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I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche - Atti Convegno Assisi (25-27 ottobre 2012)

Beni culturali e valorizzazione della componente immateriale

di Stefano Fantini

Sommario: 1. La valorizzazione dei beni culturali. - 2. La valorizzazione-fruizione della componente immateriale dei beni culturali: in particolare, la registrazione del marchio e la sponsorizzazione. - 2.1 La valorizzazione-fruizione virtuale dei beni culturali. - 3. La valorizzazione della conoscenza dei beni culturali immateriali.

Cultural Heritage and Valorization of the Intangible Component
The article, taking as parameter the theme of valorization, intends to deepen the functional interrelations of the classic distinction between tangible and intangible cultural heritage. In this perspective are relevant the intangible component of cultural heritage susceptible to valorization, for example through the registration of the trademark concerning distinctive graphic elements taken from cultural heritage, or through the sponsorship contract, in particular indirect or technical, as well the virtual valorization-fruition of cultural heritage especially related websites, which deprives them of the material substratum. In both cases, there is the need to protect the rights of possession to cultural contents, which however must coordinate with a public interest to the wider use. Next to fruition of the intangible value is then treated the valorization of the knowledge of intangible cultural heritage, expression of collective cultural identities that have their basis in international law, and in particular in the Unesco Conventions of 2003 and 2005.

Keywords: Intangible Cultural Heritage; Registration of Trademark; Sponsorship Contract of Cultural Heritage; Modern Information Tecnologies.

1. La valorizzazione dei beni culturali

Il tema assegnatomi consente, in qualche misura, di approfondire, più in concreto, il senso ed il limite funzionale della distinzione tra beni culturali materiali ed immateriali.

Questi ultimi, come noto, nel nostro ordinamento, hanno rappresentato l'eccezione, sia in termini di tradizione giuridica, sia proprio di impianto ordinamentale. Non v'è dubbio che, a livello nozionale, sino davvero ai tempi più recenti, tra gli elementi costitutivi del bene culturale, si è sempre predicata la necessarietà della materialità, nel senso che beni culturali sono le res quae tangi possunt; sul piano del diritto positivo, poi, è pure vero che il Codice dei beni culturali, all'art. 2, comma 2, parla di beni costituenti "testimonianze aventi valore di civiltà", così privando il sostantivo "testimonianza" dell'aggettivo "materiale", risalente alla prima dichiarazione dei lavori della Commissione Franceschini del 1967, ma è altrettanto vero che il codice è rigorosamente costruito nel presupposto, quanto meno con riguardo alla disciplina di "tutela", che ne costituisce magna pars, della materialità del bene.

Senza indugiare, peraltro, su tali profili generali, vale la pena concentrare l'attenzione sulla valorizzazione, nell'auspicio che l'esatta enucleazione della sua portata contribuisca in primo luogo ad evidenziare i differenti profili di emersione, in tema di beni culturali, della dicotomia tra beni materiali ed immateriali (melius, valori immateriali), e poi le problematiche giuridiche a ciò connesse.

In tale prospettiva metodologica, giova porre in evidenza che "la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura" (art. 6, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

Non è possibile, in questa sede, affrontare il tema del riparto di competenza legislativa in materia di attività di valorizzazione (inferibile dall'art. 117, comma 3, della Costituzione, nonché dall'art. 7 del Codice dei beni culturali), dovendosi, piuttosto, concentrare l'attenzione sul concetto di "valorizzazione". E' però vero che esiste un problema aggiuntivo nel (non sempre di agevole applicazione) riparto delle competenze sulla valorizzazione della componente immateriale, o dei beni culturali immateriali, per la difficoltà di utilizzare il criterio di appartenenza (art. 102, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004), ed anche per la mancanza di una disciplina statale contenente i principi fondamentali in tema di patrimonio culturale immateriale, come meglio si dirà nel prosieguo. Tale seconda considerazione spiega forse perché in taluni casi siano state le Regioni ad intervenire nella materia de qua; merita ricordare, ad esempio, come la Regione Sicilia, ancora prima della ratifica statale delle convenzioni UNESCO del 2003 e del 2005, abbia, praeter legem, istituito il "Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia" [1]. Successivamente, anche la Regione Lombardia, in attuazione della l.r. n. 27 del 2008, ha istituito il R.E.I.L. ("Registro delle Eredità Immateriali Lombarde") [2].

Senza disperderci in una digressione a ritroso sullo sviluppo della legislazione e della giurisprudenza, in fecondo dialogo con il formante dottrinario, è importante sottolineare che la valorizzazione, al pari della tutela, è una "materia-attività", nella quale assume rilievo il profilo teleologico della disciplina [3]; ciò consente di spiegare come nella funzione di valorizzazione rientri, al contempo, la promozione della conoscenza del patrimonio culturale e la fruizione dei beni culturali. A quest'ultimo proposito, pur ravvisandosi qualche incertezza ermeneutica connessa alla redazione del "Titolo II" del codice, appare condivisibile l'affermazione secondo cui "la fruizione resta, sul piano sistematico, solo un aspetto della valorizzazione, più esattamente una finalità che questa deve perseguire e uno degli ambiti della disciplina relativa a detta funzione" [4].

Seguendo una diversa chiave di lettura, frutto di un'astrazione fondata sull'esegesi delle norme codicistiche, si può, allo stesso tempo, convenire con la tesi che riconosce il quid proprium della valorizzazione nell'assicurare "vantaggi a soggetti che si trovano in un particolare rapporto con il bene culturale; rapporto che può essere sia di appartenenza ... sia di semplice fruizione, come avviene per l'utente di un servizio culturale" [5].

2. La valorizzazione-fruizione della componente immateriale dei beni culturali: in particolare, la registrazione del marchio e la sponsorizzazione

Può essere utile principiare dalla seguente considerazione esemplificativa mutuata dalla dottrina: "le Rime del Petrarca sono un bene immateriale, in quanto indiscutibile espressione letteraria, i manoscritti delle Rime, cioè gli originali dell'opera, costituiscono bene culturale (ex art. 10, comma 4, lett. c, del codice)" [6]. Si direbbe, in prima approssimazione, che, nel caso ora descritto, non occorra invocare la disciplina dei beni culturali per il valore immateriale, in quanto lo stesso risulta già sottoposto ad una specifica tutela, rinvenibile nelle norme dettate a protezione del diritto di autore.

Il tema, peraltro, è complesso, atteso che il trend legislativo più recente pone effettivamente in evidenza una progressivamente maggiore attenzione al valore immateriale del bene culturale; ciò dicasi, limitandoci ai casi più significativi, per la registrazione del marchio, da parte delle Amministrazioni pubbliche, avente ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico od ambientale (art. 19, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, recante il codice della proprietà industriale, nel testo modificato dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131), come pure, sebbene in modo più indiretto, per il contratto di sponsorizzazione.

Principiando da quest'ultimo, è noto che il profilo causale è rinvenibile nello scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività od il prodotto dell'attività del soggetto erogante, a fronte del versamento di un contributo per la progettazione o l'attuazione di iniziative di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (art. 120 del Codice dei beni culturali). Occorre peraltro rilevare, con riguardo alla sponsorizzazione delle p.p.a.a., che la promozione dell'immagine dello sponsor appare marginalizzata rispetto alla controprestazione, consistente nel mettere a disposizione dell'Amministrazione stessa una determinata provvista, in denaro o beni, funzionale al perseguimento dei fini di interesse culturale [7]. La valorizzazione della componente immateriale del bene culturale è comunque più evidente allorché il contratto di sponsorizzazione, come sovente accade, si realizza attraverso un facere, ovvero un'offerta di servizi ed attività materiali per la progettazione e l'attuazione di iniziative nel campo della tutela e della valorizzazione (anziché un mero dare), in quanto tale evenienza contiene in sé anche il profilo della gestione indiretta dell'attività di valorizzazione ai sensi dell'art. 115 del Codice dei beni culturali [8]; è il caso della c.d. "sponsorizzazione indiretta", o, forse meglio, alla stregua della nuova previsione dell'art. 199-bis del codice dei contratti pubblici [9], della "sponsorizzazione tecnica", "consistente in una forma di partenariato estesa alla progettazione e alla realizzazione di parte o di tutto l'intervento a cura e spese dello sponsor".

