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Problemi di governance

Per una riforma del sistema delle biblioteche pubbliche statali

di Andrea De Pasquale

Sommario: 1. Le biblioteche pubbliche statali oggi. - 2. Le biblioteche statali e le riforme dal 1998 al 2013. - 3. Le biblioteche statali e la riforma Franceschini. - 4. Un nuovo modello organizzativo: i poli bibliotecari. - 5. Per l'istituzione di un polo delle biblioteche statali di Roma. - 6. Un percorso possibile: la creazione della Biblioteca nazionale d'Italia e il ripensamento del sistema delle biblioteche statali.

For a Reform of the State Organization of the Public Libraries
The recent Franceschini reform of the Ministry of cultural heritage, activities and tourism has provided the opportunity for state libraries, so far not implemented, to set up the poles of libraries. This contribution, after an analysis of the organizational state of the libraries from the last fifteen years until the current situation, particularly complex and varied, exposes the institution of a library center benefits for state libraries of Rome under the coordination of National central Library. It is also an opportunity to rethink the creation of the National Library of Italy, project ever implemented in the history of the Republic, by proposing to entrust the role to the National central Library of Rome, the largest library in the country, and creating a polycentric organization in which are also defined roles and functions of the main Italian libraries.

Keywords: National Central Library in Rome; State's Libraries in Italy; Network of Italian State's Libraries.

1. Le biblioteche pubbliche statali oggi

Una delle anomalie più evidenti del sistema bibliotecario italiano, rispetto al panorama europeo, è rappresentata dall'esistenza di ben due biblioteche nazionali centrali (la Biblioteca nazionale centrale di Roma e la Biblioteca nazionale centrale di Firenze), di sette biblioteche nazionali e di altre 37 statali, dipendenti tutte dal ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo [1]. Sarebbero state quattro in più, se non fossero state regionalizzate nel 1977, ai sensi del d.p.r. 637/1975 e della l.r. 80/1977, la Biblioteca nazionale di Palermo (diventata Biblioteca centrale della Regione Siciliana) e le Biblioteche universitarie di Messina e Catania, e se la Biblioteca universitaria di Bologna non fosse stata trasferita nel 2000, ai sensi del d.lgs. 112/98, art. 151, alla locale Università [2].

Questa particolare situazione è frutto del fatto che, dopo l'Unità, l'Italia si trovò ad ereditare le molte importanti biblioteche che avevano avuto un ruolo fondamentale nella vita politica, civile e sociale degli stati preunitari, le quali si moltiplicarono ulteriormente quando Roma, la città in assoluto più ricca di libri e biblioteche, divenne capitale. Si pose allora il dilemma se costituire un'unica grande biblioteca nazionale centralizzata o mantenere il tessuto diffuso, come si scelse, fregiando del titolo di "nazionale" le principali biblioteche.

I compiti delle biblioteche nazionali centrali, sostanzialmente identici, pur nello squilibrio degli istituti - quella di Roma nata nel 1876 per diventare la Biblioteca d'Italia, legata all'informazione corrente e alla circolazione dei documenti, quella di Firenze, di più antica formazione (1861), ma con una vocazione maggiormente indirizzata verso la conservazione - risultano delineati e dettagliati da storici provvedimenti legislativi e dalla prassi.

Ben più nebulosi sono i ruoli delle altre biblioteche statali, le cui origini e tipologie sono alquanto variegate [3]. Il nucleo più cospicuo di esse, per numero e quantità di materiale conservato, è rappresentato dalle biblioteche degli antichi stati preunitari e delle corti, svolge compiti per lo più di conservazione e comprende la Nazionale di Torino (anche universitaria), la Nazionale Braidense di Milano, la Nazionale Marciana di Venezia, la Palatina di Parma, la Estense Universitaria di Modena, la Mediceo-Laurenziana di Firenze, la Statale di Lucca e la Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli.

Rappresentano invece le biblioteche delle antiche università italiane, oltre alle già citate Nazionale Universitaria di Torino ed Estense Universitaria di Modena (che è costituita dall'accorpamento di due distinte biblioteche), le biblioteche universitarie di Genova, Pisa, Padova, Pavia, Napoli, Cagliari, Sassari e Alessandrina di Roma, che dovrebbero, ma spesso non lo fanno, fungere da supporto a quelle università per le quali sono nate [4].

Tre biblioteche sono frutto del collezionismo privato di importanti casate e personaggi, in particolare la Biblioteca Reale di Torino, la Biblioteca Riccardiana e la Biblioteca Marucelliana, entrambe di Firenze; sono invece biblioteche di ordini religiosi soppressi nella seconda metà del XIX secolo le biblioteche Angelica (degli Agostiniani scalzi), Casanatense (dei Domenicani), Vallicelliana (dei Filippini), tutte a Roma, e le cosiddette biblioteche annesse ai monumenti nazionali (l. 803/1980; legge 320/1993), appartenenti ad antiche abbazie e monasteri (tra cui le abbazie di Praglia, Montecassino, Farfa e Subiaco, la Certosa di Trisulti, il Monastero di Montevergine, la Badia di Cava dei Tirreni, l'Oratorio dei Gerolamini a Napoli), che hanno un esiguo personale ministeriale (distaccato tra l'altro da altri istituti) e sono in consegna ad un conservatore dell'ordine religioso originariamente proprietario [5].

Sono biblioteche di carattere specialistico la Biblioteca di archeologia e storia dell'arte, la Biblioteca di storia moderna e contemporanea e la Biblioteca medica, tutte a Roma, i cui rapporti con le biblioteche universitarie di facoltà e di dipartimenti non sono mai stati chiariti, pur condividendone i compiti di documentare specifiche discipline [6]; svolgono poi il ruolo di biblioteche civiche, anche per le raccolte che conservano, costituite da fondi di carattere generale, circoscritti per consistenze e con limitati materiali antichi, o perché nelle città dove si trovano non esiste altra biblioteca pubblica, la Statale di Cremona, la Statale Isontina di Gorizia, la Statale Stelio Crise di Trieste, la Statale di Macerata, la Baldini di Roma e le Nazionali di Potenza e Cosenza, e anche in parte la Nazionale di Bari [7].

