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Cultura e Europa

La restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato Membro alla luce della direttiva 2014/60/UE

di Roberta Buonomo

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il sistema previgente. - 3. Le principali novità. - 3.1. L'ambito di applicazione. - 3.2. Termini procedimentali. - 3.3. Termini processuali. - 3.4. L'equo indennizzo e la prova della diligenza. - 3.5. Il sistema IMI per i beni culturali e la cooperazione tra Stati. - 4. Disposizioni applicative. - 5. Conclusioni.

The Return of Cultural Objects Unlawfully Removed from the Territory of a Member State in the Light of the Directive 2014/60/UE
The article aims to highlight the recent amendments in European legislation on the return of cultural objects unlawfully removed from the territory of a Member State - i.e. the extension of the scope of the Directive 93/7, the extension of the time-limit for checking whether the object found in another Member State is a cultural one and for bringing return proceedings, the increasing of the administrative cooperation between Member States by establishing a module of the IMI system specifically customized for cultural objects and the setting out of criteria to determine a uniform concept of due care and attention in acquiring the cultural object with burden for the possessor to provide proof of it for the purpose of compensation - provided for in the Directive 2014/60/UE adopted on the 15 May 2014, with term to comply for Member States fixed by 18 December 2015, repealing the Directive 93/7 with effect from 19.12.2015.

Keywords: Unlawfully Removed Cultural Heritage; European Cooperation; European Directive.

1. Premessa

Il fenomeno della sottrazione dei beni culturali ai patrimoni dei paesi di origine, cui con ogni evidenza si accompagna quello relativo al generale obbligo della loro restituzione, è decisamente risalente nel tempo. Tale pratica è stata riscontrata in linea generale in seguito a conflitti armati, durante i quali l'esercito vincitore si è rivalso nei confronti del paese vinto anche mediante cospicue spoliazioni di opere d'arte, oppure furti e scavi clandestini, o ancora transazioni private che hanno comunque sortito l'effetto di impoverire i patrimoni nazionali. La fuoriuscita dei beni culturali ha generato, sul versante della restituzione, due contrapposti orientamenti: quello degli Stati c.d. importatori, i quali rivendicano la (comunque) intervenuta acquisizione al loro patrimonio dei beni esportati, e quello degli Stati c.d. esportatori che invece rivendicano come propri i beni.

La decisa datazione ed ampia diffusione del problema ha fatto sì che la comunità internazionale se ne sia interessata ripetutamente adottando varie convenzioni dirette a proteggere i beni culturali in caso di conflitto armato (Convenzione Unesco dell'Aja del 1954) [1], ad impedire la loro illecita importazione, esportazione e trasferimento (Convenzione Unesco di Parigi del 1970) [2], ed ancora ad ottenere la restituzione di quelli rubati o illecitamente esportati (Convenzione Unidroit del 1995) [3], ed infine a garantire la tutela del patrimonio archeologico da sfruttamenti illeciti (Convenzione Unesco di Parigi 2001 e Convenzione del Consiglio d'Europa di Londra 1969) [4].

Anche sul piano comunitario il tema della preservazione del patrimonio culturale dei singoli Stati membri si è imposto all'attenzione sin dall'epoca del Trattato istitutivo Cee del 1957, nel quale l'art. 36 [5] già contemplava una deroga al principio generale di libera circolazione delle merci in nome della tutela del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, e ha poi dato luogo, con l'intervenuta abolizione delle frontiere interne dal 1° gennaio 1993, ad un sistema coordinato di tutele indirizzato da un lato ad evitare esportazioni illecite di beni culturali fuori dal territorio della Comunità, mediante l'introduzione di un sistema uniforme di controlli alle frontiere esterne (Regolamento n. 3911/92) [6] e, dall'altro, ad agevolare la restituzione di quelli illecitamente usciti, ma circolanti in ambito comunitario (Direttiva 93/7) [7].

2. Il sistema previgente

L'originario sistema comunitario basato sulla richiamata direttiva 93/7, parzialmente modificata dalle direttive 96/100/Ce [8] e 2001/38/Ce [9], (e quindi su un sistema di cooperazione tra Stati membri per ottenere la restituzione dei beni culturali illecitamente fuoriusciti dal territorio di uno Stato e ritrovati comunque in ambito comunitario) e sul regolamento n. 3911/92, poi abrogato dal regolamento (Ce) n. 116/2009 del 18.12.2008 [10] (che, istituendo un regime unico di controlli alle frontiere esterne per le esportazioni extracomunitarie di beni culturali, si prefiggeva di garantire un regime di circolazione controllata verso i paesi terzi) - ha rivelato però i suoi limiti.

