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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro [*]

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2015, n. 999 - Pres. Severini, Est. Buricelli - Sulla tutela vincolistica dei beni archeologici.

Il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è, in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost., un giudizio di ordine tecnico. Come tale, si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante o incongruo rispetto alle tecnica stessa, o comunque risulti oggettivamente inattendibile.

Il ritrovamento di resti di insediamenti di epoche passate in una determinata area rende probabile la presenza di altri resti nelle immediate vicinanze. È pertanto ragionevole ad attendibile, sotto il profilo tecnico e scientifico, la scelta dell'amministrazione di vincolare non solo la particella in cui sono esattamente stati ritrovati i reperti archeologici, ma anche tutta la zona ad essa circostante. Ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato (Cons. St., VI, 1 marzo 2005, n. 805).

L'amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinato (Cons. St., VI, 27 settembre 2005, n. 5069).

Quando si tratta dell'imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l'autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela un'intera area complessivamente abitata nell'antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano (Cons. St., VI, 29 gennaio 2013, n. 522; Cons. St., sez. VI, 1° aprile 2014, n. 1557).

In tema di dichiarazione di interesse particolarmente importante ex articoli 10, lett. a), e 13 del d.lgs. n. 42 del 2004 viene in discussione un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa attribuita all'amministrazione, che implica un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità salvo che gli atti della p.a. siano inficiati da profili di eccesso di potere per palese travisamento dei fatti, abnorme illogicità o manifesta irrazionalità.

Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3560 - Pres. Baccarini, Est. Filippi - Sullo stato di degrado del bene quale elemento non ostativo alla valutazione dell'interesse storico-artistico-architettonico del bene stesso.

È principio fondamentale dell'ordinamento quello stabilito dall'art. 9 della Costituzione per il quale la cura dell'interesse culturale giustifica la sua primazia rispetto agli altri interessi, pubblici o privati, compreso quello alla semplificazione e alla speditezza del procedimento amministrativo.

A fronte di procedimenti volti alla verifica dell'interesse storico-artistico di un bene che appartiene ad un ente pubblico o a persona giuridica privata senza fine di lucro, e che dunque è presunto bene culturale in ragione di tale appartenenza, la motivazione del provvedimento di tutela non deve dar conto della presenza di un interesse particolarmente importante, che deve invece caratterizzare la cosa oggetto di dichiarazione di bene culturale quando appartenga a privati (art. 10, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio). In altri termini, perché la verifica dell'art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004 si concluda nel senso della conferma della qualità di bene culturale di una cosa, è sufficiente che questa sia dimostrata possedere un interesse culturale semplice ("senza aggettivazioni", come dice la relazione di accompagnamento al Codice), non già quell'interesse qualificato.

Lo stato di degrado del bene non è incompatibile con una valutazione di interesse storico-artistico-architettonico; un manufatto in condizione di degrado ben può costituire oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l'ulteriore degrado (Cons. St., VI, 3 aprile 2003, n. 1718; 3 settembre 2001, n. 4591; 28 dicembre 2000, n. 7034; 30 novembre 1995, n. 136).

Lo stato di parziale distruzione o di cattiva manutenzione o conservazione di un bene non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante ai sensi dell'art. 10 d.lgs. n. 42 del 2004, restando rimesso all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione preposta all'imposizione e gestione del vincolo la valutazione dell'idoneità delle rimanenze ad esprimere il valore che si intende tutelare (Cons. St., VI, 8 aprile 2015, n. 1779).

Cons. St., sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4553 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Mosca - Sull'ambito di applicazione dell'autotutela esecutiva di cui all'art. 823, comma 2, del codice civile.

La mancanza di concreta destinazione di un immobile al pubblico servizio porta ad escludere che il medesimo possa essere considerato un bene del patrimonio indisponibile dell'amministrazione. Si tratta, infatti, di un elemento che prescinde dalla proprietà che è afferente all'amministrazione medesima.

Quando un bene non appartiene al patrimonio indisponibile, non vi è possibilità per l'amministrazione proprietaria, di recuperarne il possesso in regime di autotutela esecutiva di cui all'art. 823, comma 2, del codice civile. Qualora, infatti, il bene appartenga al patrimonio disponibile, l'amministrazione è tenuta ad avvalersi dei mezzi ordinari di tutela previsti dal codice civile con l'obbligo di motivare, in modo specifico e articolato, le ragioni della scelta della sua pretesa.

Anche quando l'amministrazione, ai sensi del citato art. 823, comma 2, del codice civile, ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria adottando un'ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l'occupazione sia abusiva.

Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747 - Pres. Severini, Est. Lageder - Sul giudizio che presiede alla dichiarazione dell'interesse culturale e sulla sua sindacabilità.

Il giudizio, che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale, è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura), caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l'apprezzamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.

La valutazione in ordine all'esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l'imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, è prerogativa esclusiva dell'amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta (in tale senso: ex plurimis, le sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014).

Lo stato di degrado di un bene non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, potendo un manufatto in condizione di degrado ben costituire oggetto di tutela storico artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l'ulteriore degrado, restando rimesso all'apprezzamento discrezionale della competente amministrazione la valutazione dell'idoneità delle rimanenze ad esprimere il valore che si intende tutelare. Neppure rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. La tutela storico-artistica protegge non già un'opera dell'ingegno dell'autor, ma un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario.

2. Beni paesaggistici

Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2015, n. 2740 - Pres. Severini, Est. Castriota Scanderbeg - Sull'insussistenza dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nell'iter di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica.

Il provvedimento ministeriale che annulla il nulla osta paesaggistico per una costruzione in zona protetta non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. In particolare, l'annullamento dell'autorizzazione paesistica - pur se disposto ai sensi dell'art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 - non è soggetto all'obbligo di comunicazione preventiva, in quanto costituisce esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre tra autorità pubbliche e integra piuttosto una fase ulteriore, di secondo grado, di un unitario e complesso procedimento avviato ad istanza di parte (Cons. St., VI, 9 luglio 2013, n. 3616; 3 luglio 2014, n. 3368; 4 luglio 2011, n. 3962).

Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2784 - Pres. Severini, Est. De Felice - Sulla necessaria differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia nell'organizzazione interna degli enti delegatari del potere di autorizzazione paesaggistica.

Ai sensi dell'art. 146, comma 6, del d.lgs. n. 42 del 2004, gli enti delegatari (come il comune) del potere di autorizzazione paesaggistica devono disporre "di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia". La doverosa distinzione organizzativa, infatti, riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella di governo del territorio o urbanistica: è una distinzione che ha base nell'art. 9 Cost. (e oggi è confermata dall'art. 117, secondo comma, lett. s, Cost.) e che è rimarcata dalla costante giurisprudenza specie costituzionale (a muovere da Corte cost., 24 luglio 1972, n. 141 e, ad es., a Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309).

La separazione organizzativa a livello comunale è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al comune delle due competenze e ad evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull'autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica (non a caso l'art. 146, comma 4, prevede che "l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio"). Quest'ultima deve essere organizzativamente posta, nel comune, in condizione di non subire incidenze gerarchiche o condizionamenti di sorta. Inoltre, in relazione alla differenziazione imposta dall'art. 146, comma 6, d.lgs. n. 42 del 2004, va assicurata sia la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico sia la separazione organizzativa suddetta.

Cons. St., sez. VI, 23 luglio 2015, n. 3652 - Pres. Severini, Est. Giovagnoli - Sull'indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del paesaggio rispetto ad altri interessi pubblici eventualmente coinvolti.

Alla funzione di tutela del paesaggio (che il Mibac nel caso di specie, esercita esprimendo un parere obbligatorio nell'ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: tale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dare minor tutela, malgrado l'intensità del valore paesaggistico del bene, quanto più intenso e forte sia o possa essere l'interesse pubblico alla trasformazione del territorio.

La regola essenziale di tecnicità e di concretezza, per cui il giudizio di compatibilità deve essere tecnico e proprio del caso concreto, applica il principio fondamentale dell'art. 9 Cost., il quale fa eccezione a regole di semplificazione a effetti sostanziali altrimenti praticabili (cfr. Corte cost., 29 dicembre 1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 27 giugno 1986, n. 151; 10 marzo 1988, n. 302; Cons. St., VI, 18 aprile 2011, n. 2378). La tutela costituzionale del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione richiede che, ad opera dell'Amministrazione appositamente preposta, siano espresse valutazioni tecnico-professionali e non già comparative di interessi, quand'anche pubblici e da altre amministrazioni stimabili di particolare importanza.

