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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro [*]

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 595 - Pres. Severini, Est. Castriota Scanderbeg - Sulla legittimità della reiterazione del vincolo culturale su un immobile, a seguito di annullamento del provvedimento vincolistico per carenza di motivazione.

L'Amministrazione dei beni culturali è legittimata a rinnovare il proprio potere amministrativo riadottando un provvedimento vincolistico in merito ad un immobile già oggetto in passato di analogo atto amministrativo, annullato poi dal giudice amministrativo per carenza di motivazione. La rilevata carenza di motivazione dell'atto amministrativo non preclude, infatti, per sua natura la corretta rinnovazione dell'esercizio del potere amministrativo in sede propria.

Non costituisce ostacolo alla corretta reiterazione del vincolo culturale la circostanza che quest'ultimo riguardi soltanto una parte del bene vincolato (nel caso di specie un tratto viario) che si trova nel territorio di un solo Comune tra quelli interessati dal bene nella sua interezza.

Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1084 - Pres. Scola, Est. Meschino - Sulla nozione di ristrutturazione edilizia ricavabile dal T.U. edilizia, sulla necessità di indicare tutte le opere oggetto di d.i.a. nella relazione a firma di un progettista abilitato, essendo insufficiente la sola indicazione negli elaborati grafici e sull'illegittimità della sanzione di demolizione di opere di ristrutturazione abusive senza motivare in ordine all'applicabilità ad esse della sanzione pecuniaria, nel caso d'immobili anche non vincolati, situati nelle zone omogenee A, oggetto di ristrutturazioni non consentite.

Ai sensi del'art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico edilizia), l'intervento di ristrutturazione è quello comportante la "trasformazione" dell'organismo edilizio mediante "un insieme sistematico" di opere, che possono portare ad un organismo in tutto o "in parte" diverso dal precedente; inoltre, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), testo unico citato, sono subordinati al permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino ...modifiche dei...prospetti o delle superfici..."; in base a tali norme, carattere distintivo della ristrutturazione edilizia è la trasformazione anche parziale dell'organismo edilizio, con un "insieme sistematico di opere", potendo questo "insieme" consistere in un solo complessivo progetto di intervento o in più interventi puntuali e separati, ma correlati e convergenti al medesimo risultato di trasformazione.

Legittimamente vengono applicate le norme in materia di ristrutturazione edilizia nel caso di opere che, anche se realizzate singolarmente, sono tali da correlarsi in un palese effetto di pur parziale trasformazione dell'organismo edilizio esistente (nella specie il preesistente edificio era stato modificato con l'apertura di tre bocche di lupo disposte sul piano di calpestio della piazza ottenute mediante scavo della stessa, la realizzazione di una scala a tre rampe tra piano interrato e piano terra, in luogo dell'unica preesistente, la realizzazione di una nuova finestra su strada, nonché con la realizzazione di un tratto di canna fumaria in rame e di una tenda).

L'art. 23, comma 1, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, nel disporre che la denuncia d'inizio di attività deve essere "accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie", prescrive con chiarezza che le opere che si intendono eseguire devono essere tutte specificate nella relazione del progettista; soltanto a questa è, infatti, attribuita la funzione specifica di asseverare la loro conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, non essendo quindi sufficiente che le opere siano rappresentate negli elaborati progettuali, se di esse non risulti attestata la detta conformità, sotto la formale responsabilità del progettista.

Anche dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 23, comma 6, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, l'Amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a. e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall'ordinamento.

E' illegittimo il provvedimento con il quale si ingiunge la demolizione di opere di ristrutturazione edilizia realizzate in zona A in assenza di permesso di costruire o in totale difformità senza alcuna motivazione in ordine alle ragioni della scelta della sanzione demolitoria rispetto a quella pecuniaria. Infatti, l'art. 33, comma 4, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico edilizia), dispone che: "Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente". Nel caso specifico d'immobili anche non vincolati situati nelle zone omogenee A, oggetto di ristrutturazioni non consentite, il legislatore ha perciò ritenuto che in ordine alla sanzione dev'essere prioritariamente ponderata la scelta tra quella della restituzione in pristino e quella pecuniaria.

Cons. Stato, sez. VI, 1 aprile 2014, n. 1557 - Pres. Severini, Est. Giovagnoli - Sull'imposizione vincolo archeologico anche per presunzione.

Ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato. Quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l'autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell'antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522).

2. Beni paesaggistici

Cons. Stato, sez. III, 28 marzo 2014, n. 1494 - Pres. F.F. Polito, Est. Palanza - In materia di telecomunicazioni (impianti di telefonia mobile) e, in particolare, sulla necessità di assicurare la salvaguardia dell'intero territorio comunale in ragione dei diversi valori che lo contraddistinguono: esclusione dell'assoggettamento a vincolo dell'intero territorio.

L'iniziativa per l'espansione della rete di telecomunicazione consente moduli organizzativi, secondo le scelte negoziali dei soggetti abilitati, che possono prevedere l'avvalimento di soggetti terzi per la realizzazione della componente strutturale del servizio.

Il potere autorizzatorio dell'ente locale investe, invero, l'impianto nelle sue componenti strutturali, con verifica del suo impatto sul territorio e della sua compatibilità ambientale e sanitaria, ma non coinvolge l'attività di telecomunicazione, che trova il suo pregresso ed unico asseveramento nell'autorizzazione generale di telecomunicazione rilasciata a conclusione di scelta selettiva a livello nazionale del gestore di telefonia mobile.

L'art. 135 del d.lg. n. 42 del 2004 prescrive che in sede di piani paesistici regionali tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto e regolato al fine della salvaguardia dei valori individuati ma non per questo tutto il territorio riceve indistinta tutela secondo gli strumenti di controllo previsti dal d.lgs. medesimo. Decisivo sul punto è quanto statuito dal Consiglio, sez. VI, con sentenza n. 7004 del 2011 in riferimento all'art. 131 del codice dei beni culturali rispetto alla sua precedente versione. E' ivi posto in rilievo che "la eliminazione del riferimento al paesaggio come costituito da 'parti' del territorio non risulta sufficiente a far ritenere che nel testo vigente sia stata stabilita la effettiva o potenziale coincidenza del paesaggio con tutto il territorio, considerato che dal comma 1 non emerge tale coincidenza essendo per esso paesaggio non tutto il territorio ma la parte di esso espressiva di identità...", mentre, con richiamo all'art. 135 dello stesso codice, non "vale in contrario la disciplina dei piani paesaggistici quale emerge in particolare dagli articoli 135 e 143 del Codice, poiché il riferimento alla necessità di assicurare che 'tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono' (art. 135, comma 1) esprime una complessiva esigenza di conoscenza e di articolate modalità di gestione del territorio nella sua ineludibile correlazione con il paesaggio, ma non comporta l'assoggettamento a regime vincolistico di tutto il territorio, come risulta chiaramente dall'art. 143, ai sensi del quale la ricognizione del territorio è il presupposto per gli interventi differenziati, per aree e modalità di azione amministrativa, specificati nel comma 1 dell'articolo, in cui è anche inclusa la disciplina necessaria per assicurare altresì lo 'sviluppo sostenibile' delle aree interessate attraverso la trasformazione del territorio stesso".

Ai sensi dell'art. 87, comma 9, inoltre, qualunque richiesta di rilascio di dichiarazioni o di integrazione della documentazione prodotta interrompe il decorso del termine per la formazione del silenzio assenso.

Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2014, n. 1314 - Pres. Severini, Est. Vigotti - Sull'individuazione del dies a quo per l'esercizio del potere di annullamento della Soprintendenza.

Per costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (per tutte, sez. VI, 31 maggio 2013, n. 2997 e 3 settembre 2013, n. 4387), il temine legislativamente previsto per l'esercizio del potere di annullamento della Soprintendenza dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata decorre dal momento in cui, con la completa ricezione della necessaria documentazione, essa è in grado di esperire una esaustiva valutazione: di conseguenza, la richiesta di integrazione documentale ha per effetto l'interruzione del decorso del termine, che riprende ex novo una volta acquisiti gli elementi integrativi di giudizio necessari per il corretto esercizio del potere, sulla base di una compiuta istruttoria.

Tar Liguria, sez. I, 18 marzo 2014, n. 428 - Pres. Balba, Est. Ponte - Concernente la disciplina sul recupero dei sottotetti e l'individuazione del vincolo paesaggistico con riferimento ad area boscata.

La disciplina eccezionale di cui alla l.r. n. 24 del 2001, in tema di recupero sottotetti, è stata pensata per recuperare a fini abitativi volumi privi di una propria destinazione specifica, non per consentire il mutamento di destinazione d'uso in residenziale relativamente ad immobili aventi una diversa destinazione d'uso conforme alla disciplina urbanistica.Ammettere una simile possibilità determinerebbe l'illogica conseguenza di frustrare completamente la pianificazione territoriale attesa la possibilità di operare in deroga agli strumenti urbanistici. Ciò non può che riguardare altresì volumi, aventi diversa destinazione, e collocati in posizione ben diversa (come nella specie, trattandosi di volumi collocati a lato dell'immobile) da un sottotetto.

Non occorre - quantomeno in termini di legittimità formale - il parere della commissione edilizia comunale allorché il responsabile del procedimento, astenendosi da valutazioni tecniche, si limiti a operare delle valutazioni giuridiche e a motivare, pertanto, il diniego della sanatoria sulla mancanza dei presupposti di legge (cfr. ad es. Cons. Stato n. 4162/2011).

La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, e ad atti amministrativi generali o particolari.

Ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), d.lg. n. 42 del 22 gennaio 2004, sono di interesse paesaggistico e costituiscono aree tutelate per legge i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'art. 2, commi 2 e 6, d.lg. 18 maggio 2001, n. 227); pertanto, gli atti con i quali i comuni provvedano a individuare e perimetrale le aree boschive sottoposte a vincolo hanno natura meramente ricognitiva.

Peraltro, in assenza di atti formali di individuazione delle aree boscate, occorre che quantomeno la p.a. procedente svolga uno sforzo ricognitivo, attraverso la valutazione degli elementi individuati come rilevanti sul punto. Ciò sia alla luce dei principi generali e fondamentali in ordine all'obbligo di motivazione di ogni determinazione amministrativa, sia in specie con riferimento alla rilevanza ed incidenza del vincolo paesaggistico nella specie invocato; a quest'ultimo proposito, la necessità di specificare gli elementi posti a fondamento del reputato vincolo, in specie in assenza di specifici atti - anche generali e di piano - da cui trarre lo stesso vincolo, deriva dalle gravi conseguenze, anche penali, che la presenza del vincolo stesso può determinare, cosicché appare evidente la necessità che il proprietario o comunque il privato interessato, sia posto in grado di conoscere la qualificazione del proprio bene al fine di rispettare le norme vigenti. In tal caso infatti, non può operare il principio per cui l'ignoranza della legge non scusa, in quanto alla conoscenza delle norme di legge (data per presupposta e non contestata) deve accompagnarsi la cognizione della sussistenza di un vincolo.

A tal fine vanno inquadrati gli sforzi compiuti sia del legislatore (e confluiti nel d.lg. n. 227 del 2001, non a caso oggetto di specifico e puntuale richiamo da parte dello stesso art. 142 del codice dei beni culturali) sia della giurisprudenza amministrativa, la quale si è tradizionalmente adeguata ad una interpretazione più restrittiva e garantista, affermando che per alcune generali categorie di beni soggetti a vincolo, tra cui i boschi, la genericità delle previsioni legislative rende difficoltosa la delimitazione del vincolo, la cui operatività è quindi rimessa all'autorità amministrativa che, individuando fisicamente e spazialmente le aree assoggettate a tutela, attribuisce loro certezza giuridica (cfr. ad es. Tar Marche n. 753\1992 e Cons. Stato 794\1994). Peraltro, anche volendo aderire ad una tesi meno garantista (comunque non semplice, specie nell'attuale fase di inadempienza rispetto alle indicazioni contenute nell'art. 2 comma 2 d.lg. n. 227 del 2001), la palese genericità della nozione impone che, quantomeno nella successiva sede applicativa (come nella specie, dove non si impone il vincolo ma si gestisce il territorio presupponendo il vincolo stesso), la p.a. procedente esplichi le ragioni di fatto e di diritto in tema di individuazione del vincolo.

Pertanto, in assenza (come nel caso in esame) di qualsiasi elemento formale cui riferire la sussistenza dell'invocato vincolo, l'amministrazione comunale è tenuta svolgere una adeguata e completa valutazione circa la sussistenza, con specifico riferimento ai caratteri ed allo stato dei luoghi interessati, degli elementi in base ai quali ritenere effettivamente sussistente il vincolo prospettato.

Il vincolo, in quanto tale e per gli effetti limitativi che comporta, occorre che sia chiaramente individuato, anche al fine di porre in condizione il titolare del bene di adeguare i propri comportamenti, anche e non solo a fronte delle rilevanti ricadute che la sussistenza di un vizio comporta.

Nota

[*] Con la collaborazione della Dott.ssa Vania Talienti.



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