La registrazione, da parte delle Amministrazioni, del marchio avente ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, consente uno sfruttamento dello stesso (per meglio dire, della sua componente immateriale) a fini commerciali (anche mediante concessione di licenze e per attività di merchandising), a condizione che i proventi siano destinati al finanziamento delle attività istituzionali od alla copertura di eventuali disavanzi pregressi dell'ente.

Va precisato, per chiarezza, che il marchio non è un bene culturale immateriale, ma è un bene immateriale rappresentativo di beni culturali, materiali od immateriali.

Tale considerazione può contribuire a superare il dubbio di compatibilità del diritto di esclusiva derivante dalla registrazione del marchio con la regola della fruibilità collettiva del bene culturale; peraltro, anche sul piano del diritto positivo, il codice della proprietà industriale consente la registrazione come marchi notori dei segni usati in campo artistico, letterario solo con il consenso dell'avente diritto (art. 8, comma 3).

Per il marchio, dunque, non sembra esistere un problema di "riserva" o meno sul patrimonio culturale dell'Amministrazione.

E' utile cogliere la distinzione tra tale riproduzione grafica di segni distintivi tratti dal patrimonio culturale e l'uso individuale dei beni culturali, disciplinato dagli artt. 106 e ss. del Codice dei beni culturali.

In particolare, l'art. 106 concerne l'uso individuale del bene culturale che può essere concesso a singoli richiedenti (dunque, uti singuli), per finalità compatibili con la sua destinazione culturale; si tratta di un provvedimento concessorio, che deroga alla fruizione collettiva cui sono destinati, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 4, del codice, i beni culturali ad appartenenza pubblica (ed in certi casi, anche di proprietà privata), a fronte del versamento di un canone.

L'art. 107 del codice prevede poi l'uso strumentale e precario, nonché la riproduzione dei beni culturali (i calchi sono, di regola, consentiti da copie degli originali già esistenti, o comunque ottenuti con tecniche che escludano il contatto diretto con l'originale); tale uso deve essere autorizzato ed in genere richiede la corresponsione di un corrispettivo (come si desume dall'art. 108). Non sembra che la riproduzione possa divenire uno strumento attraverso il quale realizzare un "uso privato" di un elemento grafico distintivo di un bene culturale, atteso che l'art. 107 fa salve le disposizioni in materia di diritto d'autore.

Ne discende che l'uso individuale dei beni culturali, per definizione incompatibile con la sua fruizione collettiva, richiede un titolo abilitativo, è oneroso, e presenta caratteri di realità [10], che lo conducono al di fuori del tema oggetto di studio.

2.1. La valorizzazione-fruizione virtuale dei beni culturali

Nell'ambito della valorizzazione-fruizione si colloca anche il tema della fruizione virtuale dei beni culturali derivante dalla diffusione delle nuove tecnologie di connettività, ed in specie dei siti web culturali; d'altronde, il nostro è il mondo caratterizzato "dall'abbandono delle ardue vette del pensiero per le più agevoli pianure della tecnologia" [11].

E' stato evidenziato che "la valenza del sito web culturale (...) è duplice: esso non costituisce solo un mezzo di comunicazione primaria esterna, ma anche uno spazio in cui è possibile un approccio alla cultura differente rispetto a quello che si realizza attraverso la tradizionale visita al museo. In questa accezione, il sito diviene uno strumento per la globalizzazione della fruizione, un non-luogo dove chiunque, a prescindere da ogni confine territoriale, può fruire del contenuto digitalizzato delle opere d'arte che viene, in tal modo, universalizzato" [12].

E' opportuno precisare che il tema non riguarda solo i musei, come nel caso dell'"Uffizi Touch", che racchiude l'intero patrimonio artistico del museo fiorentino, fatto di oltre mille opere in alta risoluzione, o del più ambizioso progetto del Google's Art Project che consente di visionare (in modo interattivo attraverso la funzione indoor di Street view) le opere più significative di taluni dei più grandi musei del mondo, ma si estende alle "biblioteche digitali", che realizzano la digitalizzazione del patrimonio antico (si pensi alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, con un milione e 350 mila pagine di manoscritti), ed includono anche il fenomeno, nuovo, delle opere native digitali.

Tecnicamente, l'immissione in rete di contenuti culturali importa che gli stessi divengono multimediali o virtuali, perdendo il collegamento con il substrato materiale; potremmo dire che si passa dalla geometria euclidea a quella multidimensionale.

In tale modo si realizza la globalizzazione dei contenuti culturali, sradicati dalla realtà spaziale, e la loro fruizione agevolata perché posta al di fuori dei confini del tempo e dello spazio [13], ma, allo stesso tempo, si perde il parametro della lex rei sitae; come è stato posto in evidenza in dottrina, ciò si traduce principalmente nell'esigenza di ridefinire lo status giuridico dei diritti di proprietà intellettuale [14].

Si pone dunque un'esigenza di tutela dei titolari dei diritti, anche patrimoniali, sui contenuti culturali, siano questi gli autori, siano questi "i soggetti e le strutture che detengono o producono i contenuti culturali" [15]; il punto problematico è il limite in cui tale tutela risulta meritevole di apprezzamento, a fronte dell'interesse alla fruizione della platea dei consumatori, ed, ancora più, della considerazione che l'attività di valorizzazione ad iniziativa pubblica è qualificabile come servizio pubblico e si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione (art. 111, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004).

Il problema è bene percepito nella sua portata (tanto che la Carta di Parma - documento programmatico redatto dai rappresentanti nazionali per la digitalizzazione del 21 novembre 2003 - sulla diffusione della cultura e della conoscenza attraverso l'uso delle nuove tecnologie, all'art. 4 riconosce apertis verbis "l'importanza di contemperare il diritto di accesso al patrimonio culturale e scientifico con l'esigenza di rispettare i diritti di proprietà intellettuale e il diritto alla riservatezza degli individui. A tal fine, incoraggia l'adozione di ogni strumento legale e tecnologico disponibile per incrementare l'accessibilità e superare le barriere legislative e normative. Incoraggia il dialogo fra differenti settori culturali e scientifici, gli esperti di proprietà intellettuale, le imprese che applicano sistemi di Digital Rights Management e le imprese produttrici di contenuti"), ma il punto di equilibrio è ancora da individuare.

Sul piano del diritto positivo interno, la novella del 2008 all'art. 70 della legge 22 aprile 1941, n. 633 (sul diritto d'autore) si è limitata, al secondo comma, a stabilire che "è consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro", facendo rinvio ad un decreto interministeriale per la definizione dei limiti all'uso didattico o scientifico.

A livello europeo, la Commissione ha progettato il programma "Arrow" che, diversamente da Google, individua i titolari del copyright dei testi prima della pubblicazione (negli Stati Uniti Google ha invece digitalizzato le opere coperte da diritti, lasciando poi agli autori l'onere di rivendicarli; in Europa peraltro Google ha recentemente stipulato accordi con Belgio e Francia, impegnandosi a pagare i proprietari dei contenuti).

3. La valorizzazione della conoscenza dei beni culturali immateriali

Si è finora cercato di porre in rilievo il profilo della valorizzazione dei beni culturali che si concreta nella fruizione del valore immateriale, inverando il luminoso insegnamento, forse mai integralmente compreso, di M.S. Giannini, il quale, muovendo dalla pluralità delle qualificazioni giuridiche che possono interessare la res, era pervenuto, sin dal 1976, ad una concezione unitaria del bene culturale, quale bene pubblico immateriale, incentrata sull'immaterialità del valore culturale e sulla sua pubblicità in quanto bene di fruizione [16].

E' ora il momento di guardare all'altra componente insita nella funzione della valorizzazione, che è quella della promozione della conoscenza del bene culturale.

Tale aspetto concerne, propriamente, il bene culturale immateriale, che, pur non ricompreso nella disciplina del d.lgs. n. 42 del 2004 (come testimonia in modo inequivoco l'art. 7-bis, introdotto dalla novella del 2008), è presente nel nostro ordinamento, provenendo dal diritto internazionale, in particolare per effetto del recepimento delle convenzioni UNESCO del 2003 e del 2005.

Del resto, come è stato correttamente osservato, il codice segue una concezione reale e normativa [17] di bene culturale, ma "non esclusiva di addizioni future di nuove categorie" [18].

Ampio è il nucleo semantico della locuzione "intangibile cultural heritage" desumibile dalle predette convenzioni [19]; essa afferisce a beni, come il linguaggio, i canti, le tradizioni, i costumi, le feste e gli spettacoli tradizionali, le fiabe, i proverbi ed i cibi del territorio. Si tratta di espressioni di identità culturale collettiva che si dicono "volatili", in quanto ontologicamente prive di substrato materiale o corporeo, nelle quali, in altri termini, il valore ideale estrinsecato è "trascendente", cioè non si compenetra nell'elemento materiale, e perciò stesso è riproducibile ed indistruttibile [20] [21].

Rispetto ai circa 45 siti italiani inseriti dall'UNESCO nella World Heritage List ve ne sono (salvo errore) solamente tre espressione della cultura intangibile, e cioè il "Teatro delle marionette siciliane-Opera dei pupi", il "Canto a tenore dei pastori del centro della Barbagia", e, ultima riconosciuta, la "Dieta mediterranea".

Il rilevato dato numerico non assume ovviamente valore giuridico di per sé, ma, nell'esemplificazione che esprime, dimostra con chiarezza che i beni culturali immateriali, per la loro natura, non sono utilmente assoggettabili alla disciplina di tutela contenuta nel Codice dei beni culturali.

In tale prospettiva, è stato auspicato, da una parte della dottrina, un "sistema a tutele parallele", che, affiancando alla nozione "interna" di bene culturale, quella più estesa, proveniente dal diritto internazionale ed anche dalle azioni comunitarie, conduca alla formazione di un sistema di "cerchi concentrici, il più largo dei quali rappresenterebbe il patrimonio culturale, come "prodotto" della cultura in senso antropologico; al suo interno, il cerchio più ristretto, coincidente con la nozione di bene culturale utilizzata in sede nazionale" [22].

L'esemplificazione consente altresì di osservare che il bene culturale immateriale, per la sua intima essenza, richiede soprattutto di essere valorizzato sotto il profilo della diffusione della sua conoscenza, in quanto solo in tale modo è possibile promuovere la diversità delle espressioni culturali, e la trasmissione intergenerazionale delle stesse, obiettivo principale della convenzione di Parigi del 20 ottobre 2005 [23].

 

Note

[1] L'istituzione è avvenuta con il decreto assessorile 26 luglio 2005, n. 77; il R.E.I. contempla quattro libri: il "Libro dei Saperi", il "Libro delle Celebrazioni", il "Libro delle Espressioni" ed infine il "Libro dei Tesori umani viventi".

[2] Tale R.E.I.L. si articola in cinque settori: "Registro dell'Oralità", "Registro delle Arti e dello Spettacolo", "Registro delle Ritualità", "Registro dei Saperi Naturalistici", "Registro dei Saperi Tecnici".

[3] Cfr., a tale riguardo, Corte Cost., 20 giugno 2004, n. 26, nonché Corte Cost., 16 giugno 2005, n. 232.

[4] Così G. Sciullo, Le funzioni, in Diritto e gestione dei beni culturali, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2011, pag. 62.

