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Beni comuni e patti di collaborazione

I patti di collaborazione: (doppia) cornice giuridica

di Giorgio Calderoni

Sommario: 1. Un approccio "freddo": verificare, caso per caso, la possibilità di una doppia cornice normativa. - 2. Un'opportunità imminente: il nuovo Codice appalti approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo e che entrerà in vigore entro il 18 aprile 2016. - 3. Un'opportunità vigente: l'art. 11 legge 241/1990. - 4. Convenzioni ex art. 1 comma 1-bis legge 241/1990 con soggetti strutturati. - 5. Convenzioni ai sensi della legge 266/1991. - 6. Conclusioni: uno strumentario "aggiuntivo" (cornice doppia) e il patto di collaborazione come istituto di collegamento e chiusura.

Collaboration Agreements: (Double) Legal Framework
The Author delineates the legal framework of the collaboration agreements introduced by the recent regulation of the City of Bolognas for reinforcing their effect towards third parties ("external function"), but also in "internal function" when local administration interacts with strong subjects.

Keywords: Collaboration Agreements; Public Private Partnership; Administrative Agreements.

1. Un approccio "freddo": verificare, caso per caso, la possibilità di una doppia cornice normativa

Da un punto di vista tutto interno alla dimensione strettamente giuridica le problematicità che i "patti di collaborazione" presentano sono ben note ai loro stessi ideatori: nella sua introduzione di dicembre 2015 al Rapporto Labsus 2015, il Prof. Gregorio Arena riconosce che "dal punto di vista strettamente tecnico-giuridico potrebbe sembrare azzardata la scelta, in assenza di leggi in materia, di dare attuazione con un regolamento comunale ad un principio costituzionale" (quello di sussidiarietà ex art. 118, Cost., u.c.).

E in effetti dalla norma costituzionale al regolamento comunale c'è un bel salto da fare senza paracadute.

Il mio tentativo è di offrire allora qualche possibile "paracadute normativo": più d'uno, perché proprio Donato Di Memmo [1] ci ha ricordato l'esigenza di "confezione sartoriale" che sta alla base dei singoli patti di collaborazione sinora stipulati (ben 186) e perché - da una sommaria idea che mi sono fatto leggendone alcuni - il loro spettro è, invero, assai ampio, variando il perimetro:

• dalla cura del verde, sotto forma di "sussidiarietà manutentiva" offerta da cittadini singoli o associati;

• all'accordo con soggetti strutturati come la Fondazione del Monte che oggi ci ospita;

• alla sperimentazione di soluzioni viabilistiche meno impattanti legate al ciclo produttivo di un'azienda;

• alla deroga all'ordinanza sindacale in materia di orari degli esercizi commerciali (caso di via Petroni).

Per essere più chiaro, con riferimento alla funzione di cornice normativa svolta dal Regolamento comunale sulla collaborazione cittadini/amministrazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani, io proporrei di inserire il singolo patto non solo in tale cornice normativa, ma in un'ulteriore cornice giuridica di supporto, utilizzando - anche con qualche inevitabile forzatura - lo strumentario offerto dall'ordinamento positivo: e ciò al fine di sostenere il singolo patto con una doppia cornice normativa, una con una valenza prevalentemente interna e una con una valenza prevalentemente esterna.

Ritengo, infatti, che se il Regolamento è normalmente sufficiente a fornire copertura giuridica ai rapporti interni tra i contraenti del patto, non altrettanto efficace esso si dimostra per quanto i riguarda i soggetti esterni al patto, i terzi che potrebbero avere di che obiettare quanto al contenuto del patto, come dimostra proprio la vicenda dell'ordinanza sindacale sugli orari degli esercizi di somministrazione alimenti e bevande, degli esercizi di vicinato alimentari e dei laboratori alimentari situati nella zona universitaria (via Petroni): vicenda in ordine alla quale due mesi fa il Consiglio di Stato ha accolto la domanda cautelare di questi soggetti estranei al patto (i residenti), sottolineando proprio l'inadeguatezza del patto stesso a derogare l'ordinanza in questione.

2. Un'opportunità imminente: il nuovo Codice appalti approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo e che entrerà in vigore entro il 18 aprile 2016.