Dalle relazioni periodiche inviate nel corso degli anni dagli Stati Membri alla Commissione e quindi dalle Relazioni di quest'ultima al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale [11] sull'applicazione della predetta normativa è infatti emersa, in particolare per quanto concerne l'applicazione della direttiva 93/7, l'inadeguatezza e di conseguenza la scarsa utilizzazione di tale strumento, dovute sia ad un ambito di applicazione eccessivamente ristretto per le condizioni poste dall'Allegato, che a termini procedimentali e processuali troppo brevi, nonché a costi decisamente elevati delle azioni di restituzione. Pertanto si è addivenuti all'adozione della recente direttiva 2014/60/Ue [12], adottata dal Parlamento e dal Consiglio il 15.5.2014, con la quale è stato in parte riscritto, tenendo presenti i delineati limiti, il regime relativo alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

3. Le principali novità

Dopo questa premessa di carattere introduttivo, si può passare alla rassegna delle disposizioni innovative contenute nel testo di recente emanazione, in parte rivolte al superamento dei limiti della previgente disciplina ed in parte indirizzate verso una prospettiva di intensificazione della cooperazione amministrativa tra gli Stati membri, attraverso lo scambio di informazioni sui beni culturali usciti illecitamente, mediante l'utilizzo del sistema IMI (Sistema di Informazione del Mercato interno) [13] in una versione ad hoc per i beni culturali e, dunque, di prevenzione e lotta al traffico illecito dei suddetti beni.

3.1. L'ambito di applicazione

L'esame testuale della direttiva n. 2014/60, nel confronto con la direttiva n. 93/7 che va ad abrogare dal 19.12.2015, pone innanzitutto in risalto un più esteso ambito di applicazione, laddove all'art. 2, punto 1) dell'atto normativo in esame viene definito "bene culturale" qualsiasi bene classificato o definito tale da uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato, in quanto rientrante nel patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale secondo la legislazione o le procedure amministrative nazionali, ai sensi dell'art. 36 Tfue. Diversamente da quanto previsto nel regime della direttiva del 1993, ed in particolare dal combinato disposto di cui all'art. 1 e annesso Allegato, nel testo in esame la nozione di bene culturale prescinde sia dall'appartenenza del bene a categorie predeterminate - e per l'effetto si espande sino a ricomprendere anche i beni di interesse paleontologico, etnografico, numismatico o aventi valore scientifico che in precedenza non erano contemplati - che dall'appartenenza a collezioni pubbliche o inventari di istituzioni ecclesiastiche, svincolandosi altresì dal rispetto di predefinite soglie di vetustà e/o di valore.

In buona sostanza con il venir meno del repertorio di beni culturali di matrice comunitaria contenuto nell'Allegato e l'estensione della tutela a qualsivoglia bene definito culturale dal singolo Stato si espande sensibilmente il campo di applicazione della direttiva, rimettendo alla libera determinazione degli Stati la facoltà di tipizzare il proprio patrimonio.

3.2. Termini procedimentali

La lettura dell'art. 5, primo comma, punto 3, della direttiva richiama l'attenzione con un'ulteriore modifica non priva di significato: nell'immutato coacervo di attività amministrative tese alla individuazione e localizzazione del bene, alla identificazione del possessore/detentore, alla notifica allo Stato membro interessato, all'adozione delle misure necessarie per la conservazione e la protezione del bene durante i tempi della procedura di restituzione, assume un carattere di novità, nell'ambito delle attività di verifica della c.d. culturalità del bene illecitamente fuoriuscito svolte dallo Stato membro richiedente, il prolungamento del termine utile per espletare tale verifica che passa dai due mesi contemplati nel precedente regime (indubbiamente l'art. 4, punto 3 della direttiva 93/7 dettava un termine eccessivamente breve per un'attività di accertamento alquanto impegnativa) a sei mesi, decorrenti dalla notifica del ritrovamento del bene.

3.3. Termini processuali

Allo stesso modo merita una menzione a questo punto, procedendo quindi per saltum per coerenza tematica, l'ulteriore dilazione dei termini applicata a quello breve per l'esercizio dell'azione di restituzione di cui all'art. 8: con l'innovazione apportata di recente tale termine di prescrizione dell'azione è stato portato a tre anni (secondo le previsioni dell'art. 7 della direttiva 93/7 era invece di uno), decorrenti dalla data dell'avvenuta conoscenza, da parte dello Stato membro richiedente, del luogo in cui si trova il bene e dell'identità del suo possessore o detentore. L'estensione del termine per agire in giudizio al fine di ottenere il rientro del bene - che nella sua durata ricalca quello per le richieste di restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati di cui alla Convenzione Unidroit del 1995 [14] - nella ratio della norma dovrebbe facilitare la restituzione e scoraggiare l'uscita illecita dei beni del patrimonio culturale.