Fino alla prima metà degli anni '90 tali biblioteche hanno costituito il punto di riferimento sia per studiosi e studenti che ancora non disponevano di efficienti biblioteche universitarie, sia per le altre biblioteche, che vedevano nella biblioteca di Stato, spesso capofila del principale polo SBN della Regione, il luogo cui indirizzarsi per avviare la progettazione dei propri servizi, apprendere le tecniche catalografiche, risolvere problemi legati alla gestione.

A tutt'oggi, pur contenendo sicuramente le maggiori concentrazioni di patrimonio bibliografico italiano, le biblioteche statali, dimenticate da molti anni le glorie di un tempo, sono purtroppo gravate da numerosi problemi che minano spesso l'efficacia dei servizi erogati e la progettualità di nuove iniziative. Essi sono rappresentati da urgenti necessità conservative delle sedi, per lo più monumentali, bisognose di massicci interventi alle strutture e agli impianti ormai obsoleti; dal personale sempre più esiguo, invecchiato, demotivato e poco avvezzo al cambiamento; da gravi carenze di spazio per la conservazione del patrimonio con l'obbligo di dover disporre di locali esterni alla struttura, spesso in locazione passiva, di gravosa gestione e manutenzione; dalla incapacità di suscitare appeal e di sapersi "mostrare" ad un pubblico medio, che spesso bolla tali biblioteche di farraginosità e complicanza nelle procedure d'accesso alle risorse; dalla contrazione sempre più massiccia dell'utenza a causa anche della disponibilità sempre più ampia dell'informazione in rete e della costante riduzione della ricerca umanistica; dalla concorrenza di altre biblioteche di ben più recente formazione, sovente fornite di personale e di risorse più adeguate, che permettono anche un aggiornamento più costante delle collezioni, spesso invece limitato nelle biblioteche ministeriali.

Tutte le biblioteche statali, pur così diversificate, sono regolate da un unico ed ormai datato regolamento, rappresentato da un decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r. 417/1995), che, elencando semplicemente gli istituti in ordine topografico per regioni di appartenenza, anziché favorire la definizione di compiti istituzionali specifici, le mortifica con una normativa forzatamente egualitaria, invitandole a fare la stessa cosa. Tutte infatti devono svolgere identici, ardui e spesso irrealizzabili scopi: raccogliere e conservare la produzione editoriale italiana a livello nazionale e locale; conservare, accrescere e valorizzare le proprie raccolte storiche; acquisire la produzione editoriale straniera in base alla specificità delle proprie raccolte e tenendo conto delle esigenze dell'utenza; documentare il posseduto, fornire informazioni bibliografiche e assicurare la circolazione dei documenti.

Ambiguo è pure il titolo che le accomuna, quello di "biblioteche pubbliche statali", che contribuisce ad accrescere la crisi d'identità. Il concetto di "biblioteca pubblica" male infatti si addice alla maggior parte delle biblioteche statali, se intendiamo "pubblica" nel senso biblioteconomico del termine, di biblioteca per tutti e per un pubblico generale interessato alle più varie tematiche e senza pretese specialistiche, e possiamo pensare che il legislatore lo abbia usato, impropriamente, per sottolineare il fatto che si tratti di istituti "aperti al pubblico".

Confusa è anche la tipologia di servizio che devono prestare, tra cui soprattutto la "circolazione dei documenti", che il regolamento ha previsto, al fine di venire incontro alle tematiche internazionali della piena disponibilità dei documenti. Quest'ultima però cozza con i compiti di conservazione della memoria editoriale del paese che molte istituzioni hanno, essendo spesso titolari, fin dalla loro fondazione, del deposito legale. È quindi indispensabile piuttosto puntare a garantire la tutela del materiale in questione, alla conservazione intatta dell'archivio documentario e quindi alla limitazione, se non all'esclusione, della circolazione dei materiali.

Sicuramente non aiutano gli indicatori statistici applicati alle biblioteche che mirano sostanzialmente a valutare il numero degli utenti, indipendentemente dalle opere consultate e dei libri presi in prestito, e che quindi incentivano operazioni quali l'apertura delle sedi anche ai lettori di libri propri, trasformandole in vere proprie aule studio, o l'attivazione di servizi internet e wireless gratuiti, non differenziandole da normali internet point, oppure l'indiscriminata messa a disposizione per il prestito di libri spesso di difficile reperimento altrove e, per tale ragioni, meritevoli della più ampia tutela.

D'altro canto mancano, o sono estremamente circoscritte, le iniziative di mostrare il posseduto, come invece erano ben presenti nei primi decenni del XX secolo, quando numerose biblioteche esponevano perennemente o a rotazione, in spazi appositamente dedicati o in teche disposte nei saloni aulici, i cimeli più rari e preziosi, cosa che del resto è consuetudine nelle principali biblioteche del mondo [8].

Tutto ciò contribuisce a rendere tali biblioteche poco attraenti, inintelligibili e quasi inesplorate, fatto cui si somma la sempre più ridotta attività di ricerca universitaria.

Una definizione dei compiti manca anche nell'ambito della politica delle collezioni, al fine di dettagliare quei ruoli e quelle funzioni che storicamente erano state assunte, portando alla costituzione di un vero e proprio sistema che individui per ogni biblioteca specificità conservative e aree tematiche di sviluppo bibliografico.

Su queste basi devono essere ripensati gli assetti centro/periferia e il mantenimento alle dipendenze del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo solo di quelle biblioteche che veramente rappresentano e testimoniano, per storia e per fondi, la cultura italiana e l'evoluzione istituzionale del Paese, dagli stati preunitari alla costituzione dell'identità nazionale.

Per tali istituti sarà altresì indispensabile definire il rapporto tra le biblioteche pubbliche statali con le biblioteche nazionali centrali e con l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU) e l'Istituto centrale dei beni sonori e audiovisivi (ICBSA), al fine di stabilire reciproche competenze e indispensabili raccordi.

2. Le biblioteche statali e le riforme dal 1998 al 2013

Le biblioteche pubbliche statali hanno subito, come gli altri istituti periferici, le numerose riforme organizzative del ministero, soprattutto quelle dell'ultimo quindicennio che hanno visto l'alternanza di politiche di decentramento a ritorni centralistici.

Nel 1998, con la nascita del ministero per i Beni e le Attività Culturali, che sostituiva, ampliandole, le competenze del ministero per i Beni culturali e Ambientali (d.lgs. 368/1998), vennero istituite le soprintendenze regionali che, rimaste inoperose per alcuni anni, vedevano la loro effettiva costituzione solo tra il 2000 e il 2001 attraverso i regolamenti di organizzazione del ministero (d.p.r. 441/2000; d.m. 11 maggio 2001). In tali provvedimenti si sottolineava il fatto che le soprintendenze regionali avrebbero avuto un ruolo di coordinamento delle attività degli istituti statali regionali, tra cui anche le biblioteche (cfr. l'art. 23 del d.p.r. 441/2000), che pur continuavano a dipendere gerarchicamente dalla Direzione generale dei beni librari, gli istituti culturali e il diritto d'autore.

La successiva riforma del 2004 (d.lgs. 3/2004, con i regolamenti d.p.r. 173/2004 e d.m. 24 settembre 2004), che vide la soppressione della figura del Segretario generale e la nascita di quattro Dipartimenti, tra cui il Dipartimento per i beni archivistici e librari, articolato a sua volta nella Direzione generale per gli archivi e nella Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali, ha fatto sì che le biblioteche statali, insieme agli archivi di Stato e alle soprintendenze archivistiche, non avessero più un coordinamento regionale da parte delle soprintendenze regionali, trasformate in Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici. Diventate queste ultime articolazioni del Dipartimento dei beni culturali e paesaggistici, pur arricchite nei loro compiti, persero competenze su archivi e biblioteche che pertanto dipendevano esclusivamente dalle rispettive direzioni generali.

La rivisitazione della struttura avvenuta alla fine del 2006, che ha istituito nuovamente il Segretariato generale, abolendo i Dipartimenti, ha mantenuto, all'interno dell'organigramma del Segretariato stesso, un'area organizzativa per archivi e biblioteche (l. 286/2006, art. 94), che ha nella sostanza riconfermato la situazione pregressa, riconoscendo quindi ad essi caratteristiche distinte e separate dagli altri beni culturali e paesaggistici.

La riforma Rutelli (d.p.r. 233/2007), pur dopo ampie incertezze che avevano anche fatto ventilare l'ipotesi di accorpamento delle Direzioni generali delle biblioteche e degli archivi, ha sancito che le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici assumessero competenze su tutti gli istituti periferici regionali del ministero che diventarono funzionalmente dipendenti da esse.

Alla Direzione generale per i beni librari, gli istituti culturali ed il diritto d'autore (poi diventata, con il d.p.r. 91/2009, Direzione generale delle biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d'autore), afferivano soltanto più le biblioteche nazionali centrali, ma è pure vero che le altre biblioteche statali, quasi come un Giano bifronte, continuavano a rapportarsi con essa, vuoi per abitudine, vuoi anche per affinità storica, e anche perché garantiva i fondi di funzionamento delle biblioteche stesse, lasciando alle direzioni regionali solo i capitoli relativi ai lavori pubblici, per i quali svolgevano generalmente il ruolo di stazioni appaltanti.

3. Le biblioteche statali e la riforma Franceschini

La riforma attuata dal ministro Franceschini (d.p.c.m. 171/2014 e d.m. 27 novembre 2014) ha riportato correttamente le biblioteche statali (d.p.c.m. 171/2014, art. 38) sotto la dipendenza funzionale della direzione generale specifica, che ha mutato il nome in Direzione generale biblioteche e istituti culturali (d.p.c.m. 171/2014, art. 22), ma non ne ha per ora toccato l'organizzazione, limitandosi ad indicare che le biblioteche provvedono all'acquisto di beni e servizi in economia ed effettuano interventi conservativi sul patrimonio mobile e immobile in consegna fino a 100.000 euro, lasciando la gestione di importi superiori ai segretariati regionali.

Molte di esse però, in linea con i principi dello spending review, sono state derubricate, perdendo la sede di dirigenza, anche a seguito della ridefinizione degli organici del ministero (d.m. 6 agosto 2015), e affidandone la direzione a funzionari. Alcune di queste, poi, sono state accorpate alle strutture museali con le quali condividono l'edificio, in un'ottica di sinergia e di coordinamento di servizi comuni. Ai sensi del d.m. 23 dicembre 2014, art. 20 esse mantengono la propria autonomia tecnico-scientifica e la dipendenza dalla Direzione generale biblioteche e istituti culturali che, su proposta del direttore del Museo competente, nomina il direttore della biblioteca statale. Quest'ultimo però ha perso il ruolo di funzionario delegato.

Ci si riferisce in particolare alle seguenti istituzioni: Biblioteca nazionale Braidense di Milano, accorpata alla Pinacoteca di Brera, Biblioteca statale Stelio Crise di Trieste, Biblioteca statale di Lucca, Biblioteca Estense Universitaria di Modena, Biblioteca Palatina di Parma (ora accorpata con la Galleria nazionale e il Museo archeologico all'interno del Complesso della Pilotta), Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma, Biblioteca universitaria Alessandrina di Roma, Biblioteca di archeologia e storia dell'arte di Roma (accorpata a Palazzo Venezia inserito nel Polo museale del Lazio), Biblioteca Vallicelliana di Roma, Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi di Bari.

Rimangono sedi dirigenziali solo sei biblioteche, le due Nazionali centrali di Roma e Firenze, la Nazionale universitaria di Torino, l'Universitaria di Genova, la Nazionale Marciana di Venezia, la Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli [9].

Si fa presente inoltre che alcuni monumenti nazionali, ricomprendendo, pur senza citarla, la biblioteca, sono stati inseriti nei rispettivi poli museali; in particolare le Abbazie di Casamari, Grottaferrata, Montecassino, Subiaco e la Certosa di Trisulti sono state aggregati al Polo museale del Lazio, mentre il Monumento nazionale dei Gerolamini di Napoli è stato incluso nel Polo regionale della Campania. Risultano invece ancora da definire le posizioni dell'Abbazia di Santa Giustina di Padova, della Badia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, dell'Abbazia del Santuario di Montevergine che non sono citate nei d.m. di organizzazione [10].

