveniente dalla società civile e perciò non statale e non connessa alla logica della codificazione. Banalizzando possiamo dire che con il principio di sussidiarietà almeno sotto il profilo delle fonti di produzione, si ritorna al Medioevo: accanto al diritto imperiale, oggi il diritto statale o della Comunità Europea, si riconosce l'esistenza anche di un diritto prodotto dalla natura delle cose, che integra, e si aggiunge, al diritto prodotto dalle fonti statali, regionali o comunitarie secondo la distribuzione delle competenze tipica degli ordinamenti positivi".

[42] Circa le varie prospettive di indagine, si veda, tra i tanti, A. Police (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008. Cfr. altresì la disamina di V. Caputi Iambrenghi, Premesse per una teoria dell'uso dei beni pubblici, Napoli, 1979, alla base degli studi successivi sull'argomento. Più di recente cfr. G. Arena - C. Iaione (a cura di), L'Italia dei beni comuni, Roma, 2012.

[43] F. Merusi, Il diritto sussidiario dei domini collettivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 1, pag. 77 ss.

Riconoscere che cittadini associati possono svolgere attività di interesse generale secondo il principio di sussidiarietà significa - secondo l'Autore - riconoscere l'esistenza di un diritto alternativo rispetto a quello statale. Se poi, come nel caso, lo si favorisce, significa stabilire che, se c'è un diritto prodotto dai privati, non può essere sostituito da quello pubblico, a meno che questi non affermi una propria competenza esclusiva.

[44] Sullo sviluppo di un diritto amministrativo delle città cfr. J. B. Auby, Per lo studio del diritto delle città, in G. Della Cananea e C. Franchini (a cura di), Il diritto che cambia. Liber Amicorum Mario Pilade Chiti, Napoli, 2016, pag. 205 ss.

[45] Come auspicato da Giuseppe Mazzini nella sua opera, ora più che mai attuale, Doveri dell'uomo, pubblicata nel 1860 (menzionata, non a caso, dal Dott. Sergio Conti, Presidente del TAR Emilia Romagna, Sezione di Parma, nella relazione di apertura dell'anno giudiziario 2016). Un'analisi sui doveri, partendo dalla ripartizione operata da Cicerone nel De Officiis tra doveri di giustizia e doveri di aiuto materiale, si rinviene in M. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, Bologna, 2008. Si veda, in relazione a tale opera, D. Carusi, "Doveri di giustizia" e "aiuto materiale": Martha Nussbaum legge Cicerone, in Politica del diritto, 2009, pag. 333 ss.

 

 



copyright 2016 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina