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Il decreto "Valore cultura"

Nuovi mutamenti di rotta nella gestione di Pompei

di Giuseppe Gherpelli

Pompeii's Management: New Change of Course
This paper values the possible consequences of the Art. 1 of the Decree-law 91/2013 that endorsed the implementation of the "Pompeii project", co-financed by the European Union, comparing it with Art. 9 of the Act 352/1997, which started the first phase of the autonomous management of Pompeii archaeological site, finding some analogies and many differences, in particular in the governance.

Keywords: Pompeii; Governances; Change of Course.

Ho avuto, insieme al Soprintendente in carica all'epoca, Piero Guzzo, la responsabilità di provare a fondare, per quattro anni, dal 1998 al 2001, l'"autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria per quanto concerne l'attività istituzionale, con esclusione delle spese per il personale" della Soprintendenza archeologica di Pompei, interpretando, in via dichiaratamente sperimentale, e in assenza di modelli già attivati, quanto previsto dall'articolo 9 della legge 8 ottobre 1997, n. 352.

Il contesto in cui venne approvata quella legge pareva contrassegnato da disegni riformatori indirizzati a garantire l'ammodernamento della pubblica amministrazione, attraverso l'individuazione di modelli concreti di semplificazione normativa, organizzativa e procedimentale, in un quadro d'azione orientato verso quello che allora era prevalentemente ancora definito come il "decentramento" delle funzioni dello Stato, in presenza di piuttosto vaghe intenzioni di riduzione degli apparati e di generiche, nebulose indicazioni di "apertura ai privati".

Il legislatore, approvando quella legge, affermava di perseguire specialmente due obiettivi, il primo dei quali era costituito dalla introduzione di elementi di legalità in un contesto istituzionale alla deriva, il secondo dalla attivazione, in vista della sua estensione ad altre realtà, di un modello gestionale innovativo applicato ad una delle strutture periferiche fra le più importanti e difficili del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Per impiantare gli elementi di legalità richiesti, primo obiettivo, si operò contestualmente su due piani.

Il primo piano, quello legato essenzialmente al controllo degli atti e delle procedure di spesa, portò, auspici i Ministri Veltroni, Melandri, Russo Jervolino e Bianco, con la collaborazione fattiva del Prefetto e del Questore di Napoli (rispettivamente, Romano e Manganelli) alla sottoscrizione del primo "Protocollo di legalità", che aveva la funzione di monitorare costantemente il rapporto fra la Soprintendenza e le imprese affidatarie di lavori e di servizi.

Il secondo piano, altrettanto decisivo, fu costituito dal passaggio, drastico e immediato, da una metodologia di affidamento di servizi e di lavori consolidata e fortemente discutibile, alla piena e incondizionata applicazione delle previsioni e delle prescrizioni normative in materia.

L'attivazione, in vista della sua estensione ad altre realtà, di un modello gestionale innovativo, secondo obiettivo del legislatore, fu oggetto di rapide decisioni, complesse ma riuscite, in quel primo scorcio del 1998, che riguardarono anzitutto la definizione degli organi, l'approntamento dei loro compiti e delle loro modalità d'azione, il loro insediamento.

In poche settimane, la Soprintendenza archeologica di Pompei si trovò dotata di un consiglio di amministrazione, di un collegio di revisori dei conti, di un proprio bilancio, di un autonomo servizio di cassa, assegnato tramite gara pubblica ad un primario istituto di credito nazionale, con relativa apertura di uno specifico conto corrente (parzialmente fruttifero), sul quale iniziò ad effettuare tutte le operazioni (incassi e pagamenti) connesse con le proprie attività.

Fino al 1997, la Soprintendenza archeologica di Pompei, alla stregua di tutti gli altri istituti periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, provvedeva a versare allo Stato tutti gli introiti derivanti dalla vendita di biglietti di ingresso agli Scavi, e conduceva le proprie attività utilizzando esclusivamente i finanziamenti erogati annualmente dal Ministero, il quale si faceva carico anche di tutte le spese per il personale assegnato alla Soprintendenza.