Inoltre, a seguito del d.l. 78/2015 convertito con modifiche in legge 125/2015, art. 16, comma 1-sexies, che ha riportato allo Stato la tutela bibliografica, mettendo fine a quell'anomalo intervento legislativo secondo il quale, a differenza di quella su tutti gli altri beni culturali, era inclusa nelle competenze delle Regioni [11], con d.m. 23 gennaio 2016, art. 5, sono state create in tutte le Regioni, ad eccezione di quelle a statuto speciale, le soprintendenze archivistiche e bibliografiche che, pur essendo emanazioni della Direzione generale degli archivi, rispondono funzionalmente per le competenze sui beni librari alla Direzione generale biblioteche e istituti culturali.

Le biblioteche statali prestano collaborazione a queste ultime in quanto esse possono avvalersi per le loro funzioni di bibliotecari delle biblioteche pubbliche statali; a tal proposito è stata prevista un'area funzionale denominata "patrimonio bibliografico". Si è ripreso quindi in un certo senso, forse inconsciamente, il r.d. 363/1913 che assegnava alle biblioteche statali, dette allora governative, e ai loro bibliotecari i compiti di vigilanza sui materiali librari [12].

4. Un nuovo modello organizzativo: i poli bibliotecari

Il d.p.c.m. 171/2014 ha indicato, tra l'altro, tra i compiti della Direzione generale biblioteche e istituti culturali (art. 22, punto b), anche la seguente funzione: "provvede alla razionalizzazione degli immobili e degli spazi destinati alle biblioteche, al fine del miglioramento dell'efficienza e del contenimento della spesa, stipulando a tal fine convenzioni con l'Agenzia del demanio, le Regioni e gli enti locali e promuovendo la costituzione di poli bibliotecari per il coordinamento dell'attività degli istituti che svolgono funzioni analoghe nell'ambito dello stesso territorio".

L'idea di costituire poli bibliotecari era già stata evidenziata nei documenti di presentazione della riforma, resi disponibili sul sito internet ministeriale e diffusi a mezzo stampa.

In essi si diceva infatti che: "l'amministrazione delle biblioteche è razionalizzata, da un lato, mantenendo l'autonomia scientifica degli istituti indipendente dalla loro natura dirigenziale; dall'altro, prevedendo che sia la Biblioteca nazionale centrale di Roma, sia la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, uffici dirigenziali di II fascia, svolgano anche le funzioni di poli bibliotecari comprendenti le biblioteche operanti nel territorio comunale, ferma restando la vigilanza della Direzione generale centrale biblioteche e istituti culturali".

Ancora nel d.m. del 27 novembre 2014, tra i diversi compiti del Servizio I, cui fanno capo le biblioteche e gli istituti culturali, della omonima Direzione generale, si indica: "Promozione della costituzione di poli bibliotecari".

Sembra quindi evidente che la riforma abbia previsto, ma non l'abbia resa obbligatoria, come invece è avvenuto per i poli museali che sono stati formalmente istituiti e che raggruppano tutti i musei non dirigenziali della Regione di riferimento, la creazione di poli bibliotecari, senza però specificare se trattasi di poli cittadini o regionali.

Si sono citati in particolare i casi di Roma e Firenze, dove si trovano le due Biblioteche nazionali centrali e si concentra il maggior numero di istituti bibliotecari non dirigenziali, precisamente, per Roma: Biblioteca universitaria Alessandrina, Biblioteca Angelica, Biblioteca Casanatense, Biblioteca Vallicelliana, Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Biblioteca medica statale, Biblioteca Antonio Baldini; per Firenze: Biblioteca Marucelliana, Biblioteca Medicea Laurenziana, Biblioteca Riccardiana.

A tutt'oggi però non sono giunte proposte organizzative in tal senso e non è stato istituito alcun polo bibliotecario.

Il concetto di "polo" è in realtà già radicato nella cultura bibliotecaria, storicamente avvezza allo sviluppo della cooperazione tra biblioteche nell'ambito di determinati servizi.

All'interno dell'architettura del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), la rete delle biblioteche italiane promossa dal ministero dei beni culturali con la cooperazione delle Regioni e dell'Università, coordinata dall'ICCU, le biblioteche partecipanti sono raggruppate in poli locali costituiti da un insieme più o meno numeroso di biblioteche. I poli sono a loro volta collegati al sistema Indice SBN, nodo centrale della rete, che contiene il catalogo collettivo delle pubblicazioni acquisite dalle biblioteche aderenti a SBN, implementato attraverso la catalogazione partecipata.

Esistono poli bibliotecari anche nell'organizzazione delle biblioteche dell'Università. Essi sono costituiti dall'aggregazione di biblioteche e di fondi librari secondo criteri di affinità disciplinare ed esigenze logistiche, hanno funzione di coordinarne gli sviluppi, le attività, i servizi e le acquisizioni. È istituito generalmente un coordinamento delle biblioteche del polo cui le singole biblioteche devono riferirsi.

Anche nell'ambito delle biblioteche pubbliche di enti locali si è più volte parlato di poli, detti anche "sistemi bibliotecari", che costituiscono lo strumento attraverso il quale i Comuni attuano la cooperazione bibliotecaria nell'ambito della catalogazione, degli acquisti bibliografici e della gestione di certi servizi, tra cui il prestito interbibliotecario. Prevedono la partecipazione di tutte le biblioteche, pubbliche o private, operanti sul territorio, ma sono generalmente costituite da biblioteche di Comuni. Le istituzioni che intendono associarsi adottano una convenzione che norma il funzionamento del sistema, individuano la forma istituzionale (associazione di comuni, consorzio, fondazione, ecc.), il Comune capofila (detto comune centro sistema), la quota pro capite di partecipazione, gli organi di gestione e le strutture esecutive. I finanziamenti regionali sono erogati direttamente al capofila del sistema che, nell'ambito di una struttura di coordinamento, provvede alla risuddivisione degli stessi alle biblioteche associate sulla base di una politica comune e di una condivisione delle esigenze.