Volgendo, dunque, lo sguardo all'attuale panorama normativo, l'attenzione va posta innanzitutto sulla "ancora non norma" rappresentata dal Decreto legislativo (attuativo della legge delega n. 11/2016), recante il nuovo Codice degli appalti, approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo e che è attualmente sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato, per rispettare il termine di entrata in vigore del 18 aprile 2016, stabilito dalle direttive comunitarie del 2014 di cui costituisce recepimento.

Anche ammettendo qualche possibilità di modifica durante questo iter, vanno tuttavia rimarcate perlomeno tre disposizioni dell'emanando Codice che hanno diretta attinenza con la materia dei patti di collaborazione:

- l'art. 20 dello schema di d.lgs., il cui titolo reca "opera pubblica realizzata a spese del privato" e che prevede che le disposizioni del codice non si applichino al caso in cui un'amministrazione pubblica stipuli una convenzione con la quale un soggetto pubblico o privato si impegni alla realizzazione, a sua totale cura e spesa e previo ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni, di un'opera pubblica o di un suo lotto funzionale o di parte dell'opera prevista nell'ambito di strumenti o programmi urbanistici. È significativo al riguardo che la relazione accompagnatoria dello schema di decreto richiami, a proposito di questa norma, il principio di sussidiarietà orizzontale, affermando espressamente che la stessa "rappresenta una innovazione nell'ordinamento giuridico e disciplina un aspetto relativo alla partecipazione della società civile nello sviluppo delle infrastrutture e delle opere pubbliche nell'ambito della sussidiarietà orizzontale". Dunque, siamo in piena affinità elettiva con i patti di collaborazione, che possono trovare in questa norma un ulteriore puntello giuridico, sempre a condizione che si tratti di opera pubblica prevista negli strumenti programmatori dell'amministrazione comunale;

- l'art. 36 (contratti sotto soglia), il quale dispone, tra l'altro, che l'affidamento e l'esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro avvenga mediante affidamento diretto, adeguatamente motivato: a questo paradigma potrebbero essere ricondotti, ad es., interventi (non solo manutentivi) sul verde e di sistemazione di aree di quartiere affidati a residenti;

- l'articolo 166 (Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche), il quale, nell'ambito della Parte III del Codice dedicata ai contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi, recepisce il principio di cui all'articolo 2 della direttiva 2014/23/UE, secondo il quale le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l'esecuzione della prestazione in conformità al diritto nazionale ed europeo. In particolare, la disposizione stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme specifiche dettate dalla suddetta Parte III. Inoltre, la disposizione in esame precisa che tali soggetti sono liberi di decidere il modo migliore per gestire l'esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi pubblici.

Nel caso, ad esempio, di patti di collaborazione aventi ad oggetto beni comuni immateriali, il Regolamento comunale (cfr. artt. 7, 8, 9,) fa riferimento diretto o indiretto alla nozione di "servizi", per cui anche questa norma potrebbe essere utilmente richiamata, al fine di far rientrare il patto nello schema (aggiuntivo) della concessione di servizi.

3. Un'opportunità vigente: l'art. 11 legge 241/1990

Mi rendo conto dei timori di "burocratizzazione" che sempre aleggiano quando ci si confronta con esperienze vive di "cittadinanza attiva", tuttavia non tralascerei la possibilità di utilizzo di questa norma, vigente da un quarto di secolo e più volte riformata, che presenta più di un punto di contatto con i patti di collaborazione, dal punto di vista sia terminologico (in fondo patti e accordi sono sinonimi) che procedurale, in quanto:

- l'iniziativa è privata: non solo i soggetti direttamente interessati ma qualunque soggetto "controinteressato", portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati possono presentare proposte di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo (comma 1, che richiama il precedente art. 10 sul contraddittorio procedimentale);

- e al fine di favorire la conclusione di tali accordi, "il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati" (comma 1-bis);

- è sì prevista una previa determinazione dell'organo "che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento" (comma 4-bis), ma anche nel regolamento comunale sono previsti passaggi procedurali/amministrativi di questo tipo (cfr. art. 11: valutazione tecnica degli uffici, informazione al Presidente di Quartiere, sottoscrizione del patto da parte del Dirigente, eventuale vaglio della Giunta in caso di modifica dei luoghi).