A partire dal 1998, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha continuato a farsi carico di tutte le spese per il personale, inclusa una parte delle indennità accessorie, ma ha drasticamente ridotto, fino praticamente ad azzerarlo nel corso del 2000, il proprio contributo annuale ordinario alla Soprintendenza, la quale, invece, iniziò fin dal 1998 a versare direttamente sul proprio conto corrente tutti gli introiti derivanti dalle sue attività (vendita biglietti di ingresso, royalties, concessioni, servizi, ecc.).

Il contributo annuale ordinario del Ministero alla Soprintendenza nel 1997, come negli anni precedenti, consisteva, rappresentandone l'unico introito, in una somma pari a circa € 2.400.000,00, di cui, tolta la parte finalizzata al pagamento al personale delle indennità accessorie, solo € 1.250.000,00 risultavano effettivamente disponibili per le attività destinate alla tutela e alla valorizzazione.

Nel 2001 la Soprintendenza autonoma registrò entrate pari a circa € 17.000.000,00, riconducibili (per il 90% circa) agli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso, dalle concessioni e dalle royalties, e (per il 10%) circa ai trasferimenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali finalizzati al pagamento al personale delle indennità accessorie.

A fronte del considerevole aumento delle entrate, il consiglio di amministrazione della Soprintendenza, nella consapevolezza che la tutela del patrimonio è il presupposto indispensabile della sua valorizzazione, assunse decisioni rilevanti in ordine alle tipologie di spesa, così riassumibili: 55% per le attività di tutela e conservazione del patrimonio archeologico; 30% per le attività di valorizzazione; 15% per le attività connesse con il funzionamento della struttura.

Fra il 1998 e il 2001, sulla traccia del "piano-programma" predisposto dal Soprintendente, che aveva classificato le emergenze in materia di manutenzione e restauro, furono appaltati lavori per oltre € 8.000.000,00 (quintuplicando la spesa media annua precedente), con interventi riguardanti, fra gli altri, (a Pompei) le Terme suburbane, le Case del Menandro, dei Casti Amanti, delle Nozze d'Argento, di Lucrezio Frontone, la Villa delle Colonne a Mosaico, il Foro Triangolare, il Quadriportico dei Teatri, la Porta Stabia, e (a Ercolano) l'Antiquarium, le Case dell'Albergo, dei Cervi, del Salone Nero, il Ninfeo della Casa dello scheletro.

Il consiglio di amministrazione, dopo avere, nel corso del 1998, messo a punto il nuovo sistema contabile amministrativo della Soprintendenza, con un investimento, rivelatosi decisivo, in informatica (hardware e software erano praticamente assenti), in formazione del personale e in adozione di nuove metodologie di lavoro amministrativo, indisse, fra il 1999 e il 2001, molte gare ad evidenza pubblica, su scala europea, assegnando a imprese private, fra gli altri, i seguenti servizi: biglietterie informatizzate e controllo accessi; informazione, accoglienza e guardaroba; controllo di gestione; audio guide; librerie; telesorveglianza negli Scavi di Pompei; creazione del sistema di identità visiva, e relativo manuale; manutenzione e cura del verde di tutte le aree di pertinenza; pulizie e derattizzazione di tutte le aree, gli edifici antichi e i luoghi di lavoro; ristorazione negli Scavi di Ercolano.

Il radicale mutamento di gestione introdotto produsse la lievitazione degli introiti, specialmente per il rovesciamento effettuato nella gestione delle biglietterie: la privatizzazione del servizio (su cui la Soprintendenza riconobbe al gestore un aggio del 7%) incrementò le entrate per oltre € 4.500.000,00, e pose una pietra tombale sulle precedenti modalità di gestione, che erano fuori dal controllo dello Stato. I posti di lavoro creati con l'assegnazione dei servizi all'esterno furono quasi cento.

L'applicazione della legge n. 352/1997 e del Regolamento Amministrativo - contabile (d.m. n. 66 del 27.02.1998) consentì la piena individuazione dei centri di costo e dei centri di responsabilità, una coerente programmazione degli interventi, una notevole accelerazione dei processi decisionali, con l'effetto di una riduzione del trasferimento al Ministero di circa l'80% degli atti amministrativi, grazie anche all'introduzione del controllo di legittimità da parte del solo Collegio dei Revisori dei Conti.

La semplificazione e la trasparenza delle procedure amministrative, intervenute nel pieno rispetto delle norme e sotto il vigile controllo dei revisori contabili, portò la Soprintendenza, grazie al buon funzionamento dei suoi organi e al validissimo supporto dell'integerrimo ragioniere capo e dei suoi più stretti collaboratori, a rispettare tutti gli impegni di spesa nei tempi previsti.

Nel corso del primo quadriennio di applicazione della legge n. 352/1997 si è potuta sperimentare anche la coesistenza nella medesima struttura di due figure di vertice con competenze professionali ed esperienze assai diverse fra loro, quella del "soprintendente archeologo" e quella del "direttore amministrativo manager".

La coesistenza non diede luogo ad alcun conflitto, non registrò alcun tentativo di prevaricazione, e agevolò, invece, l'arricchimento complessivo della capacità di gestione della Soprintendenza.

La piena condivisione di finalità e metodologia di lavoro fra le due figure che condussero l'esperimento, probabilmente dovuta anche alla consonanza di vedute e di atteggiamento sul lavoro, e la precisa definizione di funzioni e compiti reciproci produssero una armonia di intenti e di decisioni che rivelò appieno la praticabilità di una soluzione in cui "poteri" distinti potevano convivere senza compromissione alcuna dell'autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria che intanto si stava determinando.

L'integrale rispetto delle competenze e dei poteri delle due figure permise di affrontare positivamente molti degli aspetti problematici di quell'esperimento, ma non furono sufficienti a evitare che la pessima impostazione della gestione del personale contenuta nella legge finisse per condizionarne profondamente l'esito.

Le informazioni acquisite nel tempo riconducono il tema della gestione del personale della Soprintendenza alla genesi della legge: pare che quella "esclusione delle spese per il personale" introdotta nella legge n. 352/1997 sia stato il frutto avvelenato di un compromesso fra chi avrebbe preferito assegnare alla Soprintendenza piena autonomia anche nella gestione del personale e chi non le avrebbe voluto assegnare alcuna autonomia.

Resta il fatto che le 770 unità in servizio a vario titolo presso la Soprintendenza in quegli anni, ripartite in 44 qualifiche funzionali diverse, parecchie delle quali non corrispondenti alle effettive esigenze di una adeguata ed aggiornata organizzazione del lavoro finalizzata alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio amministrato, rispondevano direttamente ed esclusivamente al Ministero che le remunerava (che elargiva incentivi, determinava qualifiche, mansioni, livelli, trasferimenti, ecc), e per niente al consiglio di amministrazione, che aveva il compito di governare la struttura.

I tentativi di correggere la previsione normativa al riguardo, per quanto reiteratamente prospettati e motivati, non ottennero alcun effetto: si infransero ogni volta contro il diniego assoluto anche solo di discuterne da parte delle organizzazioni sindacali (con una sola parziale eccezione, rivelatasi ininfluente), per lo più scarsamente rappresentative e spesso pugnaci espressioni di interessi particolari, contro una dirigenza ministeriale per niente propensa, chiusa come era nel suo corporativismo, ad affrontare con coraggio la necessaria revisione dell'organico della Soprintendenza.

Il Ministero, dato che il personale era stato, ope legis, sottratto alla gestione degli organi autonomi, avrebbe potuto, se lo avesse voluto, convenire e condividere con gli stessi organi autonomi una politica del personale coerente con gli obiettivi e le metodologie adottati dalla Soprintendenza, indirizzati, oltre tutto, proprio alla messa in valore delle non poche professionalità di elevato livello operanti in loco.

Ciò non avvenne. La mia esperienza a Pompei, dopo una vana proposta di accelerazione del processo autonomistico del tipo di quella che poi sarebbe stata adottata dal Ministero per il Museo Egizio di Torino, si concluse con le mie dimissioni. L'esperimento continuò, ma di quel che è accaduto fra il 2002 e il 2013 non so nulla di più di quanto hanno riferito i giornali e qualche libro.

Ora, l'articolo 1 del d.l. 8 agosto 2013, convertito dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, pare prospettare, col ritorno, necessario, ad una configurazione autonoma della Soprintendenza di Pompei dopo il breve periodo di fusione con la Soprintendenza archeologica di Napoli, una nuova fase che richiama, in qualche modo, quella che diede l'avvio nel 1998 alla sperimentazione gestionale.

Il nuovo corso indicato dalla norma scaturisce anche in questo caso da una contingenza, la disponibilità di una ingente somma di denaro destinata a Pompei, che sembra richiederne una gestione limpida, efficiente, al riparo da compromettenti utilizzi impropri, come suggerisce la lettura dei commi che impongono la regolarità, la trasparenza, l'economicità della gestione dei contratti pubblici "anche al fine di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose".

Se l'emergenza è ancora la molla che origina la nuova norma, il quadro entro cui questa si colloca è ovviamente mutato. La nuova norma non rientra, con tutta evidenza, in un disegno riformatore di più vasta portata.

Essa appare molto concentrata sull'obiettivo immediato, sicuramente importante, di spendere bene e presto il denaro di cui si dispone.

Enfatizzando quell'obiettivo, il legislatore ha tuttavia operato scelte che tendono a configurare un nuovo modello gestionale, non transitorio, che ha qualche parvenza di somiglianza con quello previsto dalla legge n. 352/1997, ma ne differisce sostanzialmente in diversi punti.

Il governo della prima esperienza autonomistica era costituito da un sovrintendente, che, mantenendo tutte le peculiari prerogative scientifiche e giuridiche connesse con la funzione, presiedeva un consiglio di amministrazione in cui la figura del direttore amministrativo svolgeva una funzione assimilabile concretamente a quella dell'amministratore delegato.

Dopo qualche anno di regime "monocratico temperato", in cui le leve di comando erano tornate nelle mani del Soprintendente, presidente di un consiglio di amministrazione in cui non era presente alcuna figura con deleghe forti, la nuova norma inserisce fra le leve di comando la figura del "direttore generale di progetto", che assume tale denominazione in virtù della nomina a "rappresentante della realizzazione del Grande Progetto e del programma straordinario".

La rilevanza di tale figura è sottolineata dal livello a cui si colloca la sua nomina, visto che essa scaturirà dalla proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e sarà contenuta, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, in un apposito decreto che porterà la firma del Presidente del Consiglio, ma anche dal dovere di riferire in prima persona, e con cadenza semestrale, al Parlamento sullo stato di avanzamento dei lavori.

E' anche da notare che analoga procedura verrà seguita per la nomina della figura del "vice direttore generale vicario", da intendersi senza equivoci come parte integrante del nuovo ponte di comando.

Ad una lettura superficiale della legge 7 ottobre 2013, n. 212, le due nuove figure potrebbero essere intese come legate esclusivamente alla realizzazione del Grande Progetto. Se, però, si analizza con attenzione l'elenco delle competenze assegnate al "direttore generale di progetto" (e al suo vice vicario), si può notare che esse riguardano anche la gestione del servizio di pubblica fruizione e di valorizzazione del sito, per la quale sono espressamente previsti interventi tesi ad assicurarne l'efficacia, l'apporto organizzativo ed amministrativo alle attività di tutela e di valorizzazione di competenza della Soprintendenza.

Il "direttore generale di progetto" e il suo vicario, poi, potranno contare su una "struttura di supporto" creata ad hoc, costituita da un "contingente di personale, anche dirigenziale, in posizione di comando, non superiore a venti unità" proveniente dai ruoli delle amministrazioni statali, nonché da cinque esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica e infrastrutturale.