Infine l'idea di polo era già presente nel precedente regolamento delle biblioteche pubbliche statali (d.p.r. 1501/1967), nel quale, all'art. 11 (cassato poi dal successivo d.p.r. 417/1995), si recitava che: "Nelle città dove sono più biblioteche pubbliche statali i loro direttori si riuniscono in comitato, presieduto e convocato almeno ogni sei mesi dal direttore di qualifica più elevata o di maggiore anzianità nella qualifica, per deliberare sulle questioni di interesse comune attinenti al coordinamento degli acquisti del materiale librario, nonché dei lavori catalografici e bibliografici, dei servizi, orari, periodi di chiusura delle biblioteche. Nelle città sedi di soprintendenze bibliografiche, il sovraintendente fa parte del comitato. Il comitato, ovvero, dove esso non esista, i singoli direttori delle biblioteche pubbliche statali, avranno cura di promuovere, anche con altre biblioteche pubbliche non statali della medesima città, opportuni accordi diretti ad assicurare il migliore coordinamento delle attività degli istituti".

5. Per l'istituzione di un polo delle biblioteche statali di Roma

Sulla base delle possibilità normative, si è provato a ragionare sui vantaggi dell'istituzione di un polo bibliotecario per le biblioteche di Roma, sotto la direzione della Biblioteca nazionale centrale.

Sicuramente la nascita di un polo permette di mettere a sistema istituti fino ad oggi privi di un coordinamento, che sono accomunati da storie e materiali analoghi. Basti citare il fatto che, ai sensi del Regolamento organico delle biblioteche governative del 1876, dalla Biblioteca nazionale centrale dipendevano amministrativamente le biblioteche Casanatense e Angelica (r.d. 2974/1876, art. 8), mentre la Vallicelliana doveva essere inglobata nella Nazionale [13], e numerosi furono i progetti, mai conclusi, di fonderle insieme [14], considerando anche la comunanza dei fondi storici degli istituti, legati tutti alle biblioteche degli antichi ordini monastici romani. Si fa anche presente che la Biblioteca di storia moderna e contemporanea è nata dai fondi risorgimentali della Biblioteca nazionale centrale [15].

Il modello organizzativo che si propone, in analogia con i poli museali, prevede l'affidamento della competenza di funzionario delegato al direttore della Biblioteca nazionale centrale. Deve essere pertanto creato un bilancio unico e i direttori delle altre biblioteche, dotati di posizione organizzativa, ma senza autonomia di spesa, proporranno al direttore della Biblioteca nazionale, all'interno di un consiglio di coordinamento, gli interventi che intendono realizzare e per i quali potranno svolgere il ruolo di responsabili del procedimento. Tutto ciò permetterà di semplificare le procedure e ottimizzare i costi di funzionamento, attraverso la stipula di contratti omogenei e uniformi e con prezzi calmierati.

Il polo permetterà inoltre la condivisione di alcune figure professionali specifiche presenti nei vari istituti o del tutto assenti in altri, quali tecnici (architetti, assistenti tecnici, informatici) e amministrativi, che potrebbero operare trasversalmente per più luoghi ed essere formati su precise tematiche.

Consentirà poi la fruizione del patrimonio in maniera integrata e condivisa, a cominciare dall'uniformazione dei regolamenti degli istituti e la redazione di un'unica carta dei servizi, portando ad una razionalizzazione delle relative procedure, quali l'età per accedervi che risulta differente, oscillando tra i 16 e i 18 anni e gli orari di apertura, spesso anche illogici (come la chiusura difforme dei pomeriggi), dovuti essenzialmente a esigenze delle turnazioni del personale, che spesso non paiono tenere in considerazione quelle dell'utenza.

Risulta anche fondamentale la centralizzazione di certi servizi, quali quello della fotoriproduzione. La maggior parte delle biblioteche non dispone infatti di strumentazioni tecnologiche adeguate, tanto che già in passato era stata indetta una gara integrata relativa ai servizi aggiuntivi (tra cui la riproduzione) di tutte le biblioteche romane, ai sensi dell'ex Legge Ronchey [16].

La razionalizzazione dovrà toccare anche l'attività di valorizzazione e di comunicazione. Manca assolutamente una politica culturale comune che individui, anche annualmente, tematiche e percorsi da seguire, anche sulla base di eventuali ricorrenze e anniversari, manifestazioni specifiche, linee di indirizzo, giornate di valorizzazione già calendarizzate dal ministero o da direttive europee o altro. Spesso capita che le biblioteche organizzino eventi in coincidenza che rischiano di parcellizzare il già esiguo pubblico e disperdono energie. Dovrà pertanto essere creato un sito internet del polo che consenta l'aggregazione delle iniziative in questione, offrendo agli studiosi e appassionati una sorta di mappa dell'offerta culturale legata al libro a Roma; preveda anche la realizzazione di una newletter unica con l'integrazione delle banche dati degli inviti e la creazione di una grafica uniforme degli strumenti comunicativi; porti ad un restyling di tutti i siti delle biblioteche, che devono tendere quanto più all'uniformità per evitare il disorientamento dell'utenza. La stessa uniformità dovrà essere garantita anche in tutti gli altri strumenti comunicativi quali dépliant, manifesti, locandine, brochures e per eventuali pubblicazioni digitali.

L'istituzione del polo dovrà razionalizzazione i sistemi informatici in uso, con l'estensione del software della Biblioteca nazionale centrale denominato Ermes, già tra l'altro utilizzato in versione light dalla Baldini, da Storia moderna e contemporanea e dalla Medica, che permette all'utenza, attraverso una tessera personale, l'informatizzazione di tutte le procedure di accesso al materiale bibliografico e informazione in tempo reale sullo stato delle richieste, consentendo la dematerializzazione di tutta la modulistica.

La razionalizzazione avverrà anche attraverso la creazione di un solo polo SBN delle biblioteche statali, attualmente divise in ben tre poli con ovvie moltiplicazioni di costi, o perlomeno di un OPAC integrato che permetta un'interrogazione unica su tutto il patrimonio delle biblioteche in questione.

Altra azione di razionalizzazione riguarderà gli acquisti bibliografici; dovrà infatti essere previsto un coordinamento della loro politica che eviti sovrapposizioni, partendo dalla considerazione che la Biblioteca nazionale centrale riceve in virtù della legge del deposito legale copia di tutte le pubblicazioni italiane, e dalla necessità di gestire in consorzio abbonamenti a risorse elettroniche e banche dati, ottenendone agevolazioni economiche.