La caratterizzazione tecnica del giudizio di compatibilità da parte degli organi del Mibac (che concerne tutti gli elementi di impatto dell'intervento sul paesaggio: non solo localizzazione, densità e volumi ma anche e soprattutto linee, forme, materiali, ingombro, disposizione e così via) non viene meno - a pena di disattendere il contenuto e il particolare rilievo dell'art. 9 Cost. - in procedimenti semplificatori per opere considerate dalla legge di particolare significato, come quello dell'art. 1-sexies (Semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell'energia e per gli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici) del d.l. n. 239 del 2003 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 290 del 2003, a tenore del cui comma 1 "L'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli elettrodotti, degli oleodotti e dei gasdotti, facenti parte delle reti nazionali di trasporto dell'energia, è rilasciata dalle amministrazioni statali competenti mediante un procedimento unico secondo i principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, entro il termine di sei mesi dalla data di presentazione della domanda". La speciale concentrazione procedimentale non comporta un'attenuazione della rilevanza della tutela paesaggistica, perché questa si fonda su un espresso principio fondamentale costituzionale.

La discrezionalità tecnica, a differenza di quella amministrativa, si concentra su un unico interesse, nel caso quello paesaggistico, attraverso la verifica in fatto della sua configurazione e trasformazione nel caso concreto. Diversamente dalla discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica non può dar luogo ad alcuna forma di comparazione e valutazione eterogenea. Nell'esercizio della funzione di tutela spettante al Mibac, l'interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal Mibac stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni.

L'indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del paesaggio per la particolare dignità data dall'essere iscritta dall'art. 9 Cost. tra i principi fondamentali della Repubblica, è stata costantemente affermata dalla giurisprudenza costituzionale (tra le altre, Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151, 29 dicembre 1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 5 maggio 1986, n. 182; 10 ottobre 1998, n. 302; 19 ottobre 1992, n. 393; 12 febbraio 1996, n. 2; 28 giugno 2004, n. 196; 29 ottobre 2009, n. 272; 23 novembre 2011, n. 309) e dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis, Cons. St., Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; VI, 3 luglio 2012, n. 3893; VI, 18 aprile 2011, n. 2378; 22 settembre 2014, n. 4775).

Cons. St., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4278 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Lageder - Sulla motivazione del diniego di compatibilità paesaggistica postuma.

Il diniego di compatibilità paesaggistica postuma (e/o di sanatoria di opere edili realizzate in zone vincolate) è da ritenersi sufficientemente motivato con l'indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell'intervento con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo, sicché anche una motivazione scarna e sintetica, laddove riveli gli estremi logici dell'incompatibilità, va considerata soddisfacente (Cons. St., sez. V, 23 giugno 2014, n. 3142; Cons. St., sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4899).

La valutazione circa la compatibilità paesaggistica attiene all'esercizio della discrezionalità amministrativa, sindacabile soltanto ove rilevino manifesti profili di illogicità ed irrazionalità.

La compatibilità delle opere con le esigenze di tutela paesaggistico-ambientale non è un giudizio legato alla maggiore o minore visibilità delle opere stesse ma al rispetto della particolare disciplina vincolistica posta a tutela del valore paesaggistico di quella zona specifica di territorio (Cons. St., sez. VI, 22 gennaio 2015, n. 234; Cons. St., sez. V, 23 giugno 2014, n. 3142).

Cons. St., sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 4846 - Pres. Severini, Est. Castriota Scanderbeg - Sulla valenza del piano paesistico rispetto alla verifica di garanzia dell'interesse paesaggistico e della relativa tutela.

La valutazione della compatibilità dell'intervento, ai fini della autorizzazione paesaggistica postuma, deve esprimersi, da parte della competente autorità, su situazioni di fatto già sussistenti attraverso l'avvenuto completamento dei lavori e non ancora in itinere: non può evidentemente l'autorità paesaggistica esprimersi ex ante sulla assentibilità paesaggistica di un manufatto ancora da assoggettare a interventi manipolativi (per quanto orientati in senso ripristinatorio rispetto a pregressi e incontestati abusi).

La circostanza che lo strumento di pianificazione paesaggistica medio tempore entrato in vigore non abbia interdetto in linea assoluta l'edificazione, non è sufficiente (in disparte i profili di applicabilità ratione temporis delle nuove previsioni pianificatorie alla fattispecie concreta) a ritenere che il giudizio di compatibilità paesaggistica debba risolversi in senso positivo per l'interessato e possa essere ritenuto implicito nelle previsioni del piano.