3.4. L'equo indennizzo e la prova della diligenza

In considerazione dell'incrementarsi del traffico illecito di beni culturali e, quindi, della necessità di intervenire con misure di contrasto più efficaci, si è manifestata ancor più viva l'esigenza a livello europeo di imporre un livello uniforme di diligenza nelle operazioni riguardanti i beni culturali, in modo da dissuadere acquisti incauti di beni di provenienza illecita. In tale prospettiva il regime dell'equo indennizzo riconosciuto al possessore del bene in seguito alla sua restituzione subisce, nella versione di cui all'art. 10 del testo all'esame, importanti innovazioni rispetto a quello precedente di cui all'art. 9 della direttiva 93/7. Infatti: a) l'attribuzione del ristoro economico è condizionata alla prova dell'esercizio della diligenza richiesta al momento dell'acquisto del bene, mediante verifica della sussistenza di criteri espressamente indicati, anche se in modo non esaustivo (art. 10, comma 2), ovvero delle c.d. "circostanze dell'acquisizione", quali la "documentazione sulla provenienza del bene", le "autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente", la "qualità delle parti", il "prezzo pagato", il "fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati" e abbia assunto "ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere" o abbia posto in essere "qualsiasi altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe"; b) la predetta prova grava sul possessore (art. 10, comma 1), il quale deve dimostrare di avere usato, all'atto dell'acquisizione, la diligenza richiesta. Con ogni evidenza dalle richiamate disposizioni emerge un'innovativa impostazione del legislatore comunitario, il quale ha da un lato inteso favorire una interpretazione quanto più uniforme della nozione di diligenza, fornendo dei criteri guida ai giudici nella valutazione in concreto della stessa, e dall'altro, sempre con intento armonizzatore, ha sottratto l'onere della prova alla disciplina della lex fori, e quindi alle differenti impostazioni tra ordinamenti di civil e common law, per attribuirlo in via generale a carico del possessore.

3.5. Il sistema IMI per i beni culturali e la cooperazione tra Stati

La rassegna della direttiva de qua non può prescindere dall'esaminare l'introduzione di una disposizione dal carattere decisamente innovativo che trova la sua genesi nella riscontrata necessità di intensificare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri, al fine di garantire una più efficace ed uniforme applicazione della direttiva. Con il dettato di cui agli artt. 5, comma 2 e 7, comma 3 viene inserita nel corpo della direttiva la previsione di un sistema d'informazione del mercato interno c.d. IMI (già introdotto con Regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.10.2012), specifico per i beni culturali (in tal senso, come risulta anche dall'epigrafe della direttiva 2014/60/UE, il predetto Regolamento (UE) n. 1024/2012 viene modificato) ed utilizzabile dalle autorità centrali degli Stati membri nell'ambito delle attività di cooperazione, consultazione e scambio di informazioni relative a beni culturali rubati o usciti illecitamente dal loro territorio, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e della vita privata.

4. Disposizioni applicative

Le disposizioni di chiusura, in particolare gli artt. 19, 20 e 21 della presente direttiva, nel dettare il regime per la sua applicazione, fissano al 18 dicembre 2015 il termine entro cui gli Stati membri devono adottare le disposizioni attuative, legislative, regolamentari o amministrative, per conformarsi e quindi recepire nei singoli ordinamenti le norme espressamente richiamate - ed esaminate in questa sede (art. 2, punto 1, in tema di estensione dell'ambito di applicazione; art. 5, comma 1, punto 3, a proposito di dilazione dei termini procedimentali utili per verificare se il bene ritrovato in un altro Stato membro costituisce un bene culturale; art. 5, comma 2, relativamente alla creazione di un modulo del sistema IMI specificamente concepito per i beni culturali; art. 7, comma 3, per quanto concerne l'applicazione del predetto sistema IMI, in conformità alle disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali e della vita privata; art. 8, comma 1, primo cpv., con riguardo al prolungamento dei termini per proporre l'azione di restituzione del bene culturale illecitamente fuoriuscito; art. 10, commi 1 e 2, in tema di prova della diligenza richiesta al possessore all'atto di acquisizione del bene; art. 17, comma 1, per quanto concerne la modificata cadenza di presentazione alla Commissione della relazione sull'applicazione della direttiva da parte degli Stati membri).

Dette disposizioni per la loro portata innovativa necessitano infatti di una trasposizione nel diritto interno, diversamente da tutte le altre che reiterando le previsioni di cui alla direttiva 93/7 hanno già trovato all'epoca, e continuano a trovare, applicazione nei vari Stati. Coerentemente con la disposizione dell'art. 19 che fissa il termine per la trasposizione nel diritto interno delle innanzi menzionate norme, la data del successivo 19 dicembre 2015 è stabilita dall'art. 20 per l'abrogazione della direttiva 93/7, con la correlata immediata applicazione a partire dal medesimo giorno di tutte le norme della direttiva 2014/60/UE che non necessitano di recepimento, secondo quanto espressamente contemplato dall'art. 21, comma 2.