L'istituzione del polo porterebbe anche vantaggi ai progetti editoriali delle biblioteche, ora lasciati all'estemporaneità e all'occasionalità, con l'utilizzo della tipografia interna della Biblioteca nazionale centrale, con la realizzazione di una linea grafica unica e con la trasformazione della rivista della Biblioteca nazionale nel periodico scientifico di tutte le biblioteche.

Le biblioteche del polo potranno fare sistema nelle campagne di fundraising [17], gestendo in maniera integrata l'offerta di spazi che possono essere messi a disposizione in concessione. Il pacchetto che si deve proporre dovrà essere costituito da un ventaglio di possibilità, dalla grande sala con salette annesse della Biblioteca nazionale centrale, adatte a meeting, congressi e presentazioni di prodotti, ai saloni storici delle biblioteche Angelica, Casanatense e Vallicelliana per cerimonie di premiazione, eventi più ristretti, cene aziendali. Infine l'attività di fundraising potrebbe essere ottimizzata anche attraverso la creazione di un'unica Associazione degli amici delle biblioteche, con lo scopo di catalizzare le risorse per tutte le istituzioni.

Il polo bibliotecario dovrà anche essere sede del Museo nazionale del libro, ancora assente in Italia, riprendendo l'antica vocazione museale delle biblioteche statali. Esso potrà essere un museo diffuso suddiviso tra le varie sedi che punti alla valorizzazione sia delle collezioni delle biblioteche, sia dei luoghi in cui i materiali bibliografici sono conservati, e presenti il libro nel suo contesto evolutivo storico, dai codici medievali fino all'e-book, in un percorso che troverebbe la sua naturale conclusione in Spazi900, il primo museo della letteratura contemporanea italiana, già aperto presso la Biblioteca nazionale centrale nel 2015.

6. Un percorso possibile: la creazione della Biblioteca nazionale d'Italia e il ripensamento del sistema delle biblioteche statali

L'auspicabile istituzione del polo delle biblioteche romane porta inoltre inevitabilmente a proporre che il nuovo soggetto venga identificato con la mai nata Biblioteca nazionale d'Italia [18].

Il fulcro nella Biblioteca nazionale centrale di Roma non deve stupire: essa è la più grande biblioteca del Paese per quantità del patrimonio ed è nata nel 1876 con questo scopo senza mai avere la possibilità di realizzarlo e con lo stesso fine si è trasferita nella nuova sede al Castro Pretorio nel 1975. Venne addirittura dotata, unica tra le biblioteche, di una legge speciale (l. 190/1975) che ne regolò l'organizzazione e l'autonomia, ha la struttura architettonica degna di un istituto di rilevanza nazionale, di ben 80.000 mq con la possibilità di rilevanti ampliamenti che permettono di garantire la conservazione del deposito legale italiano, è dotata di servizi aggiuntivi e spazi espositivi unici rispetto alle restanti realtà italiane. Inoltre essa da decenni ha sviluppato una sua vocazione verso la circolazione dei documenti e la fruizione delle informazioni correnti, ha coordinato numerosi progetti nazionali che hanno anche visto il coinvolgimento di numerose biblioteche, tra cui in ultimo il progetto di digitalizzazione in partenariato con Google, e partecipa costantemente all'attività di organismi internazionali e a progetti europei. La recente individuazione del filone del '900 con l'obiettivo di sviluppare e valorizzare le raccolte ne fa veramente la biblioteca dell'Italia unita e sicuramente la cristallizza come la biblioteca della contemporaneità.

Il modello che si propone è lo stesso della Bibliothèque Nationale de France, che è la biblioteca del paese e ha alle dipendenze altre biblioteche storiche parigine (la Bibliothèque de l'Arsenal, la Bibliothèque-Musée de l'Opéra e anche la Maison Jean-Vilar ad Avignone).

La creazione della Biblioteca nazionale d'Italia deve costituire pure l'occasione per ripensare l'architettura di tutto il sistema delle biblioteche statali che deve essere inteso non come un insieme di istituzioni a sé stanti, monadi assolute, avulse dal contesto generale e polimorfico delle biblioteche tout-court, ma deve essere inserito, nella logica della cooperazione, all'interno di un panorama più vasto che tocca istituzioni di enti locali, università e istituzioni religiose e private.

Se il modello di polo può, pur in misura più ridotta estendersi a Firenze, ricomprendendo le biblioteche storiche (Marucelliana, Mediceo Laurenziana, Riccardiana) sotto il coordinamento della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, più difficile appare la sua applicazione ad altre realtà periferiche.

Vediamo innanzitutto la mappa attuale delle biblioteche statali diffuse sul territorio non annesse a musei e non inseribili in poli: Piemonte (Biblioteca nazionale universitaria di Torino, dotata di dirigenza), Liguria (Biblioteca uiversitaria di Genova, anch'essa sede dirigenziale, ma forse non così necessaria), Lombardia (Biblioteca universitaria di Pavia e Biblioteca statale di Cremona), Veneto (Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, sede dirigenziale, e Biblioteca universitaria di Padova), Friuli Venezia Giulia (Biblioteca statale Isontina di Gorizia e Biblioteca statale S. Crise di Trieste), Toscana (Biblioteca statale di Lucca, Biblioteca universitaria di Pisa), Marche (Biblioteca statale di Macerata), Campania (Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, sede dirigenziale, e Biblioteca universitaria di Napoli), Basilicata (Biblioteca nazionale di Potenza), Puglia (Biblioteca nazionale di Bari), Calabria (Biblioteca nazionale di Cosenza), Sardegna (Biblioteca universitaria di Cagliari e Biblioteca universitaria di Sassari).

Alcune ipotesi riorganizzative possono essere fatte. Una di queste potrebbe essere quella di istituire, in analogia con i nuovi compiti delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche, poli archivistici e bibliografici, in particolare nelle Regioni con la presenza di biblioteche statali non annesse ad istituzioni museali o senza una biblioteca sede di dirigenza, secondo una modalità di accorpamento da verificare caso per caso.