[5] In termini D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, 2011, pag. 72; anche P. Caputi Jambrenghi, Commento agli artt. 3-6, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) A. Angiuli, V. Caputi Jambrenghi, Torino, 2005, pag. 47.

[6] G. Sciullo, I beni, in Diritto e gestione dei beni culturali, op. cit., pag. 24.

[7] Si veda, in argomento, F. Mastragostino, Sponsorizzazioni e pubbliche amministrazioni: caratteri generali e fattori di specialità, in Aedon, 2010, 1.

[8] Un'interessante esemplificazione del problema si rinviene nella sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 25 luglio 2012, n. 6921, in giustizia-amministrativa.it., concernente il progetto di fototeca della Soprintendenza al polo museale romano.

[9] Introdotta dall'art. 20, comma 1, lett. h), del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito nella legge 4 aprile 2012, n. 35.

[10] Intesa come materialità, e dunque senza prendere posizione sul carattere personale o reale del diritto di godimento che ne deriva: cfr. in argomento A. Fantin, La concessione in uso dei beni culturali nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Aedon, 2010, 2.

[11] A. Ferrari, La crisi è il momento della verità: la nostra cultura serve a qualcosa?, in Corriere della Sera del 18 ottobre 2012.

[12] Così E. Cavalieri, I modelli gestionali: il management museale, in La globalizzazione dei beni culturali, (a cura di) L. Casini, Bologna, 2010, pag. 264.

[13] E. Cavalieri, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, op. cit., pagg. 195-196.

[14] Anche in questa prospettiva il tema del diritto d'autore è articolato, in quanto i beni da tutelare possono essere molteplici: l'opera multimediale unitariamente considerata, ove presenti il requisito del carattere creativo, le opere che ne fanno parte, ed infine il software strumentale alla fruizione dell'opera: si veda, in argomento, G. Finocchiaro, La valorizzazione delle opere d'arte on-line e in particolare la diffusione on-line di fotografie di opere d'arte. Profili giuridici, in Aedon, 2009, 2.

[15] Cfr. in argomento A. Serra, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: categorie di interessi e profili giuridici, in La globalizzazione dei beni culturali, op. cit., pag. 225, la quale sottolinea come tali soggetti siano "interessati a un uso controllato dei contenuti, sia per finalità di remunerazione sia di controllo sulla qualità di quanto viene messo a disposizione".

[16] M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 3 ss.; osserva l'Autore che il bene culturale "non è bene materiale, ma immateriale: l'essere testimonianza avente valore di civiltà è entità immateriale che inerisce ad una o più entità materiali, ma giuridicamente è da queste distinte, nel senso che esse sono supporto fisico ma non bene giuridico".

[17] Nel senso che occorre la legge ad individuare, tra le cose, le categorie di beni culturali; attualmente tali sono le cose previste dagli artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 42 del 2004.

[18] Così G. Severini, Commento agli artt.1-2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2012, pag. 27.

[19] La convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile del 17 ottobre 2003, entrata in vigore il 20 aprile 2006, e ratificata dall'Italia con la legge 27 settembre 2007, n. 167, all'art. 2, include, nel patrimonio culturale intangibile, "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how che le comunità, i gruppi ed in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale", poi specificate in termini di "tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, le arti dello spettacolo, le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi, le cognizioni e le prassi relative alla natura e all'universo e l'artigianato tradizionale".

[20] Si veda, in argomento, M. Are, Beni immateriali (diritto privato), in Enc. dir., V, Milano, 1959, pag. 251 ss.

[21] Va peraltro ricordato come talora le espressioni della cultura popolare, delle tradizioni possono "sedimentarsi", come si evince dal materiale presente nel Museo nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, museo etnografico con sede a Roma, che raccoglie oggetti che testimoniano le arti e le tradizioni popolari tra la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento.

[22] In termini C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, op. cit., pag. 176.

[23] Ratificata dall'Italia con la legge 19 febbraio 2007, n. 19.

 

 



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