5. Conclusioni

Nel corso del dibattito che interessa da lungo tempo la protezione e la circolazione dei beni culturali - dibattito inizialmente indirizzatosi verso un'azione di generica sensibilizzazione alla difesa del patrimonio culturale dei paesi membri ed indirettamente di quello europeo con l'adozione di numerose Risoluzioni del Parlamento europeo [15] e successivamente, con la realizzazione del mercato unico, verso interventi più specifici sul piano normativo, mediante l'adozione del regolamento 3911/92 e della direttiva 93/7 - attualmente, a vent'anni e più dal quadro tracciato dai due strumenti di diritto comunitario derivato, sembra potersi affermare, con tutta la cautela del caso e nella prospettiva di un futuro dibattito, che le modifiche apportate dalla direttiva 2014/60/Ue al regime della restituzione dei beni culturali usciti illecitamente gettano sicuramente le basi per un ulteriore e più avanzato livello di cooperazione intracomunitaria nel settore della circolazione dei beni culturali, rafforzando complessivamente il sistema, nel solco di un'azione rivolta alla prevenzione della criminalità relativa ai beni culturali e alla lotta contro il traffico illecito di tali beni [16].

 

Note

[1] Convenzione dell'Aja del 14.5.1954, adottata dall'Unesco, ratificata dall'Italia con l. n. 279/1958.

[2] Convenzione di Parigi del 14.11.1970, adottata dall'Unesco, ratificata dall'Italia con l. n. 873/1975.

[3] Convenzione di Roma del 24.6.1995, adottata dall'Unidroit, ratificata dall'Italia con l. n. 213/1999.

[4] Convenzione di Parigi del 2.11.2001, adottata dall'Unesco, ratificata dall'Italia con l. n. 157/2009 e Convenzione di Londra del 6.5.1969, adottata dal Consiglio d'Europa, ratificata dall'Italia con l. n. 202/1973.

[5] Ai sensi dell'art. 36 del Trattato Cee, poi art. 30 Trattato Ce e oggi art. 36 Tfue, le disposizioni sulla libera circolazione delle merci lasciano impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi, tra l'altro, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.

[6] Regolamento (Cee) n. 3911/92 del Consiglio, del 9.12.1992 relativo all'esportazione di beni culturali (GU l. 395 del 31.12.1992, pag. 1).

[7] Direttiva 93/7/Cee del Consiglio, del 15.3.1993, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (GU l. 74 del 27.3.1993, pag. 74).

[8] Direttiva 96/100/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17.2.1997, che modifica l'allegato della Direttiva 93/7/Cee del Consiglio, del 15.3.1993, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (GU l. 60 del 1.3.1997, pag. 59).

[9] Direttiva 2001/38/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15.6.2001, che modifica la Direttiva 93/7/Cee del Consiglio, del 15.3.1993, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (GU l. 187 del 10.7.2001, pag. 43).

[10] Regolamento (Ce) n. 116/2009 del Consiglio, del 18.12.2008, relativo all'esportazione di beni culturali (GU l. 39 del 10.2.2009, pag. 1).

[11] COM (2000) 325 del 25.5.2000; COM (2005) 675 del 21.12.2005; COM (2009) 408 del 30.7.2009; COM (2013) 310 del 30.5.2013.

[12] Direttiva 2014/60/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15.5.2014, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (GU l. 159 del 28.5.2014, pag. 1).

[13] Tale sistema informativo è stato previsto dal Regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.10.2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno e che abroga la decisione 2008/49/CE della Commissione (Regolamento IMI) (GU l. 316 del 14.11.2012, pag. 1).

[14] Vedi sub 3.

[15] Risoluzione del Parlamento europeo del 13.5.1974 sulla difesa del patrimonio culturale dell'Europa (GUCE C62 del 30.5.1974, pag. 5); Risoluzione dell'8.3.1976 sull'azione comunitaria nel settore culturale (GUCE C79 del 5.4.1976, pag. 5); Risoluzione del 17.11.1983 sul rafforzamento dell'azione comunitaria nel settore culturale (GUCE C342 del 19.12.1983, pag. 127); Risoluzione del 26.5.1989 sulla restituzione dei beni culturali al loro paese di origine (GUCE C158 del 26.6.1989, pag. 346); Risoluzione del 13.12.1990 sulla circolazione dei beni culturali nella prospettiva del mercato unico (GUCE C19 del 28.1.1991).

[16] Conclusioni del Consiglio dell'Unione del 13 e 14.12.2011 sulla prevenzione e il contrasto dei reati a danno dei beni culturali.

 

 



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