Più efficace potrebbe essere un discorso diverso che preveda lo sfoltimento del numero delle biblioteche stesse attraverso il trasferimento di molte di queste ad altre istituzioni.

Ci si riferisce in particolare alle biblioteche universitarie che potrebbero essere assegnate alle originarie università da cui dipendevano, considerando che la loro storia è strettamente interconnessa con la storia stessa dell'Università. Ci si riferisce in particolare alle biblioteche di Genova, Pavia, Padova, Pisa, Napoli, Cagliari e Sassari. Ad esse si potrebbe aggiungere pure l'Alessandrina, qualora non venisse inserita nel polo delle biblioteche di Roma. In tal caso si dovranno analizzare le ragioni della scarsissima applicazione del d.lgs. 112/98 (limitata, come si è detto, solo al caso di Bologna, ma che aveva a suo tempo suscitato interessamento da parte di altre Università) che a nostro avviso si riducono ai costi troppo elevati, soprattutto quelli del personale, all'epoca insostenibili da parte delle Università, e allo stato di manutenzione per nulla ottimale di alcune biblioteche, stato che, in più casi, negli anni è stato migliorato o è in corso di miglioramento (come per Genova, Pisa, Napoli, Sassari).

Altre biblioteche già di per sé legate alla città dove si trovano per i servizi che offrono anche di pubblica lettura, come si è detto, potrebbero essere trasferite ai rispettivi Comuni anche attraverso accordi con le Regioni. Ci si riferisce a quelle di Cremona (che già ospita e gestisce la biblioteca civica), Gorizia (dove manca una biblioteca civica), Trieste, Lucca, Macerata, Potenza (anch'essa sprovvista di biblioteca comunale), Bari e Cosenza.

Quello che rimarrebbe attraverso queste operazioni sarebbe un quadro che valorizzerebbe in effetti le grandi biblioteche italiane, già biblioteche degli stati preunitari, quali la Nazionale di Torino, la Nazionale Marciana, la Nazionale di Napoli e anche, pur inserita nel complesso della Pinacoteca di Brera, la Nazionale Braidense di Milano.

Come la Bibliothèque Nationale de France coordina l'attività di altri istituti sul territorio nazionale che assumono il ruolo di pôles associés, specializzati nell'acquisizione bibliografica in determinati ambiti disciplinari, la Biblioteca nazionale d'Italia dovrà essere investita del ruolo di coordinamento bibliografico delle più importanti biblioteche statali. In tale ottica, anche tenendo in considerazione l'organizzazione attuata in Germania al momento dell'unificazione del paese con la creazione di un'unica biblioteca nazionale, la Deutsche Nationalbibliothek con più sedi a Lipsia, Francoforte e Berlino, si definirebbero i rapporti con le altre biblioteche, in primis la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, alle quali sarà chiesto di conservare e valorizzare la documentazione storica posseduta; di condividere con la costituenda Biblioteca nazionale d'Italia il compito di raccogliere la produzione editoriale nazionale, essendo titolari del deposito legale a livello territoriale; di acquisire la produzione editoriale straniera, specializzandosi in determinate discipline; di partecipare ai progetti di catalogazione e digitalizzazione della Biblioteca nazionale secondo una politica coordinata; di costituirsi luoghi di formazione permanente, centri di ricerca e di diffusione delle informazioni, nonché di promozione della lettura.

In tale organizzazione dovrebbe collocarsi anche l'ICCU, al fine di rilanciare effettivamente il Servizio Bibliotecario Nazionale che deve diventare non solo una semplice informatizzazione di dati, ma il vero sistema per fornire servizi innovativi per l'educazione e per l'accesso all'informazione e al sapere, e per documentare l'archivio editoriale del paese, attraverso la Bibliografia nazionale italiana che occorre trasformare in un progetto cooperativo, non solo più di pertinenza della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, cui potrebbero anche collaborare gli editori.

In quest'architettura istituzionale si inseriranno pure l'ICBSA, i cui compiti hanno dimensione nazionale, che deve necessariamente raccordarsi con l'istituto bibliografico più importante d'Italia, anzi costituirne una costola, come del resto succede in tutti gli altri Paesi per organismi analoghi (ne è un esempio il Deutsches Musikarchiv, già costituitosi a Berlino e trasferitosi con la creazione della Biblioteca nazionale tedesca a Lipsia), e il Centro del libro e della lettura (CEPELL) che potrà condividere con la Biblioteca la promozione del Piano nazionale della lettura.

 

Note

[1] M. Tosti Croce, L'amministrazione delle biblioteche dall'Unità al 1975, in Archivi di biblioteche. Per la storia delle biblioteche pubbliche statali, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2002, pagg. XLII-XCIII. Sulla situazione internazionale: G. Vitiello, Alessandrie d'Europa. Storie e visioni di biblioteche nazionali, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002.

[2] A. Serra, L'altro decentramento: il trasferimento della Biblioteca universitaria di Bologna, in Aedon, 2000, 3.

[3] A. De Pasquale, Le biblioteche statali non centrali alla ricerca d'identità, in Dalle "cose di interesse" ai "beni culturali". Ricerche e dibattiti negli uffici MiBAC dell'Emilia Romagna, (a cura di) P. Farinelli e P. Monari, Argelato (BO), Minerva Edizioni, 2011, pagg. 133-138; Id., Le biblioteche statali non centrali alla ricerca di identità, in AIB Studi, 52 (2), 2012, pagg. 121-123 (introduzione alla sezione del numero della rivista dedicata alla biblioteche statali, curata da chi scrive); Id., Le quattro grandi biblioteche nazionali non centrali: problemi e prospettive, ibid., pagg. 173-183.

[4] M. C. Di Martino, Le biblioteche statali universitarie, in AIB Studi, 52 (2), 2012, pagg. 185-196.