Spetta, infatti, comunque alla competente soprintendenza la valutazione del corretto inserimento dei manufatti nella cornice paesaggistica dei luoghi oggetto di speciale tutela.

È noto, al proposito, che la capacità di un piano paesistico di dettare prescrizioni vincolanti direttamente applicabili alle fattispecie concrete è di immediata e diretta applicazione per le sole prescrizioni a contenuto generale interdittivo - cioè per le tipologie di interventi stimate una volta per tutte incompatibili con un dato contesto - restando al contrario sempre e comunque rimessa alla discrezionalità tecnica dell'autorità amministrativa competente la valutazione caso per caso dei singoli interventi quante volte le previsioni di piano non siano astrattamente incompatibili con l'intervento immaginato. Infatti la necessità dell'autorizzazione paesistica in ogni caso permane e non viene meno: questa presuppone sempre un positivo accertamento di compatibilità concreta tra intervento e valori protetti.

Il piano paesistico non assorbe interamente la verifica di garanzia dell'interesse paesaggistico, che il più delle volte implica valutazioni concrete di ordine qualitativo non traducibili in norme generali; la valutazione di non-incompatibilità espressa dal piano non comporta l'assorbimento definitivo della discrezionalità tecnica a quella sede astratta dalla contingenza da legittimare e non giunge a eliminare, o a rendere virtuale o meramente applicativo, il giudizio concreto. La valutazione di compatibilità è del resto l'effetto legale tipico del vincolo ed escluderla o renderla virtuale significherebbe derogare al vincolo stesso affrancandone in pratica ambiti o interventi: il piano paesistico realizzerebbe allora l'effetto pratico non di uno strumento di attuazione e di realizzazione della funzione conservativa del vincolo ma di attenuazione, al limite di negazione o almeno di elusione, degli effetti conservativi propri del vincolo e del suo regime (Cons. St., sez. II, 20 maggio 1998, n. 548 e n. 549; VI, 22 agosto 2003, n. 4766; 3 marzo 2011, n. 1366; 23 novembre 2011, n. 6156; 20 dicembre 2011, n. 6725; 18 gennaio 2012, n. 173; 2 dicembre 2012, n. 6372).

Cons. St., sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 4927 - Pres. Patroni Griffi, Est. Contessa - Sulla carattere perentorio del termine di quarantacinque giorni di cui al comma 5 dell'art. 146, del d.lgs. n. 42 del 2004.

Pur tenendo nella massima considerazione l'orientamento espresso in precedenza in materia, prevalenti ragioni di carattere sistematico depongono nel senso dell'adesione al diverso orientamento volto a riconoscere carattere perentorio al termine di quarantacinque giorni di cui al comma 5 dell'articolo 146, del d.lgs. n. 42 del 2004 (in tal senso: Cons. St., VI, sent. 15 marzo 2013, n. 1561).

Nell'ambito di entrambi i modelli normativi (quello pregresso basato su una relazione di controllo e quello attuale basato su un modello di sostanziale cogestione del vincolo), il legislatore ha inteso individuare un adeguato punto di equilibrio fra: l'esigenza di assicurare una tutela pregnante a un valore di rilievo costituzionale quale la tutela del paesaggio, attraverso il riconoscimento all'organo statale di poteri (quale quello di annullamento e in seguito quello di rendere un parere conforme) di assoluto rilievo nell'ambito della fattispecie autorizzatoria, e l'esigenza - parimenti di rilievo costituzionale - di garantire in massimo grado la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, imponendo che i richiamati poteri debbano essere esercitati in tutta la loro ampiezza entro un termine certamente congruo ma allo stesso tempo certo e non superabile.

Sussiste, un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l'espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della soprintendenza, l'organo statale non resta in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia, il parere in tal modo espresso perde il proprio valore vincolante e deve essere autonomamente e motivatamente valutato dall'amministrazione preposta al rilascio del titolo.

Pertanto, il parere tardivamente reso e liberamente valutabile dal comune perde, insieme con la propria efficacia vincolante, valenza di arresto procedimentale, assumendo connotazione strumentale rispetto al provvedimento comunale conclusivo del procedimento.

Nota

[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.



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