Il "direttore generale di progetto", ancora, viene preposto, con assunzione della rappresentanza legale, all'Unità "Grande Pompei", un nuovo organismo, dotato di autonomia amministrativa e contabile, chiamato a promuovere il rilancio economico-sociale e la riqualificazione ambientale e urbanistica dei comuni interessati dal piano di gestione del sito Unesco "Aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Torre Annunziata", e a potenziare l'attrattività turistica della zona.

La norma prevede la costituzione, nell'ambito dell'Unità "Grande Pompei", di un Comitato di Gestione cui spetterà, su proposta del "direttore generale di progetto", l'approvazione del "Piano strategico" per lo sviluppo delle aree comprese nel piano di gestione e il compito di fungere da "conferenza di servizi permanente".

Il "Piano Strategico", la cui trama di sviluppo è contenuta nel comma 6 dell'articolo 1 della legge 7 ottobre 2013, n. 212, sarà costituito, fra l'altro, da "azioni e interventi di promozione e sollecitazione di erogazioni liberali e sponsorizzazioni e dalla creazione di forme di partenariato pubblico-privato".

Il legislatore si sforza di dichiarare che restano ferme "le funzioni, i compiti e le attribuzioni della Soprintendenza competente in ordine alla gestione ordinaria del sito e quale beneficiario finale degli interventi ordinari e straordinari attuati nell'ambito del sito medesimo", e che il "direttore generale di progetto" e la struttura di supporto "operano nel rispetto delle competenze della Soprintendenza".

Tuttavia, il legislatore è costretto a concedere al "direttore generale di progetto" e alla struttura di supporto la facoltà di non operare nel rispetto delle competenze della Soprintendenza per quanto concerne "le funzioni e le competenze indicate al comma 1", che, come già riferito, contiene numerosi possibili sconfinamenti rispetto alle azioni legate al Grande Progetto.

L'impressione che si ricava è che si vengano a sovrapporre due strutture, la Soprintendenza tradizionale, con una autonomia assai ridotta, sulla quale non si opera alcun intervento di revisione organizzativa, gestionale, amministrativa, e la nuova Unità "Grande Pompei", una task force di missione, con obiettivi di notevole portata economica e temporalmente vicini, dotata di poteri molto forti, sganciati dalla ordinaria gestione quotidiana.

L'Unità "Grande Pompei" viene investita, sembra, di un compito più alto di quello, pure importante e complesso, di condurre in porto gli interventi resi possibili dal notevole finanziamento disponibile.

Le intenzioni del legislatore paiono affidarle la responsabilità di progettare il futuro delle aree archeologiche e dei territori nei quali esse sono inserite, elaborando un piano strategico nel quale le competenze della Soprintendenza sono sfumate o relegate in un ruolo marginale.

E' facile immaginare che la nuova struttura, quando riuscisse nella sua impresa, dopo un inevitabile rodaggio, possa maturare maggiori chances di governo del futuro di Pompei di quante non ne siano concesse ad una struttura già in sé obsoleta e sulla quale non si scommette neppure più.

L'apparente razionalità della norma in materia di relazioni fra le due strutture, Soprintendenza e Unità "Grande Pompei", come quelle fra i loro vertici di governo, consiste in un formale richiamo al rispetto delle competenze.

Mentre la prima sperimentazione autonomistica iniziata nel 1998 introduceva una sola figura nuova, non necessariamente prelevata dai ranghi della pubblica amministrazione, con l'obiettivo di modificare il modello gestionale della Soprintendenza senza alterarne le prerogative e le competenze, la nuova norma, lasciando sopravvivere la Soprintendenza così come è, con un gesto che sa di sfiducia, quasi che fosse una bad company di cui liberarsi, restituendole comunque una autonomia che merita e l'attributo di "speciale", crea una struttura parallela, agile e molto indipendente, a cui affida il compito di gestire le risorse più importanti ma soprattutto di "sovrintendere" alla definizione e alla implementazione delle strategie di sviluppo dell'intera area.

Può essere, ed è auspicabile, che le scelte delle persone chiamate a svolgere i ruoli, delicati e difficili, di nuova costituzione si rivelino così felici da risolvere sul campo i dubbi e le perplessità che la lettura della nuova norma induce.

 

 



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