[5] Il patrimonio degli edifici e delle biblioteche è statale ai sensi dell'art. 24 del r.d. 3036/1866. Il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo stipula convenzioni biennali con le istituzioni ecclesiastiche consegnatarie per garantire il funzionamento della struttura. Presso le biblioteche presta servizio personale alle dipendenze del conservatore che stipula contratti finanziati ai sensi dell'art. 1 della L. 320/1993; la stessa norma prevede che personale del ministero possa essere distaccato presso le stesse. Solo la Biblioteca dei Girolamini (ora Biblioteca Statale Oratoriana dei Girolamini), a seguito dei noti gravissimi fatti dolosi, è ora in consegna al ministero, ai sensi della convenzione del 18 ottobre 2013 con l'Ordine della Confederazione dell'Oratorio di San Filippo Neri. Cfr. L. Marziano, Le Biblioteche annesse ai Monumenti nazionali, in Accademie e biblioteche d'Italia, 69 (3-4), 2001, pagg. 5-44.

[6] S. Buttò, Storie di autonomia "speciale": le biblioteche specializzate del ministero per i beni e le attività culturali, in AIB Studi, 52 (2), 2012, pagg. 151-172.

[7] G. Arganese, Biblioteche e città: la funzione "civica" delle biblioteche del MiBAC, in AIB Studi, 52 (2), 2012, pagg. 127-150.

[8] A. De Pasquale, Musées dans les bibliotheques. Le cas des bibliothèques d'État en Italie, XIXe-XXe siècle, in Histoire et civilisation du livre. Revue internationale, X, 2014, pagg. 229-253; Id., I musei nelle biblioteche: una politica culturale antica e nuova, in Accademie e Biblioteche d'Italia, a. X/1-4., n.s, 2015, pagg. 13-36.

[9] Nell'ambito della graduazione delle posizioni dirigenziali di II fascia, alle Biblioteche nazionali centrali è stata attribuita la prima posizione, mentre alle altre biblioteche la terza posizione. Perplessità sulla riforma sono state avanzate da L. Bellingeri, Una riforma, cento riforme. Le biblioteche italiane nello tsunami del cambiamento continuo, in Rapporto sulle biblioteche italiane 2013-2014, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2105, pagg. 56-59.

[10] Si segnala che l'abbazia di S. Maria di Farfa e l'Abbazia di Praglia a Teolo sono di proprietà del Fondo edifici di Culto, anche se vi è annessa una biblioteca pubblica statale.

[11] Come è noto solo con il d.p.r. 3/1972 e con il d.p.r. 626/1977 veniva sancito il trasferimento della tutela dei beni librari alle Regioni, considerandola attività residuale rispetto alle competenze in materia di gestione delle biblioteche non statali, fatto ancora ribadito dal Codice dei beni culturali (d.lgs. 42/2004, art. 5). Cfr. G. Solimine, La politica dell'Amministrazione centrale per le biblioteche pubbliche: le soprintendenze bibliografiche e la presenza sul territorio, in Tra passato e futuro. Le biblioteche pubbliche statali dall'Unità d'Italia al 2000, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello Stato, 2004, pagg. 153-170.

[12] Successivamente tali compiti diventarono di competenza delle Soprintendenze bibliografiche istituite in numero di 12 con il d.l. 2074/1919, poi aumentate a 15 nel 1935, e denominate Soprintendenze ai beni librari nel 1970. Esse comunque avevano mantenuto il legame con le biblioteche statali, visto che gli uffici erano collocati presso le biblioteche governative in nove regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna), anche se talvolta l'ufficio di Soprintendenza aveva sede in una regione diversa da quella su cui esercitava la propria competenza. Cfr. F. Cristiano, Dal centro alla periferia: le soprintendenze bibliografiche, in Archivi di biblioteche, cit., XCV-CXVII.

[13] A. A. Cavarra, Domenico Gnoli e le tre più importanti biblioteche storiche della Capitale: Casanatense, Angelica, Vallicelliana in Al regno di Romolo succede il regno di Numa. Domenico Gnoli direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma, (a cura di) A. De Pasquale, Roma, Biblioteca nazionale centrale, in corso di stampa.

[14] A. De Pasquale, La grande biblioteca d'Italia al Castro Pretorio, in La Grande biblioteca d'Italia. Bibliotecari, architetti, artisti all'opera (1975-2015), (a cura di) A. De Pasquale, Roma, Biblioteca nazionale centrale, 2015, spec. pagg. 11-20.

[15] Le origini della Biblioteca risalgono all'approvazione da parte della Camera della proposta di Pasquale Villari del giugno 1880 di creare una collezione di libri, opuscoli e documenti relativi al Risorgimento all'interno della Biblioteca nazionale centrale. Tale raccolta venne poi affidata al Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, creato nel 1906, ma il materiale per r.d. 730/1906 rimase in consegna al direttore della Biblioteca Nazionale. Solo nel 1917 con d.l. 336/1917 la sezione Risorgimento prese il nome di Biblioteca centrale del Risorgimento e ebbe proprio conservatore, ma il trasferimento della raccolta dalla Biblioteca Nazionale avvenne solo nel 1921. Cfr. R. De Longis, Un lungo e fortunoso periodo: il Risorgimento nelle fonti raccolte da Domenico Gnoli, in Al regno di Romolo succede il regno di Numa, cit.

[16] A. De Pasquale, Gli appalti di servizi in concessione nelle biblioteche statali, in Biblioteche oggi, XXII/3, 2004, pagg. 56-58.

[17] A. De Pasquale, Esperienze di fund-raising alla Biblioteca Palatina di Parma, in Bollettino AIB, 50/3, 2010, pagg. 239-246 (trad. Fund raising. Les expériences de la Bibliothèque Palatine de Parme, in Bibliothèque(s). Revue de l'Association des bibliothécaires de France, 65-66, 2012, pagg. 26-31; Id., Le risorse: fare biblioteca in tempo di crisi. Fund raising, outsourcing, in Le questioni della Biblioteconomia, (a cura di) G. Solimine e P. G. Weston, Roma, Carocci, 2015, pagg. 137-151.

[18] Essa potrebbe quindi affiancarsi ai più grandi musei di rilevanza nazionale e essere dotata di posizione dirigenziale generale, cosa che del resto era già prevista ai sensi degli art. 7-8 del d.lgs. 368/1998 e l'art. 15 del d.p.r. 233/2007, abrogati dal d.p.c.m. 171/2014 che l'ha equiparata ad ogni altro istituto dirigenziale di II fascia di prima posizione organizzativa.

 

 



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