In definitiva, l'aggravamento non mi pare eccessivo e l'intento dichiaratamente partecipativo cui si ispira il citato art. 10 legge 241/90, unito all'ampia "fantasia provvedimentale" di cui le amministrazioni comunali hanno mostrato di essere dotate, mi induce a ritenere che nell'alveo dell'art. 11 potrebbe ben ritrovarsi proceduralmente prima e normativamente poi una parte non irrilevante dei patti di collaborazione più "forti" e strutturati che finora sono stati posti in essere: in fondo, sussidiarietà è anche sostituzione dell'amministrazione e, dunque, i patti possono anche assumere la veste sostitutiva di un'attività provvedimentale (realizzazione di un'opera pubblica, gestione di un servizio...) che l'amministrazione rinuncia a dispiegare per insufficienza di risorse o perché maggiormente convinta della proposta (per l'appunto sostitutiva) pervenuta dai suoi cittadini, singoli o associati.

Quanto alla propensione dell'art. 11 a poter essere utilizzato nel senso di cui sopra e molto vicino allo spirito dei patti di collaborazione, solo un paio di richiami giurisprudenziali recenti:

Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2015, n. 5501: la legge 7 agosto 1990, n. 241 disciplina nell'art. 11 gli accordi tra privati e pubblica amministrazione. Sotto la comune dizione di accordi, sono richiamati (e succintamente disciplinati) sia moduli più propriamente procedimentali, cioè attinenti alla definizione dell'oggetto dell'esercizio della potestà, sia accordi con contenuto più propriamente contrattuale, veri e propri contratti ad oggetto pubblico in quanto disciplinanti aspetti patrimoniali connessi all'esercizio di potestà (idem, sentenza Cons. Stato n. 5492/2015).

Tar Pescara, 12 marzo 2015, n. 107: non è vero in senso assoluto che la pubblica amministrazione non può concludere accordi con la parte privata per esercitare il potere in modo consensuale, anzi tale modalità appare quella preferita dal legislatore ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, comma 1-bis, e 11 della legge n. 241 del 1990.

E in precedenza, già Cons. Stato, Sez. VI, sentenza n. 2636 del 15 maggio 2002, aveva evidenziato come nel testo dell'art. 11 provvedimento e contratto siano posti sullo stesso piano quali esiti del procedimento partecipato; e come l'atto autoritativo non sia più il solo strumento della cura di interessi pubblici, in quanto essenziale è il fine pubblico, mentre fungibili sono gli strumenti attraverso cui perseguirlo (per cui il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso il modulo convenzionale o pattizio dell'agire amministrativo).

Tra l'altro, l'art. 11 può essere impiegato anche per adattare a esigenze particolari l'istituto della concessione di beni pubblici (cfr. al riguardo Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 1 settembre 2014, n. 2289): potrebbe essere questa, ad es., la naturale evoluzione (una sorta di eventuale fase 2) del patto di collaborazione (fase 1) per l'affidamento temporaneo e sperimentale di un immobile comunale (ex bocciofila), sottoscritto dal Comune con il sodalizio "Forever Ultras 1974", ai fini dello svolgimento di varie attività promozionali, culturali, ludico-ricreative e manutentive, nell'ambito di un più complessivo progetto di ristrutturazione dello stadio di calcio: e tanto fase 1 quanto eventuale fase 2 potrebbero già essere contemplate nel congiunto patto di collaborazione/accordo ex art. 11.

4. Convenzioni ex art. 1 comma 1-bis legge 241/90 con soggetti strutturati.

Quando poi l'interlocutore del Comune sia un soggetto strutturato, economicamente forte e dotato di personalità giuridica, i reciproci rapporti (paritari) in vista della realizzazione di un progetto comune potrebbero essere meglio disciplinati nel quadro di una convenzione formale stipulata anche ai sensi dell'art. 1 comma 1-bis legge 241/90: è il caso ad esempio del patto di collaborazione sottoscritto a luglio 2015 tra il Comune e la stessa Fondazione del Monte.

5. Convenzioni ai sensi della legge 266/1991

Stesso discorso vale quando l'interlocutore (unico ovvero capofila di più soggetti riuniti in forma collettiva, ma priva di veste giuridica autonoma) sia un'associazione di volontariato iscritta nei relativi registri previsti dalla legge 266/1991: in proposito, può essere valutata la possibilità di affidamento di un determinato servizio (anche "istituzionale") ricorrendo alla convenzione prevista da tale legge.

Invero, anche una recente sentenza della Corte giustizia UE (sez. V, 28 gennaio 2016, Causa c-50/14) ha statuito che:

1) Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale (quella italiana), che consenta alle autorità locali di attribuire la fornitura di servizi (nella specie di trasporto sanitario) mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicità, ad associazioni di volontariato, purché il contesto normativo e convenzionale in cui si svolge l'attività delle associazioni in parola contribuisca effettivamente a una finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio.

2) Qualora uno Stato membro consenta alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, un'autorità pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non è tenuta, ai sensi del diritto dell'Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni.

3) Qualora uno Stato membro, che consente alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, autorizzi dette associazioni a esercitare determinate attività commerciali, spetta a tale Stato membro fissare i limiti entro i quali le suddette attività possono essere svolte. Detti limiti devono tuttavia garantire che le menzionate attività commerciali siano marginali rispetto all'insieme delle attività di tali associazioni, e siano di sostegno al perseguimento dell'attività di volontariato di queste ultime.

In questo "territorio" (volontariato, associazionismo di promozione sociale) ulteriori e positive novità possono poi venire dal progetto di riforma del terzo settore attualmente in discussione in parlamento.

6. Conclusioni: uno strumentario "aggiuntivo" (cornice doppia) e il patto di collaborazione come istituto di collegamento e chiusura

Sin qui, si è inteso richiamare sinteticamente alcuni degli istituti più o meno affini ai patti di collaborazione, di imminente approvazione o già vigenti nell'ordinamento giuridico statuale, e cioè, essenzialmente:

- l'opera pubblica realizzata a spese del privato (codice appalti di imminente emanazione)

- l'affidamento diretto di servizi per un importo sino a 40.000 euro (idem)

- la concessione di servizi (idem)

- la concessione di beni pubblici

- gli accordi ex art. 11 legge 241/90

- le convenzioni ex art. 1 comma 1-bislegge 241/90

- le convenzioni ai sensi della legge 266/1991.

Per ulteriore chiarezza, va qui ribadito che ciascuno di questi strumenti - ove ritenuto effettivamente applicabile al caso concreto - riveste un valore aggiuntivo/rafforzativo e non sostitutivo del patto di collaborazione, in funzione di realizzazione di quella duplice cornice normativa di cui si è detto all'inizio, per attribuire maggior spessore giuridico al patto, soprattutto nei confronti dei terzi ad esso estranei ovvero anche in funzione interna al patto stesso, allorquando il Comune si trovi ad interloquire con un soggetto particolarmente "forte" e strutturato, sotto il profilo tanto giuridico, quanto economico.

Nel caso di doppia cornice (ovvero di compresenza patto di collaborazione/altro istituto giuridico), la duplicità non significa anche "doppione" (e dunque superfluità del patto), in quanto le rispettive funzioni potrebbero essere così individuate e distinte:

i) al patto di collaborazione, il compito di fungere da cornice esterna, e dunque di fornire il contesto di fondo in cui l'iniziativa si iscrive, nonché il collegamento con tutte le iniziative similari e tuttavia differenti, ugualmente riconducibili al regolamento comunale: solo esemplificativamente, ma non riduttivamente si potrebbe dire che il patto rappresenta il fil rouge (il "logo", ma non solo) di tutti i 186 patti sinora sottoscritti e di quelli che lo saranno in futuro, in modo da dare corpo e tessuto comune alla singola iniziativa, ricomponendo in un quadro progettuale unitario ogni possibile frammentarietà della stessa;

ii) all'istituto di volta richiamato e compresente, il compito (cornice interna) di meglio articolare e supportare giuridicamente le specificità proprie del singolo patto sia in vista della regolazione dei rapporti tra i sottoscrittori, sia in vista della tenuta di fronte alle eventuali obiezioni mosse, anche in sede giurisdizionale, da terzi estranei.

Quando poi, tenuto conto del particolare contenuto del patto (iniziative occasionali, estemporanee, "marginali" e di durata temporale limitata) e/o della particolare natura (generalmente informale) del soggetto interlocutore non si dovessero riscontrare i presupposti e/o l'opportunità di procedere con la "cornice doppia", il patto di collaborazione assolverà la funzione di cornice giuridica unica, cioè di "chiusura" del sistema complessivo.

 

 

Note

[1] Responsabile ufficio promozione della cittadinanza attiva - Comune di Bologna.

 

 



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